CLAMOROSO ADDIO DI MONS. BERTOLONE
OBBLIGATO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE

dalla REDAZIONE ROMANA – La clamorosa rinuncia al governo pastorale di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e presidente della Commissione Episcopale Calabra, tanto inaspettata quanto repentina, in realtà nasconde l’obbligo alle dimissioni immediate partito dalla Santa Sede, c’è chi dice addirittura da Papa Francesco. Di fatto, mons. Bertolone ha lasciato in tutta fretta, troppa fretta, il palazzo apostolico (è da ieri a Roma), con la morte nel cuore e un’amarezza senza fine. Prima di andar via ha diffuso alla stampa una parte del lungo messaggio di addio che ha scritto di getto, senza acrimonia verso alcuno, da cui però trapela un forte senso di disagio. Cosa è successo e cosa c’è dietro alle tante notizie incontrollate – in gran parte suggestive ipotesi lanciate da qualche inaffidabile sito online per raccogliere un po’ di click – è difficile poterlo individuare in queste ore. Certamente, c’è un gruppo di potere, all’interno della Chiesa catanzarese, che ha contribuito a esasperare una situazione che solo pochi avevano intuito essere estremamente esplosiva.

Un elemento lascia pensare a qualcosa di molto serio: mons. Bertolone, cristianamente, ha accettato l’imposizione romana e mollato subito la sede apostolica. In genere, anche quando le dimissioni vengono “sollecitate” (se non richieste d’imperio, come in questo caso) si lascia anche un pur minimo margine di tempo, per salvare le apparenze e dar modo al dimissionario di uscire onorevolmente. Cosa che in questo caso non è avvenuta e già basterebbe tutto ciò a far pensare a qualcosa di “clamoroso”. Di sicuro non è una rinuncia volontaria – come s’intuirebbe da quanto scritto dall’arcivescovo nel suo messaggio di commiato – bensì si tratta di dimissioni obbligate e richiesta dall’“alto”.

Da ricordare che lo scorso mese di luglio c’erano state altre clamorose dimissioni in ambito ecclesiastico: il vescovo di Mileto-Nicotera mons. Luigi Renzo aveva lasciato ufficialmente per motivi di salute, ma molte voci parlavano di contrasti sulla gestione del nuovo Santuario di Paravati dedicato alla mistica Natuzza Evolo. Al suo posto è stato nominato il palmese Attilio Nostro (in forza alla Santa Sede), che sarà nominato vescovo a San Giovanni in Laterano il prossimo 25 settembre.

Giusto alcuni mesi fa, mons. Bertolone era stato riconfermato Presidente della CEC, la conferenza episcopale calabra e tra qualche settimana avrebbe dovuto officiare la beatificazione di due catanzaresi don Francesco Paolo Gravina e madre Vincenzina Cusmano della cui causa era stato postulatore. Il 2 novembre compirà 75 anni che è l’età stabilita dalla Chiesa per “pensionare” il clero ma, da più parti, si prevedeva una “prorogatio” di qualche anno in attesa della nomina del nuovo arcivescovo. Invece, mons. Bertolone è stato costretto a lasciare “immediatamente” il suo uffizio.

Mons. Bertolone è nato a San Biagio Platani, in provincia di Agrigento ed è stato ordinato sacerdote a Palermo nel 1975. Prima di diventare arcivescovo di Catanzaro era stato arcivescovo della diocesi di Cassano allo Ionio. Questo “terremoto” nella chiesa catanzarese avrà di sicuro uno strascico e bisognerà aspettarsi sviluppi non meno clamorosi della vicenda.

Laconico il comunicato della Santa Sede: «Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro-Squillace (Italia), presentata da S.E. Rev.ma Mons. Vincenzo Bertolone».

A ‘colmare’ il vuoto lasciato da Mons. Bertolone, l’Arcivescovo di Crotone-Santa Severina, mons. Angelo Raffaele Panzetta, che è stato nominato amministratore apostolico dell’Arcidiocesi di Catanzaro. Ad annunciarlo, lo stesso Mons. Panzetta, che «ha espresso il proprio ringraziamento al Santo Padre per la fiducia in lui riposta – si legge in una nota della Diocesi – desideroso di impegnarsi al meglio, per il tempo che sarà necessario, a servizio della Chiesa di Catanzaro-Squillace. A mons. Vincenzo Bertolone il nuovo amministratore apostolico ha rivolto parole di ringraziamento per il servizio svolto come pastore della chiesa di Catanzaro-Squillace».

«Ho assunto il nuovo incarico  – ha dichiarato mons. Panzetta, in un messaggio indirizzato all’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace – con un amore grande verso il Santo Padre che, con tale decisione, mi ha manifestato fiducia e incoraggiamento, e anche con una vera gratitudine verso mons. Bertolone che per tanti anni ha guidato con passione la vostra Chiesa bella e gloriosa».

«Vengo tra voi nel nome del Signore – ha aggiunto – e con i sentimenti di un padre e di un fratello, per accompagnare la comunità intera in questo tempo denso di speranza in attesa che sia scelto il nuovo Arcivescovo».

«La prima cosa che mi permetto di chiedere a tutti i fedeli – prosegue il messaggio mons. Panzetta – è il dono della preghiera: in tutte le comunità si moltiplichi l’invocazione dello Spirito, perché ci aiuti a riconoscere i segni della volontà di Dio e le opportunità di grazia seminate nella storia inedita che stiamo vivendo».

Al vertice della Conferenza episcopale calabra, invece, dovrebbe subentrare l’attuale vicepresidente, mons. Francesco Milito, attualmente vescovo della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. (rrm)

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La lettera di commiato di mons. Vincenzo Bertolone

Carissimi, mentre lascio il servizio pastorale nell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, ripeto, adattandolo, quanto, domenica 12 settembre 2021, papa Francesco ha detto ai giornalisti accreditati sul volo da Roma a Budapest: «Questo volo ha un po’ il gusto del congedo». “Duc in altum – Prendi il largo” (Lc 5,4), ripete Gesù oggi a me, come ad ogni Vescovo e a ciascuna Comunità diocesana. È questo, nel giorno del congedo e dello A-Dio, il momento favorevole per un nuovo slancio spirituale e pastorale, non velleitario, ma basato sulla forte e profonda esperienza della Grazia, da vivere intensamente nell’anno giubilare in ricordo dell’istituzione della Cattedra episcopale nella nostra città.

Oggi mi congedo da Voi, con i quali ho lealmente collaborato per la difesa dei beni comuni e, in particolare della legalità e della giustizia, nella comune costruzione della civiltà umana nella nostra amata Calabria. Vi ringrazio per le tante forme di vicinanza che avete voluto mostrare non soltanto alla mia povera persona, ma all’ufficio che, in nome di Gesù Cristo, ho svolto in questi dieci anni nel nostro territorio. “La vita è sogno” la più famosa tra le commedie di Pedro Calderón de la Barca può fungere da sigla del nostro A-Dio: il sogno di una società più giusta, più amica della natura, senza mafie, né corruzione e né sopraffazioni, capace di un abbraccio collettivo, di un annuncio di misericordia a chi sconta pene in carcere, rimettendo al centro di tutto passione, lungimiranza, soluzione dei problemi e politica seria. Ci sono i sogni soltanto onirici e i sogni profetici, quelli che lo Spirito Santo invia per prefigurare un cambiamento.

