A Reggio una giornata di studio dopo la “bocciatura” della Legge Calderoli

È stata una giornata di studio molto interessante e ricca di spunti, quella promossa dall’Associazione fra ex consiglieri regionali della Calabria e dall’Associazione ex Parlamentari della Repubblica Italiana, incentrata su “Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata, quali autonomie e quale sanità per i cittadini?”.

Svoltasi a Palazzo Campanella, l’iniziativa è stata moderata da Dalila Nesci, che guida il Coordinamento della Calabria degli ex parlamentari, Già Sottosegretario di Stato per il Sud.

Sono intervenuti illustre personalità, come Renato Balduzzi, docente dell’università Cattolica di Milano, presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e già ministro della Salute, Stefano Ceccanti, docente dell’università La Sapienza di Roma, e Antonino Spadaro, docente dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha sottolineato come la scelta della città dello Stretto non è stata casuale.

«La Calabria, per l’arretratezza delle sue condizioni strutturali e il decennale commissariamento della Sanità, con la legge Calderoli avrebbe pagato il prezzo più alto, tra le stesse regioni meridionali», ha sottolineato Nesci.

il Prof. Ceccanti, nella sua relazione, ha richiamato opzioni di metodo e di merito partendo da un assunto: «Non si dovrebbe riformare prescindendo del tutto dalle elaborazioni del passato come in una sorta di anno zero».

«Una sentenza storica e magistrale – ha insistito il prof. Spadaro  perché la Corte insegna come vada inteso il Regionalismo differenziato. La Corte non ha dichiarato l’illegittimità della legge Calderoli, in realtà l’ha demolita. Se il Governo e la maggioranza vorranno riproporre questa forma di regionalismo senza che  provvedimenti non si atterranno alle indicazioni della Corte saranno impugnabili per violazione del giudicato costituzionale”.  

Il prof. Balduzzi, invece, ha definito la sentenza della Corte «davvero straordinaria, può essere condivisa o meno ma certamente, di fatto, ha dato una lezione alla classe politica».

«Una differenziazione tra le regioni in realtà c’è già da tempo nel nostro ordinamento. Una ulteriore differenziazione — ha spiegato ancora Balduzzi —, potrebbe significare cambiare non il rapporto Stato-Regioni ma l’assetto del servizio sanitario nazionale che attualmente, pure con le criticità, è universalistico, fondato sulla globalità, sull’accessibilità, sulla portabilità del diritto, a prescindere dalle località di residenza».

«La sanità è certamente un punto delicatissimo – ha concluso – Ciò che conta, ai fini del diritto alla salute, è che gli standard si uniformino da regione a regione. Su questo c’è ancora tanto da lavorare”.

Durante i lavori non sono mancati i Saluti del sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà, del Presidente della Regione Roberto Occhiuto. Tra i presenti relatori gli on. Giuseppe Soriero, Mario Tassone, Federica Dieni e Gino Alaimo.

A chiusura dei lavori, Dalila Nesci ha annunciato che le due Associazioni pubblicheranno gli atti del dibattito e «li metteranno a servizio dei parlamentari in carica e di quanti vorranno impegnarsi nel confronto politico perché la legge sul regionalismo differenziato, sia riscritta secondo i canoni della Costituzione». (rrc)

Cgil Calabria: Metteremo in campo iniziative per abrogazione autonomia

«Metteremo in campo tutte le iniziative necessarie per chiedere al Parlamento l’abrogazione». È la reazione della Cgil Calabria al mancato accoglimento del referendum sull’autonomia.

Intanto, il sindacato guidato da Gianfranco Trotta è pronto ad una grande mobilitazione sulla sanità: «Lo abbiamo ribadito durante i lavori del nostro ultimo Esecutivo».

«In Calabria quello alla salute – ha sottolineato – non è un diritto garantito, non a caso chi nasce nella nostra regione ha aspettative di vita inferiori rispetto a chi nasce altrove. In Calabria si muore perché l’ambulanza non arriva o arriva senza medico, perché i tempi delle liste d’attesa non permettono né la prevenzione né l’urgenza».

«Scenderemo in campo, senza se e senza ma. Il tempo delle attese è terminato, la situazione è drammatica e noi non staremo a guardare. Pretendiamo – ha ribadito Trotta – strategie e misure adatte a sanare quei vuoti e quelle piaghe che stanno portando la Calabria alla desertificazione dei servizi e all’abbandono da parte di migliaia di giovani ogni anno. È ora di dire ‘basta’».

Per quanto riguarda, invece, il via libera della Corte Costituzionale ai referendum sul lavoro, il sindacato ha evidenziato come «si apre  un’importante stagione di lotta e di invito alla partecipazione, a partire dai referendum sul lavoro ai quali come Cgil teniamo in maniera particolare, quale banco di prova di democrazia e espressione di un Paese che vuole realmente invertire la rotta».

«Lo scorso anno la campagna per la raccolta firme – ha spiegato il sindacato in una nota – ci ha consegnato la fotografia di un territorio avido di risposte, indignato, ma non rassegnato. Il lavoro è dignità, il lavoro è la colonna vertebrale di un paese. I quesiti che proponiamo, qualora approvati, incideranno su un apparato che sembra non averlo ancora recepito. Il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà».

Grande soddisfazione anche per l’ammissione del referendum sulla cittadinanza: «una battaglia di civiltà. Gli stranieri danno un grande contributo al Paese dal punto di vista culturale e del lavoro». (rcz)

AUTONOMIA, 10 DOMANDE E 10 RISPOSTE
IN ATTESA DELL’ESITO DELLA CONSULTA

di ERNESTO MANCINIIl prossimo 20 gennaio la Corte Costituzionale deve decidere in via definitiva se ammettere o meno il referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. La decisione, in senso favorevole allo svolgimento del referendum, appare molto probabile ma non scontata.

