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Pierfranco Bruni: «Ecco perché Taurianova» Capitale Italiana del Libro 2024

Pierfranco Bruni: «Ecco perché Taurianova» Capitale Italiana del Libro 2024

Di PINO NANOPer difendere le ragioni di Taurianova “Capitale Italiana del Libro” scende in campo questa volta il Presidente della Giuria che al Ministero della Cultura ha scelto la città della piana, lo scrittore calabrese Pierfranco Bruni, un intellettuale che da anni racconta i Sud del Paese e che le cose che pensa non le manda a dire con nessuno. 

«Il progetto di Taurianova – dichiara una volta per tutte – è stato premiato perché rappresenta, per una realtà piccola, la strada di una crescita o addirittura una rinascita attraverso la realizzazione di infrastrutture culturali, materiali, immateriali e valoriali, capaci di irradiare i propri effetti virtuosi anche sul territorio circostante».

Queste sono dunque le principali motivazioni con cui la Giuria ha proposto, all’unanimità, Taurianova come Capitale italiana del Libro per l’anno 2024.

Parliamo di una Giuria, autonoma e indipendente dal Ministero, presieduta dal professor Pierfranco Bruni, e composta da Incoronata Boccia, Gerardo Casale, Antonella Ferrara e Sara Guelmi, che ha individuato nel progetto presentato dal Comune della Piana di Gioia Tauro, «anche in ragione del contesto storico e geografico, l’occasione – ripete Pierfranco Bruni – per generare un esempio di pedagogia di riscatto culturale, civile e sociale».

Nessuna lettura politica, dunque, nessuna strumentalizzazione ideologica, nessun fraintendimento. Le parole di Pierfranco Bruni diventano pietre.

«Il 6 febbraio – spiega il presidente Bruni – quindi tre giorni prima delle indiscrezioni apparse sulla stampa, abbiamo tenuto l’ultima riunione della Giuria e abbiamo votato all’unanimità il progetto Taurianova. La scelta è stata fatta in particolare sulla base dell’impatto sociale della proposta progettuale relativa a un territorio che ha una straordinaria necessità di sostegno dal punto di vista culturale. La decisione è stata presa in coerenza con quello che l’Unesco definisce il valore intrinseco del settore culturale e creativo in termini di coesione sociale, capacità di generare risorse educative, benessere personale e crescita economica».

Alle spalle di tutto questo c’è la storia personale e pubblica di questo intellettuale calabrese che in vita sua ha fatto mille cose diverse, archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione Unesco per la diffusione della cultura italiana all’Estero, oggi presidente anche del Centro Studi “Grisi”. Lo scrittore ricopre numerosi altri incarichi istituzionali legati alla promozione della cultura e della letteratura nei Paesi Esteri, ed è responsabile, per conto del Ministero della Cultura, del progetto di studio sulle Presenze minoritarie in Italia. Un protagonista di primissimo piano della nuova cultura meridionale.

Il suo ultimo poderoso saggio-racconto dal titolo Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella Letteratura contemporanea è una testimonianza emblematica del suo pensiero. Dei suoi libri alcuni restano e continuano a raccontare. 

«La letteratura e la vita senza il sogno, l’amore e l’ironia non avrebbero senso. L’amore quando è sogno ha sempre delle illuminazioni. Gli orizzonti sono nel viaggio e le albe e i tramonti possono anche somigliarsi ma non hanno mai lo stesso colore. Lungo il mio cammino ci sono stati e ci sono molti libri incompiuti, ma non ho alcuna intenzione di definirli. Non viaggio per ritrovarmi perché sono convinto che gli approdi non sono mai consapevolezza e che gli arrivi s’intrecciano con le partenze e i ritorni e vanno sempre oltre Itaca».

-Una vita On the road professore?

«Certamente sì. Sono stato per lunghi periodi in realtà come la Tunisia, la Turchia, l’Albania, come rappresentante della cultura del ministero della cultura in questi Paesi. Non solo conoscenza diretta, dunque, ma fascino e mistero hanno rappresentato non un dato sociologico ma chiaramente antropologico e letterario. Questi luoghi sono nei miei racconti o meglio sono in tutto il mio raccontare. I due segmenti fondamentali che caratterizzano il mio viaggio letterario sono la memoria e la nostalgia».

 

-In giro per il mondo, ma con al centro di tutto il Mediterraneo?

«Proprio così. Il Mediterraneo occidentale con i miei viaggi in Grecia inizialmente si è trasformato in un Mediterraneo orientale e direi in un Oriente. O meglio negli Orienti. L’ultimo romanzo ha proprio questa caratteristica. Una storia d’amore in un contesto delle Moschee. Samira è appunto una donna orientale con il fascino delle donne arabe…».

 

-C’è chi ha scritto che “Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella Letteratura contemporanea” è una prosecuzione del suo precedente romanzo?

«Se si riferisce “Al canto del Muazzin“, è tutto vero. Anche lì si racconta una storia d’amore tra una araba e un giornalista italiano che si incontrano in un aereo in volo da Roma a Tunisi».

 

-Cos’è un inno all’amore anche questo?

«È soprattutto un mosaico di luoghi dove il tempo non è un orizzonte, ma un cerchio. Ma la sensualità di quest’amore diventa la spiritualità in cui la presenza di Dio è fondamentale e i personaggi che campeggiano restano in una dimensione orante. È come se l’amore stesso fosse un canto orante. In fondo io parlo spesso dal Cantico dei Cantici. Cerco di legare gli Orienti con la sapienza indiana».

 

-Libri insomma a cui uno scrittore rimane legato per sempre?

«Direi di sì per un fatto esistenziale. Ma io le dirò resto legato a tutti i miei libri perché parto da un presupposto: ogni scrittore non fa altro che scrivere il proprio diario. Anche in un libro di poesia come Asmà e Shadi che risale al 2006, sempre nei miei Orienti, la fantasia diventa la finzione del vero».

 

-Ma anche “Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio” mi pare sia un romanzo propriamente autobiografico?

«Assolutamente si, autobiografico. Certamente autobiografico. Qui non ci sono però metafore. È un romanzo verità. In un cassetto della mia casa in Calabria ho trovato libri e appunti di mio padre. Nella sua biblioteca c’erano tutte le opere di Carolina Invernizio. Una scrittrice che veniva letta negli anni trenta del Novecento. In ogni libro ci sono chiuse fatte a penna rossa e a matita da mio padre. Scriveva appunti, commenti e riflessioni. Un fatto che mi ha molto colpito. Leggeva questa scrittrice quando lui aveva 12 o 13 anni. Mi sono fortemente commosso. La vita in fondo è emozione».

 

-I suoi genitori da quello che ho letto le mancano ancora tantissimo…

«Mio padre e mia madre sono stati, e sono dei punti di riferimento e dei ponti di tutta la mia vita. La scrittura a volte ci riconcilia a ciò che non abbiamo più». 

 

-Recentemente ha scritto anche un libro su Kafka?

«Sì. È appena uscito. È stato insieme a Pavese, del quale sta uscendo il mio quinto libro sullo scrittore confinato a Brancaleone Calabro, due fari letterari importanti. Da quando frequentavo i primi anni del liceo. Mi accompagnano ancora. Mi lascio guidare, a volte, e loro mi indicano alcuni percorsi anche linguistici».

 

-Torniamo su Taurianova: sempre convinto della scelta fatta?

«Sempre di più, certamente. Più di prima e più che mai. Sarà un successo vedrete, e lo sarà per la Calabria per il resto del Paese». (pn)

 

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