Ecco il sogno e la speranza profetica per i nostri tempi qui in Calabria: costruire un’altra società fondata sul rispetto e l’aiuto reciproco, sulla speranza per i giovani e sulla consolazione per gli anziani e gli emarginati. Ed i cattolici, che non debbono fare solo gli spettatori o le comparse, continuino a dare, come mi sono sforzato di fare anch’io con le mie umili e quasi nulle possibilità, il loro contributo, sprigionino le energie umane e spirituali migliori da offrire come forma di servizio non solo agli italiani, ma all’Europa e al mondo, dal momento che noi cristiani, vescovi, preti, consacrati e laici, viviamo non fuori, ma dentro la città. In questo senso, facciamo politica. Del resto, come ha scritto papa Francesco per la Giornata della pace 2019: “La politica è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro  la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione”.

Mentre vado via, mi ritornano in mente, uno ad uno, i volti delle donne e degli uomini dei più svariati settori, con i quali sono entrato in contatto, a partire dai collaboratori più stretti di Curia, in particolare il vicario giudiziale e i membri dell’équipe formativa del Seminario minore arcivescovile. In primo luogo, ripenso ai volti carissimi dei confratelli arcivescovi e vescovi, sia titolari che emeriti, con i quali ho condiviso la leale collaborazione per la progettazione pastorale regionale nella Conferenza Episcopale Calabra. Inoltre, ritornano in mente i volti dei sindaci di Catanzaro e Squillace) il dott. Abramo e dott. Muccari, i volti di , sindaci e amministratori di ogni livello, che portano la “croce” del servizio alla loro città. A tutti, quelli di ieri e di domani ripeto: lavorate per Catanzaro e per i paesi dell’hinterland arcidiocesano. Con i miei confratelli Vescovi e Arcivescovi, abbiamo già scritto: «La Calabria va continuamente liberata da mali antichi, e curata in modo nuovo, perché le realtà sofferte nei vissuti di ognuno sembrano scendere dai campanili delle nostre Chiese e versarsi sulle coste dei nostri mari, metafora di un continuo ritorno, nelle distese di argilla: metafora di movimenti sempre franosi, di scontro con l’asperità dei monti, simbolo della durezza della nostra storia. Questa nostra terra, segnata da grandi contraddizioni e contrasti, ha bisogno di risanare, con una terapia intensiva, l’azione amministrativa e politica, puntando a curare quei mali che non hanno più l’ossigeno di respiro verso il bene comune; di debellare la sempre vegeta preoccupazione degli interessi privatistici, per come le cronache degli ultimi tempi ci raccontano».

E tu, Catanzaro, città amata, per questi dieci anni di episcopato residente, alla vigilia di una nuova tornata elettorale, svegliati! Guarda lontano, e riconquista il tuo storico ruolo di raccordo tra culture e poteri. Scegli per tua guida politica soltanto chi si mostra disinteressato, disposto a mettere a servizio di tutti serietà, preparazione professionale, dedizione e generosità. Vado altresì ripensando ai volti del Prefetto dottoressa Maria Teresa Cucinotta per la leale collaborazione a quelli dei responsabili delle forze dell’Ordine: il questore dott. Mario Finocchiaro, il Generale di brigata della GdF Guido Mario Geremia per la delicata attenzione e il Generale di brigata Andrea Paterna, comandante della Legione dei Carabinieri, il capo della Squadra Mobile, della Polizia Stradale, e di quanti ogni giorno soprintendono alla nostra sicurezza. Grazie dal profondo del cuore. Saluto e ringrazio, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri ed il procuratore aggiunto vicario della Repubblica, Vincenzo Capomolla: con la loro solerte, instancabile e indipendente attività investigativa, cercano di frenare sul nascere l’attecchimento della zizzania criminale, mafiosa e corrotta, che attossica il buon campo della città e della provincia, corrodendone il grano e frutti buoni, il presidente della Corte d’Appello, i direttori degli Istituti Penitenziari “Ugo Caridi e Silvio Paternostro”, i responsabili dell’Esercito Italiano, dei Vigili del Fuoco, della polizia Municipale, delle associazioni di volontariato di ogni ramo. Il mondo della prevenzione dei reati, delle giuste e legittime sanzioni a chi sbaglia non mi fa dimenticare i volti di coloro che hanno sbagliato e sono in condizione di privazione della libertà personale.

Saluto i carcerati e le carcerate, e vi ripeto ancora: è sempre possibile cambiare vita. Saluto i cappellani delle carceri che con amore e sacrificio offrono il loro servizio per aiutare i carcerati al cambiamento radicale di vita. Saluto i dirigenti, medici, paramedici, infermieri, personale ausiliare degli ospedali, ringraziandoli per quanto fanno a beneficio degli ammalati, unitamente ai cappellani che non cessano mai di stare accanto a chi soffre, soprattutto in questo tempo di pandemia. A tutti rivolgo un affettuoso saluto, pregate per me come io continuerò a fare per voi. Un saluto al Magnifico Rettore, e quanti si adoperano per la crescita intellettuale dei giovani.

Rivedo poi i volti dei giornalisti e degli operatori della comunicazione, che ringrazio per la cortese attenzione alle scelte pastorali del Vescovo e della Conferenza Episcopale Calabra. In particolare, ringrazio i direttori del Quotidiano del Sud, della Gazzetta del Sud che dal novembre 2007 ospita una mia breve riflessione settimanale”, ringrazio anche i responsabili e gli addetti delle testate online regionali e locali ed in particolare (Corriere della Calabria, Catanzaroinforma, Nuova Calabria) per catanzaresità molto attente alle questioni del nostro territorio.

Rivedo, saluto, ed assicuro il mio ricordo verso i volti dei vecchi e dei nuovi poveri, a motivo della pandemia sanitaria, che sono venuti a bussare alle porte dell’Episcopio e delle strutture Caritas. Non mi sfuggono, infine, i volti di tutti coloro che a diverso titolo il Signore ha messo sul mio cammino. Ognuno è stato per un appello dall’alto, una sollecitazione a riconoscere i segni dei tempi, un invito a ricordare che, sulle orme del Pastore bello, esisto soltanto per asciugare qualche lacrima, incoraggiare gli sfiduciati, testimoniare, con umiltà, la nostra fede. (rrm)

 

 

Il clamoroso addio dell’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone

«Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro-Squillace (Italia), presentata da S.E. Rev.ma Mons. Vincenzo Bertolone». Lo ha reso noto il bollettino della Sala Stampa Vaticana.

