di SANTO STRATI – Citando una frase di suo padre, il presidente incaricato Mario Draghi dice che tutto si può recuperare, sia il denaro, sia l’onore, «ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto». E a lui il coraggio non manca: questa non sarà che un’altra delle tante sfide che ha affrontato nella sua luminosa e invidiabile carriera, ma stavolta corre un rischio nuovo. Quello di conquistare gli italiani, ma di inimicarsi, nel contempo, l’intera classe politica. Il problema principale nel mettere insieme il nuovo esecutivo riguarda, infatti, le scelte che Draghi dovrà compiere. E il presidente incaricato avrà bisogno di tutto il coraggio che ha nel suo dna per dire no alle “graziose” e pressanti proposte di nomi che arrivano dalle segreterie di partito.
Se accettasse i vari diktat che i vari leader politici, col sorriso malizioso, gli stanno opponendo spingendo i propri rappresentanti in cambio del voto di fiducia, garantito, ci troveremmo con un Conte-ter mascherato, con gli stessi protagonisti di prima della crisi con l’aggiunta di qualche inevitabile rimpastino, ad esclusione del capitano della nave-governo, che si troverebbe ad avere una ciurma praticamente ingovernabile.
Il governo di larghe intese, del tipo “dentro tutti” è politicamente l’unica soluzione possibile a una crisi ancor oggi inspiegabile (fatta salva la missione di siluramento di Conte ad opera di Renzi), ma nella pratica avrebbe obiettive difficoltà e pregiudiziali di difficile superamento. Draghi, però, non è un “principe” dimezzato che fa decidere la corte che lo circonda: la sua storia racconta una serietà di intenti e una determinazione tipiche di chi si fida solo del suo intuito e non ha bisogno di consiglieri premurosi quanto interessati.
La scelta, quindi, è una sola: tenendo rigorosamente in primo piano il preciso appello del presidente Sergio Mattarella per un “comune impegno” Draghi deve formare un governo istituzionale che abbia le varie caselle decisionali occupate da tecnici le cui competenze siano indiscutibili. Nessun politico nei dicasteri (e non mancano eccellenze cui attingere, quasi tutte presenti nella rubrica personale dell’ex Presidente della BCE), ma personalità in grado di traghettare il Paese fuori dalla crisi e di gestire al meglio i soldi del Recovery Fund.
Ma una soluzione di questo genere farebbe storcere il naso alla quasi totalità dei protagonisti (a loro intendere) della politica italiana, quasi tutti “unti del Signore”, ma più propriamente benedetti e beneficati dal segretario del partito di appartenenza. Si sentirebbero esclusi, ma ciononostante non potrebbero ignorare l’appello del Capo dello Stato: questo Governo “deve” nascere e deve avere una maggioranza stabile.
Quindi come se ne esce? La soluzione è più facile di quanto si possa credere: un esecutivo formato da tecnici (non burocrati, ma autorevoli esponenti del mondo accademico, dell’impresa, delle istituzioni, ma non dei partiti) e la distribuzione di sottosegretari e viceministri alla politica. Ovvero il potere decisionale in mano a una nuova classe governativa, che risponde solo al Presidente del Consiglio che l’ha scelta e che potrebbe rendere particolarmente felice il presidente Mattarella.
I partiti, ovvero le segreterie politiche, dovranno accontentarsi dei cosiddetti posti di sottogoverno: l’unica concessione che Draghi (quella del coraggioso Draghi) sarà – a nostro modesto avviso – costretto a subire. È l’unica strada per un governo che tutti non potranno fare a meno di votare, escludendo i capricci della sovranista (de’noantri) Giorgia Meloni (che nonostante il nome non può, stavolta, sconfiggere il Drago) e di qualche smarrito parlamentare con le idee poco chiare.
Ci vorrebbe coraggio a respingere il preciso appello di Mattarella, ma la nostra classe politica – in questo caso, per fortuna – non ce l’ha. Figurarsi i tantissimi che devono, a qualsiasi costo, arrivare a fine legislatura. E quando gli ricapita? Quanti saranno i futuri “orfani” del Parlamento?
Per cui voteranno sì e faranno bella figura davanti al Paese (una delle rare occasioni, diciamolo), conserveranno lo scranno in Camera e Senato fino allo scioglimento naturale della legislatura, ma senza saperlo avranno reso un grande servigio agli italiani. (s)