È infatti accaduto che la legge Calderoli sia stata molto rimaneggiata dalla precedente sentenza della stessa Corte del 14 novembre scorso che aveva dichiarato incostituzionali parti essenziali di tale normativa cancellandole dall’ordinamento giuridico oppure imponendo, come vedremo di qui a poco, interpretazioni ed applicazioni costituzionalmente orientate.

Ed è perciò che il quesito referendario originario formulato con la raccolta delle firme l’estate scorsa (“volete voi abrogare la legge n. 86 del 26 giugno 24 sull’autonomia regionale differenziata?”) è stato riformulato a cura dell’Ufficio per il Referendum della Corte di Cassazione sentito il Comitato promotore, nel seguente modo: (“volete voi abrogare la legge n. 86 del 26 giugno 24 sull’autonomia regionale differenziata come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 192/94? – Abrogazione totale) 

D’altra parte, la Corte Costituzionale non può non prendere atto che con le firme raccolte l’estate scorsa a cura del Comitato promotore del referendum (ben 1.300.000 firme) si chiedeva l’integrale abrogazione e non quella parziale. 

In vista dell’imminente decisione del Giudice Costituzionale conviene riepilogare qui di seguito come stanno ad oggi le cose. Seguiremo il metodo F.A.Q. – Frequently Asked Questions – cioè domande e risposte frequenti per una rapida conoscenza degli aspetti principali della fattispecie in esame.

 

1) Perché la legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata è stata definita “legge spezza Italia”?

La legge Calderoli è stata definita “legge spezza Italia” perché si propone di trasferire alle Regioni in modo differenziato, e segnatamente alle regioni più ricche, poteri che spettano allo Stato, con ciò minando l’unitarietà e la indivisibilità della Repubblica. Questo giudizio è pressoché unanime da parte di costituzionalisti, economisti, esperti di regionalismo e di finanza pubblica. Anche importanti istituzioni, centri di studio ed associazioni si sono espressi nettamente contro; tra questi: Banca d’Italia, Confindustria, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Svimez, Anci, Acli, Anpi, Conferenza Episcopale, Sindacati maggiormente rappresentativi, e così molti altri.

2) Qual è il ruolo svolto dalla Corte Costituzionale nei confronti di tale legge?

La Corte Costituzionale è un organo di vertice dello Stato a cui spetta giudicare se una legge sia illegittima o meno e cioè se essa contrasti o meno con i princìpi della Costituzione. Va ricordato che la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica cioè una legge sovraordinata a tutte le altre sicché nessuna legge ordinaria può contrastare con essa. Quando vi è contrasto, come avviene con la legge Calderoli, la Corte Costituzionale ne dichiara la illegittimità e la cancella in tutto od in parte dall’ordinamento. 

3) Su quali premesse la Corte Costituzionale fonda il proprio giudizio di illegittimità sulla legge Calderoli?

Nella premessa della motivazione la Corte afferma che qualsiasi legge che riguardi il regionalismo italiano non può derogare ai princìpi fondamentali di unitarietà ed indivisibilità della Repubblica nonché di solidarietà ed uguaglianza dei cittadini. Si tratta di princìpi molto chiari così come vengono codificati dagli articoli 2, 3 e 5 della Costituzione. Già di per sé questa affermazione della Corte impedisce di poter differenziare i poteri delle Regioni quando tale differenziazione, come nel caso della legge Calderoli, comporta frammentazione e competizione anziché unità e cooperazione.

4) Qual è la principale censura che la Corte Costituzionale muove alla legge Calderoli sull’autonomia differenziata? 

La Corte dichiara illegittima la legge Calderoli perché consente di trasferire alla competenza esclusiva di alcune regioni più “materie”, cioè poteri pubblici sia legislativi che amministrativi. Si tratta di materie fondamentali dell’agire pubblico quali, per esempio, la pubblica istruzione, la sanità, la tutela dell’ambiente, i trasporti, l’energia ecc. ecc. (in tutto 23). Per tali materie lo Stato non avrebbe più avuto, stante la devoluzione esclusiva a singole regioni, una posizione di sovra ordinazione rispetto ad esse. Lo Stato, in altri termini, sarebbe stato estromesso da ogni competenza, perfino quella di indirizzo e di controllo dell’operato regionale.

5)  Qual è la differenza tra il regionalismo originario e quello voluto dalla legge Calderoli? 

Il regionalismo italiano fu voluto dai Padri e dalle Madri Costituenti fin dal 1948, e poi attuato negli anni ’70 come sistema che valorizzasse le autonomie territoriali e la partecipazione dei cittadini alle istituzioni a loro più vicine. La legge Calderoli, però, tradisce la volontà originaria dei Costituenti perché spinge il regionalismo al punto di dargli consistenza di separatismo e, comunque, di differenziazione esasperata ed egoistica in ragione della maggiore ricchezza di alcune regioni rispetto ad altre. La conseguenza è il disordine istituzionale, la frammentazione ed il caos nel funzionamento di tutte le attività legislative e di pubblica amministrazione e ciò a danno dei cittadini, delle imprese e di qualsiasi altra componente sociale. 

6) È vero che la legge Calderoli, come sostengono i suoi fautori, non fa altro che applicare il nuovo titolo V della Costituzione così come introdotto nel 2001?