A ‘colmare’ il vuoto lasciato da Mons. Bertolone, l’Arcivescovo di Crotone-Santa Severina, mons. Angelo Panzetta, che è stato nominato amministratore apostolico dell’Arcidiocesi di Catanzaro. Ad annunciarlo, lo stesso Mons. Panzetta, che «ha espresso il proprio ringraziamento al Santo Padre per la fiducia in lui riposta – si legge in una nota della Diocesi – desideroso di impegnarsi al meglio, per il tempo che sarà necessario, a servizio della Chiesa di Catanzaro-Squillace. A mons. Vincenzo Bertolone il nuovo amministratore apostolico ha rivolto parole di ringraziamento per il servizio svolto come pastore della chiesa di Catanzaro-Squillace».

«Ho assunto il nuovo incarico  – ha dichiarato mons. Panzetta, in un messaggio indirizzato all’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace – con un amore grande verso il Santo Padre che, con tale decisione, mi ha manifestato fiducia e incoraggiamento, e anche con una vera gratitudine verso mons. Bertolone che per tanti anni ha guidato con passione la vostra Chiesa bella e gloriosa».

«Vengo tra voi nel nome del Signore – ha aggiunto – e con i sentimenti di un padre e di un fratello, per accompagnare la comunita’ intera in questo tempo denso di speranza in attesa che sia scelto il nuovo Arcivescovo».

«La prima cosa che mi permetto di chiedere a tutti i fedeli – prosegue il messaggio mons. Panzetta – è il dono della preghiera: in tutte le comunità si moltiplichi l’invocazione dello Spirito, perché ci aiuti a riconoscere i segni della volontà di Dio e le opportunità di grazia seminate nella storia inedita che stiamo vivendo».

La lettera di commiato di Vincenzo Bertolone

Carissimi, mentre lascio il servizio pastorale nell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, ripeto, adattandolo, quanto, domenica 12 settembre 2021, papa Francesco ha detto ai giornalisti accreditati sul volo da Roma a Budapest: «Questo volo ha un po’ il gusto del congedo». “Duc in altum – Prendi il largo” (Lc 5,4), ripete Gesù oggi a me, come ad ogni Vescovo e a ciascuna Comunità diocesana. È questo, nel giorno del congedo e dello A-Dio, il momento favorevole per un nuovo slancio spirituale e pastorale, non velleitario, ma basato sulla forte e profonda esperienza della Grazia, da vivere intensamente nell’anno giubilare in ricordo dell’istituzione della Cattedra episcopale nella nostra città.

Oggi mi congedo da Voi, con i quali ho lealmente collaborato per la difesa dei beni comuni e, in particolare della legalità e della giustizia, nella comune costruzione della civiltà umana nella nostra amata Calabria. Vi ringrazio per le tante forme di vicinanza che avete voluto mostrare non soltanto alla mia povera persona, ma all’ufficio che, in nome di Gesù Cristo, ho svolto in questi dieci anni nel nostro territorio. “La vita è sogno” la più famosa tra le commedie di Pedro Calderón de la Barca può fungere da sigla del nostro A-Dio: il sogno di una società più giusta, più amica della natura, senza mafie, né corruzione e né sopraffazioni, capace di un abbraccio collettivo, di un annuncio di misericordia a chi sconta pene in carcere, rimettendo al centro di tutto passione, lungimiranza, soluzione dei problemi e politica seria. Ci sono i sogni soltanto onirici e i sogni profetici, quelli che lo Spirito Santo invia per prefigurare un cambiamento.

Ecco il sogno e la speranza profetica per i nostri tempi qui in Calabria: costruire un’altra società fondata sul rispetto e l’aiuto reciproco, sulla speranza per i giovani e sulla consolazione per gli anziani e gli emarginati. Ed i cattolici, che non debbono fare solo gli spettatori o le comparse, continuino a dare, come mi sono sforzato di fare anch’io con le mie umili e quasi nulle possibilità, il loro contributo, sprigionino le energie umane e spirituali migliori da offrire come forma di servizio non solo agli italiani, ma all’Europa e al mondo, dal momento che noi cristiani, vescovi, preti, consacrati e laici, viviamo non fuori, ma dentro la città. In questo senso, facciamo politica. Del resto, come ha scritto papa Francesco per la Giornata della pace 2019: “La politica è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro  la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione”.

Mentre vado via, mi ritornano in mente, uno ad uno, i volti delle donne e degli uomini dei più svariati settori, con i quali sono entrato in contatto, a partire dai collaboratori più stretti di Curia, in particolare il vicario giudiziale e i membri dell’équipe formativa del Seminario minore arcivescovile. In primo luogo, ripenso ai volti carissimi dei confratelli arcivescovi e vescovi, sia titolari che emeriti, con i quali ho condiviso la leale collaborazione per la progettazione pastorale regionale nella Conferenza Episcopale Calabra. Inoltre, ritornano in mente i volti dei sindaci di Catanzaro e Squillace) il dott. Abramo e dott. Muccari, i volti di , sindaci e amministratori di ogni livello, che portano la “croce” del servizio alla loro città. A tutti, quelli di ieri e di domani ripeto: lavorate per Catanzaro e per i paesi dell’hinterland arcidiocesano. Con i miei confratelli Vescovi e Arcivescovi, abbiamo già scritto: «La Calabria va continuamente liberata da mali antichi, e curata in modo nuovo, perché le realtà sofferte nei vissuti di ognuno sembrano scendere dai campanili delle nostre Chiese e versarsi sulle coste dei nostri mari, metafora di un continuo ritorno, nelle distese di argilla: metafora di movimenti sempre franosi, di scontro con l’asperità dei monti, simbolo della durezza della nostra storia. Questa nostra terra, segnata da grandi contraddizioni e contrasti, ha bisogno di risanare, con una terapia intensiva, l’azione amministrativa e politica, puntando a curare quei mali che non hanno più l’ossigeno di respiro verso il bene comune; di debellare la sempre vegeta preoccupazione degli interessi privatistici, per come le cronache degli ultimi tempi ci raccontano».

E tu, Catanzaro, città amata, per questi dieci anni di episcopato residente, alla vigilia di una nuova tornata elettorale, svegliati! Guarda lontano, e riconquista il tuo storico ruolo di raccordo tra culture e poteri. Scegli per tua guida politica soltanto chi si mostra disinteressato, disposto a mettere a servizio di tutti serietà, preparazione professionale, dedizione e generosità. Vado altresì ripensando ai volti del Prefetto dottoressa Maria Teresa Cucinotta per la leale collaborazione a quelli dei responsabili delle forze dell’Ordine: il questore dott. Mario Finocchiaro, il Generale di brigata della GdF Guido Mario Geremia per la delicata attenzione ed il Generale di brigata Andrea Paterna, comandante della Legione dei Carabinieri, il capo della Squadra Mobile, della Polizia Stradale, e di quanti ogni giorno soprintendono alla nostra sicurezza. Grazie dal profondo del cuore. Saluto e ringrazio, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri ed il procuratore aggiunto vicario della Repubblica, Vincenzo Capomolla: con la loro solerte, instancabile e indipendente attività investigativa, cercano di frenare sul nascere l’attecchimento della zizzania criminale, mafiosa e corrotta, che attossica il buon campo della città e della provincia, corrodendone il grano e frutti buoni, il presidente della Corte d’Appello, i direttori degli Istituti Penitenziari “Ugo Caridi e Silvio Paternostro”, i responsabili dell’Esercito Italiano, dei Vigili del Fuoco, della polizia Municipale, delle associazioni di volontariato di ogni ramo. Il mondo della prevenzione dei reati, delle giuste e legittime sanzioni a chi sbaglia non mi fa dimenticare i volti di coloro che hanno sbagliato e sono in condizione di privazione della libertà personale.

