CIAK SI GIRA, BASTA CON LE “ANIME NERE”
E ORA IL BELLO DELLA CALABRIA NEI FILM

di FRANCESCO RAOIn questa riflessione non è mia intenzione mettere in discussione il valore dell’arte, della cinematografia o della libertà espressiva: ogni opera creativa è un tassello fondamentale del nostro patrimonio universale ma personalmente credo che i fini educativi possano essere praticati attraverso altri messaggi.

Tuttavia, quando la rappresentazione mediatica si ostina a raccontare solo una parte della realtà – quella più oscura – diventa necessario porsi delle domande. In questi casi, la comunicazione non è mai neutra: plasma percezioni, orienta il pensiero collettivo e contribuisce a definire l’immagine di un luogo ben oltre i suoi confini geografici. Da sociologo vorrei condivider con i lettori di Calabria.Live alcune considerazioni per tentare di decifrare questi processi.

Pierre Bourdieu, attraverso i suoi studi, ha chiarito come il potere simbolico agisca nel determinare ciò che viene percepito come “normale” e ciò che viene etichettato come “deviante”.

Se la Calabria continua a essere raccontata esclusivamente attraverso la lente del malaffare, questo racconto finisce per consolidarsi nell’immaginario collettivo, trasformandosi in quella che Robert K. Merton definisce una “profezia che si autoavvera”. Di conseguenza, il rischio che si andrà a consolidare nel tempo è evidente e sarà unicamente finalizzato ad alimentare pregiudizi esterni e, ancor più grave, generare nei calabresi un senso di rassegnazione e impotenza.

La narrazione ha dunque un impatto diretto sulla fiducia sociale, sul senso di appartenenza e sulla capacità espressa dai territori per poter attrarre opportunità di sviluppo e non vie di fuga. Come sottolineato da Robert Putnam, il capitale sociale di una comunità – ovvero la rete di relazioni, fiducia e cooperazione – è fondamentale per il suo sviluppo.

Una comunicazione orientata solo al negativo mina dalle fondamenta questo capitale, mentre una narrazione equilibrata e costruttiva, con pochissimi sforzi può rafforzarlo generando bene comune. Non si tratta di negare i problemi o di edulcorare la realtà, la lotta alla criminalità dovrà essere un fatto concreto e praticato quotidianamente, percorrendo il solco tracciato dal certosino lavoro svolto con professionalità sia dalla Magistratura sia dalle Forze dell’Ordine. Per generare risultati evidenti è necessario dare spazio anche alla Calabria che resiste, innova, crea e ispira.

La Calabria dei giovani imprenditori, delle università in fermento, delle eccellenze enogastronomiche, dei borghi che riscoprono il turismo sostenibile, degli artisti, dei ricercatori e delle imprese sociali. Perché non raccontare la storia di una terra che ha dato i natali a scienziati, giuristi, filosofi e artisti di rilievo internazionale? Perché non proiettare sul grande schermo le esperienze virtuose di chi ogni giorno costruisce la legalità, la cultura e lo sviluppo, contrapponendosi a logiche becere e figlie della devianza? Nel mondo, oltre ai calabresi residenti, esistono altri sei milioni di Calabresi, figli e discendenti di questa terra ai quali è necessario far giungere il desiderio di essere sostenuti anche nel processo di una nuova narrazione di questa terra e successivamente chiedere loro sostegno per pensare al rilancio della nostra economia, dello sviluppo sociale e organizzativo, ponendoci tutti e insieme in una discontinuità evidente rispetto a quel passato nel quale chiamarsi fuori dalle responsabilità, formalmente poneva fine al problema ma sostanzialmente lo faceva crescere indisturbato.

Credo che l’importante legame esistente tra la nostra realtà con la teoria dell’agenda setting di McCombs e Shaw possa insegnarci tanto: i media – secondo gli autorevoli studiosi – non dicono alle persone cosa pensare, ma su cosa pensare. Ecco perché è urgente spostare il focus verso una narrazione che sappia illuminare anche ciò che di positivo germoglia in questa regione. Attraverso una “curvatura positiva” che non vuole essere semplice ottimismo di facciata ma un atto strategico e sociale bisognerà stimolare il senso della fiducia collettiva per attrarre investimenti, favorire il turismo e creare nuove opportunità.

La Calabria ha bisogno di essere raccontata nella sua complessità autentica in quanto terra fatta sì di contraddizioni, ma anche di bellezza, resilienza e ingegno. Personalmente credo che la quantità di bene sia nettamente superiore alla quantità del male e per estirparne le radici di quest’ultimo è indispensabile scegliere una comunicazione costruttiva tesa ad attivare un circolo virtuoso in cui le comunità si riconoscano nelle proprie eccellenze e diventino protagoniste del proprio destino attraverso una rinnovata autodeterminazione.

Attivare questi anticorpi sociali non significherà solo alimentare una sfida culturale e artistica ma nel tempo potrà divenire esigenza sociale diffusa attraverso la quale la responsabilità delle persone sarà il catalizzatore di una scelta. Continuare a proiettare sul mondo l’immagine di una Calabria prigioniera degli stereotipi significa tradire le sue potenzialità ostacolandone il riscatto che passa anche – e soprattutto – dalla capacità di raccontarsi in modo diverso, con dignità, fiducia e orgoglio.

Cerchiamo di non dimenticare che ogni territorio, prima di essere trasformato, deve essere prima immaginato in modo nuovo. Per il bene della Calabria è tempo di cambiare sguardo, evitando di fare spot a ciò che da tempo ostacola il bene. 

[Francesco Rao è sociologo e docente a contratto Università “Tor Vergata” – Roma]

QUALITÀ AMMINISTRATIVA, IN CALABRIA
C’È UNA DEBOLEZZA SISTEMICA DIFFUSA

di FRANCESCO AIELLO – A fine maggio 2025, 19 comuni calabresi saranno chiamati a rinnovare le proprie amministrazioni locali, in un voto che inciderà sulla governance di ciascun territorio per i prossimi 5 anni. Si tratta dei seguenti comuni: Cropani, Jacurso, Lamezia Terme, Maida, Petronà, Cassano all’Ionio, Cetraro, Paola, Rende, Scalea, Casabona, Isola Capo Rizzuto, Melissa, Marina di Gioiosa Ionica, Melito di Porto Salvo, San Lorenzo, San Luca, Scilla e Spadola. Sebbene questi enti siano diversi per dimensione e localizzazione, le questioni legate alla capacità amministrativa, solidità finanziaria, alla qualità della classe politica e all’efficienza burocratica si rivelano cruciali per garantire servizi adeguati, attrarre risorse esterne e attuare progetti di sviluppo locale.

Si offre un quadro aggiornato sullo stato della “qualità amministrativa” di ciascun comune, ponendo particolare attenzione ai punti di forza e di debolezza emersi tra l’inizio degli anni Duemila e il periodo 2021-2022. L’obiettivo è di fornire qualche spunto di riflessione in vista dell’imminente consultazione elettorale.