Non è vero. La legge Calderoli tradisce anche il nuovo Titolo V della Costituzione introdotto nel 2001. Tale normativa, infatti, pur prevedendo la possibilità di attribuire più autonomia, giammai consente, neppure implicitamente, la possibilità di trasferire intere materie alle regioni svuotando lo Stato delle competenze originarie attribuitegli. E su ciò la Corte Costituzionale è stata molto chiara impedendo, come si è detto, che alle regioni fossero trasferite disinvoltamente ed in via esclusiva le materie e cioè i poteri legislativi ed ammnistrativi dello Stato.

7) Il Giudice delle Leggi esclude la devoluzione delle “materie legislative ed amministrative” ma ammette la possibilità del trasferimento di alcune “funzioni”. Cosa significa?

Intanto significa che i poteri dello Stato rimangono inalterati poiché su tutte le materie che il Titolo V già prevede col sistema della concorrenza (rectius: cooperazione) Stato/Regione (istruzione, sanità, ambiente, trasporti, ecc.) rimane allo Stato il potere di legiferare sui principi fondamentali da cui le Regioni non possono discostarsi. Per esempio: la scuola resta statale e non può diventare regionale, il Servizio Sanitario rimane Nazionale e continuerà ad articolarsi nelle regioni da un punto di vista organizzativo, come già avviene per effetto della Riforma Sanitaria del 1978 (legge n.833/78).

Inoltre, per la devoluzione di singole  funzioni la Corte stabilisce che per specifiche esigenze possono trasferirsi singole funzioni  (non materie) ma ciò deve essere adeguatamente giustificato, deve essere preceduto da adeguata istruttoria , deve riguardare specifiche esigenze del territorio, deve  essere fatto ex parte populi e non ex parte principis; in altri termini non deve essere un mero trasferimento di potere dallo Stato a singole Regioni solo per accrescere il potere di queste a danno di quello ovvero a danno delle altre regioni e, più in generale,  a danno della Repubblica considerata come soggetto unitario. Per esempio, la “funzione assistenza ospedaliera” che fa parte della “materia sanità” è comune a tutte le regioni e non specifica di alcune per cui non può configurarsi alcuna differenziazione di poteri di una regione rispetto ad un’altra. 

8) In che cosa consistono i princìpi del bene comune e della sussidiarietà richiamati dalla Corte?

Il principio del c.d. “bene comune” comporta che non si dovrà avere riguardo solo all’interesse della singola regione bensì all’interesse pubblico che è interesse comune a tutti. Afferma al riguardo la Corte che la differenziazione non deve essere un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali.

Ma non basta. La Corte insegna altresì che tutte le scelte devono applicare anche il c.d. “principio di sussidiarietà”. Si tratta del principio per cui una funzione pubblica può essere collocata verso il basso o verso l’alto (Comuni, Regione, Stato e addirittura Unione Europea) allorché si stabilisca che il modo più adeguato per svolgere tale funzione appartenga all’uno od all’altro di questi livelli secondo un principio di corretta distribuzione delle competenze per una maggiore efficacia delle politiche di riferimento. In materia di tutela ambientale, per esempio, è di tutta evidenza che interventi efficaci devono farsi a livello sovranazionale non essendo più sufficiente, secondo il principio di sussidiarietà, il livello nazionale. L’Unione Europea si avvarrà, nei limiti della propria competenza, dello Stato e questo delle Regioni per l’organizzazione dei servizi di tutela ambientale come già avviene da tempo.

9) Quali altre censure di illegittimità ha dichiarato la Corte riguardo alle Legge Calderoli.

È presto detto: a) è illegittimo che la decisione sostanziale sull’autonomia differenziata venga lasciata al Governo emarginando il ruolo invece essenziale del Parlamento. Tutta la procedura va in conseguenza rivista; b) è illegittimo che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e non un atto legislativo a determinare i livelli essenziali delle prestazioni. È attraverso tali livelli che si potranno misurare le differenze territoriali e determinare i relativi finanziamenti per cui è assolutamente necessaria una legge del Parlamento quale massimo organo decisionale della Repubblica; c) è ugualmente illegittimo che sia un decreto interministeriale e non un atto legislativo a stabilire quali siano i proventi delle imposte da mantenere alla singola regione riducendo pertanto la quota che va allo Stato per ogni esigenza nazionale della finanza pubblica; d) è inoltre illegittimo che le Regioni siano semplicemente facoltizzate e non obbligate a concorrere agli obbiettivi della finanza pubblica con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà ed unità della Repubblica.

Vi sono altre norme della legge che la Corte non ha dichiarato incostituzionali ma, beninteso, alla condizione tassativa che vengano interpretate in modo “costituzionalmente orientato” senza il quale ogni atto successivo diventa illegale. Le condizioni, per ogni aspetto, sono: a) che l’iniziativa legislativa per ogni eventuale differenziazione non venga riservata unicamente al Governo; b) che la legge di differenziazione non è legge di mera approvazione dell’intesa Governo/Regioni (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento (modifica, integrazione, rigetto) da parte delle Camere. c) quando si tratta di materie cosiddette “non Lep”, che cioè non riguardano livelli essenziali delle prestazioni, le relative funzioni sono trasferibili purché non si tratti di prestazioni concernenti diritti civili e sociali. Anche in questi casi si dovranno prima attendere la determinazione ed i finanziamenti dei Lep e non devolvere sbrigativamente come voleva fare il Governo. d) le risorse destinate alle funzioni trasferite non dovranno essere determinate sulla base della spesa storica ma con riferimento a costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza. Se, per esempio nella tale regione del  Nord vengono garantite risorse per dieci asili nido ogni 100mila abitanti e nel tal altra regione del Sud risorse per tre asili nido ogni 100 mila abitanti, i finanziamenti dovranno essere conseguenti per garantire parità di livello delle prestazioni. La spesa storica, invece, non fa altro che cristallizzare le differenze.