Saluto i carcerati e le carcerate, e vi ripeto ancora: è sempre possibile cambiare vita. Saluto i cappellani delle carceri che con amore e sacrificio offrono il loro servizio per aiutare i carcerati al cambiamento radicale di vita. Saluto i dirigenti, medici, paramedici, infermieri, personale ausiliare degli ospedali, ringraziandoli per quanto fanno a beneficio degli ammalati, unitamente ai cappellani che non cessano mai di stare accanto a chi soffre, soprattutto in questo tempo di pandemia. A tutti rivolgo un affettuoso saluto, pregate per me come io continuerò a fare per voi. Un saluto al Magnifico Rettore, e quanti si adoperano per la crescita intellettuale dei giovani.

Rivedo poi i volti dei giornalisti e degli operatori della comunicazione, che ringrazio per la cortese attenzione alle scelte pastorali del Vescovo e della Conferenza Episcopale Calabra. In particolare, ringrazio i direttori del Quotidiano del Sud, della Gazzetta del Sud che dal novembre 2007 ospita una mia breve riflessione settimanale”, ringrazio anche i responsabili e gli addetti delle testate online regionali e locali ed in particolare (Corriere della Calabria, Catanzaroinforma, Nuova Calabria) per catanzaresità molto attente alle questioni del nostro territorio.

Rivedo, saluto, ed assicuro il mio ricordo verso i volti dei vecchi e dei nuovi poveri, a motivo della pandemia sanitaria, che sono venuti a bussare alle porte dell’Episcopio e delle strutture Caritas. Non mi sfuggono, infine, i volti di tutti coloro che a diverso titolo il Signore ha messo sul mio cammino. Ognuno è stato per un appello dall’alto, una sollecitazione a riconoscere i segni dei tempi, un invito a ricordare che, sulle orme del Pastore bello, esisto soltanto per asciugare qualche lacrima, incoraggiare gli sfiduciati, testimoniare, con umiltà, la nostra fede. (rrm)

 

L’editoriale dell’Arcivescovo Bertolone: le competenze dei giovani e le elezioni

Designata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2014, la Giornata mondiale delle competenze dei giovani (World Youth Skills Day) 2021 si svolge il 15 luglio; per i giovani catanzaresi è la vigilia della grande festa patronale di san Vitaliano le cui reliquie, percorrendo i punti cardinali della città fino al quartiere più disagiato, intende ricordare a tutti come si possa essere capaci, seppur vilipesi e addirittura al centro di attentati alla vita: insomma, è possibile risorgere dalle proprie ceneri e ricominciare, magari altrove, una nuova vita. L’ONU, con la sua Giornata, vorrebbe richiamare l’attenzione della comunità internazionale e lanciare un appello sull’urgenza di colmare il gap tra formazione e mercato del lavoro. Il contesto generale di riferimento è, sul punto specifico, difficile, anche perché le misure di pandemia e blocco economico da Covid-19 hanno portato alla chiusura mondiale di tante istituzioni di istruzione e formazione tecnica e professionale, minacciando la continuità dello sviluppo delle competenze dei nostri ragazzi e giovani. In Calabria – dati Istat – più di un terzo delle famiglie (il 32,7 per cento) non dispone ancora di un accesso ad Internet da casa; il 62,1 per cento tra le persone in età di 6 anni e oltre fa utilizzo di Internet: un dato che resta alquanto inferiore rispetto alla media nazionale, che va incrociato con l’altro dato di fatto, per cui le due fonti principali di reddito delle famiglie calabresi restano le pensioni e trasferimenti pubblici e il lavoro dipendente.

Il tema delle competenze è, frattanto, diventato pane quotidiano per coloro che lavorano nelle istituzioni scolastiche, soprattutto nelle istituzioni di istruzione e formazione tecnica e professionale. Si tratta di riconoscere e celebrare l’importanza di dotare i più giovani di tutte le competenze necessarie a trovare un posto nel mondo, contribuendo così a svilupparlo e a trasformarlo. Capabilities o competenze – parole messe a fuoco soprattutto da Marta Nussbaum – evocano l’etichetta di Capabilities Approach (CA): ovvero un approccio o modo di affrontare le tematiche etico-politiche basandosi sullo sviluppo e sulla possibilità di vivere una vita degna per l’individuo, a partire da quelle che sono definite – appunto – capacitazioni, ovvero dei “modi di agire, fare ed essere, che costituiscono tipicamente la vita umana e la distinguono da altre forme di vita reali o possibili” (come ricorda un esperto del Formez). A partire dall’intuizione originaria e universale della dignità della persona come fine in quanto alimentata dalla libertà della ragione e del rispetto degli altri (legato all’appartenenza, e implicante la responsabilità), si ottiene dunque la definizione delle capacità e le successive distinzioni interne tra esse. Ovviamente gli specialisti descrivono una soglia minimale e una soglia massimale di capacità. La soglia minimale definisce addirittura il confine tra umano e non umano (sono implicati: vita, salute e integrità fisica; sensi, immaginazione e pensiero; sentimenti; ragion pratica e appartenenza; rispetto per le altre specie; gioco; controllo del proprio ambiente, partecipazione, proprietà privata, lavoro, giustizia). Tale soglia, ovviamente, va difesa in nome dell’intuizione iniziale del rispetto della persona come fine. Quella massimale comprende tutte le possibilità che la singola persona ha a disposizione nella sua “dotazione personale” al fine di raggiungere un livello di sviluppo che corrisponda finalmente alle sue possibilità.

Tra noi, l’ostacolo maggiore allo sviluppo delle capacità giovanili sta nella disoccupazione, che spesso è un effetto perverso della mancata o ritardata scolarizzazione. 260 milioni di bambini, adolescenti e giovani sono, nel mondo, tuttora esclusi dal sistema scolastico e formativo. La maggior parte di loro vive nell’Africa subsahariana o in Asia meridionale. In Italia, un giovane su undici, tra i 15 ed i 24 anni, non studia, non lavora, non fa un apprendistato, né alcun tipo di formazione. Spesso questi ragazzi provengono già da famiglie disagiate, e non hanno alcun supporto o incoraggiamento per continuare una formazione adeguata. In linea generale i ragazzi rappresentano il 25% del totale della popolazione in età lavorativa, e il 40% dei disoccupati. In Calabria gli iscritti al sistema di istruzione sono 289.404, di cui i giovani della scuola secondaria di I e di II grado rappresentano insieme il 52,5 per cento del totale.