La qualità amministrativa dei comuni

Per ottenere indicazioni sulla qualità amministrativa dei 19 comuni calabresi al voto, in questa nota si fa riferimento al Municipal Administration Quality Index (MAQI), un indicatore composito sviluppato di recente da un gruppo di ricercatori italiani (Cerqua et al., 2025)[1]. Il MAQI misura dal 2001 al 2022 il livello di efficienza e solidità delle amministrazioni locali, fornendo una base informativa per il confronto sia tra enti diversi, sia nel tempo. L’indice composito dagli autori è basato su tre pilastri principali, che colgono dimensioni chiave della governance comunale: Capacità Burocratica (Pillar 1): Valuta la qualità e l’efficienza della macchina amministrativa comunale, includendo aspetti legati alla gestione del personale, alla digitalizzazione, alla trasparenza e alla capacità di programmazione; Qualità della Classe Politica (Pillar 2): Riguarda le caratteristiche della leadership locale, tenendo conto di indicatori come il rinnovamento, l’equilibrio di genere, la stabilità delle cariche, la presenza di esperienze professionali pregresse e la propensione all’innovazione; Performance Economico-Finanziaria (Pillar 3): Misura la sostenibilità dei conti pubblici locali e la capacità di investimento, analizzando parametri come l’equilibrio di bilancio, la pressione fiscale, la spesa per investimenti e il grado di autonomia finanziaria.

Nel prosieguo della discussione si farà prima riferimento all’indicatore complessivo (MAQI generale), per poi soffermarsi su ciascun singolo pilastro, considerando in particolare le differenze osservate ad inizio e fine periodo, in modo da evidenziare tanto le tendenze generali della qualità complessiva di ciascun comune, quanto le differenze osservate nei tre pilastri nel tempo.

Modalità di rappresentazione delle informazioni

Per sintetizzare tutte le informazioni disponibili si ricorre ad un grafico a dispersione (scatter plot), in cui per ciascun indicatore – MAQI complessivo, Capacità Burocratica, Qualità Politica e Performance Economico-Finanziaria si riporta sull’asse orizzontale il livello medio nel biennio 2001–02 e sull’asse verticale (Y) quello relativo al 2021–22. La scelta di usare medie biennali è legata al tentativo di smussare eventuali oscillazioni legate ad eventi isolati di singolo anno. La retta a 45° permette di comprendere se l’indice è aumentato (punti sopra la diagonale) o è diminuito (punti sotto) nel corso del tempo. Inoltre, in tutti i grafici si riportano il primo (Q1) e al terzo quartile (Q3) della distribuzione italiana, sia per l’asse X (dati 2001–02) che per l’asse Y (dati 2021–22). Ciò consente di comprendere se un comune si colloca nelle code più basse (< Q1) o più alte (> Q3) della distribuzione nazionale dell’indicatore in esame. Infine, abbiamo aggiunto due punti, rappresentati da un rombo viola (Italia) e da un cerchio giallo (Calabria), così da confrontare i 19 comuni rispetto alla media nazionale e regionale. Grazie a questa rappresentazione grafica, è possibile inquadrare ciascun comune sia in termini di “livello” (essere o meno fra i migliori/peggiori rispetto alla distribuzione nazionale) sia di “tendenza” (progresso o regressione fra inizio anni Duemila e periodo recente). Questa lettura rapida aiuta l’identificazione dei punti di forza e di debolezza di ogni territorio.

Il MAQI complessivo

Il confronto dei dati del MAQI tra il biennio iniziale (2001-02) e quello finale (2021-22) mostra un quadro diversificato. Ad inizio periodo, la media nazionale dell’indice è pari a 99,49 ed è aumentata di circa 4 punti nel 2021-22, passando a 103,5 (rombo viola nella figura 1), segnalando che nel corso degli ultimi 20 anni la qualità complessiva dell’amministrazione dei comuni italiani è mediamente aumentata. La media dell’indice MAQI è aumentata anche in Calabria, passando da 99,24 ad inizio periodo a 101,9 a fine periodo (cerchio giallo nella figura 1). Questi dati segnalano che nel corso di 20 anni la differenza tra il dato medio regionale e quello nazionale è aumentata attestandosi a circa 2.5 punti. In questo quadro di riferimento generale, si osserva che alcuni comuni, come Scalea e Melito di Porto Salvo, hanno registrato un significativo incremento, passando rispettivamente da valori iniziali di 95,82 e 100,47 a 107,26 e 108,42, collocandosi quindi ben oltre il terzo quartile della distribuzione nazionale (105,99 nel 2021-22). In modo analogo, un netto miglioramento si osserva a Lamezia Terme (da 101,41 a 107,65) e Isola di Capo Rizzuto (da 99,48 a 108,05). Al contrario, Jacurso registra un sensibile peggioramento, passando da valori elevati (107,01) a valori (99,46) perfino inferiori al primo quartile italiano del 2021-22. Maida e Petronà, con valori attuali inferiori o appena attorno al primo quartile nazionale (101,28), evidenziano situazioni stabili, ma fragili.

La capacità burocratica

I dati relativi al primo pilastro, che misura la capacità burocratica delle amministrazioni comunali, mostrano variazioni più contenute rispetto al MAQI complessivo. A livello nazionale, l’indicatore passa in media da 99,68 nel biennio 2001–02 a 99,23 nel 2021–22, registrando dunque un lieve calo di circa 0,45 punti nell’arco di vent’anni (Figura 2). In Calabria, la media regionale risulta più elevata ad inizio periodo (100,32), ma scende a 98,50 a fine periodo, evidenziando un arretramento di quasi 1,8 punti. Nel 2021–22, pertanto, la differenza tra la media calabrese e quella nazionale si attesta intorno a 0,7–0,8 punti.

Per meglio comprendere il posizionamento dei singoli comuni all’interno della distribuzione italiana, è utile fare riferimento al primo (Q1) e al terzo quartile (Q3) nazionali: per il 2001–02 le soglie sono 98,18 (Q1) e 101,56 (Q3), mentre nel 2021–22 i valori sono 97,38 e 101,83. Alcuni enti calabresi che, a inizio periodo, si trovavano nettamente sopra la soglia superiore (Q3 = 101,56) hanno successivamente perso terreno; è il caso di Scalea (da 103,14 a 96,35) e di Maida (da 102,06 a 93,96), i quali nel 2021–22 si collocano persino sotto del primo quartile italiano (97,38), segnalando un rilevante deficit della propria capacità amministrativa.

Altri comuni mostrano, invece, modeste fluttuazioni: Casabona (da 98,45 a 99,21) e Lamezia Terme (da 98,65 a 99,04) si mantengono vicini ai valori centrali della distribuzione. All’estremo opposto, alcuni enti hanno guadagnato qualche punto, pur rimanendo in fasce intermedie: San Luca (da 100,65 a 103,09) e Melissa (da 100,50 a 103,45) registrano un lieve miglioramento, posizionandosi appena sopra il terzo quartile 2021–22 (101,83). Jacurso, partendo da 100,63, sale a 102,39 e resta comunque nella porzione medio-alta della distribuzione. Sette comuni evidenziano un calo rispetto al biennio iniziale (2001–02): Cassano all’Ionio, Paola, Scalea, Maida, Marina di Gioiosa Ionica, San Lorenzo e Scilla. Spadola, invece, fa registrare un incremento significativo Nel complesso, la maggior parte dei centri si colloca attorno alla media regionale (98,50), leggermente inferiore a quella nazionale (99,23), confermando un quadro di relativa stabilità intra-regionale, pur non mancando casi di regressione marcata o, in misura ridotta, di crescita. In particolare, Spadola registra un incremento significativo nel ventennio considerato, ma resta, comunque, collocato sotto il primo quartile nazionale, a conferma di valore molto basso dell’indicatore ad inizio periodo.

