Ricordare Otello Profazio per arricchire la Calabria

di FRANCO CIMINO – Cari presidenti, car sindaci, scrivo a voi di Otello Profazio, che sono certo conoscerete meglio di quanto non l’abbiamo conosciuto tanti noi. Pertanto, di lui non dico molto. Non dico che è stato uno dei più grandi cantastorie, uno dei più grandi cantanti della tradizione popolare, uno dei più grandi cantautori, uno dei più grandi poeti, uno dei più grandi intellettuali, uno dei più grandi “sociologi e filosofi”, a modo suo, dell’intero panorama nazionale ed europeo.

Se lo dicessi, pensando che voi non lo sapeste, farei un danno non a voi, eccellentissime persone, ma all’intera Calabria, che con orgoglio lo annovera tra i più grandi personaggi della sua storia. Qui dico ciò che non dovrei dire per l’ulteriore considerazione che si dovrebbe avere di Lui. Otello Profazio è stato, a suo modo, un grande politico. Voi che fate politica e la Politica sono certo che pure farete, sapete meglio di me che essa significa, tutto insieme, analizzare la società, i suoi mutevoli fenomeni, alla luce del passato e nella prospettiva del futuro; denunciarne la gravità e i pericoli ricorrenti, in essi le ingiustizie che, in molteplici forme, agiscono in particolare “contro” i poveri, gli ultimi, i disarmati, i vinti, i rassegnati, gli abbandonati, i lottatori stanchi, i ribelli combattuti e isolati. Politica, altresì significa, immaginazione, fantasia, creatività. Sogno. Fiducia illimitata che Politica possa realizzarli, anche dal niente. Anche dalle rovine. Costruire dal basso, cioè, con la partecipazione della gente, la Felicità. Sì, la Felicità, che, come diceva il Nostro, non è promessa di un aldilà non rassicurante nella sua incertezza (la religione è sentire personale) per i condannati all’infelicità su questa terra. Condannati proprio da quei “padroni” o potenti, che usano quella promessa per tenerli, i poveri e gli sfruttati e gli ingannati, tutti buoni e “silenziosi”.

No, la felicità di cui parla Otello, è conquista dalle battaglie che il popolo deve fare per la Libertà. Che viene prima della Democrazia, essendoci in essa tutto ciò che serve alla Felicità, dalla giustizia all’eguaglianza. Dalla liberazione da tutte le catene “all’incatenzazione “di ogni arroganza, egoismo, prepotenza, cattiveria. E padronanza di persone e cose delle persone. Di pensieri, delle persone, e della loro sistemazione in un sistema organico, chiamato cultura. Profazio era politico, a suo modo. Lo era in modo particolare per la fiducia che aveva nelle singole persone e nel loro mettersi insieme per farsi popolo. Egli lottava, pensava, scriveva, suonava, cantava, e faceva politica, vedendo, nella sua mente e negli occhi di tutti, il futuro di ogni riscattata bellezza. Ma non c’è politica senza cambiamento e non c’è sofferenza di popolo senza lotta del popolo. Non c’è felicità senza la sconfitta dei costruttori dell’infelicità. Il nostro “cantatore”, narratore di storie e incitatore di animi ribelli, era, a suo modo, un rivoluzionario. Si dice fosse socialista, si diceva, negli settanta, quelli dell’avanzata del PCI, che lo invitava a tutte le feste dell’unità fino a quella nazionale, che fosse comunista.

Io che sono sempre stato democristiano, penso, al di là anche dei suoi orientamenti politici definiti, che lui fosse ribelle per amore. Un universale soldato della Pace. Un cristiano, puro o laico o ateo, che potesse pure essere definito (non mi sono mai domandato del suo sentire religioso). Era un combattente senza armatura, né fucile, contro la guerra. La sua arma, la chitarra e la voce. Insieme, unica arma, ché l’una e l’altra non erano separabili in lui. Con quella aggiuntiva ironia, che se ti “pigghiava” ti faceva a polpettine. Era un rivoluzionario e un cristiano, “socialistanarchicomunista”, liberale anticonformista, mettiamoceli tutti e senza separazione e distinzione, perché Otello era lui e basta. Il rivoluzionario! Vero, ché non ce l’aveva soltanto con i “padroni” e i potenti, ma anche con noi tutti che, per stanchezza o pigrizia, ignoranza o paura, li abbiamo lasciati fare.

Anche quando ce siamo andati, a milioni, senza disturbare, neppure con il pianto e il dolore di lasciare la nostra terra e le nostre famiglie, spezzandoci braccia e schiena, per farli più ricchi quelli là. Oppure, restando, perché “qui si campa d’aria”. Il rimprovero a noi, delicato e tenero, pur pieno di compassione e considerazione, non è mancato mai. C’è un suo canto lontano, data forse cinquant’anni, che pochi conoscono e lui stesso da tanto non lo proponeva( non ricordo in quale album si trovi), che dice in una sola strofa tutto. È collocato storicamente nell’ottocento dei Borboni. Dice testualmente: «cunnuti (si riferisce a noi) ca serviti lu guvernu (si riferisce ai governanti), sì voli Diu mi cangi lu guvernu, li robbi vi li tagghiu parmu a parmu».

Può, egregio signori, un uomo così, un poeta così, un intellettuale così, una bellezza come questa, essere trascurata, non celebrata degnamente, addirittura dimenticata? E possiamo prendercela solo con il Comune di Reggio Calabria, la sua Città, della quale è anche cittadino onorario, per non aver dato seguito, per motivi economici addirittura, all’impegno di ricordarlo artisticamente in occasione del primo anniversario della morte?

Ma no, anche perché voi stessi affermerete una verità incontrovertibile. Questa: per quanto amasse la sua Città, vivendola fino all’ultimo suo respiro pur avendo fatto il giro del mondo, Otello era, è, calabrese, uno dei più grandi e belli di tutta la storia di questa nostra-sua terra, di cui egli ha cantato dolori e gioie, asciuttezza e floridezza, sfregi e purezza. Chiedo, pertanto, con questa mia, di essere tutti voi a promuovere iniziative importanti, in tutta la Regione, per rendere non onore al calabrese illustre, che non ne avrebbe bisogno, ma onore e prestigio all’intera Calabria. Per farne anche l’eterno ambasciatore, voi saprete come, della Calabria bellissima. Insieme a lui, ora che vi trovate, tanti altri artisti calabresi, che, vissuti dimenticati, morti cancellati, della loro bellezza straordinaria, hanno lasciato un’eredità ricchissima. Voi direte le solite due cose: ” non ci sono soldi”, la prima; “ma con tutti i gravi problemi della Calabria…” la seconda.

Vi conosco personalmente e vi so onesti e sinceri. Ma consentimi di rispondervi con l’immaginata frase ironica che avrebbe pronunciato il più prezioso raccontatore della nostra terra: «ma cu tutti i picciuli chi iettamu in spettaculi chi venanu e fora, e cu i problemi veri chi ni scordamu, propriu cu mia, chi custu pocu…».

Certo della vostra benevola accoglienza di questa mia, consentimi di ringraziarvi anticipatamente, anche per i tempo utilizzato per leggermi qui. (fc)

GLI OCCHI DEL MONDO CHE PRODUCE
PER DUE GIORNI PUNTATI SULLA CALABRIA

di SANTO STRATI – Per due giorni gli occhi del mondo produttivo e del commercio saranno tutti puntati sulla Calabria, nell’incantevole Castello di Santa Trada, a Villa San Giovanni, dove si svolge il G7 Trade, ovvero quello dedicato al commercio mondiale.

Al di là degli specifici obiettivi della due giorni di incontri tra le delegazione dei 7 Grandi e i tanti altri Paesi invitati a partecipare, c’è da considerare la grande occasione che si profila per la nostra terra. Ovvero, sfruttare questa nuova vetrina di risonanza mondiale (la prima ce l’ha offerta la titanica impresa di Jaan Roose in equilibrio su un filo sullo Stretto: un miliardo di spettatori!) per creare opportunità di ricostruire la reputazione, macchiata da anni di gratuite insolenze e insinuazioni. Il mondo deve scoprire la Calabria attraverso queste iniziative, perché mentre si discute di affari, l’occhio può spaziare tra lo splendore dei paesaggi, la maestosità dei Bronzi e l’incanto dello Stretto. È un’occasione che non va persa, perché la due giorni di Santa Trada sia una sorta di prova generale di come si possa mostrare al mondo che la Calabria, oltre a essere una terra, fiera, può offrire offre mille attrazioni, non solo turistiche. Servono investimenti e la creazione di nuove opportunità di occupazione, ma non soltanto nell’ambito della cultura e del turismo che sono un attrattore straordinario e inimitabile, ma anche per il segmento produttivo, scientifico e tecnologico: ci sono tre Atenei che sfiorano l’eccellenza e sono in grado ospitare studenti di tutto il mondo.  E le nostre aziende cercano sbocchi di export anche oltre che nell’agroalimentare.

