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OCCUPAZIONE E COVID, I DATI DELLA SVIMEZ
È GRAVE LA SITUAZIONE IN CALABRIA: -10,4%

Non è un Paese per giovani

Il tema dell’occupazione, in Calabria – ma anche nel Mezzogiorno – è una questione delicata che, purtroppo, si è aggravata con l’emergenza sanitaria in corso: dal 2008 al 2020, c’è stata una flessione dell’occupazione di -10,4%. È quanto emerge dal rapporto redatto dalla Svimez per l’Ente Bilaterale Confederale Ebic sul tema Il lavoro nella pandemia: impatti e prospettive per persone, settori e territori.

Dallo studio emerge che il calo dell’occupazione è piuttosto omogeneo tra Mezzogiorno (-2%) e Centro-Nord (-1,9%). Ma sono le donne e i giovani del Sud a subire l’impatto occupazionale maggiore nella crisi pandemica: -3% a fronte del -2,4% del Centro-Nord per le donne; -6,9% al Sud a fronte del -4,4% del Centro-Nord per i giovani under 35. Si tratta di dati che ancora non tengono conto dei disoccupati “virtuali” degli attuali cassaintegrati e dei lavoratori solo ufficialmente occupati per effetto del blocco dei licenziamenti.

«Nel Mezzogiorno – si legge nel rapporto – flettono in misura più accentuata i dipendenti (-2,3% a fronte del -1,3% degli indipendenti), mentre nel Centro-Nord sono gli autonomi a subire il calo più intenso (-3,6% a fronte del -1,5% dei dipendenti). I dipendenti a termine flettono dell’11,6% nel Mezzogiorno e del 13,3% nel Centro-Nord, mentre i permanenti aumentano dello 0,4% nel Mezzogiorno e dello 0,7% nel Centro-Nord. Gli effetti più marcati, si rileva nel Report Svimez, si registrano nel settore dei servizi, soprattutto nei comparti labour intensive dell’accoglienza, della ristorazione, del turismo, della cultura, del piccolo commercio, e dei trasporti, dove più frequente è il ricorso il lavoro a tempo parziale o stagionale. Le attività del terziario sono state anche quelle che hanno fatto maggior ricorso alla Cassa Integrazione: sul totale delle attività, il 16% operano nel commercio e riparazione di autoveicoli e beni personali, il 14,7% nell’ospitalità e nel turismo, l’11,9% nelle attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese».

«Tra i settori più colpiti dall’emergenza sanitaria – riporta ancora la Svimez – le attività legate al turismo e alla cultura. Il turismo, dopo anni di crescita costante, ha subito una profonda battuta di arresto, con quasi 233,2 milioni di presenze in meno negli esercizi ricettivi rispetto al 2019 (un calo del 53%). La clientela straniera è calata di oltre il 70%, quella italiana del 36%. Il comparto alberghiero è quello che ha evidenziato i segnali di maggiore sofferenza: le presenze registrate nel 2020 sono meno della metà (il 43%) di quelle rilevate nel 2019, mentre quelle del settore extra-alberghiero circa il 53%. I viaggi si sono pressoché dimezzati passando da circa 71 mila nel 2019 a 37 mila nel 2020. Le persone che hanno viaggiato su 100 residenti sono passate da circa 24 a 13 in Italia, e da 12 a 6 nel Mezzogiorno, mentre i viaggi pro-capite sono passati da 1,2 a 0,6 a livello nazionale e da 0,6 a 0,3 nel Mezzogiorno».

«In termini di occupazione – si legge ancora – le attività legate al turismo e alla cultura, che registrano nell’anno una diminuzione di 187 mila occupati nel settore turistico e di 33 mila nel settore culturale; in termini percentuali si tratta di un calo pari rispettivamente dell’11,3% e del 5,2% . Circa la metà degli occupati persi tra il 2019 e il 2020 (-456 mila persone) è ascrivibile a questi settori. Tra il 2019 e il 2020, nel Mezzogiorno il comparto delle attività turistiche ha subito una flessione più accentuata (-12,7% a fronte del -10,7% del Centro-Nord)».

«I giovani under 35 che non studiano e non lavorano (Neet) nella media del 2020 sono saliti al 36,1% nel Mezzogiorno dal 35,8% nel 2019, ed al 18,6% nel Centro-Nord rispetto al 16,6% nel 2019. Tra il 2008 ed il 2020 flette l’occupazione in tutte le regioni del Mezzogiorno con picchi elevati in Calabria (-10,4%) e Sicilia (-8.9%) e relativamente bassi intorno al 3% in Campania e Basilicata. Dinamiche positive caratterizzano Toscana (+1,4%), Emilia Romagna (+2,1%), Lombardia (+3,1%) e, soprattutto, Trentino Alto Adige (+6,8%) e Lazio (+7,2%). Il tasso di disoccupazione “corretto” è pari al 25,4% nel Mezzogiorno dal 24,1% nel 2019, e del 13,4% nel Centro-Nord rispetto all’8,8% nel 2019. Con salari stagnanti e ore di lavoro che scendono non sorprende che il numero di persone che, pur lavorando, sono comunque povere, potendo contare su un reddito inferiore al 60% di quello medio, sia nettamente aumentato: i poveri tra gli occupati in Italia erano l’8,9% nel 2004, sono saliti al 12,2% nel 2017 e 2018 e al 13% nel 2020» riporta ancora la Svimez.