Qualità della classe politica locale

I dati relativi alla qualità della classe politica locale evidenziano la presenza di marcate differenze tra i 19 comuni esaminati e nel corso del tempo. Nel complesso, la media nazionale dell’indicatore è aumentata sensibilmente, passando da 99,06 nel biennio 2001–02 a 107,58 nel 2021–22, con un incremento significativo di circa 8,5 punti. Anche in Calabria la media ha seguito un andamento analogo, passando da 99,24 ad inizio periodo a 107,45 a fine periodo: con un aumento di oltre 8 punti il dato regionale è sostanzialmente in linea con la media nazionale. Con riferimento ai quartili della distribuzione italiana, nel biennio iniziale (2001–02) le soglie sono di 93,00 (Q1) e 104,34 (Q3), mentre nel biennio finale (2021–22) risultano essere 102,10 (Q1) e 114,26 (Q3) (Figura 3).

Nel gruppo dei 19 comuni analizzati si osservano miglioramenti molto rilevanti. Ad esempio, Scalea, che partiva con un valore estremamente basso (91,04, sotto il primo quartile), raggiunge 124,32, superando ampiamente il terzo quartile del 2021–22 (114,26). Analogamente, Isola di Capo Rizzuto (da 101,56 a 125,87) e Lamezia Terme (da 112,32 a 124,37), partendo da posizioni più favorevoli, hanno ulteriormente rafforzato la qualità della propria classe politica locale, collocandosi ben oltre la soglia superiore della distribuzione nazionale. Altri comuni mostrano dinamiche di miglioramento, seppur meno ampie, come Paola, Rende e Cropani.

Tuttavia, non mancano casi di evidente peggioramento della qualità della classe politica comunale: Jacurso (da 115,50 a 102,85) e San Luca (da 115,73 a 101,97), entrambi inizialmente situati in posizione elevata (sopra il terzo quartile di 104,34 del primo periodo), arretrano fino a posizionarsi in prossimità del primo quartile del 2021–22 (102,10), segnalando una perdita significativa nella qualità politica.

In estrema sintesi, la Calabria registra a fine periodo un valore medio (107,45) sostanzialmente coincidente con quello nazionale (107,58), segnalando che questo pilastro rappresenta un ambito di relativa forza per la regione, in termini comparativi rispetto al quadro nazionale. I dati evidenziano, però, ampie differenze interne, con alcuni comuni che emergono per una classe politica di qualità notevolmente elevata, e altri che mostrano preoccupanti fragilità.

Performance Economico-Finanziaria

L’indicatore relativo alla performance economico-finanziaria dei comuni mostra variabilità più contenute rispetto a quella osservata per la qualità della classe politica. A livello nazionale, la media è aumentata da 99,74 nel 2001–02 a 103,69 nel 2021–22, mentre la media calabrese è aumentata da 98,17 a 99,74, evidenziando una crescita più contenuta e un divario che, a fine periodo, si attesta attorno a 4 punti (Figura 4). Con riferimento alla distribuzione nazionale, i valori del primo e terzo quartile sono pari a 97,83 e 101,96 nel 2001–02 e a 101,91 e 105,91 nel 2021–22. Queste soglie permettono di delimitare le fasce di posizionamento dei 19 comuni calabresi al voto. Emerge una situazione di stabilità generalizzata, con oscillazioni modeste sia in positivo che in negativo.

Tra i miglioramenti più evidenti si segnalano Melissa, che passa da 98,89 a 105,19, superando il terzo quartile nazionale, e Scilla, che cresce da 93,98 a 102,08, collocandosi oggi al di sopra della media regionale. Anche Spadola e San Luca guadagnano alcuni punti percentuali, sebbene rimangano in prossimità o poco oltre la soglia del primo quartile nazionale del 2021–22. Sul versante opposto, Jacurso registra un arretramento significativo, passando da 104,91 a 93,15, scendendo, quindi, al di sotto della soglia minima nazionale (Q1) del biennio 2021-22. Analogamente, Cetraro, Petronà e Lamezia Terme mostrano lievi cali, pur mantenendosi in fasce intermedie. Nel complesso, i dati sul terzo pilastro evidenziano un livello di dispersione inferiore rispetto agli altri due, con la maggior parte dei comuni concentrata attorno ai valori medi. Ciò suggerisce una discreta stabilità dei conti pubblici e della gestione finanziaria nell’arco del ventennio considerato. Tuttavia, non mancano eccezioni locali in cui la performance economico-finanziaria mostra segnali di regressione o miglioramenti molto limitati, indicando la necessità di interventi mirati per rafforzare la sostenibilità e la capacità di bilancio a livello comunale.

I dati analizzati dei 19 comuni calabresi chiamati al voto nella primavera del 2025 mostrano una chiara relazione tra dimensione demografica e qualità amministrativa complessiva. Comuni con popolazione più ampia, come Rende (circa 36 mila abitanti), Lamezia Terme (circa 67 mila abitanti), e Isola di Capo Rizzuto (oltre 17 mila abitanti), evidenziano performance superiori rispetto ai comuni più piccoli, con miglioramenti consistenti, soprattutto sul piano della qualità della classe politica locale e della capacità burocratica. Viceversa, comuni di dimensioni minori, quali Jacurso (566 abitanti), Petronà (circa 2400 abitanti), San Lorenzo (circa 2300 abitanti), e Casabona (circa 2400 abitanti), manifestano maggiori criticità e instabilità amministrativa. In particolare, i comuni più piccoli registrano oscillazioni significative nella qualità della governance locale, con un peggioramento marcato, per esempio, nel caso di Jacurso e Petronà, e più generalmente fragilità strutturali che possono limitare la loro capacità di garantire servizi efficienti e continuità amministrativa.

Inoltre, è utile evidenziare che solo in pochi casi la qualità amministrativa complessiva si colloca stabilmente al di sopra del terzo quartile nazionale, indicando una debolezza sistemica diffusa in Calabria. Tale considerazione vale anche osservando i singoli indicatori relativi alla capacità burocratica, alla qualità della classe politica e alla performance economico-finanziaria, con limitate eccezioni (ad esempio, Scalea e Melito di Porto Salvo per il MAQI complessivo e per la qualità della classe politica locale, Lamezia Terme e Isola di Capo Rizzuto sempre per la qualità della classe politica). Questa situazione conferma ulteriormente la necessità di un investimento significativo nella formazione e selezione della classe politica locale, in particolare, nei comuni più piccoli e fragili.

La tornata elettorale della primavera 2025 rappresenta, dunque, un’occasione strategica per affrontare in modo concreto la questione cruciale evidenziata da questa analisi descrittiva, ovvero la qualità della classe politica locale. Tale aspetto si conferma, infatti, indispensabile per assicurare una governance efficace e uno sviluppo sostenibile nelle comunità interessate. In quest’ottica, diventa cruciale selezionare candidati non solo con elevate competenze tecniche, ma anche con visioni politiche innovative e capacità di gestione adeguate, soprattutto nei comuni di minori dimensioni, dove le criticità strutturali sono più evidenti e i margini di errore significativamente più ristretti.

Un impegno concreto per il rafforzamento della qualità della classe politica locale, a partire dai piccoli centri, può generare effetti positivi a cascata sulla capacità burocratica e sulle performance economico-finanziarie, migliorando così la vita quotidiana dei cittadini. È, dunque, indispensabile che la prossima consultazione amministrativa sia vissuta dalle comunità locali, dai partiti e dalle istituzioni come un momento di selezione consapevole, responsabile e lungimirante della futura classe dirigente dei territori.

A rafforzare questa esigenza, si aggiunge una difficoltà ulteriore che riguarda soprattutto i comuni di minori dimensioni: in questi contesti, la selezione della classe politica è ostacolata non solo dalle fragilità strutturali, ma anche dalla scarsa partecipazione civica e dalla riduzione demografica legata ai processi di spopolamento. Trovare candidati con le competenze necessarie, la disponibilità all’impegno e una visione di sviluppo diventa, dunque, ancora più complesso, restringendo ulteriormente le possibilità di scelta delle comunità locali.