A chi può far gola l’incompetenza di tanti ragazzi, se non agli affaristi dell’illegalità, che pullulano laddove le mafie cercano manovalanza incolta a basso prezzo? Se nel 2016 c’erano ben 259 milioni di giovani classificati come NEET (la sigla sta per “neither in employment nor in education or training”, o “not in education, employment or training”) ciò vuol dire che gli inattivi, coloro che non studiano, non lavorano e non seguono una formazione professionale, vanno ad accrescere un numero che continuerà a salire a circa 273 milioni nel 2021. Di fronte a queste tendenze, cosa ci attendiamo nella società post-Covid-19, quando i giovani saranno chiamati a contribuire alla ri-partenza, alla transizione ecologica, allo sforzo generale di recupero, e lo potranno fare soltanto se dotati delle competenze per gestire con successo le sfide in evoluzione e della resilienza per adattarsi alle interruzioni future? In Calabria, rispetto ai NEET 15-34 anni del 2004, i dati Istat del 2020 hanno finalmente registrato un lieve calo (ma pur sempre superiore a 100); tuttavia, non va dimenticato che l’intero Mezzogiorno supera in percentuale i 32 punti.

Il recupero delle capacità avviene – bisogna convincersene – soltanto con la scolarizzazione e la formazione. Invece, dopo dodici mesi di pandemia acuta, davanti ai nostri occhi c’è soltanto un bollettino di guerra: solo in Italia duecentomila studenti risultano usciti dalla scuola, dalla primaria alle superiori; alcuni sono spariti dall’anagrafe scolastica e, per lo più, destinati a rimanere fuori da ogni percorso formativo e professionalizzante. I veri indicatori della scuola italiana vanno, inoltre, misurati nella presenza/mancanza di scuolabus, nella presenza di trasporti pubblici urbani e interurbani, nei servizi di trasporto di persone con disabilità, per non dire dei vincoli di paesaggio o idrogeologici, della progettazione antisismica, nei pannelli solari… Nel 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato una raccomandazione relativa alle cosiddette “competenze chiave”, cioè a quella combinazione di “conoscenze, abilità e atteggiamenti” ritenuti necessari affinché ogni individuo possa affrontare le sfide della globalizzazione e adattarsi, in modo flessibile, ai cambiamenti in atto nella società e nell’economia. I calabresi si domandino: a che punto siamo con la competenza alfabetica funzionale, con quella multilinguistica; con quella matematica e competenza di base in scienze e tecnologie, per non dire della competenza digitale, che è stato l’unico modo per continuare a fare scuola in tempo di pandemia? Il XX RAPPORTO sulla qualità dell’edilizia scolastica e dei servizi di Legambiente (marzo 2021) fa, a sua volta, una fotografia impietosa a livello nazionale poco rassicurante, visto che meno di un edificio su due dispone del certificato di agibilità (42,1%) e di collaudo statico (47,6%). Certo, anche l’amministrazione di Catanzaro ha edificato negli ultimi 5 anni delle scuole nuove, ma nei vecchi edifici non basta effettuare monitoraggi per rilevare la presenza di amianto senza poi procedere alla bonifica (a livello nazionale ci ritroviamo quindi ancora il 4,3% di edifici con amianto non bonificato). Frattanto Il concetto di strategia di specializzazione intelligente (S3) richiede anche alla nostra regione di avere una conoscenza estesa dei propri contesti istituzionali in modo che i decisori politici possano progettare le politiche di innovazione basate sul luogo più adatto, soprattutto nel prossimo periodo di programmazione della politica di coesione dell’UE 2021-2027 (anche mediante database in grado di informare i responsabili politici sugli aspetti chiave delle condizioni abilitanti per la specializzazione intelligente come la governance, il processo di scoperta imprenditoriale , l’impostazione delle priorità e la collaborazione interregionale).

Secondo le ultime indicazioni governative, il periodo compreso tra il 15 settembre e il 15 ottobre vedrà di nuovo i calabresi alle urne: ecco lo strumento potentissimo per designare persone idonee a esercitare un vero protagonismo per la promozione dell’occupazione giovanile e dell’inclusione sociale. Preparandosi alle urne, festeggiamo nel modo migliore la Giornata delle capacità giovanili.

+ Vincenzo Bertolone
Presidente Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo Diocesi Catanzaro-Squillace

Corpus Domini, la riflessione di mons. Bertolone: santificazione del quotidiano

«La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi».
Lo scriveva Bruce Chatwin in uno dei suoi romanzi. Ce lo ricorda la festività del Corpus Domini, che si celebra oggi facendo memoria del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, quando un prete boemo in pellegrinaggio verso Roma si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che  essa davvero essere il corpo di Cristo. Come a rivelare e smentire il suo scetticismo, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino e alcune pietre dell’altare. Venuto a conoscenza dei fatti, papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa, di cui uno dei tratti salienti è la processione, un intreccio di liturgia e teologia che testimonia una duplice verità: non solo Cristo è presente nell’Eucaristia, ma è anche perennemente in cammino al fianco dell’umanità, nelle vie di ogni quartiere ed all’interno della storia dell’umanità.
La processione in particolare, dunque, ha un duplice significato: di santificazione del quotidiano, che consiste nel portare nella vita di tutti i giorni la presenza divina, e di testimonianza della fede in un mondo secolarizzato, che tende a svuotare di senso persino questo aspetto. Un tempo non lontano, ad esempio, la processione orante era appuntamento costante in occasione dei funerali, nel tragitto tra la chiesa e il cimitero. Oggi – e non solo per colpa della pandemia – anche questo è venuto meno, in una società che stenta a riconoscere i segni del divino. Ma è altrettanto visibile l’ipocrisia che spesso si cela dietro il cammino trasformato in mero (e vuoto) rito. E qui tornano preziose le parole di don Tonino Bello: «Perché non dire chiaro e tondo che non ci può essere festa del Corpus Domini finché un uomo dorme nel porto sotto il tabernacolo di una barca rovesciata, o un altro passa la notte coi figli in un vagone ferroviario? Purtroppo, l’opalescenza appariscente delle nostre città, a chi crede,  fa scorgere il corpo di Cristo nell’Eucaristia dei nostri altari, ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine».
L’Eucaristia, allora, nel suo significato di Pasqua del Signore che rivive per noi, di Gesù che nella disarmante fragilità dell’ostia si dona invitandoci e non sprecare l’esistenza, inseguendo mille cose inutili che lasciano il vuoto dentro, è essenziale per guardare all’orizzonte al quale tendere, alla memoria da coltivare sempre per guarire da ferite e tristezze, trasformandoci in portatori di gioia capaci di prendersi cura di chi ha sete di pace e amore, di giustizia e dignità, di chi non lavora e fa fatica ad andare avanti. «L’Eucaristia spegne in noi la fame di cose e accende il desiderio di servire», sottolinea Papa Francesco: «Ci alza dalla nostra comoda sedentarietà, ci ricorda che non siamo solo bocche da sfamare, ma anche le sue mani per sfamare il prossimo».
Insomma, per dirla con il Santo Padre, gridandolo forte ai cuori in questa giornata particolare, «sarebbe bello se smettessimo di vivere in conflitto e tornassimo a sentirci in cammino». Di nuovo, finalmente.
+ Mons. Vincenzo Bertolone
Presidente Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace

