di SIMONA CARACCIOLO – La Festa del Lavoro è trascorsa appena da qualche giorno e tuonano i dati che vedono la Calabria tra le peggiori in Europa per disoccupazione, 4 giovani su 10 senza lavoro (statistiche Eurostat). Regione undicesima per morti sul lavoro con una incidenza del 5,7%.
L’ultima rilevazione dell’Istat sui dati dell’occupazione in Italia è relativa a febbraio 2022, e fa registrare, rispetto al mese precedente, la crescita del numero di occupati che si associa alla diminuzione dei disoccupati e degli inattivi. L’aumento dell’occupazione (+0,4%, pari a +81mila) coinvolge uomini, donne, dipendenti a termine, autonomi e under50; calano invece i dipendenti permanenti. Il tasso di occupazione sale quindi al 59,6% (+0,3 punti). La percentuale sale, scende, oscilla di poco, continuando a scoraggiare i calabresi in cerca di occupazione.
Esistono gli strumenti giusti per attuare quella che è ‘l’occupabilità’, ovvero la possibilità di creare, per chi entra o chi è fuoriuscito dal mercato del lavoro, una competenza specifica che possa essere spesa lì dove realmente serve. Attraverso lo studio dei dati prelevati dall’Osservatorio ED si riesce a fotografare in tempo reale quella che è la condizione dell’occupazione in Calabria. Pertanto, diventa fondamentale e particolarmente efficace mettere a regime strumenti come l’osservatorio, unitamente alle altre fonti di elaborazione statistica sui dati del sistema del mercato del lavoro, come l’Osservatorio sul lavoro sommerso, sul lavoro femminile, sul lavoro minorile, perché attraverso la lettura dei dati si potranno indirizzare le politiche del lavoro sul territorio calabrese. Misure tese a disciplinare le relazioni di interdipendenza tra domanda e offerta di lavoro nonché interventi volti a incentivare e agevolare tale incontro mediante azioni di sostegno a favore dei soggetti in cerca di prima o di nuova occupazione o mediante la previsione di modelli contrattuali che, tramite opportune regolamentazioni, sono destinati alla promozione dell’impiego di specifiche categorie di soggetti e dell’occupazione in generale.
L’azione della pubblica amministrazione assume un ruolo preminente nella programmazione e nella gestione di adeguate politiche economiche finalizzate ad accrescere le attività e gli investimenti produttivi territoriali oltre a prevenire e arginare il grave fenomeno della disoccupazione.
Infatti, come la Vicepresidente Giusi Princi ha fortemente voluto “la rivoluzione regionale del comparto lavoro passa inevitabilmente da quella che è la riforma dei Centri per l’Impiego, per cui sono stati investiti quasi 40 milioni di euro, con l’obiettivo di creare i presupposti necessari per attuare politiche attive a misura di cittadino”. Bisogna creare un modello fattivo e funzionale dei servizi pubblici per l’impiego che sono gli avamposti delle Istituzioni sul territorio e, come tali, devono rispondere in maniera incisiva.
È importante colmare il divario tra le regioni del Sud Italia ed il resto della penisola ma anche permettere al territorio di poter parlare di etica del lavoro, offrendo al soggetto la possibilità di esprimere la propria personalità in quello che fa lavorando.
Come sosteneva Karl Marx, il duro lavoro e la diligenza hanno un beneficio morale e un’abilità, una virtù o un valore intrinseci per rafforzare il carattere e le capacità individuali.
L’etica del lavoro, quale filone dell’utilitarismo nasce, alla fine del Settecento, in ambito etico e grazie ad esso viene elaborata la centralità del concetto di utilità (è buono ciò che è utile). Il buono è l’utile. Agisce bene ed è felice, quindi, colui che massimizza la propria utilità.
La pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi del mercato del lavoro hanno cambiato ogni scenario futuro e i paradigmi del passato sono diventati desueti e inefficaci. Oggi, occorre intraprendere un percorso di umanizzazione dei processi organizzativi e aziendali che mettano al primo posto l’integrità umana. Sempre più aziende sembrano oggi aver compreso che dal loro crescente potere derivano implicazioni etiche e responsabilità sociali. Talvolta il rapporto tra etica e lavoro deve andare al di là del perimetro legislativo, mettendo in atto scelte aziendali che seguano la propria sensibilità etica qualora non ci fosse una norma che tuteli i lavoratori e le lavoratrici.
Il lavoro etico deve tener conto di molteplici fattori, le esigenze di business dell’azienda e le esigenze personali e sociali del lavoratore. La linea guida è il benessere comune, il fine ultimo quello di valorizzare l’esistenza umana. Ciò vuol dire rispettare il principio della vita, “lavorare per vivere” e “non vivere per lavorare”. L’uomo in quanto persona, non è un mezzo ma un fine e, in quanto tale, precede il mezzo.
I principi etici e morali di cui le aziende devono dotarsi sono la flessibilità, la sostenibilità ambientale, il digital transformation, e non ultima l’umanità. Se non si costruisce una politica di “ascolto” ma una linea di puro raggiungimento del business, si rischia di soffocare la parte “umana” del collaboratore e delle collaboratrici. In questo sistema di etica aziendale, è fondamentale la guida del leader, sia per l’azienda che per i dipendenti.
La chiave sta nel capire quanto il benessere del lavoratore possa aumentarne il rendimento. L’agire etico perseguito dall’azienda vuole essere, quindi, un incentivo razionale per cercare di capire non solo cosa sia giusto fare, ma anche il “perché” sia necessario farlo. L’obiettivo primario è quello di far sì che sia introdotta anche una valutazione etica, sia nel decidere i propri comportamenti sia nel valutare quelli degli altri, unendo in questo modo la sfera morale a quella manageriale, le responsabilità individuali a quelle dell’Azienda e la sfera professionale a quella organizzativa.
Questo significa avviare una rivoluzione che sia profonda non solo per la possibilità occupazionale regionale ma anche per un importante cambiamento culturale delle aziende calabresi. (sc)
[Simona Caracciolo è esperta di Politiche Attive del Lavoro]