Questi elementi dovrebbero essere attentamente considerati da partiti e istituzioni, che sono chiamati ad accompagnare i piccoli comuni nella costruzione di una classe dirigente adeguata, anche attraverso strumenti mirati e politiche capaci di incentivare una partecipazione civica più ampia e consapevole. (fa)

[Courtesy OpenCalabria]

NON SI FERMA L’ESODO DEI GIOVANI DALLA
CALABRIA: CERCANO LAVORO ALL’ESTERO

di BRUNO MIRANTE – La valigia di cartone ha rappresentato un simbolo per tutti quei cittadini che nel secolo scorso hanno deciso di cercare la propria realizzazione umana e professionale lontano dalla propria terra. Poche competenze e tanta voglia di mettersi in gioco per costruire un futuro migliore per sé stessi e per la propria famiglia. Al giorno d’oggi, i giovani hanno ripreso a partire ma a differenza dei loro predecessori, si tratta di profili con un alto grado d’istruzione.

Un’Italia che fatica sempre di più ad essere competitiva – perché terzultima in Europa per percentuale di laureati – li spinge altrove, verso altri Paesi del Continente. Nel 2024 le emigrazioni verso l’estero, con un aumento del 20%, hanno fatto registrare il valore più elevato finora osservato negli anni Duemila: si è passati da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila nel 2024. I dati emergono dall’ultimo rapporto Istat sulla popolazione italiana.

Germania, Spagna e Regno Unito le mete preferite

Ma l’aumento delle migrazioni verso l’estero è dovuto esclusivamente all’impennata di espatri di cittadini italiani (156mila, +36,5% rispetto al 2023) che si dirigono prevalentemente in Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), mentre circa il 23% delle emigrazioni dei cittadini stranieri è riconducibile al rientro in patria dei cittadini romeni.

Il saldo migratorio con l’estero complessivo – spiega Istat – pari a +244mila unità, è frutto di due dinamiche opposte: da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (382mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (35mila); dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (156mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (53mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera (+347mila) e una perdita di cittadini italiani (-103mila).

Bolzano in testa per le partenze, Taranto la città meno abbandonata

La quota di espatri ogni mille residenti più alta risulta essere nel Nord-est e nelle zone di confine. Tra le prime 40 province per migrazioni figurano due grandi città come Milano e Bologna e solo nove territori del Mezzogiorno: Campobasso, Vibo Valentia, Cosenza, Ragusa, Teramo, Pescara, Chieti, Isernia e Reggio Calabria. Le province del Sud, infatti, si concentrano per lo più nella parte di classifica, dove si trovano i territori che pochi lasciano per andare oltre confine. La città meno abbandonata risulta essere Taranto con 4,4 emigrati ogni mille abitanti pur essendo una delle province italiane con i numeri peggiori in termini di occupazione. Di converso, a riprova che la partenza verso altri paesi non è sempre il risultato di una situazione economica depressa, in cima alla classifica figura Bolzano, una delle città che vantano un’alta qualità della vita nonché il primato nazionale in termini di natalità.

In Calabria le città si ripopolano durante le festività

Nel 2024 gli emigrati all’estero cosentini sono stati 800 in più rispetto all’anno prima e quasi 1200 in più se si prende in considerazione il 2022. L’incidenza pari a 10 emigrati ogni 1000 residenti è speculare al dato di Vibo Valentia, leggermente inferiore a Reggio Calabria. Ma la caratteristica comune delle città calabresi e del Mezzogiorno è il fenomeno che si manifesta a ridosso di festività o ponti lunghi. Le città si ripopolano di giovani assumendo un volto effervescente seppur temporaneo.

Fecondità al minimo storico

La fecondità, nel 2024, è stimata in 1,18 figli per donna, sotto quindi il valore osservato nel 2023 (1,20) e inferiore al precedente minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995. La contrazione della fecondità riguarda in particolar modo il Nord e il Mezzogiorno. Infatti, mentre nel Centro il numero medio di figli per donna si mantiene stabile (pari a 1,12), nel Nord scende a 1,19 (da 1,21 del 2023) e nel Mezzogiorno a 1,20 (da 1,24). Per ciò che concerne la Calabria, il dato si attesta leggermente al di sopra della media nazionale all’1,25%. Mentre l’età media al parto è di 32,4 anni. Il primato della fecondità più elevata continua a essere detenuto dal Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,39 nel 2024, comunque in diminuzione rispetto al 2023 (1,43). Come lo scorso anno seguono Sicilia e Campania. Per la prima, il numero medio di figli per donna scende a 1,27 (contro 1,32 del 2023), mentre in Campania la fecondità passa da 1,29 a 1,26. In queste regioni le madri sono mediamente più giovani: l’età media al parto è pari a 31,7 anni in Sicilia e a 32,3 in Trentino-Alto Adige e Campania.

Nel Mezzogiorno coesistono regioni che registrano la più alta fecondità nel contesto nazionale (Sicilia, Campania e Calabria) e regioni caratterizzate da livelli minimi (Sardegna, Molise e Basilicata). Tra le province, quella in cui si registra il più alto numero medio di figli per donna è la Provincia Autonoma di Bolzano (1,51 contro 1,57 del 2023). Seguono le province calabresi di Crotone (1,36) e Reggio Calabria (1,34) e quelle siciliane di Ragusa, Agrigento (entrambe 1,34) e Catania (1,33). (bm)

[Courtesy LaCNews24]

GUARDANDO AL NORD-EST, C’È L’AMAREZZA
DI UNA CALABRIA INCAPACE DI AFFERMARSI

di SANTO GIOFFRÈ  – Nei giorni scorsi sono stato in Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ne ho apprezzato il perfetto ordine regnante. Sanità pubblica al 70%, in grado di affrontare e risolvere tutte le esigenze/emergenze sanitarie della loro gente. Le strade tutte asfaltate, nemmeno una buca a cercarla pedissequamente. Non una busta di spazzatura lanciata o lasciata ai margini. Paesi pieni e curatissimi.

Ricchezze che sbucavano da tutti i vicoli non asfaltati, per sciccheria e trend, dei griffati, ricchissimi vigneti. Eppure, all’inizio del ‘900, per fame, i Veneti emigrarono il doppio dei calabresi, fino al fascismo. La bonifica delle paludi pontine la fecero con i sudori e le vite dei Veneti. Bene, mentre dopo la guerra coloro che governarono il Veneto, pure se fottevano, le cose le facevano, in Calabria, fottevano pure le cose che dovevano fare.

I poteri palesi e oscuri dello Stato, qui, s’inventarono la ‘Ndrangheta, suo vero braccio violento, con l’obiettivo di arricchirsi reciprocamente attraverso il dominio delle risorse che vennero trasformate in economia criminale.
Nel farlo, hanno sospeso la Costituzione e istituzionalizzato, elevandola a governo della Cosa Pubblica, la cromosomica incapacità di elaborazione minima delle dinamiche reali dei processi sociali, approfittando, anche, dell’atavica propensione al servilismo dei calabresi. Trasformandoli in emigranti-schiavi col doppio risultato: manodopera a gogò, con bassi diritti e salari da fame, funzionale solo allo sviluppo economico e industriale del Nord; tenere la Calabria in uno stato di perenne instabilità sociale.

