«La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone».
C’è da domandarsi, rileggendo le parole di papa Francesco, quanta – e soprattutto quale – credibilità sia rimasta alla sanità calabrese dopo le vicende, affatto edificanti, delle ultime settimane. In Calabria la sanità ha il volto dei tanti che, nei paesi come negli ospedali, intendono il loro lavoro come missione: medici, infermieri, personale sanitario. Tuttavia manca – da 20 anni almeno – un sistema organizzato e dignitoso che garantisca il diritto alla salute.
Si dirà: cose calabresi, colpa della ‘ndrangheta, frutto degli appetiti della politica. Vero, ma limitare cause e responsabilità a questi fattori significherebbe perpetuare lo status quo. La questione va affrontata in maniera articolata. La pandemia ha messo in risalto due criticità. La prima: tra il 2010 ed il 2019 la sanità pubblica è stata sottoposta, in Italia, ad un corposo definanziamento, pari a quasi 37 miliardi. È pur vero che nello stesso periodo il fabbisogno nazionale è lievitato di 8,8 miliardi, ma altrettanto lo è il dato per cui questo aumento si è rivelato inferiore alla crescita dell’inflazione, non riuscendo a garantire l’invarianza del potere d’acquisto. A farne le spese anzitutto il personale, sottoposto in fase di formazione al numero chiuso e poi falcidiato dal blocco del turn over e dei contratti, con il risultato che molti professionisti hanno scelto di optare per il privato. Così il sistema pubblico si è indebolito e costa ancor di più alle finanza pubblica. A degenerare, poi, anche la relazione tra Stato e Regioni, diventata un continuo terreno di scontro tra le parti.
Questa situazione nelle terre calabresi ha toccato punte drammatiche, in qualche caso grottesche. Come se ne esce? Se fatti e misfatti qualcosa hanno insegnato, è che dalla palude si può venir fuori solo rimettendo la salute al centro degli obiettivi pubblici. Per far ciò, servono cambiamenti radicali: rinnovamento della selezione per l’ammissione all’Università, riduzione degli sprechi, chiarezza e regole nuove nel rapporto tra pubblico e privato, investimenti sul personale, soprattutto in direzione dell’etica e della bioetica.
Questa ricetta vale per l’Italia, ma in modo particolare in Calabria: per quanto importante, non basta qualche miliardo in più per rimettere in piedi la baracca. Nulla si rivelerà sufficiente se non si sceglierà di intervenire, col coraggio necessario, su criteri di organizzazione, informatizzazione, monitoraggio, investimento. E per far questo, un sol uomo non basta. Insomma, l’uscita dall’emergenza non può e non deve essere un ritorno al pregresso, bensì occasione per aprire una fase nuova, tutti ognuno per la sua parte, tenendo a mente il monito di Martin Luther King: «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla».
mons. Vincenzo Bertolone
arcivescovo Diocesi Catanzaro-Squillace
Presidente Conferenza Espiscopale Calabrese
Presidente Conferenza Espiscopale Calabrese