10) Quali sono le conclusioni che si possono trarre dopo la sentenza della Corte Costituzionale? Ed il referendum abrogativo è ancora necessario?

Tutti gli osservatori qualificati sono concordi nel dire che la legge Calderoli n.86 del 26 giugno 24 è stata “demolita” o “svuotata” dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 192 del 14.11.24. Addirittura, la suprema Corte di Cassazione (che è ben di più di un osservatore) parla di “massiccia demolizione” nell’ordinanza del 12 dicembre 24 (pag.32) con la quale ha dichiarato l’ammissibilità del referendum abrogativo e, come si è visto,  ha riformulato il quesito referendario. Sono infatti rimaste in piedi alcune parti della legge, invero non essenziali, che tuttavia non possono ostacolare la volontà referendaria di abrogare tutta la legge sia pure con i rifacimenti sostanziali operati dal Giudice Costituzionale. 

Va detto che da un punto di vista di legalità costituzionale i Comitati contro l’autonomia differenziata hanno già vinto la loro battaglia. Ora, con il referendum, la lotta si sposta sul piano politico affinché nessuno, con artifizi e raggiri messi in atto da governi e ministri compiacenti, insista ancora su questa partita che, così come era stata impostata, aveva creato, a dire di eminenti costituzionalisti, una legge “eversiva”, “indebitamente appropriativa” ed “incostituzionale nell’anima”.

Ecco, le cose stanno nei termini coma sopra esposti. Non rimane che attendere il giudizio definitivo della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum per l’abrogazione totale anche di ciò che rimane della legge Calderoli. (em)

 

AUTONOMIA, DOPO SENTENZA CONSULTA
IL REFERENDUM NON È PIÙ ATTUABILE

di ERNESTO MANCINIDopo la sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre scorso che, pur non avendo dichiarato illegittima l’intera legge sull’autonomia differenziata ne ha censurato tutti gli elementi più significativi, c’è da chiedersi se il referendum abrogativo dell’intera legge sia ancora ammissibile e se, pertanto, si debba svolgere o meno.

Si ricorda che la legge n. 86 del 26 giugno 2024, detta anche legge Calderoli, stabilisce la possibilità di trasferimento alla competenza esclusiva delle Regioni di intere materie legislative ed amministrative previste invece come competenza in concorso tra Stato e Regione. Addirittura, la legge consente il trasferimento di tutte le ventitré materie come richiesto dalla Regione Veneto ovvero una gran parte di esse – quindici – come richiesto dalla Regione Lombardia.  Tra le materie trasferibili spiccano, per importanza strategica, istruzione, sanità, ambiente, trasporti, le quali sono già state oggetto delle preintese 2018 ed ora sono confermate dalla legge Calderoli all’art.11.

Si ricorda pure che la legge è stata impugnata per incostituzionalità ai sensi dell’art. 127 Cost. dai ricorsi di alcune regioni (Toscana, Puglia, Campania e Sardegna) ora decisi dalla Corte Costituzionale con la già menzionata sentenza del giorno 14. La legge è tuttora avversata dalla proposta di referendum abrogativo avanzata dal Comitato Promotore formato da partiti, sindacati, associazioni e comitati NO AD (no a qualunque autonomia differenziata) che ha raccolto oltre 1.300.000 forme durante la scorsa estate. La procedura per l’ammissibilità di tale referendum è in corso e dovrà definirsi entro il mese di dicembre a cura della Corte di Cassazione ed eventualmente della Corte Costituzionale.

I precetti della Corte Costituzionale

Per capire se il referendum sia ancora attuale dopo la sentenza della Corte va chiarito che tale organo (detto anche Giudice delle Leggi perché non giudica uomini ma, appunto, leggi) ha colpito e si può dire “affondato”, i punti principali della legge dettando anche princìpi vincolanti per qualsiasi attuale o futuro progetto di autonomia. 

La Corte ha sentenziato che in ogni caso si devono osservare i princìpi dell’unità della Repubblica, della solidarietà e non della competitività tra Regioni, dell’eguaglianza, della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. Tutti princìpi esattamente opposti a quelli che caratterizzano la legge Calderoli.

Ma, a parte l’affermazione dei princìpi ora ricordati, il Giudice delle Leggi ha colpito al cuore la legge Calderoli stabilendo testualmente che una normativa sull’autonomia non può trasferire intere materie legislative ed amministrative (sanità, istruzione, ecc.) alla competenza esclusiva di singole Regioni ma solo particolari funzioni relative a tali materie. 

Peraltro, tale trasferimento di particolari funzioni non è libero ma, continua il Giudice Costituzionale, deve essere “giustificato” dalla necessità rispetto alle esigenze dello Stato e del bene comune. Deve inoltre osservarsi il principio di sussidiarietà e cioè si deve dimostrare che la singola funzione sia meglio attuata esclusivamente a livello territoriale rispetto al concorso Stato/Regione.

L’esempio su quanto stabilito dalla Corte è agevole: non può trasferirsi la “materia sanità” che, in quanto materia di rilevanza costituzionale (art.32) è affidata all’intera Repubblica (Stato-Regioni-Comuni-Città Metropolitane). Né possono trasferirsi singole funzioni in cui si articola la sanità come l’assistenza ospedaliera, l’igiene pubblica, l’assistenza farmaceutica, l’assistenza medica di base, quella specialistica, la funzione veterinaria, e molte altre, in quanto si tratta di funzioni non specifiche alla singola regione ma comuni a tutte. 