Creando un enorme sottoproletariato di funzione e, per generazioni, eternamente trattenuto dentro una situazione di equilibrio precario a disposizione dello stato dei bisogni di scopo del Potere. Qualsiasi colore assuma quel Potere.

Il Nord-Est ha visto e intrapreso la sua strada. Noi, abbiamo subìto un processo, all’inverso: una perenne sperimentazione su come auto-allevarci vitelli per ogni macello. C’è un articolato piano e processo a monte. Persino il PCI ne uscì, storicamente, strumentalizzato, tanto che non pensò mai a feroci campagne di irregimentazione ideologica delle masse con fasi di lotta armata per l’equilibrio territoriale.

Ora, abbiamo, tenendo conto dell’autonomia differenziata già in vigore, solo due strade da intraprendere: o ci rassegniamo e andiamo verso l’estinzione antropologica dei calabresi, al di là delle battute georgiche come la cosiddetta”restanza” che non ho mai capito cosa sia, se non una banale parola senza un’anima che includa una ricercata prassi sociologica e storica, o passiamo a fasi politiche che portino all’espulsione totale di questa classe dirigente, la qualunque classe dirigente, impadronendoci del nostro destino, gestendolo e sottomettendolo ai bisogni.

Iniziando ad imporre un modo rivoluzionario nella gestione della Cosa Pubblica. Senza accettare nessun mediazione. Decidetevi altrimenti, non vedremo, mai, le bellezze del Nord-Est. (sg)

IN CALABRIA È INVERNO DEMOGRAFICO
NEL 2024 I NATI SONO IL 4,5% IN MENO

di CLAUDIO VENDITTI – Preoccupa il quadro delineato dall’Istat nel rapporto “Indicatori demografici Anno 2024” dal quale emerge, a livello nazionale, un calo demografico delle nascite, pari al -2,6%.

Il tasso di natalità in Calabria è stato del 6,9 mentre quello di mortalità dell’11,3 con un saldo naturale (nascite/decessi) di -4,4. I nati in Calabria nel 2024 sono stati 12.700, nel 2023 erano stati 13.282 e nel 2022 13.451.  In calo anche il numero medio di figli per donna, stimato dall’Istat per il 2024 in 1,18 a livello nazionale in Calabria 1,25 e siamo ai minimi storici.

L’età delle neomamme a livello nazionale è del 32,6 in Calabria 32,4 media delle partorienti è di 32,4 anni, Con 1,18 figli per donna nel 2024 il tasso di fecondità è ai minimi storici. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, continua a essere fortemente negativo (-8.034).

Stiamo sprofondando nelle sabbie mobili, ed è evidente che quanto stiamo mettendo in campo, come sistema-Italia, è del tutto insufficiente per garantire un minimo equilibrio demografico. Da anni si chiede una rivoluzione che il nostro Paese non è ancora disposto ad assumere, vittima di priorità che sono sempre altre, di mancate convergenze transpartitiche, di fragilità di alleanze tra politica, amministrazione locale, lavoro associazionismo e scuola.

A tal fine mi faccio portavoce nel chiedere una Conferenza Regionale sulla famiglia. Ma anche politiche asfittiche e vincolate a patti di bilancio stringenti che invece si fanno flessibili per altre urgenze. L’anno della famiglia sembra sempre essere il prossimo in agende ormai attanagliate da crisi mondiali che oggi ci portano anche a parlare di guerra, militare o di dazi, come una possibilità di scenario ordinario. Cresce ancora anche il numero di italiani che lasciano il Belpaese.

Nel 2024 sono stati 156mila, un +36,5% con un impatto significativo per la Calabria gravata anche dal fenomeno delle migrazioni interne: -8.376. La popolazione residente in Calabria al 1° gennaio 2025 è di 1.838.568 di cui circa 106 mila di nazionalista straniera.  L’Istat ci dice che il numero medio di componenti per famiglia è sceso a 2,2, rispetto ai 2,6 di venti anni fa.

Oggi circa un terzo delle famiglie anagrafiche in Italia è costituito da una sola persona evidenziando che il tema delle solitudini cresce in modo preoccupante. Le coppie con figli rappresentano meno del 30%, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali (10,8%) e quelle senza figli (20,2%).

Stiamo consumando il futuro in un’epoca che si fa vanto di cercare sempre la sostenibilità è il commento del presidente del Forum. Urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani. In tal senso, serve il coraggio, l’unità e la capacità di programmare per fare, da subito, le scelte operative conseguenti, considerando la spesa per far crescere il figlio, non come un costo individuale ma come investimento per il futuro dell’intera comunità.

Occorre cambiare cultura e supportare la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese. (cv)

[Claudio Venditti è presidente del Forum famiglie della Calabria]

SANITÀ, IN CALABRIA SPESI SOLO 40 MILIONI
DEI 320 DISPONIBILI (INCLUSI I FONDI PNRR)

di RUBENS CURIA e FRANCESCO COSTANTINO – È sempre accaduto che, situazioni impreviste, modifichino il corso della storia e i popoli si trovino davanti a un bivio.

Il mondo intero, e più ancora l’Europa, negli ultimi 5 anni hanno dovuto fare i conti con una pandemia devastante e con un conflitto bellico come non se vedeva da 80 anni.

Nel primo caso la risposta più rilevante la si è individuata nel Pnrr per il quale le risorse destinate all’Italia risultavano pari a 194,4 mln di euro ripartite in 7 missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute; RepowerEU

Per finanziare ulteriori interventi il Governo italiano ha approvato un Piano Nazionale Complementare (Pnc) con risorse pari a 30,6 miliardi di euro.

In aggiunta, il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme, e in particolare, le quattro principali riguardano: pubblica amministrazione; giustizia; semplificazione; competitività

Il Pnrr ha destinato alla Missione Salute  15,63 milioni di euro, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Ma, complessivament,e le risorse straordinarie per l’attuazione del Pnrr e il rinnovamento della sanità pubblica italiana superano i 20 miliardi di euro.

Tra queste, le risorse messe in campo dall’Italia con il Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC), che destina alla salute ulteriori 2,89 milioni di euro.

Le risorse disponibili servivano: per adeguare il nostro SSN a un mutato contesto demografico ed epidemiologico; per garantire uguaglianza nel soddisfacimento dei bisogni di salute, indipendentemente dal genere e dalle condizioni socioeconomiche; per rendere la rete dell’assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera; per rendere capillare l’offerta di salute sul territorio, in termini di prevenzione e cura, eliminando le disparità geografiche, in particolare tra Nord e Sud; per sfruttare appieno le opportunità di miglioramento dell’offerta di salute derivanti dall’impiego dell’innovazione tecnologica, dall’avanzamento della ricerca in campo medico e dalla valorizzazione del personale del SSN.

Se limitiamo lo sguardo a ciò che è accaduto in Calabria, per quanto desumibile dall’ultima relazione di  monitoraggio sulle linee d’intervento della Missione 6 pubblicata sulla piattaforma Regis (gennaio 2025), non possiamo non essere preoccupati perché a fronte di circa 320.000.000 milioni di euro complessivamente disponibili, risultano impegni assunti per poco più di 40.000.000 milioni di euro e pagamenti effettuati per circa 18.000.000 milioni, dovendosi concludere la spesa rendicontata entro l’anno 2026.

Leggiamo, in questi giorni, che per i progetti che si stima non possano essere conclusi entro il termine ultimo dell’anno 2026 sarà possibile “spondare” gli investimenti sui fondi di coesione della comunità europea per avere maggiore termine temporale per la spesa.

Tutto questo ci preoccupa per 2 ordini di motivi. Il primo perché la sanità calabrese ha, quanto mai, bisogno urgente di una assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera, e ogni ritardo non fa che aggravare una situazione già di per sé precaria.

