di MARIA MARINO – La Calabria abbandonata a sé stessa, privata di serie e importati infrastrutture da tanto tempo ormai che, a volerle creare adesso, diventa un’impresa quasi irrealizzabile: investimenti e redditi ridotti da tempo ormai a lumicino, nessun intervento serio di recupero o di nuova costruzione nel campo dei trasporti o della viabilità, che deve accontentarsi di residuali risorse per interventi su strutture fatiscenti, desuete e fuori tempo, tanto da considerare un successo il ridurre la distanza tra Reggio Calabria e Cosenza di 30 minuti, a fronte di un tempo di percorrenza comunque estenuante, in un Paese in cui il Ponte di Genova viene ricostruito “rapidamente e senza mai fermarsi neppure in tempi di Coronavirus” in soli 12 mesi!
Con una pseudo autostrada, perennemente in manutenzione e con un tratto di fatto inesistente; una Statale 106 ridotta a brandelli con decine di morti all’anno e una serie di strade e stradette per lo più impercorribili a causa di una pessima, o completamente assente, manutenzione; oltre a una strada ferrata obsoleta, con pochi treni e carrozze fatiscenti e tempi di percorrenza da terzo mondo!
E nessuno se ne preoccupa, nemmeno quando affida fior di finanziamenti alle grandi società, senza pretendere un minimo di cronoprogramma degli interventi previsti, ma accettando supinamente rassicuranti promesse e senza nemmeno la dovuta attenzione ai lavori dichiarati eseguiti, ma mai ultimati.
La Calabria con un tessuto sociale lacerato in molti o quasi in tutti i suoi aspetti: marchiata da tutti come terra di ladri e ‘ndranghetisti, dichiarata irrecuperabile da voci autorevoli, con uno sviluppo economico visto come una chimera e la mancanza del lavoro per giovani bravi, capaci e preparati che si recano altrove per vendere le loro competenze, pur di non accondiscendere a compromessi di sistema, spesso anche immorali ed eticamente scorretti.
La Calabria, dove la politica, lautamente retribuita e accomodata, non sembra preoccuparsi più di tanto, nemmeno ora che, la disoccupazione del Mezzogiorno d’Italia, ha notevolmente inciso sulle decisioni europee per la concessione all’Italia dei miliardi del Recovery Fund: nessuno sembra battersi perché il Governo investa nel Sud parte di quei finanziamenti, nessun progetto concreto per infrastrutture, viabilità, trasporti o servizi che potrebbero rappresentare non solo sviluppo e modernizzazione della Calabria, ma anche e soprattutto servizi al cittadino nell’ottica del miglioramento della qualità della vita dei calabresi.
Anche la giustizia, uguale per tutti, in Calabria sembra essere diventata uguale per alcuni e a pagamento per altri; e la sanità? Un diritto che doveva essere garantito a tutti, ha mostrato nell’organizzazione di sistema il peggio di sé, ingabbiato tra interessi di parte e disorganizzazione, paralizzato da fondi finanziati e sperperati; ma anche da fondi negati, se si prende in considerazione la spesa pro-capite e la si confronta tra le diverse regioni del Paese, risulta, infatti, davvero inaccettabile pensare che la Calabria, commissariata da un decennio, alla fine ripaga alle regioni del Nord milioni di euro all’anno (oltre 4 milioni di euro nel 2018) a causa della migrazione sanitaria.
In tale scenario, l’emergenza sanitaria era prevedibile che in Calabria finisse per assumere aspetti più gravi che altrove, risultando inadeguata anche nelle operazioni di gestione più semplici.
Una terra in cui sembra si faccia a gara a chi è più bravo a gettare fango sull’altro, quasi a portare a casa il trofeo de “il meglio del peggio”, tutto diventa più grave e desolante, assumendo i caratteri di una guerra tra poveri, in cui tutto è in comune ma nulla in comunione.
L’unico che volge il suo sguardo benevolo alla Calabria è Papa Francesco, scegliendo ben tre sacerdoti da elevare a Vescovi in pochissimi anni: il primo qualche anno fa, Mons. Domenico Battaglia, oggi Arcivescovo di Napoli, Diocesi tra le più grandi d’Italia; qualche giorno fa, Don Maurizio Aloise, dell’Arcidiocesi metropolitana Catanzaro-Squillace nominato Arcivescovo di Rossano-Cariati, e don Fortunato Morrone, della Diocesi di Crotone-Santa Severina, nominato Arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova.
La Conferenza Episcopale Calabra, presieduta da Mons. Vincenzo Bertolone, vivendo l’arretratezza della Calabria, le sue miserie e le sue tante contraddizioni, avrà probabilmente riportato nelle stanze vaticane le povertà sociali in cui versa ormai da tempo questa terra, quanto i calabresi si sentano abbandonati al loro destino e la necessità di recuperare quanto di buono la Calabria può ancora esprimere, a dispetto delle continue denunce mediatiche, sempre più offensive e denigranti.
Sceglie in Calabria il Santo Padre i suoi Vescovi, come volesse dimostrare la sua vicinanza a una popolazione maltrattata, rinnegata e isolata da tutti; e, scegliendo in Calabria, offre la sua vicinanza, ponendosi quale punto di riferimento e di guida nell’indifferenza di tutti gli altri, facendo dei figli di Calabria i suoi interlocutori.
Forse, nei disegni del Santo Padre, i sacerdoti calabresi che vivono il loro sacerdozio a contatto con gli ultimi e con quelle sacche sociali più povere, sono visti dal Santo Padre i migliori testimoni di resilienza e perciò divenire punto di riferimento determinante, in quei territori dove necessaria diventa l’opera di ricostruzione del senso etico, morale e sociale della comunità, che in Calabria sembra ormai essersi smarrito da tempo.
Deve essere proprio un grande amore quello del Papa verso gli ultimi e i martoriati dalla criminalità organizzata, lo dimostrano anche le parole usate nella prefazione del libro di Mons. Bertolone dedicato al giudice Rosario Angelo Livatino (Rosario Angelo Livatino. Dal “martirio a secco” al martirio di sangue, edito da Morcelliana), ucciso dalla mafia e che il prossimo 9 maggio sarà proclamato Beato: forse il Papa crede che nemmeno i calabresi, come il giudice, meritino di essere trattati così ingiustamente dagli “Erodi del nostro tempo” e avverte il muto “grido di dolore e allo stesso tempo di verità” dei calabresi, che vedono sempre più offesa la propria dignità ormai da troppo tempo nei fatti e nelle parole.
Anche i messaggi pasquali dei Vescovi delle diverse Diocesi calabresi sembrano voler diventare fari di speranza e di resilienza, un vero e proprio richiamo a valori e sentimenti comuni, invitando tutti ad essere comunità di persone, oltre che di brutte cose e di pessimi fatti, per ritrovare nel mutuo aiuto e nella comunione delle azioni, la direzione giusta verso una vera rinascita della terra che fu la Magna Graecia.
Se questi sono i pensieri del Santo Padre e dei Vescovi di Calabria, ben venga “il buon odore di Cristo” e divenga presto “seme della rinascita” per la nostra terra, chissà che qualcun altro, sull’esempio del Papa, non decida finalmente che anche la Calabria è meritevole di sguardi benevoli e di opere buone; che forse sono proprio gli stereotipi e i pregiudizi a frenarne le tante potenzialità che pur ci sono; che forse con un po’ più di buona coscienza e di responsabilità civica e sociale, lo spopolamento potrebbe arrestarsi e la Calabria potrebbe finalmente realizzare quello sviluppo socio-economico di cui ha tanto bisogno e che serve all’intero Paese. (mm)