di MARIO PILEGGI – L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, (Unesco) e la World Meteorological Organization (WMO) hanno dichiarato il 2025 “Anno Internazionale della protezione dei ghiacciai” con l’obiettivo di evidenziare il ruolo vitale dei ghiacciai e sensibilizzare il mondo sulla drammatica fusione delle calotte glaciali e sui rischi per questi ecosistemi essenziali.
Il 70% dell’acqua dolce globale è immagazzinata nei ghiacciai e nelle calotte glaciali. I ghiacciai sono fonti primarie di acqua dolce per due miliardi di persone, regolano il clima terrestre e sono anche i custodi della storia climatica del nostro pianeta.
La loro riduzione sta avendo impatti globali come l’innalzamento del livello del mare e i cambiamenti nei pattern meteorologici.
I dati più recenti evidenziano che i ghiacciai di tutto il mondo si stanno riducendo sempre più rapidamente: dal 2000 la perdita di ghiaccio globale è aumentata di quasi il 50% rispetto ai decenni precedenti.
Le Alpi hanno perso circa il 60% del volume glaciale rispetto al 1850 e potrebbero perdere l’80% entro il 2100.
Secondo il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, curato dal Comitato Glaciologico Italiano e dal Gruppo di Ricerca Glaciologia dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Cnr, negli ultimi 60 anni si è registrata una diminuzione del 30% della superficie glaciale, con una perdita di circa 200 km², equivalente all’area del Lago Maggiore.
Gli studi del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC) riportano che il livello del mare si è alzato di circa 20 centimetri dal 1900, con un’accelerazione significativa negli ultimi decenni.
Una recente proiezione riguardo lo scioglimento dei ghiacci “Fusion of Probabilistic Projections of Sea-Level Rise” pubblicata a Dicembre 2024 su “Earth’s Future-AGU” delinea scenari con innalzamento medio globale del livello del mare compreso tra 0,5 e 1,9 metri entro il 2100.
Lungo le coste delle regioni italiane l’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo è stimato dall’Enea tra 0,94 e 1,035 metri (modello cautelativo) e tra 1,31 metri e 1,45 metri (su base meno prudenziale). A questi valori bisogna aggiungere il cosiddetto storm surge, ossia la coesistenza di bassa pressione, onde e vento, variabile da zona a zona, che in particolari condizioni determina un aumento del livello del mare rispetto al litorale di circa 1 metro.
Secondo le proiezioni dell’Enea, in assenza di interventi di mitigazione e adattamento, 40 aree costiere e molte migliaia di chilometri quadrati di pianure costiere italiane potrebbero essere sommerse entro la fine del secolo.
Lungo 246 chilometri di costa della Pianura Padano-Veneta, nelle regioni Emilia-Romagna, Veneto e Friuli, si estende l’area a rischio più estesa già mappata di 5.451 chilometri quadrati. Altre aree a rischio inondazione: le foci del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo; l’area di Lesina e di Taranto in Puglia; l’area di La Spezia in Liguria; tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba e le aree di Grosseto e di Albinia in Toscana; la piana Pontina, di Fondi e la foce del Tevere nel Lazio; la piana del Volturno e del Sele in Campania; l’area di Cagliari, Oristano, Fertilia, Orosei, Colostrai-Muravera, Nodigheddu, Pilo, Platamona, Valledoria, Porto Pollo e di Lido del Sole in Sardegna; Metaponto in Basilicata; spiagge di Granelli, Noto, Pantano Logarini e le aree di Trapani e Marsala in Sicilia; tratti della Pianura di Gioia Tauro e di Santa Eufemia in Calabria.
Altre aree costiere esposte a rischio inondazione e/o erosione in Calabria sono localizzate nella Piana di Sibari, nel Crotonese e in vari comuni del Tirreno. Ecosistemi unici e luoghi di rilevanza storico-archeologica come Sibari, Crotone, Squillace, Locri rischiano di subire danni irreparabili a causa di inondazioni e dell’erosione.
In proposito è da ricordare che nel Rapporto Ambientale Por Calabria 2021–2027 si legge: «…i rischi naturali presenti sul territorio regionale, caratterizzati da livelli molto elevati, (sono) in alcuni casi marcatamente più alti rispetto al resto del territorio nazionale. Per alcuni di questi (rischio frane, rischio alluvione, rischio erosione costiera, rischio incendi, desertificazione) è prevedibile un aumento del livello di rischio a causa dell’aumento delle temperature, dell’innalzamento del livello del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacciai e dell’aumentata frequenza degli eventi estremi».
Studi recenti sulla vulnerabilità delle province costiere italiane delineano i rischi ai quali sono esposti anche i preziosi ecosistemi naturali e i numerosi siti archeologici situati nelle nostre pianure costiere.
Le estese fasce costiere, caratterizzate da assetti idrogeomorfologici e climatici favorevoli allo sviluppo di ogni forma di vita, sono ricchissime di biodiversità e testimonianze antropiche e pre-protostoriche. Un patrimonio di testimonianze antropiche sedimentato da millenni di interazioni tra l’Uomo e il mare, diffuso su tutte le coste.
Dettagliate e più recenti proiezioni sull’impatto previsto dall’innalzamento del livello del mare in corrispondenza dei tratti di costa del BelPaese soggetti a movimenti verticali di abbassamento del suolo sono contenuti nello studio “Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts“ di A. Vecchio et al. pubblicato nel 2024 sulla rivista ambientale Environmental Research Letters. Lo studio, tra l’altro, riporta i dati delle misure dello sprofondamento in atto in corrispondenza di alcune coste italiane rilevati utilizzando GNSS (Global Navigation Satellite System). I dati più significativi sono stati rilevati in corrispondenza delle coste della Pianura Padano-Veneta e delle regioni meridionali.
Nelle stesse pianure costiere la combinazione dell’innalzamento del mare e degli eventi meteorologici estremi, come forti mareggiate e inondazioni, aumenta il rischio di perdita di territorio con danni alle infrastrutture e alle attività economiche locali, in particolare turismo, pesca e agricoltura.
Secondo dati Ispra un’ampia percentuale delle coste italiane, valutata tra il 30-46%, è già soggetta a fenomeni di erosione accelerata; e più di 100 dei 644 comuni costieri italiani hanno visto arretrare il loro tratto di costa di ben oltre il 50%. dell’intero tratto di competenza.
Questi dati mostrano le continue trasformazione delle coste e la rilevanza degli effetti connessi alla stessa dinamica dei litorali, spesso sottovalutati o ignorati dalle classi dirigenti locali e nazionali. Effetti che rappresentano una minaccia sia per numerosi siti archeologici sia per la grande varietà di ecosistemi delle fasce costiere italiane. Ecosistemi di grande valore ecologico, economico e culturale e da tutelare per favorire la biodiversità, la sicurezza ambientale e il benessere delle comunità locali.
L’iniziativa Unesco-Wmo offre un’importante opportunità per amministrazioni pubbliche, istituzioni scientifiche, organizzazioni private e società civile di promuovere attività volte a proteggere le coste, garantendo al contempo la sicurezza delle popolazioni e la conservazione del prezioso patrimonio storico-ambientale delle aree marine per le generazioni future.
Inoltre, rappresenta un’occasione per riflettere sul legame tra i rischi attuali e la storia glaciale di regioni costiere, come la Calabria, dove sono ancora visibili tracce lasciate dai ghiacciai. Dallo studio di queste testimonianze del passato alle minacce derivanti dall’innalzamento del mare, emerge un filo conduttore che collega le trasformazioni geologiche di ieri alle sfide climatiche di oggi. (mp)
[Mario Pileggi è geologo]