Benvenuto in Calabria, Mondo!  (s)

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Antonio Tajani: «La Calabria e il Sud saranno per due giorni la capitale economica mondiale»

«In questi due giorni porteremo a Villa San Giovanni e Reggio Calabria i Ministri del G7 e dei Paesi ospiti che insieme rappresentano il 54% del Pil mondiale: la Calabria e il Sud Italia saranno per due giorni la capitale economica mondiale». È quanto ha dichiarato Antonio Tajani, Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in occasione della riunione dei Ministri del Commercio del G7 che si apre questa mattina a Villa San Giovanni.

«Sono quattro – ha spiegato – i temi centrali che affronteremo, cruciali per il futuro delle nostre economie: rafforzare il sistema commerciale multilaterale attraverso la riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC); assicurare la parità di condizioni sui mercati globali; incoraggiare la sostenibilità ambientale nel commercio; migliorare la resilienza e la sicurezza economica. Sono i temi prioritari al centro dell’agenda della Presidenza italiana».

Oltre a tali temi, i lavori, che si svolgeranno a Villa San Giovanni, si concentreranno sulla situazione in Medio Oriente e nel Mar Rosso, arteria commerciale strategica in particolare per il nostro Paese, nonché sull’Indo-Pacifico, regione chiave per il commercio e le catene di approvvigionamento globali. Oltre ai Ministri dei Paesi G7, saranno coinvolti quelli di importanti Paesi partner come Brasile, Corea del Sud, India, Nuova Zelanda, Turchia e Vietnam, assieme alla Direttrice Generale dell’Omc e al Segretario Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse).

I lavori inizieranno con un incontro dei Ministri del Commercio del G7 con i rappresentanti dell’Industria del G7 (B7), nel quale gli imprenditori presenteranno ai rappresentanti dei Governi la propria visione e le proprie priorità in termini di promozione della competitività e commercio equo e basato sulle regole, rafforzamento delle economie, nonché delle catene globali di fornitura a fronte della crescente instabilità geopolitica e massimizzazione dei benefici dell’Intelligenza Artificiale.

Nel corso della Ministeriale, i Ministri del G7 si recheranno al Porto di Gioia Tauro, primo porto italiano per traffico merci, dove verrà presentata l’iniziativa umanitaria italiana “Food for Gaza”. Verrà in particolare presentato uno scanner come quello recentemente partito per Cipro per potenziare e rendere più celeri i controlli di sicurezza dei container con aiuti umanitari che, tramite il corridoio umanitario marittimo incentrato sull’isola, vengono destinati a Gaza.

Domani, mercoledì 17 luglio, al termine dei lavori, si terrà la conferenza stampa conclusiva del Ministro Tajani. (rrm)

La Calabria protagonista all’incontro Lions di Salerno

di ARISTIDE BAVA –  Calabria protagonista a Salerno dove è stato solennizzato l’incontro programmatico del Distretto Lions 108 ya che comprende la Campania, la Calabria e la Basilicata, Tra i principali “attori” del congresso il neo presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Lions, Franco Scarpino di Catanzaro e il primo vicegovernatore Pino Naim di Reggio Calabria accompagnati peraltro da una folta delegazione di soci dell’importante associazione provenienti da numerosi centri delle cinque provincie calabresi.

L’incontro programmatico ha sancito il cambio di guardia tra il Governatore uscente Pasquale Bruscino (Napoli) e il nuovo Governatore del Distretto, Tommaso Di Napoli (Battipaglia) che ha dato il via alla nuova annata sociale 2024/2025 e ha presentato il suo Dg team del quale fanno, appunto, parte Scarpino e Naim unitamente al secondo vicegovernatore Bruno Canetti. Sia Scarpino che Naim sono stati particolarmente applauditi nel corso della due giorni di Salerno per le loro relazioni che sono sembrate fortemente innovative ed indirizzate, soprattutto, alla ferma volontà di incentivare l’attività operativa lionistica a favore delle comunità locali in sinergia con gli organismi istituzionali e, dove possibile, anche  con le altre associazioni. 

A questo proposito il Governatore Tommaso Di Napoli ha anche evidenziato un significativo patto d’amicizia con l’associazione Rotary nella convinzione che, insieme, si potranno ottenere positivi risultati soprattutto in un campo decisamente importante qual è quello della disabilità. Presente, anche, un autorevole esponente di quella associazione è stato suggellato un “patto di amicizia” che porterà ad una collaborazione diretta tra Lions e Rotary.

Franco Scarpino, dal canto suo ha parlato del programma innovativo che come presidente del Consiglio di Amministrazione del Distretto ha intenzione di portare avanti. Secondo Scarpino la Fondazione oggi più che mai, dovrà svolgere un ruolo fondamentale per favorire l’azione lionistica nel distretto, attraverso services, campagne di raccolta fondi, pubblicazioni, iniziative finanziare, progetti umanitari e di crescita sociale, convenzioni con istituzioni universitarie, convegni, mostre e congressi, master sociali.

La Fondazione, in sintesi, diventerà il braccio operativo del Distretto, e rivestirà, dunque, un importante ruolo di sostegno organizzativo dello stesso, con l’obiettivo superiore di supportare lo sviluppo culturale, sociale ed economico del nostro mezzogiorno. Una conferma di quel “nuovo lionismo” che Scarpino, a suo tempo, ha lanciato come Governatore pro tempore del Distretto. Significativo anche l’impegno di Pino Naim che diventerà Governatore il prossimo anno.

«Oggi essere Lions significa altra cosa rispetto al passato – ha detto – non possiamo restare ancorati ad un passato che non ci appartiene più, perché sono cambiati i tempi, le condizioni, gli usi e i costumi, e perché è cambiato l’Associazionismo nella sua concettualità e nella sua metodologia. Il cambiamento, però, presuppone un percorso che può essere anche difficile, che richiede chiarezza, molta determinazione e  aiuto reciproco. Ecco perché come Lions siamo chiamati a camminare insieme, non da soli, e dobbiamo quindi allargare sempre più il cerchio delle persone coinvolte in un dialogo costante. Dobbiamo adeguarci e modificare il nostro lionismo e riscoprire la gioia del futuro con rinnovata speranza pensando a nuovi modi di vivere il territorio, di concepire il lavoro, di produrre effetti positivi per la società e per la nostra comunità».

Naim ha coniato, a questo proposito il suo slogan di un “lionismo semplice” dove i reali protagonisti saranno i soci e gli stessi cittadini delle varie comunità. L’importante incontro ha richiamato a Salerno centinaia di delegati delle tre regioni meridionali. (ab)

 

RISCHIO POVERTÀ ED ESCLUSIONE SOCIALE
È PRIMA LA CALABRIA: CAMBIARE LE NORME

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria è tra le prime quattro regioni con la quota più alta di persone a rischio povertà ed esclusione sociale: lo afferma Eurostat e questo stato – terribile – è stato confermato dal VI rapporto Ca’ Foscari sui Comuni 2023, presentato nei giorni scorsi a Reggio. In Calabria c’è anche fin troppa disoccupazione, povertà ed esclusione sociale: nella nostra regione, infatti, il tasso di disoccupazione è al 16%, mentre a Reggio al 16,1% – secondo i dati Svimez – quindi emerge in maniera netta il bisogno di prevenzione e di tempestività, a partire dall’attuale quadro normativo che va modificato.

Dopo i saluti istituzionali del Vicesindaco di Reggio Calabria, Paolo Brunetti, che ha rimarcato le novità più recenti che interessano il Comune in tema di gestione del servizio idrico e, in prospettiva anche del settore dei rifiuti, vi è stato il saluto dell’Assessore al Bilancio, Domenico Battaglia, il quale ha sottolineato come eventi di questo genere siano fondamentali per offrire spunti necessari per una riforma. Battaglia ha ricordato come Reggio Calabria, proprio con riferimento alla criticità finanziaria, sia divenuta un caso di scuola.

È toccato al Direttore Generale del Comune, Demetrio Barreca, effettuare un lungo excursus storico delle tappe che hanno segnato la storia recente di Palazzo San Giorgio, a partire dall’ispezione del Mef del 2011, quando furono ravvisate delle criticità da cui emerse il disavanzo delle casse comunali, per giungere alle diverse deliberazioni della Corte dei Conti e poi al piano di riequilibrio.