Peraltro, il principio di sussidiarietà che valorizza le autonomie territoriali non può spingersi fino al punto da escludere lo Stato abolendo di fatto il Servizio Sanitario Nazionale ex art. 32 Costituzione e leggi di riforma sanitaria 833/78 e 502/92. Tutto ciò vale anche per l’istruzione, “spina dorsale del Paese” (Asor Rosa, intervista al Corriere del 2.11.2018) ed anche per l’ambiente, oggi da proteggere efficacemente soprattutto con politiche comuni sovrastatali. Così, insomma, vale la giusta applicazione del principio di sussidiarietà per ogni altra materia di rilevanza costituzionale.

Ma il Giudice delle Leggi, nonostante questi parametri siano di per sé già sufficienti per bloccare la legge Calderoli, non si è fermato qui.

Egli ha infatti stabilito che per i Lep (livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali) spetta al Parlamento e non al Governo fissare i princìpi ed i criteri direttivi per la loro determinazione. Ha precisato che l’aggiornamento dei Lep non può farsi con atto governativo (DPCM) bensì con atto del Parlamento e ciò vale anche per le aliquote di compartecipazione al gettito tributario. I finanziamenti non vanno peraltro determinati in base alla spesa storica ma sulla base di costi e fabbisogni standard, il che rende peraltro giustizia alle regioni del sud che, sulla base della spesa storica, possono solo perpetuare la loro insufficienza nei servizi pubblici (es: servizi sociali) senza alcuna implementazione che soddisfi il vero fabbisogno come certificato dai Lep.

Inoltre, le Regioni non hanno la facoltà (come vuole Calderoli nella sua legge) bensì l’obbligo di concorrere agli obbiettivi di finanza pubblica, né il Governo è esclusivo titolare del potere di iniziativa per le intese sulle autonomie particolari.

C’è dell’altro nella massima della Corte Costituzionale ma qui non mette conto di parlarne perché quanto evidenziato basta e avanza per dire che la legge Calderoli non esiste più dovendosi, affinché sia immune da vizi di illegittimità costituzionale, apportare tutte le modifiche e le integrazioni sostanziali volute dalla Corte medesima. Cha la legge sia stata demolita dai dicta della Corte Costituzionale è peraltro opinione comune della stragrande maggioranza dei costituzionalisti che in questi giorni hanno fatto sentire la loro voce.

Dunque, il referendum?

Ed allora possiamo tirare le somme per rispondere alla domanda iniziale che ci siamo posti.

A nostro avviso il referendum non è più attuale perché interverrebbe su una legge che, seppure formalmente ancora in piedi, non è più applicabile nelle sue parti fondamentali. Sono stati introdotti dal Giudice Costituzionale tali e tante modifiche ed integrazioni sostanziali e non certo marginali che fanno venire meno proprio l’oggetto del referendum.  

In altri termini si voterebbe su una legge che in gran parte non esiste più anche perché alcuni princìpi introdotti dalla Corte devono già considerarsi del tutto simili al c.d. ius superveniens: il noto  articolo 116, terzo comma  del titolo quinto della Costituzione che prevede la possibilità di autonomie particolari (e non differenziate), dovrà interpretarsi per il futuro come se ci fosse un ulteriore comma il quale stabilisce  che le “materie” di cui all’art. 117 non sono trasferibili alla esclusiva competenza delle regioni, che le “funzioni”  devono essere specifiche e non comuni (es.: minoranze linguistiche, luoghi di confine o con esigenze particolarissime, ecc. ) ed in ogni caso anche le funzioni devo essere giustificate dalla perfetta applicazione del principio di sussidiarietà.

 

La giusta autonomia regionale

Molti firmatari della richiesta di referendum, tra cui il sottoscritto, sono favorevoli allo sviluppo dell’autonomia regionale ma non certo nella forma voluta da Calderoli giustamente definita secessionista o frantumatrice dell’unità della Repubblica.  Essi sono contrari allo statalismo di massima centralizzazione ma pure al secessionismo ed alla competitività tra Regioni. 

Essi vogliono l’autonomismo regionale come disegnato dai Padri Costituenti nel 1948 eventualmente aggiornato dal legislatore del 2001(nuovo titolo V) ma a condizione che tale aggiornamento sia interpretato ed applicato secondo le odierne ed inderogabili direttive del Giudice delle Leggi.

Ben vengano perciò i Lep (livelli essenziali delle prestazioni e relativi fabbisogni e costi standard); così si “certificherà” una volta per tutte quale sia il bisogno effettivo di ciascuna regione rispetto agli standard, quale e quanta differenza via sia tra regioni ricche e regioni povere, come debba assolutamente abbandonarsi il criterio assurdo della spesa storica che nulla aggiunge alle regioni povere ed anzi le costringe ad un permanente distacco dalle regioni ricche.  Ben venga tutto ciò, così sarà meglio misurabile anche la performance della classe dirigente territoriale politica e tecnico-burocratica.

I Lep, insomma, non servono per favorire autonomie differenziate ma sono necessari per avere chiaro quanta esigenza vi sia di riequilibrio tra i diversi territori in cui si articola la Repubblica. 

Cosa succederà ora? 

Se i supremi giudici dichiareranno inammissibile il referendum resta comunque al Parlamento l’onere di introdurre tutte le direttive costituzionali imposte dalla sentenza sapendo che ogni deroga sarà illegittima stante questo precedente tassativo; se il Parlamento non correggerà la legge nel senso indicato, la stessa resterà lettera morta (come già è successo per altre leggi) in quanto non applicabile essendo stati già espunti tutti i punti essenziali che la caratterizzavano.

Se invece i supremi giudici dichiareranno ammissibile il referendum su quel nulla che resta della legge sarà ancora più difficile raggiungere il già difficilissimo quorum (circa 25 milioni di cittadini) stante la scarsa partecipazione alle urne registratasi negli ultimi anni ora vieppiù sostenuta dal fatto che la legge Calderoli è stata già cassata dall’organo di verifica della illegittimità costituzionale e di essa non resta più nulla. Ma si può fare.

