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Presentato a Roma il libro “Le mafie nell’era digitale” della Fondazione Magna Grecia

Presenttao a Roma il libro "Le mafie nell'era digitale" della Fondazione Magna Graecia

Nella sede dell’Associazione Stampa Estera a Roma è stato presentato il libro Le mafie nell’era digitale, prodotto dalla Fondzione Magna Graecia, presieduta da Nino Foti.

Un progetto di ricerca promosso dalla Fondazione Magna Graecia e curato dal prof. Marcello Ravveduto, che costituisce la base del primo rapporto sulle mafie dell’era digitale.

«Lo spazio virtuale – si legge – è diventato oggi la nuova frontiera della criminalità organizzata. Le mafie sono sempre più ibride, capaci di operare online e offline. Da una massiccia raccolta di dati estratti da Wikipedia e dai principali social network, Youtube, Facebook, Instagram, Twitter e Tiktok, è stata realizzata un’analisi che ha consentito di elaborare alcune tendenze che tracciano la partecipazione e l’intervento di mafiosi, affiliati e simpatizzanti nella sfera digitale».

«La ricerca, realizzata nel pieno rispetto della privacy – si legge – ha dimostrato che l’utilizzo dei social network rende trasparenti i processi di comunicazione delle mafie in cui “fan” promuovono il “brand” attraverso un’estetica del potere che esalta il lusso e l’onore, e quindi il successo dell’organizzazione anche attraverso il ricordo di chi ha dato la vita e di chi ha patito il carcere per giungere a questo risultato. Emoticon, post, contenuti condivisi, hashtag, meme e canzoni si strutturano all’interno di un discorso gergale che raggiunge la superficie delle piattaforme user generated content divenendo elementi di corredo che spingono l’interpretazione del messaggio nel verso del sentire mafioso».

Alla presentazione, hanno partecipato  Esma Cakir, presidente dell’Associazione stampa estera, il presidente della Fondazione Magna Grecia Nino Foti, Antonio Nicaso, docente alla Queen’s University (Canada) e componente del comitato scientifico della Fondazione Magna Grecia, il direttore della direzione investigativa Antimafia Maurizio Vallone e Marcello Ravveduto, docente di Digital public history all’Università di Salerno e Modena-Reggio Emilia.

Per il presidente Nino Foti, «oggi, chi si occupa di cultura e del Mezzogiorno d’Italia, non può non guardare anche alle narrazioni di soggetti che, purtroppo, sono protagonisti nella produzione di contenuti, di simboli, di stereotipi correlati alle mafie». Per questo «solo attraverso una conoscenza approfondita e strutturata di questi contesti è possibile costruire risposte improntate a una rinnovata e ‘attraente’ narrazione della legalità, anche elaborando progetti di ‘reazione’», ha concluso Foti.

Per Nicaso e Mantovani, «le mafie, oggi, potrebbero continuare a sussistere senza più necessariamente compiere azioni sanguinose, ma solo ricordando a tutti di esserci e di poter ancora agire».

Il direttore Vallone, invece, ha parlato di come sono cambiate le attività delle organizzazioni criminali: «Tre decenni fa, la Mafia metteva le bombe per uccidere i magistrati e le loro scorte. Oggi, invece, utilizzano i bitcoins come moneta di scambio per i traffici illeciti; usano le piattaforme criptate per le loro comunicazioni; e infine, si muovono nel modo del metaverso, dove stanno installando attività imprenditoriali».

«Bisogna, per questi motivi – ha evidenziato – aggiornare gli investigatori perché non bastano più le intercettazioni, ma bisogna seguire i soldi sul web, attraverso la cooperazione internazionale, così da poter bloccare i riscatti che avvengono attraverso gli hacker».

Come rilevato da Ravveduto, ormai «si ricorre frequentemente, a un codice non verbale, fondato, ad esempio, sullo scambio di segni grafici e di immagini dotati di pregnanza simbolica in grado di esibire stili di vita emulativi, quali l’ostentazione della ricchezza e dello sfarzo al limite del kitsch e canzoni a sfondo criminale legate al contesto di appartenenza». (rrm)

 

 

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