«Il VI rapporto Ca’ Foscari sui Comuni 2023 è di tipo multidimensionale ed è importante, per i Comuni che esista. Si tratta di un rapporto continuativo, forse anche enciclopedico, che però riesce ogni anno ad affrontare temi differenziati che convergono nell’idea che il Comune è un elemento essenziale della nostra democrazia e della nostra capacità di governo territoriale», ha detto Andrea Ferri, responsabile Finanza Locale della Fondazione Ifel e dell’Anci.

«Uno dei punti di partenza della ricerca che da diversi anni caratterizza la nostra università insieme a Ifel, è la criticità finanziaria che in alcuni territori come la Calabria è molto importante», ha spiegato Marcello Degni, docente dell’Università veneziana.

«Abbiamo cercato di analizzare – ha aggiunto – le cause di tale criticità finanziaria e sono emerse alcune proposte di radicale riforma dell’attuale quadro normativo. Il titolo VIII del Tuel va riformato radicalmente. Il predissesto – ha proseguito Degni – si è rivelato un fallimento. Il dissesto è una procedura vecchia introdotta alla fine degli anni ‘80 che va completamente rivista». Da questa ricerca sono emerse delle proposte che sono state formulate al legislatore: «L’idea è che bisogna introdurre un sistema predittivo della criticità finanziaria che consenta di cogliere i segnali prima che si verifichino i problemi di criticità forte».

«Il secondo elemento – ha proseguito – è un intervento tempestivo, un affiancamento da parte del sistema multilivello dei comuni in difficoltà intervenendo con un supporto organizzativo e finanziario. Non si tratta solo di trovare dei fondi. In molti casi il dissesto è un fatto organizzativo e quindi occorrerebbe intervenire con un affiancamento, individuando professionalità e aiutando i comuni a uscire dalla situazione in cui sono pervenuti. Dunque: modello predittivo, affiancamento, sostituzione nei casi più gravi e tempestività. Le istruttorie che durano anni non sono funzionali al superamento della criticità finanziaria».

A delineare il progetto Ifel, a supporto dei comuni in criticità finanziaria è stato Fabrizio Fazioli, in collegamento audio-video. Questi ha sottolineato come le crisi finanziarie siano «da tempo sotto osservazione. Si tratta di un fenomeno importante perché in espansione. Si registra una tendenza generalizzata del comparto comunale ad una tensione finanziaria, con una grande difficoltà a gestire e svolgere le funzioni assegnate».

Fazioli ha ricordato come, in tal senso, vi sia una forte connotazione territoriale, considerato che gran parte dei comuni in difficoltà si trovi in Sicilia, Calabria e Campania. Situazione causata da «una molteplicità di fattori», fra cui ovviamente difficoltà strutturali a riscuotere le entrate ma anche «organici ridotti all’osso».

Dopo aver ribadito di ritenere il dissesto e il predissesto «strumenti non idonei» a risolvere le problematiche dei comuni, Fazioli ha spiegato come il progetto di Anci e Ifel sia quello di affiancare gli enti, in via sperimentale, con attività di supporto e assistenza. Attualmente sono 71 i comuni assistiti con una task force individuata in base all’esigenza degli enti per un totale di circa 120 esperti.

Francesco Consiglio, invece, dopo aver ringraziato i numerosi rappresentanti di tanti comuni della Calabria presenti all’evento, nel corso della tavola rotonda Esperienze di criticità finanziaria nei Comuni della Calabria, moderato dal segretario generale del Comune di Reggio, Antonio Criaco, ha ricordato come il tema dell’incontro rappresenti una questione «molto seria, una condizione in cui vivono i comuni della Calabria».

«C’è qualcosa che non sta funzionando – ha rimarcato Consiglio – se i comuni sono chiamati ad accantonare delle somme che poi non possono utilizzare». Il dirigente ha ribadito un concetto: «Il dissesto non equivale a un risanamento dei comuni che devono poi capire come andare avanti».

Per Consiglio diventa fondamentale utilizzare i fondi di accantonamento anche con una funzione di risparmio, così da «garantire i debiti tributari dei cittadini. Se il problema è la riscossione – ha evidenziato Consiglio – utilizziamo per una parte i nostri risparmi per aiutarla questa riscossione». Il dirigente si è domandato se i comuni siano organizzazioni complesse e, rispondendo positivamente, ha ricordato come non si sia mai vista una «verifica dell’adeguatezza della struttura amministrativa che dovrebbe essere effettuata obbligatoriamente dallo Stato».

Il dirigente del Settore Bilancio della Città metropolitana, Fabio Nicita, ha posto l’accento sui rapporti con i comuni e le modalità di riscossione passate da un metodo indiretto ad un metodo diretto.

Le conclusioni sono state affidate ad Andrea Ferri, Responsabile Finanza Locale della Fondazione Ifel e dell’Anci. «I comuni – ha spiegato – nel loro complesso rappresentano un comparto sano della pubblica amministrazione. Produciamo accreditamento ma non indebitamento netto per lo Stato. Non aumentiamo il debito pubblico e ci reggiamo su entrate largamente proprie, molto differenziate nel territorio».

Ad oggi, ha rimarcato Ferri, vi sono 450 crisi conclamate e 1300 comuni in sui quali è stata avviata un’iniziativa convergente. «Il rapporto – ha aggiunto – è nato nello scorso decennio con un’analisi sulla crisi in atto.  Oggi si è evoluto in modo multidimensionale».

«È stato attivato – ha detto ancora – progetto per supportare diverse decine di comuni in condizioni di instabilità e di crisi. Questo fa parte della nostra missione e ci fa capire una cosa fondamentale in generale: per risolvere questa fragilità, minoritaria ma importante con quasi tutte le città medie del sud coinvolte, che si integra con un tema di fragilità generale dei comuni, occorre trovare meccanismi perequativi radicalmente diversi che tengano conto di una sperequazione di risorse molto importante».

«La nostra perequazione è formalistica, “statisticistica” – ha aggiunto – basata su dati di ingegneria. Tutto bello e vero, ma poi alla fine inefficace. Il richiamo che ci viene dalla corte costituzionale con la sentenza 115/2020 è che la crisi è anche frutto di una debolezza strutturale. Noi ancora su questo, che riguarda soprattutto Sud e le aree interne, non stiamo intervenendo abbastanza».

«Quando capiremo, come sistema-Paese – ha concluso – che questo è un elemento di forza per tutto il Paese, come dimostrano gli investimenti Pnrr, daremo un forte contributo alla stabilità economica della finanza pubblica». (ams)

Kerry Kennedy in Calabria: Una Voce per i Diritti Umani e la Pace

di ELIANA GODINO – La Calabria ha accolto con calore e partecipazione Kerry Kennedy, presidente della Fondazione dedicata al padre Bob Kennedy (assassinato mentre correva per le presidenziali Usa), nel corso di una visita che ha portato alla luce tematiche cruciali come i diritti umani e la pace. L’avvocata e attivista per i diritti umani ha partecipato a un programma di tre giorni ricco di eventi ed incontri significativi, culminati nella manifestazione “Dirittinfesta”, svoltasi dall’11 al 13 maggio.

La visita è stata orchestrata nell’ambito del Programma Calabria Terra di Pace e Fratellanza, ideato e coordinato da Adriana Grispo, che si è realizzato in due anni di preparazione. Kerry Kennedy, accompagnata dalla figlia Cara Kennedy Cuomo e dal cagnolino Bellini, ha sottolineato la straordinaria ospitalità e la bellezza dei luoghi visitati, tra cui il castello di Corigliano, che l’ha particolarmente affascinata.

Uno dei momenti più toccanti della visita è stato l’incontro al Campo di internamento Ferramonti di Tarsia, un luogo carico di storia e memoria. Qui, Kerry Kennedy ha parlato del valore dei diritti umani, esprimendo profonda commozione: «Ho un colpo al cuore quando penso che persone innocenti sono state internate qui solo perché ebree o per la loro protesta non violenta contro il regime fascista. Lo vediamo succedere ancora oggi in molte zone del mondo e con la violazione di diritti umani che non si possono più tollerare. Ciò che fa questo museo è ricordarci che dobbiamo essere vigili. Ognuno di noi può fare qualcosa contro queste atrocità».

Il ricco programma ha coinvolto diverse comunità scolastiche e ha incluso attività culturali ed educative. L’11 maggio, all’auditorium del polo liceale di Rossano, il tema L’Educazione alla Pace e la Difesa dei Diritti Umani è stato esplorato con il contributo dell’orchestra scolastica “Don Bosco di Cantinella” e del coro di voci bianche “Colors for Peace”, composto da alunni e alunne di questo e altri Istituti comprensivi della Città di Corigliano Rossano Leonetti,  Erodoto, Tieri,  Rossano 1. Inoltre, gli studenti del Liceo Classico “San Nilo” hanno presentato una performance teatrale ispirata al progetto “Speak Truth to Power” di Kerry Kennedy, rafforzando l’importanza della verità e del coraggio nel difendere i diritti umani.