LA DOMENICA / La riflessione dell’arcivescovo mons. Vincenzo Bertolone

“LA LEZIONE DELLE CENTOMILA CROCI”

 14/03/2021

«Dalla mancanza di un orientamento capace di illuminare la nostra epoca noi dovremmo concludere che siamo capaci di apprendimento soltanto se colpiti da catastrofi».
La lezione di Jürgen Habermas trova riscontro nella realtà: c’è voluta una pandemia perché si iniziasse almeno a prendere atto delle iniquità e delle falle di un sistema che da tempo manifestava la sua fragilità discriminatoria. In Italia, nel giro di un anno, il Sars Cov 2 ha piantato 100.000 croci. Un numero che ogni ora aumenta, perché il contagio è ancora ben lungi dall’essere sconfitto: occorre tornare al secondo conflitto mondiale, per reperire un termine di confronto adeguato per quanto poco rispondente, dal momento che la guerra è comunque altra cosa. C’è però un dato che unisce tutte le esperienze di dolore collettivo: di fronte alla morte improvvisa, alla malattia inesorabile, istintivamente l’uomo alza gli occhi al cielo. Compie il gesto naturale della preghiera, si affida all’Invisibile affinché protegga ciò che se n’è andato dagli occhi. Sperimenta insomma che la salute è importante, fondamentale, ma che da sola non basta. E s’accorge ancora della propria finitudine sociale: tutti, del resto, in questi mesi, abbiamo avuto modo di riflettere su quanto siamo dipendenti gli uni dagli altri. Anche e soprattutto da coloro che svolgono lavori umili, ma essenziali, che l’attuale sistema economico relega in secondo piano.
Può essere questa una delle strade per il recupero di forme di solidarietà che oggi appaiono smarrite, e non certo per effetto della Covid-19, anche se lo choc della pandemia lascerà ferite profonde: un orizzonte stabilmente corto induce alla rassegnazione, i progetti di vita assumono l’impalpabilità dei sogni, i giovani si rifugiano nella passività, piegati sul consumo dell’istante. Eppure, ciò che conta è il riaccumularsi di un lascito civile, quello che è andato e che va maturando nel corso della pandemia, non facilmente liquidabile, che riafferma come irrinunciabile l’urgenza di tornare a fare (e a essere) società.
Proprio per le possibilità di riscatto che porta con sé, il tempo che viviamo è straordinario, ma richiede lungimiranza, la capacità di alzare lo sguardo al di là della contingenza. È poi indispensabile la speranza, da coltivare come pianta delicata e tenace. Indispensabile è anche la carità, il prodigarsi per chi si scorge nel bisogno. Ma può essere utile pure un ripasso del laicissimo significato delle virtù cardinali: la necessità di una fortezza paziente e serena, il senso della giustizia come sguardo buono dalla mia famiglia all’umanità, la pratica consapevole della prudenza, la sobrietà sorridente insegnata dalla temperanza.
Insomma, si salverà solo chi saprà guardare davvero al futuro, indicando la via per accompagnare il mondo lontano dalla risacca della sua crisi. La vera trasformazione deve avvenire nella mente e nel cuore di ognuno: se la voglia di cambiamento diventerà tratto comune e se ci si farà illuminare dalla sapienza e dalla luce divina, la società alla fine cambierà.
+ Vincenzo Bertolone
Presidente della Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace

«Avanti, con giudizio»: la riflessione domenicale dell’arcivescovo mons. Bertolone

“Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità”

Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla  base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.
È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di  scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità
Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla  base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.
È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di  scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità

Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla  base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.

È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di  scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità.
+ Vincenzo Bertolone
Presidente Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro Squillace

DOMENICA / La riflessione di mons. Bertolone: «Chi è la nostra pace?»

