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NIENTE CUNEO FISCALE, UNA VERA MAZZATA
PER IL MERIDIONE CHE VUOLE CRESCERE

Lavoro e occupazione

di PIETRO MASSIMO BUSETTAPochi sono i dati necessari a descrivere il nostro Mezzogiorno, due in particolare: popolazione complessiva e occupati, compresi i sommersi. 

Bene la popolazione è 19.775.832, gli occupati secondo l’Istat 6.306 mila. Partendo da tali dati è necessario un piano di sviluppo sistemico che consenta di arrivare al rapporto funzionale delle realtà a sviluppo compiuto. Se come benchmark prendiamo la Emilia Romagna, che con 4.455.188 abitanti al 31.12.2023 ha 2.055.000 occupati, quindi con un rapporto tra popolazione ed occupati di circa il 45%, il Mezzogiorno, alla fine del suo processo di sviluppo, che in una previsione non particolarmente ottimistica potrebbe avere un percorso di non più di 10 anni, dovrebbe avere nove milioni di occupati, compresi i sommersi. 

Per cui una tabellina di marcia possibile dovrebbe prevedere un incremento medio di un saldo occupazionale, differenza tra assunti e licenziati, di 300.000 occupati ogni anno. Da dove dovrebbero arrivare tali incrementi è presto detto: le gambe sono prevalentemente tre, con il loro indotto: la logistica, il turismo e il manifatturiero. 

Dalla prima branca ci si può aspettare un contributo importante, la portualità del Sud è numericamente ricchissima e, se approfitta del potenziamento di Gioia Tauro e Augusta per le merci e della messa a regime delle decine di porti che sono posti sulle miglia di chilometri della costa meridionale, il risultato quantitativo potrebbe avvicinarsi anche al milione di occupati in più. 

Per avere un ordine di grandezza si pensi che la sola Rotterdam, tra occupati diretti del porto e quelli del retroporto, ha un numero di occupati vicino alle 700.000 unità. 

La seconda branca è quella del turismo. In una ipotesi impegnativa  di un incremento di presenze del 100%, cioè da 80 milioni a 160 milioni, fisiologico per il Sud, considerato che oggi il solo Veneto ne fa altrettanti, avremmo una occupazione nel settore che andrebbe dal 3 per mille al 6 per mille; cioè da 240.000 a 480.000 come massimo. 

Tale massimo si raggiunge quando le realtà sono piccole. Quindi nel caso di incrementi di tal tipo che dovrebbero coinvolgere grandi strutture saremmo più vicini al 3-4 per mille. Ma supponiamo un dato intermedio di 360.000. Considerato che l’agricoltura continuerà a perdere addetti, come è evidenziato da tutti gli studi del settore delle realtà a sviluppo compiuto, il manifatturiero dovrebbe essere, come in tutte le realtà evolute, quello che dovrebbe contribuire maggiormente all’incremento occupazionale. 

Per tale obiettivo non può essere sufficiente la base produttiva esistente,ormai ferma da oltre 10 anni, quindi è necessario che si attraggano investimenti dall’esterno dell’area. È quello che dovrebbe fare la Zona Economica Sud. 

Per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, necessari per aumentare l’occupazione del  manifatturiero e del Pil prodotto dalle regioni meridionali, sono necessarie molte condizioni. Le due indispensabili riguardano l’infrastrutturazione, sulla quale c’è un impegno molto rilevante da parte del Governo, che con gli investimenti sulla Napoli-Bari, sull’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria  che si completerà con il ponte sullo stretto e con la Messina – Catania – Palermo e sulla ionica, renderà il Sud attraversabile cosa finora impossibile. 

E poi la lotta alla criminalità organizzata, perché l’imprenditore vuole rischiare il suo capitale, certamente non la vita. Ma poi vi sono anche le condizioni di vantaggio per fare scegliere le nostre aree invece che quelle della Polonia o dell’Ungheria. In tal senso bisogna competere con il costo del lavoro, particolarmente basso in altri Stati dell’Unione e con la tassazione degli utili d’impresa, altrove più contenuti. 

Bene il provvedimento per ridurre il cuneo fiscale tende a proprio a rendere il costo del lavoro più basso. Solo che un approccio populista del Governo Giuseppe Conte lo estese a tutto il sistema imprenditoriale del Sud, con un costo che avevamo previsto non sarebbe stato sopportabile.  

Infatti lo sgravio sul costo del lavoro che vale 3,3 miliardi all’anno e si applica dal 2021 a 3 milioni di lavoratori dipendenti, aiutando  così migliaia di imprese meridionali «termina a giugno». Il ministro per il Sud Raffaele Fitto lo ha detto chiaro ai sindacati che la misura termina. 

L’esecutivo di destra questa volta non ha intenzione di ottenere un’altra proroga dall’Unione europea che, sbagliando, forse l’avrebbe concessa. 

E si, perché tali vantaggi, se concessi a una platea così ampia, finiscono col perdere l’obiettivo per cui erano stati creati. Cioè di rendere le localizzazioni nuove più accattivanti, fungendo invece da intervento a pioggia per tutte le attività, lasciando peraltro sul mercato anche aziende che invece di creare ricchezza la distruggono e che sarebbe bene  siano chiuse. 

Una misura compensativa giustificata dal fatto che produrre al Sud costa di più perché mancano infrastrutture e servizi. La misura nasce nel 2021 e fu finanziata con i fondi europei del React-Eu e poi con i fondi nazionali di sviluppo e coesione. 

Il progetto era che finisse nel 2029 con una diminuzione della misura del 30% dello sgravio quest’anno e successivamente 2026 e 2027 del 20%, e infine del 10% nel 2028 e 2029. Anche questa logica era sbagliata ma ovvia perché rivolgendosi ad una platea così ampia doveva progressivamente ridursi. 

Si spera che adesso si ritorni al ruolo, fondamentale, che doveva avere, cioè di riduzione del costo del lavoro per alcuni anni per i nuovi insediamenti, per esempio per 10 anni, che creano nuova occupazione.

Purtroppo quando si gioca con mance e mancette, riducendo gli strumenti di politica economica, fondamentali per lo sviluppo, a occasioni  per alimentare il consenso, gli apprendisti stregoni ottengono l’effetto scontato, di far impazzire lo strumento non conseguendo gli effetti voluti  o renderlo talmente oneroso da non consentirne la permanenza. Adesso bisognerà rimetterlo con interventi selezionati perché in realtà é fondamentale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

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