Il 12 maggio, la Signora Kennedy ha visitato il Parco archeologico di Sibari, il Museo diocesano del Codex e il Museo internazionale della Memoria di Ferramonti di Tarsia. In serata, al Castelloducale di Corigliano, la settima figlia di Bob Kennedy, è stata omaggiata con una scultura in bronzo raffigurante San Francesco di Paola, opera del maestro Carmine Cianci.

Il 13 maggio ha visto una ricca mattinata di attività al Parco periurbano “Fabiana Luzzi” di Corigliano, con performance artistiche e musicali delle scuole locali. La Signora Kerry Kennedy ha partecipato attivamente, prendendo parte anche a una danza della pioggia, insieme ai ragazzi presenti. Gli stand espositivi “Speak Truth to Power” e la mostra “Colors for Peace” hanno arricchito ulteriormente l’evento, culminato con la piantumazione dell’Albero della Pace dedicato a Umberto Paradossi, “Giusto tra le Nazioni”, a cura della Sezione Fidapa di Corigliano. In questa occasione è stata realizzata a cura della stessa associazione, una raccolta farmaci da destinare.

La manifestazione ha visto la collaborazione di numerose istituzioni, tra cui il comune di Tarsia, l’associazione “Colors for Peace” di Sant’Anna di Stazzema, l’organizzazione internazionale “Robert F. Kennedy Human Rights Italia” e l’associazione internazionale di tedofori “Peace Run Italia”. Presenti anche figure istituzionali di rilievo, come il consigliere regionale Luciana De Francesco, il sindaco di Tarsia Roberto Ameruso e alcuni membri del comune di Corigliano-Rossano.

L’evento ha dimostrato l’importanza della collaborazione tra enti locali, scuole, associazioni e fondazioni nel promuovere valori di pace e diritti umani. Kerry Kennedy ha lasciato la Calabria con un messaggio chiaro: l’impegno per i diritti umani e la giustizia sociale è una responsabilità collettiva, e ogni azione, piccola o grande, può contribuire a creare un mondo più giusto e pacifico.

«La presenza del Robert F. Kennedy Human Rights in Calabria, sarà garanzia di continuità per azioni concrete, finalizzate alla diffusione della cultura del rispetto dei Diritti Umani, dell’ educazione a quella pace positiva, che non è  mera assenza di guerre guerreggiate , ma costruzione di ponti istituzionali, culturali , sociali che possono portare l’ Umanità intera verso mete di uguaglianza, equità , giustizia, come emerge dall’ Enciclica  Fratelli tutti di Papa Francesco», ha dichiarato la coordinatrice Adriana Grispo. (eg)

PONTE, QUELLE CONTINUE FAKE NEWS DI
QUANTI VOGLIONO FRENARE IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Volano gli stracci. È bastata una dichiarazione dell’amministratore delegato della società Stretto di Messina che, nel corso di un suo  intervento a Rai Radio 1, ha affermato che non sarà possibile rispettare la scadenza prevista dal decreto, convertito in legge nel maggio 2023, che prevedeva la conclusione dell’iter della progettazione esecutiva entro il 30 luglio per scatenare una canea di commenti.

Il Fatto Quotidiano, certamente capofila tra gli oppositori all’opera, ha titolato “Ponte, disfatta di Ciucci & Salvini: “Se ne riparla a fine anno” (forse).

Mentre il pensiero che aveva espresso il presidente di Libera, che il ponte invece di unire due coste avrebbe unito due cosche, viene quantificato da Leoluca Orlando, più volte primo cittadino di Palermo che dichiara: «Il Ponte è un’opera di 14 miliardi che non si farà, perché le stesse commissioni tecniche nominate dal ministero hanno sollevato più di 200 osservazioni».

E ancora, sempre Orlando: «A cosa serve allora spendere così tante risorse? Forse per prevedere due o tre miliardi per qualche progettista amico, per qualche tangente nascosta?».

Una bella tangente addirittura da due, tre miliardi. Altro che Mose di Venezia che, ideato negli anni ’80, cominciato nel duemila, ha sofferto di un sistema di tangenti scoperto tra il 2013 e il 2014.

Secondo gli inquirenti attorno al Mose sarebbero state emesse 33 milioni di euro di fatture false: almeno la metà – 16/17 milioni – sarebbero servite a pagare tangenti. Altre stime, invece, portano a ipotizzare quasi cento milioni di euro di mazzette. Una bazzecola rispetto all’uno, due miliardi di cui parla Orlando.

Siamo a numeri in libertà ovviamente, Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e portavoce di Europa Verde, non perde l’occasione e va a ruota libera.

La domanda che si pone riguarda il fatto che  un ponte che non può essere utilizzato per il trasporto non servirebbe a nulla.

Ed avrebbe ragione se non fossero parole in libertà assoluta, senza alcun fondamento reale. E poi che le grandi navi crociere non passerebbero sotto. E qui una polemica basata sul sesso degli angeli perché poi le informazioni corrette vanno in tutt’altra direzione.

Grazie alle sue ciminiere retrattili, la più grande nave da crociera del mondo, la Allure of the seas, è passata sotto al ponte Storaebelt, in Danimarca, proseguendo la sua rotta in uscita dal mar Baltico.

La nave, 225.282 tonnellate di stazza e 16 ponti, della compagnia statunitense Royal Caribbean, che è in grado di ospitare 5.400 passeggeri in 2.700 cabine aveva lasciato giovedì il cantiere Stx di Turku, in Finlandia, ed è diretta a Fort Lauderdale, in Florida, dove sarà inaugurata a fine novembre.

Il limite internazionale stabilito dall’Imo per il franco sul mare è di 65 mt; le grandi navi da crociera passano tranquillamente sotto i ponti sul Bosforo o tra Svezia e Danimarca, semplicemente abbassando le ciminiere retrattili. Inoltre possono anche alzare temporaneamente la linea di galleggiamento. Quindi anche in tal caso nulla di serio.

In realtà la società Stretto di Messina ha adottato un profilo di understatement e non replica quasi mai. Anche se tutte le informazioni corrette sono sul sito.

Non se l’è tenuta solo con Mario Tozzi e  replica alle critiche del geologo, che aveva parlato di pressappochismo sconcertante sul Ponte, con una dichiarazione piccata e pesantissima. Per rispondere alle «superficiali affermazioni di Tozzi – scrive l’ufficio stampa della società – è sufficiente andare sul sito della Stretto di Messina e scorrere le risposte alle domande frequenti di natura tecnica (passaggio treni, aspetti sismici, vento, allontanamento coste e molto altro).

In ogni caso non c’è nulla di “vecchio”, il progetto definitivo del Ponte rappresenta i massimi standard di ingegneria. Già negli anni passati — afferma la società — avevamo capito che a Tozzi l’opera non piace, ma un ponte aperto a treni e auto 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno è la migliore risposta alla domanda di un più efficiente e moderno sistema di collegamento tra la Sicilia, la Calabria e il resto del Continente. Resta però lo stupore con cui si continuano a fare citazioni prive di fondamento, come i dubbi sull’acciaio del Ponte, mai sentiti».

Insomma da qui alla chiusura della campagna elettorale del 9 giugno il ponte sarà un protagonista assoluto.

Intanto Pietro Ciucci manifesta sicurezza malgrado il fuoco di fila a cui è sottoposto: «Non cambia assolutamente nulla nell’evoluzione del procedimento. Il termine era stato fissato dal decreto del marzo 2023, poi convertito in legge, e ha fornito un orizzonte temporale importante, entro il quale andava riavviata l’intera complessa macchina della progettazione del collegamento stabile».

Non drammatizza sui piccoli ritardi: «Il progetto esecutivo sarà pronto entro la fine dell’anno, poi tutto dipenderà da quando si pronuncerà il Cipess sull’aggiornamento del progetto definitivo. Nessuna battuta d’arresto, nessuno stop imprevisto, si sta lavorando al massimo delle nostre competenze e professionalità», ribadisce l’amministratore delegato Pietro Ciucci.

Ma la telenovela continua tra attacchi concentrici  su notizie spesso false e reazioni molto contenute della società dello stretto che sembra dire “Addá passá a nuttata”.

La personalizzazione che ne ha fatto Matteo Salvini certamente bene al ponte non fa, anche se non bisogna dimenticare che se si è a questo punto, pronti per partire,  il merito maggiore è proprio del leader leghista.

