di ENZO MAIORANA – Per essere cittadini di uno stesso Stato non è sufficiente il solo abitare lo stesso territorio ma bisogna anche avere gli stessi diritti, le stesse opportunità e una uniformità sociale e economica.
Voi ritenete che i Meridionali e, quindi, i Calabresi, sotto questo profilo possano considerarsi cittadini italiani? Anche per il più superficiali degli osservatori la risposta non può che essere negativa. Rispetto al resto d’Italia, infatti, questi hanno un reddito pro capite del 50% inferiore, povertà assoluta e relativa doppia disoccupazione generale, femminile e giovanile, del 100% in più. Al quale si aggiunge quella totale carenza di infrastrutture, dalla mobilità ad internet, per non parlare dei servizi primari ed essenziali, come la sanità e la scuola.
Lo Stato pro capite dà ogni anno ai cittadini della: Liguria euro 2054; Valle d’Aosta euro 2015; Emilia Romagna euro 1909; Lombardia euro 1904; Campania euro 1723; Calabria euro 1748; Sicilia euro 1765.
Il quadro è, quindi, chiarissimo! Basta fare la differenza tra la Calabria e un’altra regione, moltiplicarla per il numero di abitanti e si vede quanto i calabresi ricevano in meno ogni anno. Ad esempio, 581 milioni e 400 mila euro l’anno in meno rispetto ai liguri.
La domanda, allora, è quella iniziale: “Questo significa essere cittadini dello stesso Stato?”
Come conseguenza delle carenze di infrastrutture e di servizi la Calabria e le regioni del Sud non sono competitive per la nascita e lo sviluppo delle attività imprenditoriali, da qui l’alta disoccupazione e l’alta emigrazione. Ogni anno decine di migliaia di giovani sono costretti ad abbandonare luoghi e persone care, nella speranza di una vita e di un lavoro dignitoso. “Questo significa essere cittadini dello stesso Stato?”
Lo schiaffo più grande arriva da poi dalla famigerata Legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale, nota come legge sulla ‘Spesa Storica’, approvata dal Parlamento. La quale ha stabilito che le risorse dello Stato fossero distribuite ai cittadini delle varie regioni non secondo la percentuale di popolazione, che avrebbe rispettato i dettami costituzionali, ma sulla base proprio di questo criterio. Molto sinteticamente: le regioni che negli anni precedenti avessero speso di più, avrebbero ricevuto di più e di meno chi avesse speso meno. L’inganno è dunque svelato.
In pratica lo Stato ha stabilito per legge che i cittadini delle regioni povere dovessero essere sempre più povere e al contrario i cittadini delle regioni del Nord sempre più ricchi. Questo ha permesso che ogni anno venissero dati al Sud 61 miliardi di euro in meno ogni anno dal 2009. Al 34,3% della popolazione (Sud) arriva il 28,3% della spesa pubblica e al 65,7% della popolazione (Nord) il 71,7 per cento della spesa pubblica.
Il presidente della Svimez Giannola, qualche mese ha ufficialmente ammesso che ai cittadini del Sud rispetto alla percentuale di popolazione dal 2000 al 2019 sono stati dati 840 miliardi di euro in meno rispetto a quella del centro-nord.
La verità è questa! Il popolo meridionale è da sempre considerato ‘suddito’, in questo tradito anche e prevalentemente dai propri parlamentari e da una classe politica inadatta, se non compiacente.
Da qui nasce l’esigenza e l’obbligo morale di mettere fine a questo sistema di cose e di riportare il Meridione nell’agenda politica del governo nazionale. L’Italia del Meridione, da una prospettiva auspicabile, negli anni, si è concretizzata in un progetto politico vero e reale e oggi è una realtà politica che si pone e si propone come valida alternativa al potere di una classe politica fallimentare e allarga il suo orizzonte d’azione travalicando anche i confini nazionali. Già nell’identificazione del proprio nome ha inteso promuovere e si fa portavoce dell’Unione del Meridione, un’inversione non soltanto di termini ma di prospettive, dove non si parla o si scrive sul Meridione ma si agisce per esso e significa soprattutto rimarcare l’appartenenza e il ruolo di un programma che rilanci l’Unione del Paese fin qui negata. Senza separatismi e federalismi secessionisti, di bossiana memoria, negati dai principi stessi della nostra Costituzione, che esalta invece l’Unione delle Autonomie, dove si esprima l’esigenza imprescindibile delle soggettività territoriali autonome. Si tratta di pensare un modello istituzionale partecipativo, per una confederazione democratica delle autonomie, senza confini, senza esclusioni. “L’Unione è ormai la cifra di una politica nuova in corso di storia”, questo il messaggio e il progetto racchiuso in IdM e che si presenterà e opporrà a qualsiasi altra forma di gestione centralista e lobbista, di quella politica calata dall’alto e di chi intende “usare” il Sud come emblema di farse e falsi proclami. La partita, in questo momento, è decisiva. O si guarda al sud nell’interesse nazionale o questo Paese è destinato ad implodere su stesso!. (em)