Intanto qualcuno dica a Calderoli & Co (Salvini, Zaia, Fontana e maggioranza governativa) che la partita in ogni caso l’hanno già persa e che finalmente l’autonomia regionale non sarà mai differenziata come loro avrebbero voluto con uno spirito anticostituzionale e spezzaitalia mai visto dal 1948 ad oggi. (em)

 

REGGIO – I consiglieri di IV: Decisione Consulta chiara bocciatura linea politica della Lega

Per i consiglieri comunali di Reggio di Italia Viva, la bocciatura della Consulta dell’autonomia «rappresenta un freno alla politica promossa dalla Lega».

«Si tratta, quindi – si legge nella nota – di una bocciatura chiara di quella linea politica. E deve far pensare anche sulle posizioni espresse da Forza Italia e dal presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto».

«Ora – hanno sottolineato – è necessario che i parlamentari del Sud riflettano e che la pericolosa idea dell’autonomia differenziata venga definitivamente messa da parte».

«Sebbene i giudici non abbiano ritenuto fondata la questione di costituzionalità riguardante l’intera legge – hanno detto – alcune sue parti fondamentali sono state dichiarate illegittime. Alla base della decisione la Consulta ha ribadito tre principi cruciali: l’unità indissolubile della Repubblica, la solidarietà tra le regioni e l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini italiani».

«Un’altra criticità fondamentale sollevata dalla Corte riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), ovvero gli standard dei servizi che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale. La Consulta ha evidenziato che tali livelli non possono essere fissati da una delega legislativa generica o da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, poiché questo limiterebbe il “ruolo costituzionale del Parlamento” e svuoterebbe la sua funzione legislativa, che spetta al Governo».

«Di fronte a ciò – hanno detto – si ribadisce l’importanza di mantenere la gestione di settori come sanità e istruzione sotto il controllo statale, poiché le regioni più in difficoltà necessitano di un sostegno maggiore. Molti servizi, come gli asili nido, sono più sviluppati al Nord, ma non nelle regioni del Mezzogiorno, e la spesa storica va riformata per garantire opportunità e risorse a chi è rimasto indietro». (rrc)

L’OPINIONE / Mimmo Praticò: Autonomia inciderebbe in modo determinante sull’attività sportiva

di MIMMO PRATICÒ – Premesso che, ritengo, l’autonomia differenziata importante per lo sviluppo
dello Sport sul Territorio, mentre lo Sport è importante per migliorare la salute dei
cittadini.

Sull’Autonomia Differenziata, fino ad oggi, si sono dette un mare di parole, una montagna di discorsi, senza, a mio parere, mettere in pratica la vera realtà che vive il nostro Territorio. Un Territorio ultimo in tutto, penalizzato dai “migranti italiani” che (fortunatamente non partono più con la valigia di cartone legata con i lacci),sempre più numerosi sono costretti a partire per i lidi del Nord Italia, quando va bene, altrimenti sono “costretti” a volare verso terre lontane, non in cerca di fortuna, bensì per “esportare” le proprie intelligenze, le proprie capacità, il proprio sapere, riuscendo ad “ingegnarsi” per raggiungere traguardi professionali orgogliosamente prestigiosi.

Io sono sicuro che noi saremmo pronti ad accettare la sfida che rappresenta l’Autonomia Differenziata, purché, prima di farla diventare operativa, lo Stato ci mettesse nelle condizioni di poter partire ad armi pari. Se così fosse “ce la giocheremmo” senza paura, perché il nostro Territorio, meglio di tanti altri, conosce il senso del sacrificio, le aspre difficoltà della sofferenza, l’amarezza delle privazioni che dobbiamo affrontare giornalmente.

Lo Stato, se veramente volesse che il nostro Territorio uscisse dal vassallaggio in cui è stato confinato, dovrebbe prima metterci sulla stessa linea di partenza per poter “combattere” con gli stessi mezzi. Noi ci possiamo domandare: che c’entra la Sport con l’Autonomia Differenziata? C’entra, eccome se c’entra!
Basterebbe mettere a norma i tanti impianti sportivi per garantire l’uso in sicurezza. Costruire impianti prendendo in considerazione tutte, o la maggior parte, delle discipline sportive, affinché i giovani e tutti i cittadini avrebbero la possibilità di scelta (senza costruire, in linea di massima, campi di Calcio a pochi chilometri uno dall’altro).

Dare la possibilità e l’opportunità ai diversamente abili di accedere a qualunque impianto, gratificandoli nelle loro scelte, accentuando le loro capacità e loro attitudini. Recuperare le decine o centinaia di opere sportive iniziate e mai completate; sul nostro Territorio ce ne sono diverse in queste condizioni. Mettere in condizioni la Cittadinanza di utilizzare gli impianti applicando “prezzi sociali”, in modo da permettere a tutti di praticare l’attività sportiva, considerato le difficoltà economiche di una buona percentuale di famiglie che vivono in uno stato di indigenza.

Altra importante considerazione, ma non ultima, è la definizione della gestione degli impianti, dato per scontato che, ormai, i Comuni hanno abdicato a tale compito, è giusto aprire alla gestione dei privati purché applichino prezzi agevolati per soddisfare tutti i ceti sociali. È di fondamentale importanza, in questa scelta, che i Comuni si impegnino, tramite i propri funzionari, di controllare, almeno ogni 6 mesi, l’andamento e il mantenimento qualitativo della struttura.