Il secondo perché non ci convince il principio che, ai fondi di coesione, venga sottratta una quota importante di risorse.

Lo spostamento sui fondi per la coesione significa che la dimensione quantitativa di quei fondi che dovevano essere destinati ad altre misure verrà ridimensionata e la pratica dello “spondamento” di fondi su altre fonti di finanziamento diverse da quelle originariamente previste rappresenta sempre una perdita secca.

Se la spesa programmata con i fondi del Pnrr fosse stata effettuata nei tempi stabiliti, non ci sarebbe stato bisogno di usare i fondi per la coesione.

A meno che le somme non spese in tempo utile in ambito Pnrr non diventino aggiuntive di quelle ordinarie dei fondi di coesione europei. Ma questo non è stato chiarito. (rc, fc)

[Rubens Curia e Francesco Costantino sono di Comunità Competente]

IN CALABRIA L’83,6% NON È MAI ANDATO A
TEATRO: IL DESOLANTE DATO REGIONALE

di GUIDO LEONE – Oggi si celebra per la 63esima volta, anche in Italia, la “Giornata mondiale del Teatro”. La finalità della “Giornata” è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’espressione teatrale e promuovere lo sviluppo delle arti performative in tutti i Paesi del mondo.

L’occasione ci consegna la possibilità di rivisitare il rapporto tra teatro e comunità calabrese ma anche, tra teatro e scuola nella nostra comunità e, contemporaneamente, di fare una riflessione sullo stato dell’arte anche del Teatro comunale “F. Cilea” di Reggio Calabria.

Lo spettacolo colto, prosa, danza, lirica, insomma lo spettacolo frutto di fatica, di ricerca, di studio è quello che deve essere sostenuto perché in Italia non ha vita facile, ancor più come vedremo in Calabria. È un problema che riguarda la formazione del pubblico fin da giovane, bisogna educare i bambini al teatro fin da piccoli perché questa forma di espressione artistica aumenta le capacità linguistiche e quindi la crescita culturale, che è il vero investimento da fare.

Bisogna puntare alla formazione del pubblico facendo arrivare questo tipo di spettacoli “colti”, di valori e di linguaggi, a un maggior numero di persone. Anche se va sottolineato che negli ultimi tempi, grazie ad Associazioni e imprenditori privati, i teatri calabresi, e non ultimo il Cilea di Reggio Calabria, hanno potuto godere di spettacoli e rassegne di buon livello. 

La scuola non è fatta solo dai bambini, vi sono anche le famiglie. Anche loro devono familiarizzare con il teatro. Verso quest’ultimo esistono nel pubblico delle resistenze determinate anche da barriere di costo. Se riusciamo a rompere queste barriere la gente si accorgerà che lo spettacolo teatrale è molto più bello di quello televisivo, lo spettacolo dal vivo dà emozioni che quello della televisione non dà. Il teatro è un luogo magico. 

Ma va doverosamente sottolineato come il mondo della scuola calabrese, sia pure con modalità spesso molto diverse, è sempre andato alla ricerca di occasioni per incontrare il teatro. È questo un fenomeno di straordinaria ricchezza e rilevanza, del quale occorre evidenziare alcuni aspetti importanti.

Sono numerose le scuole di ogni ordine e grado calabresi che hanno sviluppato, negli ultimi anni, un rapporto costante, seppure spesso non organico, con i linguaggi non verbali e con il teatro in particolare.

Gli spettacoli realizzati da ragazzi, spettacoli di professionisti ai quali gli allievi assistono, laboratori sperimentali di teatro, persino atipici insegnanti che si improvvisano attori e registi sono esperienze presenti spesso stabilmente in molti istituti.

Tutto ciò ci fa affermare con sicurezza che il pubblico infantile e giovanile rappresenta un’area di utenza strategica e che le attività espressive e artistiche hanno dato prova di offrire un contributo significativo per l’arricchimento dell’offerta formativa, senza considerare, altresì, la valenza educativa dell’approccio al linguaggio teatrale.

Tuttavia gli ultimi dati forniti dall’Annuario statistico 2024 realizzato dall’Istat raccontano chiaramente di un’Italia pigra dal punto di vista culturale.

Nel 2023 il 19,8 per cento delle persone di 6 anni e più ha dichiarato di essere andato al teatro almeno una volta negli ultimi 12 mesi, in aumento di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2022, ritornando su valori prossimi a quelli pre-pandemici (nel 2019 erano il 20,3 per cento).

L’incremento di partecipazione a spettacoli teatrali, come nel 2022, ha interessato maggiormente i giovanissimi, che avevano risentito maggiormente del calo dovuto alla pandemia e per i quali una maggiore partecipazione a questo tipo di intrattenimenti si associa alla frequenza scolastica.

L’abitudine di andare a teatro almeno una volta all’anno è relativamente più diffusa al Centro-Nord (il 21,0 per cento rispetto al 17,4 per cento del Mezzogiorno. Al Sud e Isole, in tutte le regioni, tranne la Campania (20,8 per cento), si registrano valori al di sotto della media nazionale. Più diffusa la partecipazione agli spettacoli teatrali nei comuni centro delle aree metropolitane (il 29,5 per cento delle persone di 6 anni e più), a fronte di quote più residuali nei piccoli comuni (12,4 per cento nei comuni fino a 2 mila abitanti).

In Calabria, comunque, la percentuale di coloro che dichiarano di non aver mai fruito di uno spettacolo teatrale è dell’83,6%. Chi si è recato, almeno una volta a teatro nella nostra regione nel 2023, rientra in una percentuale dell’14,1%, penultima regione in Italia, di cui 8,3 da 1 a 3 volte e il 4,3% 7 volte e più.

Ora, come la scuola non può e non deve ignorare la presenza e l’attività sul territorio di quei gruppi o compagnie professionali o non, che si occupano di teatro, così è impensabile che gli 11 teatri della nostra regione continuino a proporsi, in termini riduttivi, come finora accade rispetto alle loro potenzialità, mentre dovrebbero funzionare a pieno regime.

Creare il pubblico di domani è una esigenza imprescindibile, per esempio, per una istituzione come il “Cilea” di Reggio Calabria  che, attraverso una auspicabile Fondazione, (di cui ogni tanto si parla ma senza giungere ad alcun risultato) promossa da managerialità pubblica e del privato, intraprenda una politica di interventi di divulgazione, sviluppando una pedagogia teatrale e musicale e investendo sulla formazione dei ragazzi e dei giovani, complice una fitta rete di relazioni da realizzare con il mondo della scuola.

Insomma, il “Cilea” va certamente inteso come valore ma anche come risorsa, ma lo sia in funzione del servizio che può rendere al cittadino, recuperando sia la vicinanza al pubblico, sia la capacità di cogliere e di rielaborare il presente e la quotidianità.

Il teatro deve riuscire a creare un sistema, che grazie al lavoro sul territorio ed al coinvolgimento del maggior numero di persone, ritorni a rendere proprie le esigenze della committenza, ovverosia del pubblico.

Allo stesso modo, è sempre più urgente che la funzione di termini di valore o di servizio del teatro non possa essere più misurata in termini di biglietti, ma in termini di diritto e possibilità di usufruirne. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico USR Calabria]

FRENARE LA FUGA DEI GIOVANI CERVELLI
DA CALABRIA: SERVE TAVOLO REGIONALE

di MARIAELENA SENESE – Dobbiamo provare a guardare al domani partendo dai dati dell’oggi, consapevoli di dove eravamo ieri e di dove ci troveremo domani se non saremo capaci di mettere in piedi un dossier sui giovani per provare a cambiare questo trend negativo e fermare l’emorragia dei giovani calabresi.