Un altro problema riscontrato è quello sulla difficoltà del reperimento: «il Mezzogiorno registra un aumento relativamente più accentuato delle difficoltà di reperimento che passano dal 21 al 25%   mentre nel Centro Nord salgono dal 28,5 al 31,5%. La tendenza verso una maggiore qualificazione del personale emerge anche dalla crescita della percentuale di laureati richiesta dal 13 al 14%».

Alla luce di questi dati, «la Svimez è giunta alla conclusione che la crisi economica e sociale seguita all’emergenza sanitaria da Covid-19 ha determinato effetti territoriali asimmetrici, solo in parte ricomposti dalle pur incisive misure di sostegno del lavoro e delle imprese a causa delle rilevanti differente strutturali maturate tra Nord, Centro e Sud, nel corso della lunga crisi 2008-2014, che hanno determinato capacità di assorbimento e reazione allo shock di intensità molto variabile».

Fortemente differenziate, anche se sostanzialmente in linea con gli andamenti circoscrizionali le dinamiche regionali. Tra il 2008 ed il 2020 flette l’occupazione in tutte le regioni del Mezzogiorno con picchi elevati in Calabria (-10,4%) e Sicilia (-8.9%) e relativamente bassi intorno al 3% in Campania e  Basilicata. Dinamiche positive caratterizzano Toscana (+1,4%), Emilia Romagna (+2,1%), Lombardia (+3,1%) e, soprattutto, Trentino Alto Adige (+6,8%) e Lazio (+7,2%). In calo le altre regioni ed in particolare con valori intorno al -5% Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Marche. L’analisi settoriale evidenzia andamenti negativi in tutte le regioni per il settore industriale con l’eccezione del Trentino Alto Adige e andamenti positivi nei servizi in tutte le regioni con l’eccezione della Liguria al Centro-Nord e di Abruzzo, Basilicata e Sicilia al Sud.

I settori più dinamici, sia prima della pandemia sia, sostanzialmente anche dopo sono gli altri servizi collettivi e personali e le attività di alloggio e ristorazione in forte crescita in tutte le regioni del Centro-Nord con l’eccezione di Piemonte, Valle d’Aosta e Marche dove restano sostanzialmente sui livelli del 2008. Tali comparti sono in netta crescita anche nel Mezzogiorno, con l’eccezione di Calabria (-8,5%) e Campania (-5%) per le attività di alloggio e ristorazione e Basilicata (-6,3%) e Sicilia (-3,4%) con riguardo agli altri servizi collettivi e personali. Il numero medio di ore integrate è più alto nelle regioni meridionali e del Centro (293) e anche l’incidenza dei cassintegrati sui dipendenti totali è leggermente più alta nel Mezzogiorno (quasi il 50%).

Ne è risultato profondamente colpito un mercato del lavoro nazionale già segnato dalla mancata crescita della produttività e dei salari, dalla precarizzazione e parcellizzazione del lavoro (sempre più spesso a bassa qualificazione), da un tendenziale aumento delle diseguaglianze sociali, di genere e generazionali, tutte in larga parte sovrapponibili ai divari territoriali.

Tre fronti da presidiare

Il Report ha confermato come lo shock da Covid abbia avuto effetti estremamente significativi su una struttura del mercato del lavoro già segnata da criticità e debolezze. In attesa di capire quali saranno le concrete conseguenze della fine del blocco dei licenziamenti e della Cassa integrazione Covid, si evidenzia a oggi un calo dell’occupazione abbastanza omogeneo nel Paese, mentre ancora una volta appaiono particolarmente colpite le fasce tradizionalmente più deboli del mercato del lavoro come i giovani e le donne. In prospettiva sono tre i fronti da presidiare con specifiche misure utili a scongiurare i rischi di amplificazione delle disuguaglianze tra persone, settori e territori: 1) Lo strutturale disallineamento tra domanda di lavoro delle imprese e i livelli di competenze maturate dai giovani italiani più istruiti al primo ingresso nel mercato del lavoro; 2) La graduale riduzione delle misure di sostegno a imprese e lavoratori; 3)Le nuove forme di organizzazione del lavoro quali lo smart-working nel settore pubblico e privato. (rrm)

 

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