Spesso i Comuni concedono gli impianti sportivi in gestione ai privati per togliersi un peso o perché non hanno un numero di personale in condizioni di poter fare le dovute verifiche.Pertanto può succedere ( o succede) che gli impianti appena costruiti non sono soggetti a controllo e, a lungo andare, la struttura inizia ad andare in malora sempre di più,fino a quando non si è costretti ad abbandonarla o a chiuderla per inagibilità.

Parlare degli innumerevoli benefici che porta lo Sport, credo li conosciamo tutti: l’attività fisica contribuisce a mantenere e migliorare il benessere psico-fisico a qualunque età. Lo “stare insieme” dello Sport evita la depressione, la solitudine, la sedentarietà e ti permette di confrontare  con gli altri le tue capacità motorie. Lo Sport ti insegna il rispetto delle regole, attività sociale importante per una collettività che perde, ogni giorno di più, il senso di questo Valore sociale.

Nello Sport è difficile che vinca chi non è nelle condizioni di esprimere al meglio le sue qualità fisiche e mentali.Nello Sport non ci sono raccomandazioni e, laddove ci fossero, sarebbero come le bugie:”hanno le gambe corte”. Lo Sport, come la Scuola e la  musica, fa nascere amicizie spontanee che  spesso si trasformano in rapporti che durano per tutta la Vita. Considerato che il Mondo in questo periodo sta vivendo conflitti devastanti, mi permetto aggiungere che: «nello Sport si vince senza uccidere, in guerra si uccide senza vincere».

Insomma, l’Autonomia Differenziata inciderebbe in modo determinante sull’attività sportiva non solo perché combatte le malattie, bensì perché offre un grande contributo al benessere sociale; tant’è che, è universalmente riconosciuto, incide del 1,3% sul Pil Italiano. Così, mentre lo Sport offre il proprio contributo per il benessere degli Italiani la Sanità segue una strada molto perigliosa creando molto disagio ai malati, non garantendo la possibilità di curarsi quando è necessario. Chiudendo le guardie mediche, primo baluardo del soccorso al cittadino.

Non garantendo la qualità dei Pronti Soccorso che diventano, spesso,”hub” ingestibili o una “casba”dove ognuno ritiene di comportarsi come meglio gli pare, mentre i medici, oltre a svolgere la propria attività, in diverse occasioni, si vedono costretti a lavorare a rischio della propria incolumità, per le intemperanze dei malati o dei loro parenti accompagnatori.

Un altro problema diventato negli anni una costante negativa è la gestione delle Asp, che sono quasi sempre in deficit economici, che approvano, in alcuni casi, bilanci orali, che pagano più di una volta i crediti ad un fornitore, che spesso sono soggetti a commissariamenti non adeguati che rischiano di peggiorare la situazione.

Tutto ciò creando uno scarso servizio ai degenti, costringendo i medici ed gli addetti al servizio di dare appuntamenti per gli esami e controlli a chi soffre in tempi siderali. Sarei curioso di sapere, grazie, purtroppo, a questa condizione sopra umana inaccettabile, quante persone muoiono ogni giorno tra  coloro i quali non possono curarsi nei tempi giusti e necessari, a danno della sacralità della vita umana.

Spesso si tratta di attendere tempi inaccettabili (mesi, trimestri, semestri, ed oltre) per le visite oncologiche, per avere quanto è necessario per ricevere un piano terapeutico per esami per malattie gravi che rischiano di diventare terminali che, purtroppo, conducono alla morte il malato, non rispettandolo nel fisico e nella dignità.

Il nostro disastrato Sistema Sanitario Nazionale non è in grado a riconoscere a 360 gradi il merito dei medici ospedalieri, non è in grado di assumere medici, anche perché, una volta laureati, scappano verso lidi più professionali, più specializzati che riconoscono il proprio lavoro professionale anche sotto l’aspetto economico.

Purtroppo, sperando che le mie fonti siano esatte, nel 2023 quasi 4 milioni e mezzo di italiani hanno rinunciato alle cure  e le spese per la prevenzione sono state ridotte del 18,6%,mentre la spesa privata è aumentata del 10,3%. Pertanto, ad oggi, se non si riesce a cambiare questo “status”, lo Sport continua a fare ed a dare il massimo nel Sociale, mentre per la Sanità dobbiamo confidare nella provvidenza divina.

Se non ci sarà, quindi, una vera, reale e concreta Autonomia, purtroppo, ai nostri giovani rimane soltanto “l’Autonomia” di andare in giro per il Mondo per cercare un lavoro che gli permetta di poter vivere una Vita di qualità culturale e sociale degna del loro impegno professionale, altrimenti saranno costretti ad accettare di rimanere nel “guscio” della città natia con la speranza di potersi arrangiare meglio possibile, ed, in qualche caso, speriamo mai, di essere costretti a delinquere, perché non hanno più fiducia nella vita che ha frantumato i sogni di ognuno di loro.

Lo Sport, dunque, deve continuare la sua missione sociale e culturale, senza se e senza ma, ben sapendo che deve svolgere il suo ruolo di ente formatore di giovani atleti, di professionisti, di imprenditori che grazie ai suoi insegnamenti potranno affrontare l’oggi ed il loro futuro di donne e uomini che “non mollano mai”pronti a combattere per un Mondo migliore, per i loro ideali, per consentire a loro ed ai loro figli una prospettiva rosea, radiosa ricca di speranze che devono diventare realtà!

