di GIUSEPPE DE BARTOLO – L’Italia, fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, è stato un paese profondamente segnato dall’emigrazione. In questo lungo periodo di tempo si sono avute due ondate emigratorie. La prima, composta in prevalenza da spostamenti oltre oceano, si contraddistinse per l’alta intensità degli espatri. La seconda, a partire dalla metà degli anni ’50, si distinse per una più contenuta intensità e con prevalenza dei flussi verso l’Europa.
Agli inizi degli anni ’70, l’Italia, per la prima volta nella sua storia, registra un saldo migratorio positivo che aumenta nel tempo, e si trasforma via via da paese di emigrazione in paese in prevalenza di accoglienza, anche se i trasferimenti di residenza degli italiani all’estero, pur rimanendo modesti, non si esauriscono del tutto, superando le 100 mila unità annue solo di recente. Nello stesso tempo però si osservano importanti cambiamenti nel profilo di coloro che trasferiscono la loro residenza all’estero.
I nuovi emigranti hanno infatti un livello d’istruzione sempre più elevato; compaiono nuove figure come quella dei nonni-genitori che trascorrono periodi sempre più lunghi all’estero con figli e nipoti; quella del migrante maturo rimasto disoccupato e lontano dalla pensione che si trasferisce per lavoro; del migrante di rimbalzo, cioè colui che dopo anni vissuti all’estero ripercorre per vari motivi la via inversa; il migrante previdenziale che risiede per lunghi periodi in paesi dove esiste una politica di defiscalizzazione e condizioni sociali, economiche e climatiche più favorevoli. Questo processo ci ha consegnato uno stock di italiani residenti all’estero importante sia dal punto di vista numerico che sociale e economico, la cui conoscenza resta ancora parziale perché le fonti statistiche e amministrative di riferimento sono lacunose e disomogenee fra di loro.
Le principali sono: l’Archivio delle Anagrafi consolari (titolarità Ministero Affari Esteri); la rivelazione degli italiani all’estero (titolarità Ministero Affari Esteri); l’Archivio centrale dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero – Aire (titolarità Ministero dell’interno). Quest’ultima è lo strumento di riferimento più importante per studiare questo fenomeno ed è stato il supporto statistico di tutti i Rapporti Italiani nel Mondo elaborati dalla Fondazione Migrantes, l’ultimo dei quali, il XVII, è stato presentato al pubblico proprio in questo mese di novembre.
La mobilità degli italiani che si trasferiscono all’estero presenta un trend crescente dal 2014 al 2019, anno in cui gli espatri raggiungono il valore di 131mila unità. Ad emigrare sono in prevalenza i maschi e i giovani dai 18-34 anni. Nel 2020 e nel 2021 la pandemia ha causato una sensibile riduzione degli espatri, riduzione che ha interessato in modo particolare la fascia dei giovani. Nel corso del 2021 il 78,6% di chi ha lasciato l’Italia per espatrio è andato in Europa, il 14,7% nelle Americhe (con particolare preferenza per l’America latina, 61,4%), mentre il restante 6,7% si è diviso tra continente asiatico, Africa e Oceania. Nello contempo lo stock degli italiani residenti all’estero è aumentato dell’86,9% in quindici anni (cioè da 3.106.251 del 2006 a 5.806.068 della fine del 2021).
Se l’esame si sposta ora a livello regionale, constatiamo che la Calabria è una tra le regioni con un’importante comunità di residenti all’estero (437.447 iscritti all’Aire al 1/1/2022, metà dei quali vivono in Argentina, Germania e Svizzera) e, anche se ciò deriva in parte dalla sua storia migratoria, su questo dato ha comunque inciso la nuova mobilità, che è cresciuta nel tempo e ha interessato soprattutto la fascia giovanile. Confrontando le strutture delle popolazioni regionali residenti all’estero si osserva che quella calabrese è la più matura – 27,5% di ultra 65enni, percentuale che raggiunge il 47% con gli ultra cinquantenni – a conferma che su di essa hanno inciso i flussi emigratori avvenuti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, mentre non è trascurabile il peso dei giovani (19,7%, 18-34 anni). La Calabria, inoltre, occupa il terzo posto nella graduatoria delle regioni per incidenza del fenomeno (32,5%), rapporto tra gli iscritti all’Aire e la popolazione residente, preceduta solo da Basilicata (25,9%) e Molise (32,5%).
I Comuni calabresi che hanno comunità di residenti all’estero numericamente importanti, superiori alle 5mila unità, sono Corigliano Rossano, Lamezia Terme, Reggio Calabria e San Giovanni in Fiore, Montalto Uffugo, mentre nella graduatoria per incidenza spicca Paludi con popolazione residente all’estero più che doppia rispetto alla sua popolazione residente (incidenza del 212,9%); seguono poi molti piccoli comuni interni come San Pietro in Amantea, Scala Coeli, Torre Vecchia, Torre di Ruggiero, Mammola, Santa Domenica Talao, Carfizzi, Staiti, Belmonte Calabro, Bocchigliero, Pizzoni, Simbario, Dinami, Cardinale, Orsomarso, Savelli, Fiumara, Candidoni, Aiello Calabro, Alessandra del Carretto, Mottafollone, con una incidenza del 100% e oltre ed altri ancora con elevata incidenza, a dimostrazione di quanto l’emigrazione passata e quella più recente, soprattutto giovanile, abbiano contribuito a rendere la Calabria terra con un forte spopolamento e con un acuto malessere demografico.
Tratti ai quali è difficile porre rimedio senza attivare incisive politiche sociali e economiche di lungo periodo che abbiano come obiettivo quanto meno temperare lo spopolamento dei piccoli centri, ed evitare così che, dopo tre secoli, sia ancora valida l’affermazione di Giuseppe Maria Galanti che nel 1972, visitando la regione, scriveva che essa era un “vero stato di deserto”. (gdb)
[Giuseppe De Bartolo è già Ordinario di Demografia all’Unical]