Dalle nascite che calano, ai talenti che sbocciano e che scappano, dall’invecchiamento che avanza ad una società che non pensa da troppo tempo a come investire sui giovani fino ad un sistema scolastico che forse guarda troppo al passato.

La coesione sociale di un Paese si misura dalla capacità di dare un futuro alle nuove generazioni creando un clima di fiducia. Alle istituzioni compete la responsabilità di attuare politiche attive che permettono ai giovani di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà di carattere materiale e di accesso ai servizi.

I dati dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche ci raccontano di un panorama lavorativo ancora fragile, dove da una parte mancano figure professionali specializzate e dall’altra abbiamo perso, negli ultimi venti anni, 162.000 giovani in cerca di migliori opportunità lavorative.
Una situazione che ci induce a fare una riflessione approfondita e, nello stesso tempo, ad avanzare proposte utili a frenare questa fuga inarrestabile.

Per incentivare il rientro dei professionisti altamente qualificati, proponiamo la creazione di un fondo regionale, il fondo “Ritorno dei cervelli” che offra incentivi economici e fiscali; agevolazioni fiscali per i primi cinque anni, contributi per l’acquisto o l’affitto della prima casa per chi decide di ritornare nella nostra regione e, magari, un bonus di rientro, che potrebbe essere quantificato in 30 mila euro, per chi decide di tornare in Calabria e avviare o continuare la propria attività.

Inoltre, riteniamo fondamentale il sostegno alle start-up e all’imprenditoria giovanile attraverso finanziamenti agevolati e un fondo specifico per le imprese innovative nei settori strategici della regione, quali quelli dell’energia rinnovabile, del turismo sostenibile o della blue economy.

Per favorire la crescita professionale dei giovani calabresi, è essenziale un piano di potenziamento delle competenze con programmi di formazione continua in collaborazione con le nostre università e aziende, focalizzati sulle richieste del mercato del lavoro regionale, come digitalizzazione, installazione, manutenzione e riparazione per coprire la domanda di elettricisti, meccanici e magazzinieri che sono necessarie a colmare il gap fra offerta e domanda di lavoro.

Non possiamo permettere che i giovani calabresi continuino a emigrare per trovare opportunità di lavoro dignitose e per una maggiore crescita professionale.

La nostra regione ha tutte le potenzialità per crescere, ma servono interventi mirati. Solo così la Calabria potrà realmente cambiare rotta e costruire un futuro occupazionale più stabile e inclusivo. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Clabria]

CRISI CLIMATICA, LA CALABRIA È A RISCHIO
SERVONO AZIONI PER TUTELARE LE COSTE

di MARIO PILEGGIL’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, (Unesco) e la World Meteorological Organization (WMO)  hanno dichiarato il 2025 “Anno Internazionale della protezione dei ghiacciai” con l’obiettivo di evidenziare il ruolo vitale dei ghiacciai e sensibilizzare il mondo sulla drammatica fusione delle calotte glaciali e sui rischi per questi ecosistemi essenziali.

Il 70% dell’acqua dolce globale è immagazzinata nei ghiacciai e nelle calotte glaciali. I ghiacciai sono fonti primarie di acqua dolce per due miliardi di persone, regolano il clima terrestre e sono anche i custodi della storia climatica del nostro pianeta.  

La loro riduzione sta avendo impatti globali come l’innalzamento del livello del mare e i cambiamenti nei pattern meteorologici. 

I dati più recenti evidenziano che i ghiacciai di tutto il mondo si stanno riducendo sempre più rapidamente: dal 2000 la perdita di ghiaccio globale è aumentata di quasi il 50% rispetto ai decenni precedenti. 

Le Alpi hanno perso circa il 60% del volume glaciale rispetto al 1850 e potrebbero perdere l’80% entro il 2100.  

Secondo il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, curato dal Comitato Glaciologico Italiano e dal Gruppo di Ricerca Glaciologia dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Cnr, negli ultimi 60 anni si è registrata una diminuzione del 30% della superficie glaciale, con una perdita di circa 200 km², equivalente all’area del Lago Maggiore.  

Gli studi del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC) riportano che il livello del mare si è alzato di circa 20 centimetri dal 1900, con un’accelerazione significativa negli ultimi decenni. 

Una recente proiezione riguardo lo scioglimento dei ghiacci “Fusion of Probabilistic Projections of Sea-Level Rise” pubblicata a Dicembre 2024 su “Earth’s Future-AGU” delinea scenari con innalzamento medio globale del livello del mare compreso tra 0,5 e 1,9 metri entro il 2100. 

Lungo le coste delle regioni italiane l’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo è stimato dall’Enea tra 0,94 e 1,035 metri (modello cautelativo) e tra 1,31 metri e 1,45 metri (su base meno prudenziale). A questi valori bisogna aggiungere il cosiddetto storm surge, ossia la coesistenza di bassa pressione, onde e vento, variabile da zona a zona, che in particolari condizioni determina un aumento del livello del mare rispetto al litorale di circa 1 metro.

Secondo le proiezioni dell’Enea, in assenza di interventi di mitigazione e adattamento, 40 aree costiere e molte migliaia di chilometri quadrati di pianure costiere italiane potrebbero essere sommerse entro la fine del secolo.

Lungo 246 chilometri di costa della Pianura Padano-Veneta, nelle regioni Emilia-Romagna, Veneto e Friuli, si estende l’area a rischio più estesa già mappata di 5.451 chilometri quadrati. Altre aree a rischio inondazione: le foci del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo; l’area di Lesina e di Taranto in Puglia; l’area di La Spezia in Liguria; tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba e le aree di Grosseto e di Albinia in Toscana; la piana Pontina, di Fondi e la foce del Tevere nel Lazio; la piana del Volturno e del Sele in Campania; l’area di Cagliari, Oristano, Fertilia, Orosei, Colostrai-Muravera, Nodigheddu, Pilo, Platamona, Valledoria, Porto Pollo e di Lido del Sole in Sardegna; Metaponto in Basilicata; spiagge di Granelli, Noto, Pantano Logarini e le aree di Trapani e Marsala in Sicilia; tratti della Pianura di Gioia Tauro e di Santa Eufemia in Calabria. 

Altre aree costiere esposte a rischio inondazione e/o erosione in Calabria sono localizzate nella Piana di Sibari, nel Crotonese e in vari comuni del Tirreno. Ecosistemi unici e luoghi di rilevanza storico-archeologica come Sibari, Crotone, Squillace, Locri rischiano di subire danni irreparabili a causa di inondazioni e dell’erosione. 

In proposito è da ricordare che nel Rapporto Ambientale Por Calabria 2021–2027 si legge: «…i rischi naturali presenti sul territorio regionale, caratterizzati da livelli molto elevati, (sono) in alcuni casi marcatamente più alti rispetto al resto del territorio nazionale. Per alcuni di questi (rischio frane, rischio alluvione, rischio erosione costiera, rischio incendi, desertificazione) è prevedibile un aumento del livello di rischio a causa dell’aumento delle temperature, dell’innalzamento del livello del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacciai e dell’aumentata frequenza degli eventi estremi».

Studi recenti sulla vulnerabilità delle province costiere italiane delineano i rischi ai quali sono esposti anche i preziosi ecosistemi naturali e i numerosi siti archeologici situati nelle nostre pianure costiere.