Sorelle e fratelli carissimi, carissimi ministri ordinati e persone di vita consacrata!
1. Persistenza di conflitti e guerre. Ogni primo dell’anno ci viene ricordata la pace. Si rischia l’abitudine, soprattutto in questo periodo di tempo “fermo”, a cui ci sta costringendo la pandemia globale con le sue esigenze di poco movimento, scarso assembramento, tendenziale sanitarizzazione delle relazioni (evitare il contagio, premunirsi con la vaccinazione, farsi visitare a distanza…). Intanto, mentre l’Occidente, relativamente chiuso in casa, ha dovuto assistere all’assalto armato al tempio della democrazia USA, non si fermano i finanziamenti per gli armamenti, in vista dei rischi di nuove guerre. I pacifisti ci ricordano, tra l’altro, che un solo aereo F-35 costa la bellezza di 130 milioni di euro (l’ultima riduzione degli acquisti in Italia risale al Governo Monti nel 2012): quante rianimazioni, quanto altro personale sanitario si potrebbero avere con il costo di uno solo di questi aerei, senza aspettare il finanziamento straordinario europeo per tamponare le voragini del nostro sistema sanitario? Oltre a diventare più acuta, nella stagione del coronavirus la carenza alimentare in diverse zone del mondo (per esempio in sud Sudan), provoca violenze, mercato nero, morti… La lista dei conflitti armati nel mondo, nonostante la pandemia, non accenna a diminuire nei continenti: decine di migliaia di morti ad Aceh, provincia autonoma dell’Indonesia (estremità settentrionale dell’isola di Sumatra); in Afghanistan solo nel 2019-20 le vittime sono state più di 34mila; in Yemen solamente uno dei due conflitti in atto (quello tra i terroristi di al-Qaeda e il governo yemenita) ha falcidiato oltre ventimila vittime… Per non dire delle tante altre zone calde, dall’Algeria al Burundi e al Congo R.D. e Costa d’Avorio; dalle Filippine all’Iraq, alla Libia e a Israele- Palestina…Questo è un percorso di educazione della mente e del cuore all’universalità.
2. Egli è la nostra pace. Di fronte alle tante guerre in corso, a tante vittime che si addizionano a quelle provocate da covid-19, il pensiero di noi cristiani non può che correre a Cristo nostra pace: «Egli infatti è la nostra pace,/ colui che di due ha fatto una cosa sola,/ abbattendo il muro di separazione che li divideva,/ cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef 2,14), Ma insieme, non possiamo non pensare alle tante violenze persistenti, alcune anche religiose, come quelle recensite nell’Antico Testamento, oppure ai conflitti, litigi e dispute che costellano la vita non sempre idilliaca delle prime comunità dei discepoli (tra l’altro, se ne vede qualche traccia in Gv 6,52; At 23,7.9-10), nonché alla violenza delle comunità cristiane tardo-antiche in certe zone geografiche a prevalenza cristiana (si pensi alla persecuzione ai danni dei donatisti tra quarto e quinto secolo in Africa settentrionale). Ieri come oggi, insomma, ci si domanda come far emergere il giusto anelito per la pace quale attuazione del genuino insegnamento del Maestro di Nazaret – di cui oggi vengono riconosciuti sempre più dagli esegeti i rilevanti messaggi di pace e di riconciliazione (Ef 2,14-17); oppure come mettere in pratica l’istanza etico-religiosa di pacificazione e riconciliazione in linea con la beatitudine relativa agli «operatori di pace» (Mt 5,9). Alle lotte, alle violenze, alle guerre e ai conflitti, bisogna opporre un’etica della prossimità, della vicinanza e della cura.
3. Una grammatica della cura. Come ricordiamo, il Messaggio del Papa per LIV Giornata della pace ha opportunamente collegato la grande crisi sanitaria del Covid-19 con la persistenza, anzi con un nuovo slancio delle diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia, mentre mai sopite guerre e conflitti vanno seminando morte e distruzione, oltre che danni irreparabili all’ecosistema. La via d’uscita alternativa, indicata da papa Francesco è chiara ed evidente:
«Prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza» (Messaggio per il 2021, n. 1). La fondazione biblica della cura ci viene ricordata dal Papa, che punta particolarmente sulla cura divina per la creazione e sulla compassione che Gesù mostra per i  bisognosi  di  cura,  quali  sono  gli  ammalati.  Tuttavia,  la  vera  e  propria grammatica della cura viene proposta da papa Francesco attingendo alla dottrina sociale della Chiesa. Ecco la “grammatica” della cura: «la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato» (Messaggio 2021, n. 6). Il fondamento antropologico della dottrina sociale non può che attingere alla nozione di persona, che è il vero e proprio ddono che il cristianesimo storico ha fatto all’intera umanità, nel momento in cui ha dovuto pensare in termini personali la vita intratrinitaria e fondare su una sola Persona le due nature di Gesù Cristo. Dalla luce di Cristo – lumen Christi, Deo gratias!, come si canta nella Veglia pasquale mostrando il Cero pasquale, appena acceso col nuovo fuoco -, bisogna lasciarsi illuminare e orientare, per accelerare la corsa cristiana pacifica nella vita nostra, delle altre persone, della famiglia, della città, della società, delle Istituzioni…, consapevoli che il Cristo consente di pensare, in termini davvero nuovi, non soltanto in astratto la persona umana, ma, in concreto, ovvero l’uguaglianza tra le persone umane, con particolare attenzione a quelle situazioni in cui, più che altrove, si consumano ancora dei gesti disumanizzanti o di mancato rispetto della dignità (si pensi, in particolare, alla condizione della donna nella società e nella Chiesa, che il recente riconoscimento di accesso al lettorato e accolitato costituisce un gran bel segno). Siffatto stile dinamico, e quasi agonistico dei credenti in Gesù, ci permette di riscoprire la carica cristiana esistente nel dovere civico di rispettare i diritti umani fondamentali di ogni persona; ci consente, soprattutto, di porci nella condizione di co-edificare, con tutte le persone di buona volontà, una società nuova, poggiata su una convivenza pacifica, anche in rapporto al progresso scientifico- tecnologico e alle domande che esso sollecita in tanti ambiti della vita individuale, familiare e associata e, come ci ricorda il Messaggio del 2021, in rapporto alla cura dell’ecosistema. Sapremo assecondare questo nostro e altrui desiderio di sperimentare ancora la luce di Cristo pur in mezzo a tanto buio e a tanti conflitti?
4.  Qualche suggerimento operativo. Quest’anno, a causa delle misure di restrizioni non possiamo svolgere in Diocesi la consueta testimonianza della “Marcia della Pace” organizzata dall’Ufficio Diocesano “Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato” che negli anni ha sempre coinvolto associazioni, parrocchie, istituzioni. Occorre tenere vivo, nelle comunità, questo anelito di responsabilità! Dobbiamo con fantasia ingegnarci nel dare alle nostre comunità parrocchiali, coinvolgendo tutte le forze vive e le Istituzioni. Invito i sacerdoti, a distribuire in queste domeniche ai fedeli, uno stralcio del Massaggio di Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2021 e a farne cenno nelle Omelie. Anche qualche gesto concreto non guasta. Nei Consigli pastorali parrocchiali invito a discutere come insistere, nel corso di tutto l’anno, su alcuni spunti operativi che ci sono stati suggeriti dal Messaggio per la giornata della pace 2021. In primo luogo, insisteremo su iniziative educative, dal momento che l’educazione alla cura nasce nella famiglia, e poi prosegue e si consolida nella scuola e nei gruppi parrocchiali (anche con il supporto dei social e dei nuovi media). In secondo luogo, cultura della cura significherà per noi far riscoprire la dignità della persona umana, sia uomo che donna: se teniamo lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, scopriremo le modalità per valorizzare sempre meglio la persona umana e, in particolare, la donna nella comunità religiosa e civile. Infine, insisteremo sulla problematica ambientale: l’interconnessione di tutta la realtà creata pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del creato: come promuovere un’efficace cura della terra, nostra casa comune, e dei poveri? Come coltivare anche in senso ecologico gli atteggiamenti di tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani?
Mi piace citare Franco Battiato amatissimo cantautore, compositore e regista siciliano che dedica una sua celebre canzone, “la cura” all’amore universale invitandoci a pensare in grande. “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale Ed io, avrò cura di te”
5. Con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio… Concludo proponendovi per la lettura e meditazione (anche nelle Associazioni e nelle Aggregazioni) una famosa lirica, ricca di riferimenti biblici, non senza una punta di critica alla ricerca scientifica quando è finalizzata alla morte e non alla vita. È di Salvatore Quasimodo e s’intitola Uomo del mio tempo: «Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,/ con le ali maligne, le meridiane di morte,/ -t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,/ alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,/ con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,/ senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,/ come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,/ gli animali che ti videro per la prima volta./ E questo sangue odora come nel giorno/ quando il fratello disse all’altro fratello:/ “Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,/ è giunta fino a te, dentro la tua giornata./ Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue/ salite dalla terra, dimenticate i padri:/ le loro tombe affondano nella cenere,/ gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore».
+ p. Vincenzo Bertolone, S.d.P.
Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace
Presidente della Conferenza Episcopale Calabrese

La riflessione domenicale dell’Arcivescovo Bertolone: «Tra le macerie, la speranza»

