di GREGORIO CORIGLIANO – Quando Raffaella Sansone ha chiesto agli alunni di riflettere su Cutro e, soprattutto, sugli sventurati morti, pensava di dover dedicare un paio d’ore della giornata scolastica ad un dibattito a più voci –docenti-alunni- sul dramma di Steccato di Cutro che ha straziato il mondo.
Non sono state poche le scuole che, in Calabria, non abbiano dedicato un pensiero, un tema, una riflessione sulla tragedia capitata sulle coste ioniche. Raffaella Sansone non immaginava che uno dei suoi alunni avesse la capacità e lo spirito critico ed attento oltre misura al “nostro dramma”. Guarda e leggi, mi ha detto: «apolitico, riflessivo, angosciante: spesso è percepito così il tema della morte, soprattutto se a perdere la vita sono 67 ( tanti quanti erano in quel momento) umani tra uomini, donne ed innocenti bambini, troppo piccoli per saper distinguere il bene dal male ma già cosi adulti da impugnare una valigia, vuota di abiti ma stracolma di speranza per imbarcarsi e partire verso una meta sconosciuta, per sfuggire alla fame, alla guerra, al giogo di un regime opprimente».
Questo l’incipit che ha caratterizzato il pensiero di Christian Lanuara, lo studente liceale di Belvedere Marittimo, che messo per iscritto, ha presentato a Raffaella Sansone. Ha sgranato gli occhi la docente, sapeva della bravura dei suoi alunni, ma non immaginava che Christian fosse uno scrittore vero, un poeta della vita. Chi potrebbe o saprebbe scrivere di valigia vuota di abiti, ma stracolma di speranza? Chi, ancora di giogo di regime opprimente? Solo uno scrittore affermato e riconosciuto, non v’ha dubbio. Ed invece, in questo caso, è Christian che, in nome e per conto della sua classe, ha pensato, ha riflettuto, ha scritto. Altro che il dettato o il tema dei nostri tempi! Ed il seguito? Seguitemi per capire ed apprezzare fin dove arriva la capacità del giovane studente.
«Affidare quel bagaglio, vuoto e pieno, e la propria esistenza al gatto e alla volpe può essere una decisione discutibile, ma la fiaba di Pinocchio racconta che essi sottraggono denaro, mai il futuro; perché tentare la sorte, a volte, può essere l’unica via di fuga, da una fine certa in un Paese( con la maiuscola) ostile, da un destino ineluttabile in cui se resti muori, se scappi affronti il dittatore più cruento di tutti, il mare»: questo è Christian da Belvedere che scrive, lo avete letto di Paese ostile, destino ineluttabile, di dittatore cruento. Ahi, ragazzo, non è sempre così, solo in questo caso è stato dittatore e per giunta cruento, il mare!
E se non ti si può dire nulla su «paese ostile e destino ineluttabile, sul mare non è sempre così. Lo sai bene anche perché vivi in un bel paese di mare, Christian! Il mare è cattivo se lo sfotti, se lo usurpi, se non lo cogli appieno, se lo violenti. Ma il ragazzo ed i ragazzi proseguono dicendo che le vittime del naufragio di Cutro questo lo sapevano bene. Cosa vogliamo rimproverare loro? L’ottimismo, la speranza, la voglia di rinascita, il sogno di un futuro migliore?».
Domande, ma anche risposte di questo figlio di Calabria, che dà lezioni a tutti noi, soprattutto quando dice che «politicizzare una strage, colpevolizzando le vittime (leggi, leggi ministro Piantedosi) che paradosso. Lo spirito cosmopolita e la compassione, aggiunge Christian, non bastano per riscaldare il cuore dei ministri o delle forze armate, troppo impegnate a scaricare le colpe l’una sull’altra, ma infiamma quello dei nostri corregionali crotonesi. I quali si sono movimentati immediatamente per offrire rifugio ai sopravvissuti, per dare una degna sepoltura ai defunti.
Non finisce qui, il nostro studente, che diventa più grande dei grandi quando dice che da Cutro si urla a noi italiani che i profughi devono essere aiutati, non per diritto o dovere, ma per umanità. Bravo ragazzo, mio, bravo ragazzo: sei più adulto e riflessivo di tutti noi, anche degli stessi ministri. E non ti fermi ancora, non ho il coraggio di tagliarti, non lo meriti. Raffaella, che non conosco, non me lo perdonerebbe mai.
«Gli Zulù non dimenticano i viaggi della speranza agli inizi del ‘900 per cercare futuro, trovando umiliazione, razzismo, turni estenuanti, condizioni igieniche assenti, e percosse solo per poche lire. Per questo, sostiene ancora, sostengono e supportano gli esuli, nonché loro successori, affinché le acque del nostro mare non si colorino più di rosso e non trasportino più relitti di navi affondate, ma opere d’arte di cui esso – il mare nostrum non è più dittatore cruento – è custode».
Ed un monito al governo, forse, non manca nella riflessione di Christian: cercare un colpevole, ormai, è anacronistico, irrazionale e sconclusionato. Se lo si dovesse individuare, si dovrebbe indagare su patti diplomatici vacillanti, dichiarazioni dei diritti dell’uomo mai attuate. Prosegue, prosegue il nostro-mio studente che indirettamente si è rivolto a me, con un appello più forte ancora.
«Che la notte del 26 febbraio non sia commemorata come una strage, che sarà dimenticata e successivamente rievocata dai telegiornali, bensì come tragico inizio di una trattativa per una politica dell’accoglienza più ampia e meno rigida, per un’educazione scolastica più sociale che culturale, per una pace perpetua che non sia più una chimera kantiana, ma pura realtà».
Ho aggiunto molto poco di mio. È questo uno scritto che vale più di una tesi di laurea, è una lezione di vita, che farò in modo che legga il presidente Mattarella. Grazie, Christian, ti siamo obbligati. (gc)
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