Intanto prima ancora di essere costruito il ponte ha messo sotto i riflettori del Paese l’esigenza che il Sud venga infrastrutturato adeguatamente. Che per andare da Trapani a Ragusa non si impieghino più 12 ore, che è la litania dei benaltristi per dire che bisogna intervenire su strade e ferrovie siciliane. Anche se la domanda che sorge spontanea è dove erano tutti questi fautori della Trapani Ragusa quando di ponte non si parlava e perché non hanno manifestato allora a favore invece di scendere ora in piazza contro il collegamento stabile. Ma la risposta è semplice  se fossero scesi in piazza prima non sarebbero benaltristi. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud  – L’Altravoce dell’Italia]

SMART E SOUTH WORKING, LA POSSIBILITÀ
PER IL SUD CONTRO LA DESERTIFICAZIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA –  Qualcuno pensava che sarebbe stato la soluzione dei problemi di occupazione del Mezzogiorno e a quelli di intasamento del Nord del Paese. 

In realtà sono stato sempre convinto che finita l’emergenza si sarebbe ritornati alla gestione ordinaria e che tale metodo di lavoro sarebbe stato adottato soltanto dalle aziende più innovative. Anche la normativa si è adattata a tale visione e dal primo di aprile lo smart working è tornato alla gestione ordinaria.       

Eppure ormai è un piccolo esercito il numero dei lavoratori in smart working. Passati dai 570 mila del 2019 ai tre milioni e mezzo del 2023, si avvia a raggiungere i tre milioni seicentocinquantamila  entro la fine del 2024, numero che rappresenta oltre il 10% degli occupati complessivi. 

Ma la domanda che rimane in sospeso è quanto lo smart working, al di là dei numeri, possa cambiare invece veramente l’organizzazione del lavoro e influire sullo sviluppo del Sud. 

Anche se bisogna precisare che la base seria di uno sviluppo di tale area rimangono i tre pilastri di cui si è sempre parlato. E cioè il manifatturiero, il pilastro più grande di ogni progetto, sopratutto con l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, che dovrebbe essere favorita dalla Zes, adesso unica; dalla logistica che con i massicci investimenti nell’infrastrutturazione dovrebbe portare i due porti di Gioia Tauro e di Augusta a diventare i primi porti del Paese, magari permettendo che possa avvenire anche lo sdoganamento dei containers e la lavorazione dei semilavorati nei retroporti.

Ed infine un’attività turistica, trasformata nell’industria del turismo, che raggiunga numeri doppi, in termini di presenze, rispetto a quelli che si ottengono adesso, continuando ed implementando quel processo che sta attraversando la branca sopratutto nei grandi centri del Sud. 

Ma lo Smart working può essere uno strumento interessante. Perché, soprattutto molti giovani, sarebbero propensi a optare per un’organizzazione flessibile, per obiettivi. 

La possibilità di gestire al meglio gli orari, di vivere in un posto salubre che magari si ama, in villaggi interni senza dover per forza spendere la metà dello stipendio in affitto in una città, opportunamente vicini ai propri genitori, rimane un desiderio fondamentale di molti. 

Ma conclusa la fase di emergenza, determinata dal Covid, che ha permesso di lavorare da remoto anche tutti i giorni, senza alcun bisogno di ottenere il consenso del datore di lavoro, ora si torna alla “normalità”, e quindi, dal punto di vista delle procedure, all’accordo individuale con il datore di lavoro.

Ma nel frattempo la realtà del mondo del lavoro è cambiata profondamente, la possibilità di fare tutto in remoto, l’apprendimento veloce a cui ci ha obbligati la pandemia, l’implementazione degli strumenti hardware e software, ci ha fatto capire che lo spostamento, peraltro estremamente costoso ed inquinante, non è sempre necessario. 

Tanto che l’abitudine a fare riunioni in web, anche se si è nello stesso edificio, o di lasciare che i collaboratori rimangano nelle proprie case, anche se abitano nella stessa città, si è diffusa notevolmente. Con risparmi per le aziende di spazi e ed energia per illuminare e riscaldare.

Vi sono alcuni esempi virtuosi, che non possono evidentemente rappresentare modelli replicabili, ma che ci fanno capire che si è aperta una frontiera nuova, che porterà nel tempo a una diversa organizzazione del lavoro e alla globalizzazione di esso. 

Con tutti i vantaggi ma anche i pericoli che una nuova organizzazione pone. Tra i vantaggi, come detto, quello di evitare di doversi concentrare tutti nelle megalopoli, con tutti i problemi conseguenti, in termini di mancanza di controllo sociale che porta anche a maggiore forme di criminalità. 

Tra gli svantaggi una diversa distribuzione della ricchezza che porta però interessi consolidati a pressare per il ritorno in ufficio, magari per favorire chi aveva investito in immobili, o in attività commerciali o di ristorazione nei centri storici delle grandi città. Ma anche una competizione al ribasso nel costo del lavoro.

Nel 2019 è tornato in Italia da New York e si è stabilito a Milano, per lavorare in una multinazionale delle telecomunicazioni, Roberto Ceravolo, giovane ingegnere calabrese, ha deciso poi di tornare a casa, a Pizzo Calabro,  in provincia di Vibo Valentia, continuando a lavorare da là. 

Dove ha trovato una dimensione umana diversa con la vicinanza al  mare, la possibilità di ritrovare le radici e la famiglia. La sua azienda è passata da uno schema 80%/20% del lavoro agile e in presenza a uno 60% – 40%, ma con molta flessibilità. 

È così accade che chi vuole distribuisce i giorni di smart working durante la settimana. Altri vanno nella sede dell’azienda una volta al mese, che si trovi a Milano, Londra o New York.  Spesso capita che i giornalisti di una testata di Los Angeles vivano in India con notevoli risparmi in termini di retribuzione delle testate. Un mondo a parte e quando le aziende sono flessibili e adottano il lavoro agile  i risultati arrivano. 

Senza contare che i Millennials e soprattutto la Gen Z sono disposti anche a guadagnare meno pur di lavorare da remoto. La dicitura “Generazione Z” rappresenta l’ultimo elemento di una sequenza alfabetica che identifica le generazioni precedenti con le lettere X e Y ed è nata  o cresciuta  subito dopo l’11 settembre.  

Il loro rapporto particolare con il mondo digitale e la loro familiarità con le nuove tecnologie sono alcuni degli aspetti che li definiscono. 

Pur avendo chiaro che  il lavoro agile non possa essere sostitutivo di uno sviluppo dei territori del Sud, è evidente che bisogna attrezzarsi adeguatamente per far sì che questa possibilità possa essere vissuta nelle città e nelle realtà periferiche meridionali. 

L’inserimento di piccole comunità di generazione Z può essere un lievito importante per far crescere il capitale umano esistente in tali aree, per compensare quello che si perde con le partenze continue che hanno desertificato il Mezzogiorno. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Cover Story: Pippo Marra un protagonista della società dell’informazione

di SANTO STRATI – Utilizzare la parola “visionario” è persino riduttivo: Giuseppe (per tutti Pippo) Marra è molto oltre che un visionario. “Re” dell’informazione con un gruppo multimediale internazionale che porta il suo nome (GMC) non è più, da molti anni, solo il brillante giornalista e direttore che ha portato l’Agenzia Adnkronos a traguardi stellari, bensì un eccellente e apprezzatissimo manager della comunicazione globale.Con il vantaggio di conoscere, davvero come pochi, il mondo dell’informazione.

Come Presidente dell’Adnkronos, Pippo Marra ha avuto intuizione e visione nell’immaginare la realizzazione di un gruppo di comunicazione in grado non solo di fornire – cosa che fanno tutte le agenzie di stampa – materiali informativi a giornali, televisioni e media online, bensì di “produrre” contenuti (oltre che notizie, foto e video), sì da poter proporre un’offerta mondiale unica e straordinariamente completa.

È una complessa organizzazione che ha richiesto un impegno di non poco conto, ma, dietro, c’è la capacità di Pippo Marra di aver saputo interpretare e anticipare gli scenari della comunicazione, già in tempi in cui la Rete non era ancora così sviluppata. L’esperienza, l’intuito, la competenza hanno fatto il resto. In un mondo sempre più globalizzato, sempre più assediato da montagne di fake-news, riuscire a farsi notare, apprezzare, scegliere, non è sicuramente una strada percorribile da tutti.

Lo scorso anno l’Adnkronos (adn sta per “agenzia di notizie” mentre kronos era l’agenzia giornalistica di Pietro Nenni) ha festeggiato i suoi primi 60 anni. Un evento che è stato celebrato dal Presidente Sergio Mattarella e dalla Premier Giorgia Meloni e che è servito proprio a ribadire la qualità del servizio offerto (oggi anche alle aziende) là dove la comunicazione stenta ad arrivare al pubblico o viene veicolata in modo poco professionale. Comunicare significare mediare tra la fonte e l’origine della notizia e il destinatario finale: una regola che si applica ovviamente, in primo luogo, al giornalismo, ma si attaglia perfettamente al progetto ideato e ottimamente realizzato da Pippo Marra.