«Il volto del prossimo mi significa una responsabilità irrecusabile, precedente ogni libero assenso, ogni patto, ogni contratto».
Non c’è spazio, ai giorni nostri, per l’insegnamento di Emmanuel Lévinas. Non è tempo, forse, ammesso che mai lo sia stato, di considerare l’altro un soggetto dotato di assoluta dignità e diritti inalienabili. Non è luogo, l’Italia d’oggi, per riconoscere il dovuto rilievo alla responsabilità ed al senso di essa. Le cronache sconfortanti che imperversano nel Paese in giorni in cui i morti continuano a contarsi ancora a centinaia ed il contagio si espande, sfibrando famiglie ed imprenditori e tenendo chiuse perfino scuole e musei, ne sono la testimonianza, drammatica. Come polvere diffusa, su tutto si posa la patina della superficialità, della banalità, della stupidità. All’indomani della seconda guerra mondiale le macerie erano soprattutto materiali, intrise del sangue degli innocenti e dei caduti sui fronti di battaglia.
Adesso ad essere travolti sono la buona educazione, le relazioni, il pensiero. La politica, che dovrebbe essere socialità e voglia di stare insieme, come compagni di vita, è diventata strumento di separazione spirituale, quasi fonte di paura del prossimo. E quando si sceglie di rinchiudersi in questa o quella fortezza, a prescindere dai suoi colori distintivi, l’effetto è unico e sempre uguale: l’egoismo. Vincono e prevalgono gli istinti e le parole veloci ma vuote, tanto che, per dirla con il sociologo canadese Charles Taylor, «se oggi arrivasse Cristo in piazza e cominciasse ad annunciare la sua Parola – che era fuoco vero – cosa accadrebbe? Al massimo gli chiederebbero i documenti».
Essenziale come non mai, allora è ritornare ad avere il coraggio dei grandi valori di cui è piena la nostra storia; ricerca della bellezza autentica; grande senso del dovere, il culto della responsabilità sociale e culturale madre della capacità di abbandonare i piccoli orizzonti e fare grandi cose,  osando l’utopia. Dialogo, amore, solidarietà: questo serve. Il primo è da intendere come ragionamento e, ancor più, quale confronto con l’altro, che può aiutare ad interiorizzare lo spirito dell’essere e dell’esistere. Dal canto suo l’amore, quello profondo, aiuta a donarsi genuinamente. E poi, la solidarietà, indice di serietà, di fatica, di vivere nella profondità di rapporti interpersonali. Molti, forse i più numerosi si ritraggono, di fronte a questa prospettiva, spaventati dalla brutalità, dall’impegno, dall’attenzione alla quale ti obbliga, ma agli uomini ed alle donne non è dato apprendere per osmosi, bensì  è richiesto l’esercizio dell’impegno, attraverso il quale la fatica degli orizzonti diventa realtà spontanea e creativa.
C’è una rivoluzione da attuare, senza armi né violenza, per costruire un mondo nuovo, di cui coscienza e critica siano elementi basilari. «Occorre credo una catarsi, una specie di rogo purificatorio del vaniloquio cui ci siamo abbandonati e del quale ci siamo compiaciuti», scriveva Mario Luzi. E aggiungeva, in una delle sue poesie più belle, che vale più di mille discorsi: «Il bulbo della speranza che ora è occultato sotto il suolo ingombro di macerie non muoia, in attesa di fiorire alla prima primavera».
+ Vincenzo Bertolone
Arcivescovo della Diocesi Catanzaro-Squillace
Presidente Conferenza Episcopale Calabrese

Oggi l’intitolazione della Cittadella regionale alla presidente Jole

Stamattina, lunedì 28 dicembre, alle ore 10.30, si svolgerà la cerimonia di intitolazione della Cittadella regionale alla compianta presidente della Regione Calabria Jole Santelli.

All’evento prenderanno parte, tra gli altri, i familiari della presidente Santelli, il presidente pro tempore Spirlì, gli assessori della Giunta e le massime autorità istituzionali della regione.

Nel corso della cerimonia, verrà scoperta una targa intitolata alla presidente Santelli. La targa sarà benedetta dall’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone. (rcz)

LA DOMENICA / I bambini invisibili: la riflessione dell’arcivescovo mons. Vincenzo Bertolone

LA RIFLESSIONE DOMENICALE DEL PRESIDENTE DELLA CEC, MONS. VINCENZO BERTOLONE. “I BAMBINI INVISIBILI”

 13/12/2020«Per una società la diversità può essere la cosa più difficile, ma pure la mancanza più pericolosa qualora essa non vi sia».

La scuola in quarantena non è uguale per tutti, ed i dati che arrivano certificano la fondatezza dell’aforisma dello scrittore americano William Sloane Coffin. Lo scrive l’Istat, in un rapporto drammatico: nel secondo trimestre scorso il 23% dei circa 300.000 alunni italiani con disabilità non ha potuto partecipare alle lezioni online, e così poco meno di 70.000 tra bambini e adolescenti in tutta Italia sono rimasti esclusi dalle attività didattiche e non per una questione di gap tecnologico: Per un terzo di quei fanciulli seguire le lezioni davanti ad un monitor è stato reso impossibile dalla gravità della patologia sofferta. All’incirca lo stesso numero ha vissuto analoghe difficoltà per mancanza di collaborazione-assistenza da parte dei genitori. Altri ancora hanno scontato l’appartenenza ad un contesto di forte disagio socioeconomico. Questi dati impietosi, sono ancor più crudi nel Meridione, dove a soffrire situazioni come quella descritta è quasi un ragazzo su tre. È la riprova di come la didattica a distanza, pur essenziale ed utile in un momento di grande difficoltà, abbia reso ancor più complesso un processo di per sé delicato come quello dell’inclusione, minato alla base dal venir meno della presenza fisica, delle relazioni con i coetanei, dall’accessibilità degli spazi, dal sostegno di figure competenti, dalla fruibilità di adeguate tecnologie.

Ancor prima dell’apprendimento, è compito della scuola garantire – naturalmente a tutti la socializzazione. Di fronte agli ostacoli frapposti dalla pandemia su questo versante, ci si è posto da più parti il problema su come intervenire per limitare al massimo tali disagi e danni derivanti da questa situazione. Molti accorgimenti sono stati adottati ed il ricorso ai Piani educativi individualizzati ha almeno in parte circoscritto i disagi, pur dovendo fare di conto con la presenza in ruolo di 74.000 docenti di sostegno, più della metà dei quali precari e, dunque, affidatari di bambini diversi rispetto a quelli seguiti l’anno prima.  Sullo sfondo resta l’unica soluzione possibile: l’amore, quale  base anche di scelte pratiche e concrete come quelle riguardanti l’organizzazione delle attività scolastiche. Pure a scuola, del resto, la vera inclusione si può realizzare soprattutto con un lavoro di vicinanza quotidiana e di contatti fisici reali, in grado di preservare ed integrare i  vincoli affettivi e le interazioni familiari quotidiane, nel segno di una cultura più accogliente e rispettosa delle persone, di tutte le persone.

È il passo fondamentale che precede qualunque intervento si voglia pianificare a favore degli individui con fragilità, nella lotta contro i pregiudizi che producono, oltre alle barriere fisiche, anche limiti all’accesso all’educazione per tutti, all’occupazione e alla partecipazione. Un percorso sicuramente lungo, ma per il quale è necessario sia sempre più diffusa una mentalità di solidale impegno civile e così, per come sottolinea papa Francesco, «rendere più umano il mondo, rimuovendo tutto ciò che impedisce una cittadinanza piena e gli ostacoli del pregiudizio, favorendo la qualità della vita».

                                                                                                                                                                                                                                                       + Vincenzo Bertolone