Le estese fasce costiere, caratterizzate da assetti idrogeomorfologici e climatici favorevoli allo sviluppo di ogni forma di vita, sono ricchissime di biodiversità e testimonianze antropiche e pre-protostoriche. Un patrimonio di testimonianze antropiche sedimentato da millenni di interazioni tra l’Uomo e il mare, diffuso su tutte le coste. 

Dettagliate e più recenti proiezioni sull’impatto previsto dall’innalzamento del livello del mare in corrispondenza dei tratti di costa del BelPaese soggetti a movimenti verticali di abbassamento del suolo sono contenuti nello studio “Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts di A. Vecchio et al. pubblicato nel 2024 sulla rivista ambientale Environmental Research Letters. Lo studio, tra l’altro, riporta i dati delle misure dello sprofondamento in atto in corrispondenza di alcune coste italiane rilevati utilizzando GNSS (Global Navigation Satellite System). I dati più significativi sono stati rilevati in corrispondenza delle coste della Pianura Padano-Veneta e delle regioni meridionali. 

Nelle stesse pianure costiere la combinazione dell’innalzamento del mare e degli eventi meteorologici estremi, come forti mareggiate e inondazioni, aumenta il rischio di perdita di territorio con danni alle infrastrutture e alle attività economiche locali, in particolare turismo, pesca e agricoltura. 

Secondo dati Ispra un’ampia percentuale delle coste italiane, valutata tra il 30-46%, è già soggetta a fenomeni di erosione accelerata; e più di 100 dei 644 comuni costieri italiani hanno visto arretrare il loro tratto di costa di ben oltre il 50%. dell’intero tratto di competenza.

Questi dati mostrano le continue trasformazione delle coste e la rilevanza degli effetti connessi alla stessa dinamica dei litorali, spesso sottovalutati o ignorati dalle classi dirigenti locali e nazionali. Effetti che rappresentano una minaccia sia per numerosi siti archeologici sia per la grande varietà di ecosistemi delle fasce costiere italiane. Ecosistemi di grande valore ecologico, economico e culturale e da tutelare per favorire la biodiversità, la sicurezza ambientale e il benessere delle comunità locali. 

L’iniziativa Unesco-Wmo offre un’importante opportunità per amministrazioni pubbliche, istituzioni scientifiche, organizzazioni private e società civile di promuovere attività volte a proteggere le coste, garantendo al contempo la sicurezza delle popolazioni e la conservazione del prezioso patrimonio storico-ambientale delle aree marine per le generazioni future.

Inoltre, rappresenta un’occasione per riflettere sul legame tra i rischi attuali e la storia glaciale di regioni costiere, come la Calabria, dove sono ancora visibili tracce lasciate dai ghiacciai. Dallo studio di queste testimonianze del passato alle minacce derivanti dall’innalzamento del mare, emerge un filo conduttore che collega le trasformazioni geologiche di ieri alle sfide climatiche di oggi. (mp)

[Mario Pileggi è geologo]

QUELLE SCELTE SBAGLIATE PER LA SANITÀ
CALABRESE CHE DANNEGGIANO I CITTADINI

Di DOMENICO MAZZA – Navigando in rete mi è apparso un vecchio articolo in cui si riproduce un’intervista al già assessore alla sanità calabrese e futuro candidato sindaco della città di Lamezia, Doris Lo Moro. Vi chiederete perché un’intervista di quasi un lustro fa abbia destato in me particolare interesse.

Le motivazioni potrebbero essere molteplici. Tuttavia, ciò che mi ha attratto, invogliando la mia curiosità verso l’articolo in questione, sono state le recenti richieste del Presidente della Regione Calabria, di dichiarare lo stato di emergenza del settore ospedaliero calabrese.

Ritornando all’articolo richiamato in premessa, mi hanno lasciato basito le dichiarazioni della Lo Moro che, a un certo punto dell’intervista, parla di una riforma che avrebbe dovuto prevedere 8 e non già 5 Aziende sanitarie.

Giusto per richiamare alla memoria, prima che l’allora Giunta regionale decretasse la nascita delle attuali 5 Asp, in Calabria operavano ben 11 Asl. La caratteristica di quest’ultime era appunto la base locale e non già provinciale del distretto di competenza.

I più attenti ricorderanno che già alla fine degli anni ‘90 le allora nuove Asl avevano accorpato le ex USSL (unità socio-sanitarie locali). Tali strutture, nelle linee essenziali, si caratterizzavano per l’autonomia gestionale di ogni ospedale al tempo operante in Regione.

Il sostanziale aziendalismo, poi, operato a livello centrale dai vari Governi della Seconda Repubblica, invitò le Amministrazioni periferiche dello Stato a una riorganizzazione su basi territoriali e demografiche dei vari settori. Anche la Sanità fu costretta ad adeguarsi e, per quanto lo Stato non avesse ordinato alcuna revisione su base provinciale, ma solo su criteri territoriali, la nostra Regione optò per un riforma che ricalcasse lo scriteriato disegno degli Enti intermedi calabresi.

Ebbene, stabilire nottetempo la chiusura, sic et simpliciter, di ben 6 ex Asl (Palmi, Locri, Lamezia, Paola, Castrovillari e Rossano), senza porsi minimamente il problema della orogenesi territoriale calabrese, fu un errore di non poco conto. Vieppiù, quando nell’intervista si sostiene che la nuova geografia sanitaria avrebbe dovuto prevedere 8 e non 5 aziende, la trama si infittisce e dimostra plasticamante quanto la materia sanitaria sia stata mercificata sull’altare del volere centralista a danno esclusivo della popolazione calabrese: soprattutto quella residente nelle lande più periferiche e dimenticate.

D’altronde, se la Locride, il Lametino e la Sibaritide fossero rimaste in essere, magari utilizzando l’acronimo di AST (aziende sanitarie territoriali) piuttosto che Asp (aziende sanitarie provinciali), probabilmente, in un clima di spendig review, sarebbe stato complicato giustificare la nascita delle AO. Tali Enti, infatti, hanno elevato gli ospedali dei Capoluoghi storici a presidi Hub, estromettendoli dalla gestione delle Asp e consegnandoli ai nuovi organismi appositamente creati e nominati Aziende Ospedaliere.

Ecco, conclamare a quasi un ventennio dalla dissennata riforma sanitaria, la necessità di maggiori poteri per la velocizzazione del percorso che dovrà portare alla nascita dei nuovi ospedali (Sibaritide, Vibo e Piana di Gioia) ai quali, nel frattempo, si è aggiunto anche il nuovo ospedale di Cosenza, comprova quanto una riorganizzazione di un deviato regionalismo amministrativo sia necessaria. E non solo in capo al settore sanitario. Invero, diversi servizi (giustizia, sicurezza, conservatoria, ecc.) dovrebbero rispettare i principi di omogeneità territoriale nella perimetrazione delle circoscrizioni di competenza locale.

Pertanto, inviterei qualche novello sognatore della Sibaritide e del Comune di Corigliano-Rossano che immagina la creazione di nuovi orti dove potrebbero sorgere praterie, a ritornare con i piedi per terra, riflettendo sulla bontà e concretezza delle idee promosse.

Così come mi auguro che un distratto establishment pitagorico, inizi a pensare in grande abbandonando la condizione di limbo amministrativo del Crotonese per aprirsi a una visione accurata e puntuale di tutto l’Arco Jonico calabrese. Non fosse altro che per avviarsi a nuove prospettive territoriali, rispettose di quei numeri necessari a trasformare le idee in progetti politici e non già nei soliti carrozzoni che la Calabria conosce fin troppo bene. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]