In occasione del 60° anniversario, Marra ha scritto sul bel libro celebrativo una frase importante: «In tutti questi anni, Adnkronos si è globalizzata. Ha raccontato il nostro Paese e ha attraversato le sue frontiere. Passo dopo passo, abbiamo sviluppato la nostra attività instaurando rapporti di collaborazione con i principali operatori dell’informazione e della conoscenza in giro per il mondo. Ben sapendo che, di questi tempi, il mondo fa parte della quotidianità di ogni Paese e che a cavallo di quei confini occorre imparare a muoversi con professionalità, competenza, curiosità, passione civile».

Senza trascurare – aggiungiamo noi – il grande orgoglio delle proprie origini. Pippo Marra è calabrese (è nato a Castel Silano, nel Crotonese), dalla testa ai piedi. Un illustre figlio della sua amatissima terra. Un protagonista che non mai smesso di sottolineare la sua appartenenza e il suo amore per la terra che gli ha dato i natali.

Un altro dei figli di Calabria, andato via a conquistare (e c’è riuscito) il mondo, a raggiungere il successo, grazie anche a quel particolare dna che caratterizza tutti noi calabresi. Quella proprietà biologica innata che racchiude la voglia di arrivare, di vincere e farsi valere, contro qualsiasi stupida forma di ghettizzazione (un tempo da subire, senza scampo) e di razzismo. Negli anni Cinquanta a Torino apparivano sull’uscio della case “Non si affitta a meridionali” ed era avventuroso esibire la propria provenienza. Eppure, in tanti hanno saputo contrastare con la propria capacità e la voglia di successo le isterie antimeridionaliste, raggiungendo traguardi impensabili: medici, scienziati, ricercatori, uomini delle Istituzioni, artisti, poeti, letterati, etc.

Pippo Marra appartiene a quella schiera di calabresi, orgogliosi e cocciuti, forti di un senso di appartenenza unico (e da tutti invidiato) che ha reso forse più difficile il percorso, ma alla fine ha rivelato la qualità di tanti personaggi , che oggi possono e devono rappresentare un modello ideale per le nuove generazioni.

Cavaliere del Lavoro, padre entusiasta di due gemelli oggi sedicenni, una vita movimentatissima, ma riservata e sempre un passo indietro, secondo la vecchia scuola. Il racconto del suo successo è avvincente.

– L’Adnkronos è un gruppo consolidato e autorevole, conosciuto in tutto il mondo. Quanto deve questo successo alla sua calabresità?

«Non ho bisogno di ricordare il legame che ho con la mia terra e le mie radici. Per me è motivo di conforto e anche un po’ di vanto. La calabresità, se così vogliamo chiamarla, fa parte della mia vita e della mia personalità. D’altra parte, come si dice oggi, il mondo è “glocal”, un impasto di ragioni ataviche e di apertura verso altri territori e altre culture. L’importante è non dimenticare mai le proprie origini. Tanto più quando quelle stesse origini appartengono a un’infinità di persone che si sono distinte e realizzate trovandosi a dover uscire dai propri confini di casa.

È stato il mio caso, e quello di moltissimi altri. Molti dei quali hanno dato lustro alla loro terra anche da lontano, migrando e piantando radici in mondi lontani».

– Come spiega questo forte di appartenenza che caratterizza tanti uomini e donne che hanno raggiunto posizioni apicali, in ogni parte del mondo, che si scopre hanno in comune l’origine calabrese?

«La Calabria è una terra di grande autenticità. Una terra a volte ferina ma sempre generosa. Che ti lascia dentro un’impronta che non viene mai sbiadita per quanto ti capiti di approdare altrove. L’emigrazione in un certo senso (qualche volta un senso amaro) fa parte del nostro destino. Ma per quanto si giri il mondo ci resta sempre dentro l’anima una traccia profonda del nostro passato, delle nostre famiglie, dei nostri ricordi. Vale per molti luoghi, è ovvio. Non voglio essere troppo campanilista. Ma quella traccia la si ritrova particolarmente in una gran quantità di calabresi che hanno fatto i mestieri più diversi. Spesso con risultati che meritano almeno un pizzico di orgoglio di campanile».

– Lei è nato nel Crotonese, a Castelsilano, un paesino con meno di 1000 anime. Conoscendo la sua riservatezza, è troppo chiederle di ricordare luoghi e persone della sua vita?

«Non amo mai parlare troppo di me. Un certo grado di riservatezza fa parte anch’esso di quelle radici di cui parlavo prima. Sono i fatti che parlano di noi più di quanto non facciano il nostro orgoglio e il nostro compiacimento.

Ho molti amici, moltissime persone a cui sento di dovere tantissimo. Li ricordo quotidianamente, senza mai esibire troppo i miei sentimenti. Mi viene da dire che anche questo fa parte di un certo spirito calabrese. Quanto alla mia famiglia, mia moglie, i miei figli, ho la fortuna di godere del loro amore infinito e di poterlo infinitamente ricambiare. Non c’è bisogno, credo, di aggiungere altro».

– Roma ha rappresentato la grande svolta. La sua Agenzia stava vicino ai Palazzi del potere e ne riferiva puntualmente e in modo imparziale segreti, vizi e virtù. Come ha conquistato il suo spazio tra i giornali, facendosi largo tra le due Agenzie di stampa più importanti?

«Non mi sento così vicino alla Roma dei palazzi. Li conosco, li esploro, qualche volta ovviamente li frequento. Ma la forza e il valore di una grande fonte di comunicazione, quale è l’Adnkronos, sta soprattutto nella sua capacità di scrutare un mondo più vasto di quello che domina le prime pagine. Stiamo raccontando il potere, cercando di decifrare la sua evoluzione. E uno dei nostri privilegi è la costante interlocuzione con quelle forze e quegli ambienti che possono fare la differenza in ragione del peso che hanno nei destini del mondo e del nostro Paese».

– Il medagliere di ogni giornalista, qualche volta, è fatto di scoop. Ne possiamo ricordare qualcuno che l’ha vista protagonista?

Da questo punto di vista, se posso citare un episodio, uno solo, è l’intervista che a suo tempo ci concesse il Santo Padre, parlando per la prima volta con un’agenzia di stampa. Molte delle cose che Papa Francesco ha rivelato nel suo libro, appena dato alle stampe, si possono rintracciare in quella conversazione lontana, che a suo tempo destò grande curiosità. Ma il mondo è fatto anche da tante altre voci e il nostro compito è appunto quello di rivelarne tutta la complessità».

– Dall’Agenzia di Notizie (Adn) al Gruppo Marra Comunicazione. Ci racconti questo percorso e quanti e quali personaggi l’hanno aiutata o creato difficoltà? È nota la sua profonda amicizia col Presidente Cossiga. Che ricordo conserva?

«Lei mi ricorda che c’è un lungo percorso alle mie spalle ed è ovvio che di quel percorso facciano parte tante amicizie e tanti legami. Con il presidente Cossiga ho avuto una lunga consuetudine, fin da prima che diventasse Capo dello Stato, e lungamente anche dopo, negli anni che per lui furono più amari.

Ricordo con emozione tante conversazioni che spaziavano dai destini politici agli aspetti più umani, quasi intimi. Cossiga era un uomo di profonda cultura, di grande passione pubblica ma anche di umanità curiosa, affettuosa, mai banale. Ho sempre tenuto per me quelle conversazioni ed esse continueranno a restare dentro di me, come a sottolineare un patto di mutua, amichevole riservatezza che ci ha sempre legato.

Da lui ho impaurato molto e considero uno dei grandi privilegi della vita essere stati così vicini nelle contingenze e nelle vicissitudini più diverse – e più appassionanti – che abbiamo attraversato.

– Il Palazzo dell’Informazione a piazza Mastai, a Roma, è il suo gioiello. Com’è nata l’idea e come l’ha poi realizzata?

«Si cresce, ci si espande e tutto questo a volte diventa più visibile, quasi simbolico. Il Palazzo dell’informazione è un luogo di incontro tra persone che hanno le conoscenze e le esperienze più varie. Da parte mia, ovviamente, c’è un certo orgoglio nel vedere anche fisicamente, logisticamente, la crescita del nostro gruppo. Ma ricordo sempre che tutto questo non lo facciamo mai da soli. Ci confrontiamo con persone e mondi che sono spesso al di fuori della nostra routine lavorativa. Aver pensato a un ambiente nel quale le persone potessero trovarsi a proprio agio, scambiarsi opinioni e risultati, confrontarsi con le più diverse sensibilità resta un punto fermo della nostra politica. Il Palazzo lo evidenzia, ma non lo imprigiona. Non è un castello crociato di quelli che si edificavano nel lontano Medio Evo. Piuttosto è una frontiera che si attraversa quotidianamente e liberamente. In questo è davvero un luogo simbolico. Evoca un’accoglienza, mai una chiusura. Lo vedo e lo vivo come un pezzo della nostra identità sempre in cammino».

