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L’AMPIA SOTTOSCRIZIONE AL SUD CONTRO
AUTONOMIA È IL SEGNO DEL CAMBIAMENTO

L'AMPIA SOTTOSCRIZIONE AL SUD CONTRO AUTONOMIA È IL SEGNO DEL CAMBIAMENTO

di PIETRO MASSIMO BUSETTAInvece che il Ponte sullo stretto di Messina vogliamo l’acqua. In questo agosto con un solleone che rende difficile anche la respirazione, mentre la temperatura anche di notte non scende al di sotto dei 26° e le piogge diventano un miraggio, i luoghi comuni imperversano sui social. 

E visto che la carenza idrica ormai è diventata drammatica, non c’è miglior slogan che lanciare un nuovo luogo comune e contrapporre l’esigenza idrica alla madre di tutte le infrastrutture. 

Il tema è sempre lo stesso invece che… Di volta in volta cambia il secondo soggetto. Invece che il ponte, l’acqua; invece che il ponte, la sanità; invece che il ponte, le opere di difesa ambientale; invece che il ponte le fognature. Potrei continuare con una sfilza infinita di invece che. 

Sembra che i meridionali si siano convinti di non avere gli stessi diritti degli altri italiani. Che invece avrebbero diritto a recuperare le realtà alluvionate dell’Emilia-Romagna, ma contemporaneamente anche a completare il percorso della Tav per collegare Torino a Lione. Devono poter contare sull’aiuto del Governo Centrale in caso di calamità naturali, ma contemporaneamente non rinunciare alle tante opere che si stanno portando avanti, né tantomeno a organizzare eventi sportivi come le Olimpiadi invernali di Milano- Cortina, che costano alla fiscalità generale importi certamente non piccoli di risorse. 

Tale approccio è frutto di una atavica condizione di subalternità, prima nei confronti dei Baroni e della Chiesa, poi nei confronti di uno Stato che era stato visto come nemico ed invasore, e infine di una politica che fa passare il soddisfacimento dei diritti come l’elargizione di favori. 

Per cui non si hanno diritti da soddisfare contemporaneamente ma elargizioni che vanno richieste con una certa gradualità per evitare che il padrone possa infastidirsi. In fin dei conti è la stessa logica che prevede che si dibatta in modo serio sui Lep, Livelli Essenziali delle Prestazioni, senza manifestare indignazione per uno Stato che prevede che in alcune parti possano esserci non livelli uniformi rispetto a quelli esistenti in altre parti del Paese, ma solo quelli essenziali. 

È la logica che sottende tutta la legge sulla Autonomia Differenziata, che Roberto Calderoli dichiara essere a favore del Sud, perché finalmente si è messo per iscritto che in alcuni settori anche il Mezzogiorno ha diritto ad avere i livelli essenziali, cioè minimi. 

È un’affermazione grave perché vuol dire che fino adesso nemmeno quelli si sono avuti. Ci si potrebbe chiedere dove è stato lo Stato Centrale che ha permesso che ci fossero due realtà, così distanti tra di loro, in uno stesso Paese. Dove sono state le Istituzioni di garanzia. Dove i Partiti nazionali, dove i Sindacati e perfino la Chiesa. 

Altro che “Questione Settentrionale” strombazzata ai quattro venti da  opinionisti spesso al libro paga di interessi precisi. Questa è la realtà con la quale dobbiamo confrontarci, certamente non con i tecnicismi e i finti dati reali che il Ministro per gli Affari Regionali, nella sua campagna d’autunno anticipata ad agosto, vuole, con gli Uffici e i Centri Studi al suo servizio, diffondere perché continui la vulgata di un Sud che ha avuto risorse infinite che sono state sprecate, che ha avuto una classe dirigente inesistente, cosa in parte vera, ma funzionale agli interessi di un Nord bulimico. 

Tale incapacità di difendere i propri interessi e i propri elettori si è vista anche nelle votazioni per l’Autonomia Differenziata, per cui moltissimi rappresentanti meridionali al Parlamento, pur di non perdere la possibilità di continuare a fare politica, si sono sparati ai piedi. 

In fin dei conti bisogna accreditare la vulgata che il Sud deve soltanto  guardare a se stesso se è nelle condizioni per cui 100.000 persone ogni anno devono scappare via per avere un progetto di futuro, con un costo per le casse regionali di riferimento di oltre 20 miliardi annui. Che deve guardare alla sua incapacità se nelle case di alcuni Comuni del Sud l’acqua arriva soltanto una volta alla settimana e si è costretti ad avere sui tetti i recipienti di accumulo, per poter fruire di un servizio minimale per ogni Paese appena sviluppato. 

Che deve fare “mea culpa” se per risolvere un problema di sanità importante deve trasferirsi, spesso con la famiglia, e spendere decine di migliaia di euri per poter avere la speranza di essere curato adeguatamente. D’altra parte se a qualcuno instilli la convinzione che la colpa della sua condizione sta solo nella sua incapacità, è evidente che non avendo un nemico da attaccare si rifugerà nell’inazione, nella frustrazione e spesso nel desiderio di passare dalla parte vincente.

Per cui è normale che la maggior parte dei tifosi delle società calcistiche settentrionali siano nelle aree meridionali e che spesso anche nei paesi più sperduti vi sia un Club Juventus o Milan. O che dopo pochi mesi di residenza a Milano, vi siano interlocuzioni nel linguaggio assolutamente estranei rispetto alle origini dei soggetti. Atteggiamento tipico dei colonizzati che tentano in tutti i modi di non farsi riconoscere cadendo poi nel grottesco. 

C’era un Dipartimento per le Politiche di Coesione, istituito da Carlo Azeglio Ciampi, che calcolava in un modo neutro il pro capite in ciascuna parte del Paese e che ha rilevato che vi era una differenza tra il Sud e il Nord, in costanza di spesa pro-capite uguale, come peraltro prevede la nostra Costituzione, di 60 miliardi annui. Troppo neutra la posizione per farlo continuare a lavorare. È infatti è stato chiuso. Meglio avere i dati dalla Cgia di Mestre o dall’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli

Perché la base della vulgata deve essere quella raccontata prima: molti soldi dati, incapacità di gestirli, responsabilità degli stessi meridionali. 

Ma la sottoscrizione ampia per un referendum che prevede l’abolizione dell’Autonomia Differenziata, l’orgoglio che viene dalla città di Napoli, che malgrado sia stata massacrata nell’immagine per anni, riesce ad esprimere un’identità mai cancellata, ci fa capire che la musica è cambiata. Ed è questo che rende alcune forze territoriali del Nord, come la Lega, estremamente nervose e pronte ad attaccare, sperando che quella testa che si vuole sollevare dalla sabbia ritorni nel suo alveo naturale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

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