– Roma è la città più grande della Calabria: ci vivono circa 600 mila calabresi. E tra questi: illustri chirurghi, scienziati, grand commis di Stato, uomini delle Istituzioni, personaggi dell’economia, della finanza, dell’Università, della politica. Chi frequenta e chi sono i suoi amici più cari?

«Di amici ne ho e ne ho avuti tanti. Ma tutti questi nostri legami per me non sono mai per me la ragione di un’esibizione, tanto meno di un’ostentazione. Il mio carattere e la natura del mio lavoro mi spingono a dialogare a tutto campo, ad avere curiosità per le persone più diverse, a stringere amicizie anche con chi svolge attività e coltiva pensieri diversi dai miei. L’ho già detto e mi ripeto. Non amo mettere in vetrina i miei legami, non lo considero appropriato. Quello che conta, per me, è lavorare in squadra, valorizzare le persone con cui condivido la fatica, aprirmi ad ambienti nuovi.

Non si costruisce nulla nell’isolamento e nella solitudine. E il mestiere di comunicare si fonda appunto principalmente sull’apertura verso il prossimo. Di qui non discendono vincoli di complicità, obblighi troppo stretti. Semmai il gusto di scoprire aspetti inediti. Diciamo che in questo caso le amicizie sono una metafora della esperienza lavorativa. E il fatto di aver incontrato tanti amici avendoli conosciuti prima per ragioni professionali è una delle caratteristiche più interessanti di questo lavoro. Laddove il pubblico e il privato finiscono per interfacciassi e per crescere insieme. Non sempre all’unisono, ma quasi.

Anche in questo caso la “calabresità” è parte di questo sodalizio che lega tra loro persone diverse ma con radici comuni».

– Per concludere: un sogno nel cassetto? Quanti ne ha realizzati e cosa ha ancora in mente di fare?

«Di sogni ne ho coltivati tanti e ho avuto la fortuna di realizzarne più d’uno. Ma il vero sogno è quello di non fermarsi, di non dormire sugli allori, di non tirare mai i remi in barca. I miei collaboratori lo sanno. Sono una persona appagata ma anche inquieta, ansiosa. Non sono abituato ad accontentarmi. Penso che dentro ognuno di noi ci sia una molla che spinge sempre ad andare oltre, a cercare nuovi territori, a migliorare se stessi. Per quanto è possibile, s’intende.

È il mito di Ulisse, che non per caso approda anche in Calabria. Alla mia età potrei guardare indietro con una certa soddisfazione e decidere che ci si può accontentare. Ma poi invece ci si rende conto che dentro di noi c’è una molla che spinge ad andare sempre oltre. Un po’ per ambizione, forse. Un po’, meno, per abitudine. E un po’, di più, molto di più, perché ci si sente infine legati agli altri. Alle persone con cui si lavora, a quelle che abbiamo incontrato quasi per caso, a quelle che ci hanno sorpreso, alle moltissime a cui ci siamo affezionati e verso di cui ci sentiamo in debito. A quel punto si riprende la navigazione e si cerca un’altra rotta, un altro approdo.

Sapendo che neppure questo, però, sarà mai definitivo». (s)

“UNA VIA DELL’ACQUA” IN CALABRIA PER LA
VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE NATURALI

di GIOVANNI LAMANNA – La Calabria è ricchissima  di sorgenti ed in ogni comune sono presenti le fontanelle con l’acqua di sorgente. 

Presso le sorgenti pubbliche si recavano gli abitanti dei paesi e delle città, con le “vozze” ed i“varrila” a rifornirsi d’acqua per le necessità di casa, far abbeverare gli animali o a lavare i panni.

La maggior parte di questi luoghi risultano ora abbandonati, “siccati”  e invasi da erbe, rovi cespugli e di conseguenza non fruibili dalla popolazione.

La pubblicità e la cattiva gestione delle acque ci hanno spinti verso il consumo di acqua imbottigliata, definita “minerale”, bibite gassate ed ogni altra bevanda confezionata con abbondanza di plastica. L’Italia è il primo paese in Europa ed il secondo al mondo per consumo di acque minerali.

Il dato di valore reale dei tanti prodotti, confezionati con abbondanza di plastica è trascurabile, tanto che vengono definiti “prodotti spazzatura”.  Per indurre all’acquisto di questi prodotti, la pubblicità li associa a valori positivi,  come “sicurezza”,  “salute”,  “ bellezza”,  in modo da renderli desiderabili.  

Questa spinta ad un consumo condizionato, che non riguarda solo le acque,  comporta gravi problemi di inquinamento ambientale e l’aumento dei costi  dello smaltimento dei rifiuti che viene scaricato sulla collettività. Le plastiche, le microplastiche e nano-plastiche hanno un impatto pericoloso su ogni aspetto della vita sulla Terra del quale non abbiamo una sufficiente percezione e presa coscienza. 

Proviamo ad immaginare una semplice famiglia di quattro persone che beve acqua minerale, una bottiglia a persona al giorno, quante bottiglie di plastica espelle come rifiuti e quanto inquinamento produce, aggiungendo che l’acqua spesso proviene da regioni come il Piemonte o il Trentino, dove viene imbottigliata, caricata su camion, che a loro volta inquinano in primis le zone delle sorgenti e nel percorso, tutto il territorio nazionale.

Eppure  i criteri per definire le acque potabili pubbliche, ovvero l’acqua del rubinetto e quelle delle sorgenti pubbliche forniscono ogni garanzia per la salute ed in seguito decreto 18 del 23/02/2023 sono ancora più sicure. Di recente è stato adottato il limite definito dall’Oms, di 0,1 mg litro per la presenza di arsenico minerale, considerato cancerogeno.

Le sorgenti pubbliche rappresentano per la Calabria una risorsa importante ed un pezzo di storia che stiamo letteralmente gettando alle ortiche. La proposta di recupero di questi luoghi non ha alcun contenuto o motivazione nostalgica, ma al contrario si vuole partire dalle  risorse naturali e ambientali sostenibili per inserirle nel processo di  transizione ecologica in corso.

Come movimento politico Italia del Meridione individuiamo l’elemento “acqua” come tema di partenza per il recupero e la valorizzazione delle risorse naturali della Calabria.

A partire dall’analisi delle risorse ambientali del territorio, andrà fatto un  censimento delle varie sorgenti ed una valutazione su quali fonti  siano recuperabili e sia opportuno rimettere in funzione. Ognuno di questi luoghi potrà essere ripensato aggiungendo  elementi che lo rendano accogliente e funzionale , come una tettoia dove ripararsi in caso di maltempo, uno spazio per la sosta  ove gli spazi lo consentano, una bacheca dove lasciare messaggi, qualche  panca, un minimo di cura del verde, magari un impianto fotovoltaico che fornisca energia compensi  i costi di manutenzione. Le informazioni sulla composizione organolettica delle acque di ogni singola fontana, fornite da Arpacal, dovrebbero essere fruibili con semplicità attraverso un codice QR in prossimità della fontana.

In alcuni progetti già presenti in Italia, come “la via dell’acqua” di Capannori, le fontane hanno un sistema di sterilizzazione a raggi Uv che elimina la carica batterica dell’acqua senza alterarne le caratteristiche chimico fisiche.

Questi luoghi potranno ritornare ad essere luoghi di incontro delle comunità intorno ad un “bene comune” realmente utille e fruibile. 

Proponendo l’insieme delle fontane calabresi, così rimodulate e reinventate, collegate, ove il territorio lo consenta, da piste ciclabili e da indicazione di strutture ricettive o attività particolari dei vari luoghi, si andrebbe a strutturare un percorso coerente per livello di qualità, su tutto il territorio regionale. Avremo utilizzato un punto di forza della regione Calabria, ovvero le acque di sorgente, per renderla ulteriormente  attrattiva per il turismo ambientale. 

Immagino che ognuna di queste realtà naturali, possa essere affidata (anche investendo qualche risorsa) alla cura di associazioni locali, oppure ad attività commerciali o semplici cittadini che lo richiedano, in modo da mantenerle vive ed evitando il degrado e l’abbandono.

L’insieme del sistema delle fontane e dell’acqua di sorgente avrebbe un effetto positivo sulla salute prima di tutto, sulla consapevolezza del valore della propria terra, sulla socialità, sull’economia. Le risorse impiegate sarebbero un buon  investimento rapidamente  recuperabile dal maggior afflusso turistico e dall’energia prodotta, dalla riduzione dei consumi di acqua imbottigliata e dalla riduzione dei  costi di smaltimento della plastica.

Anche sul piano culturale sono importanti per decodificare i luoghi, leggerli attraverso l’esperienza, il  sapore e la freschezza delle nostre acque di sorgente. L’amore e l’educazione  al rispetto  dell’ambiente si costruiscono attraverso la fisicità della persona oltre che dall’istruzione. 

Ho appreso che a questi luoghi, spesso è collegata una storia, una leggenda, una fiaba, che andrebbero  recuperate per rafforzarne l’autenticità. 

La descrizione di questa idea, immagino sia sufficientemente chiara ed è benvenuto ogni contributo culturale o tecnico che si riterrà di aggiungere, da parte di associazioni, istituzioni, singoli cittadini, alle mie considerazioni da profano.

Ho inteso, con questo intervento, lanciare una pietra nell’acqua stagnate della politica  per evitare che una “ricchezza” naturale così importante vada dimenticata. 

La Calabria è bellissima. (gl)

[Giovanni Lamanna è responsabile Ambiente – Direzione Regionale Calabria “Italia Del Meridione]

UNA CALABRIA “SCONOSCIUTA”: È SEMPRE
MENO SUGGERITA PER LE GITE SCOLATICHE

di GUIDO LEONECon l’arrivo della primavera per molte classi delle scuole, in particolare medie e superiori, sono iniziate le partenze per il classico viaggio d’istruzione. Ci riferiamo alle gite scolastiche di più giorni, il viaggio d’istruzione per eccellenza che gli studenti ricorderanno per sempre nella loro vita.

Il viaggio d’istruzione non è solo una opportunità di divertimento, ma è soprattutto una tappa importante per la maturazione e la crescita degli alunni. Ed è per questo che organizzare un viaggio d’istruzione e scegliere la meta non è mai semplice. 

Il problema, per gli scolari di oggi, è che se ne fanno sempre meno. Le gite scolastiche, anche per le scuole reggine e calabresi, stanno diventando merce rara. La conferma giunge anche dal sondaggio, edizione 2024, effettuato da Skuola.net secondo il quale per 1 studente su 2, anche quest’anno il viaggio di istruzione con pernotto fuori probabilmente resterà un miraggio.

Al 31% di loro la scuola ha già comunicato che non si partirà, l’8% rinuncerà a titolo personale (per sua scelta o della famiglia), il 12% è in attesa di capire cosa accadrà con poche speranze residue visto che siamo già alla fine del mese. E, tra questi, una quota consistente – circa 1 su 4 – probabilmente non farà neanche la meno impegnativa escursione dalla mattina alla sera. Una situazione, questa, del tutto simile a quella rilevata l’anno scorso.

E chi non parte? Il 46% ha dovuto rinunciare a malincuore al viaggio. I motivi? Il fattore docenti è ancora quello predominante: in 4 caso su 10 sono proprio i prof a far saltare la gita, rifiutandosi di accompagnare le classi. Nel 17% dei casi ci sono questioni disciplinari alla base dello stop delle partenze. I motivi economici si aggiungono ,poi, a quelli legati alle paure del terrorismo.

Per una fetta consistente di loro (il 12%) la rinuncia è dovuta alle difficoltà economiche della famiglia, che non può permettersi di pagare la quota. Caro – prezzi che, in qualche modo, ha condizionato anche quel 7% che, pur in presenza di una proposta di viaggio da parte della sua scuola, non parte perché non si è raggiunto un numero minimo di adesioni.

Come meta principale per le gite scolastiche, si conferma lItalia, specie alle scuole medie. Complessivamente, il 57% ha puntato una località del nostro Paese (l’80% nel caso delle secondarie inferiori), con le città in cima alle preferenze che sono le città d’arte come Firenze  (12%), seguita da Napoli (10%) e Roma (10%). Più giù fra le mete troviamo Palermo (6%), Torino e Trieste (entrambe al 5%). 

Le gite all’estero comunque rimangono una valida alternativa: il 43% degli studenti, infatti, organizzerà  una visita nelle capitali europee con Berlino, Londra, Praga, Atene, Vienna e Budapest in cima alle preferenze al 6%. A seguire Madrid, Barcellona e Amsterdam (4%).

Cosa ha portato alla scelta finale della meta? Nel 67% dei casi è stato l’interesse culturale del posto. Ma il 22% ha preferito puntare sulle città più economiche.

I viaggi di istruzione di oggi sono corti, per lo più in Italia, e con mezzi di trasporto quanto più economici possibili. Per quasi la metà dei partecipanti (46%) , la gita non si prolungherà oltre i tre giorni. Poco più di 1 su 5 potrà allungare la permanenza fuori fino a quattro giorni. Solo 1 su 3 riuscirà a prolungarla dai cinque giorni in su. Nel 2023 solo il 48% degli studenti delle scuole secondarie è riuscito a intraprendere un viaggio di istruzione da uno o più giorni fuori casa. 

Tutto questo si tramuta in un budget totale che varia tra i 200 e i 600 euro.

I consigli di istituto devono quindi tenere conto dei costi, al momento della scelta degli itinerari. Quest’anno  inoltre è stato possibile chiedere il bonus fino a 150 euro messo a disposizione dal ministero dell’istruzione per le famiglie meno abbienti con un reddito Isee inferiore ai 5mila euro.

Complessivamente, il ministero ha messo a disposizione 50 milioni di euro. Non appena la scuola saprà quanti bonus ha ricevuto e per quali studenti, potrà poi ricalcolare la spesa della gita per ogni ragazzo che ha diritto al buono.

Anche quest’anno i paesi italiani si confermano nuove mete del turismo culturale scolastico. Infatti, oltre alle città d’arte più importanti, sono proposte come mete di gite anche i centri abitati più piccoli, pensiamo ai borghi italiani che rappresentano una grande risorsa culturale ed economica per il paese da cui partire per innovare e creare comunità resilienti e partecipate e orientare il turismo culturale scolastico non solo verso le destinazioni tradizionali.

Ormai  da anni non si riesce ad  invertire la tendenza che costantemente vede la Calabria quasi mai indicata come meta principale di un viaggio d’istruzione con pernottamento. Poche sono infatti, le scolaresche del Nord che visitano i nostri luoghi pur ricchi di storia, e quant’altro.

La nostra regione viene, di fatto, bypassata. 

Ma ancor più stupefacente é verificare che gli studenti calabresi sconoscono per la maggior parte di loro la Calabria nel suo vasto variegato  patrimonio, naturale, storico, architettonico. 

Le istituzioni scolastiche della regione dovrebbero favorire sempre più gite e viaggi d’istruzione nelle varie località calabresi.

In tal senso, può venire incontro una legge regionale più puntuale e  direi più rigorosa in termini di vincoli, per l’erogazione del supporto finanziario a favore di quelle scuole che inseriscono nei loro programmi attività mirate o scambi culturali all’interno della regione e si impegnino a restituire in termini di elaborazione culturale il frutto dell’esperienza realizzata.

Credo che anche la datata legge regionale sulla  incentivazione del turismo montano, che ripropone anche per l’anno in corso il suo sostegno economico (317.000 euro per le richieste di  88 istituti calabresi e 28 provenienti da altre regioni) alle scuole di ogni ordine e grado, vada ampliata al resto del territorio calabrese e rivisitata anche in questa ottica. Una normativa premiale in questo senso potrà essere vincolata, per esempio, alla validità di una ricerca, di una significativa testimonianza di impegno presentata dalle scuole e che si intende realizzare  in quella determinata parte del territorio.

Dobbiamo, quindi, avere il coraggio di dare al turismo scolastico un senso più profondo e strutturato. 

Ma bisogna avere anche un altro coraggio: certificare la validità delle gite scolastiche. 

Ci deve essere, in pratica, un soggetto terzo che dica se ci sia un rapporto positivo o meno tra il modello di un gita e la finalità che si vogliono perseguire. Ciò vuol dire, ovviamente, anche togliere dal circuito delle proposte di viaggio quegli itinerari che non raggiungono certi livelli qualitativi di educazione.

Ma anche la volontà istituzionale di motivare e incentivare i docenti con la reintroduzione dell’indennità di missione e lo sgravio delle responsabilità, invitandoli allo stesso tempo a conoscere prima di tutto la propria regione di residenza e poi l’Italia.

Se i giorni della gita sono una parentesi senza collegamenti con la didattica in classe, ovunque si vada ha poco senso. Se, invece, si crea un’aspettativa attraverso attività di preparazione e poi si pone un obiettivo, una attività da svolgere durante e dopo il viaggio, allora c’è un significato che può unire i ragazzi, oltre al fatto buono e giusto di socializzare e divertirsi. (gl)

[Guido Leone è già ispettore tecnico Usr Calabria]