Viva lo sport, sinonimo del latino “mens sana in corpore sano”. Chiudo con un appello: Investire nello sport per una sanità al servizio di tutti è investire nel benessere di tutti. Autonomia non deve significare disuguaglianza, ma crescita condivisa. Anche perché, purtroppo, «la vita è come una foglia, che basta un alito di vento per farla volare via». (mp)

[Mimmo Praticò è presidente Onorario del Coni Regione Calabria e  già Presidente della Reggina 1914]

AUTONOMIA: LA CONSULTA HA BOCCIATO
UN’IDEA SBAGLIATA DELLO STATO ITALIANO

di ERNESTO MANCINI – L’insegnamento della Corte Costituzionale in tema di autonomia regionale differenziata, così come sintetizzato nel comunicato stampa emesso dalla medesima Corte il giorno 14 u.s., è chiarissimo.

La Corte, nell’incipit della propria decisione, afferma “che l’art. 116 terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”.

Tale forma di Stato, dice la Corte, “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.

Dunque, autonomia sì, quanto possibile – e ciò va condiviso da chi, come il sottoscritto, è autonomista convinto – ma non fino al punto da stravolgere la forma di Stato introducendo un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello solidale e cooperativo nonché in violazione dei princìpi di unità della Repubblica e di uguaglianza dei diritti così come voluti dai Padri Costituenti del 1948. (artt. 2, 3 e 5 Cost.)

La Corte enuncia ben sette motivi di incostituzionalità della legge Calderoli svuotandola dei suoi contenuti essenziali; si può dire perciò che questa legge non esiste più se non solo formalmente o comunque non è più eseguibile (sul punto la valutazione dei costituzionalisti è pressoché unanime).

Tra i sette punti di incostituzionalità ci si deve soffermare sul primo sia per motivi di tempo necessario per gli ulteriori approfondimenti sia perché, ammesso che si possa fare una graduatoria di gravità incostituzionale, questo motivo primeggia e assorbe tutti gli altri.

Dice la Corte: «è incostituzionale (…) la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà».

Ciò significa: che non possono trasferirsi dallo Stato alle Regioni intere materie (es.: istruzione, sanità, ambiente, lavoro, energia, ecc.); che possono trasferirsi solo specifiche funzioni legislative od amministrative; ma ciò, in ogni caso…; b.1) …deve avere una specifica giustificazione (“dimostrazione” –  “motivazione”) in relazione alla singola regione…; b.2)  .e, comunque, deve osservarsi il principio di sussidiarietà.

Così, per esempio, la “materia sanità” non è trasferibile in via esclusiva alla singola regione né può trasferirsi la “funzione assistenza ospedaliera rientrante in tale materia” perché non è specifica della singola regione ma comune a tutte le altre.

Può invece trasferirsi, continuando nella necessaria esemplificazione, la funzione legislativa ed amministrativa (prendiamo in prestito un esempio ricorrente nel dibattito degli scorsi mesi) relativa alle cave di Toscana (Carrara-Volterra) perché specifiche di quel territorio, sempre che se ne dimostri la convenienza per lo Stato e che vi sia pertinenza col principio di sussidiarietà (es.: specificità locale, dimostrazione che a livello locale si può svolgere meglio la funzione rispetto alla competenza concorrente tra Stato e Regione, costi-benefici, criticità, opportunità, ecc. ecc.).

Con la sentenza qui in esame, dunque, la Corte chiarisce una volta per tutte come deve intendersi l’espressione usata nella riforma del 2001 all’art. 116 della Costituzione: “ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia”.

Al riguardo il Giudice delle Leggi demolisce la possibilità che singole regioni “ricche” si approprino disinvoltamente, con la collaborazione di un Ministero compiacente, di intere, grandi e strategiche materie e di molteplici funzioni; impedisce che le Regioni entrino in competizione tra loro, che lucrino sui relativi proventi indebolendo simmetricamente il resto della finanza pubblica, che estromettano lo Stato da ogni potere, pregiudicandone  la prerogativa di stabilire i principi fondamentali della materia stessa ed impedendogli di creare un quadro normativo di base comune per tutti i territori.

Con tutto ciò creando piccole repubblichette l’una contro le altre armata e “tutte insieme appassionatamente” contro lo Stato.

Va da sé che qualsiasi correzione della legge che non ottemperi al principio affermato dalla Corte sarà costituzionalmente illegittimo. Calderoli deve ridisegnare la legge ma in modo esattamente opposto a come l’aveva concepita e non gli sarà perciò congeniale.

Le pre-intese non sono più attuali ed anzi contrarie alle regole ora imposte dalla Corte Costituzionale; lo stesso referendum può non essere più attuale votandosi su una legge che è ben lontana, direi svuotata, rispetto a quella avversata con la raccolta delle firme.

Degli altri sei motivi di incostituzionalità, come eccepiti dal Giudice delle Leggi, se ne può parlare in altro momento per non appesantire il lettore non giurista che in questa materia deve avere molta pazienza.

Per il momento il pericolo è scampato ma le vie della prepotenza, degli attacchi alla Costituzione e della involuzione sono infinite. La guardia deve perciò restare alta. (emn)

Autonomia, Occhiuto: Occasione per superare la spesa storica

Con la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia, «ora andrà in Parlamento e si modificherà questa legge, attuando davvero il Titolo V della Costituzione: quindi non solo l’autonomia differenziata ma anche il superamento della spesa storica». È quanto ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, intervenendo a Start su TgSky24.

«Avevo invocato un supplemento di riflessione sulla legge Calderoli – ha ricordato il Governatore – e la Corte Costituzionale ha disposto di fatto la moratoria che avevo più volte invocato: la Consulta ha detto che non si possono trasferire materie ma soltanto funzioni. Adesso c’è una grande opportunità per il centrodestra, perché c’è la possibilità di approfondire realmente questa legge in Parlamento».

Occhiuto, ribandendo di non avere «pregiudizi nei confronti dell’autonomia differenziata: ma ho sempre detto, dal primo giorno, che il tema era l’attuazione dell’intero Titolo V. Invece nella legge Calderoli si è parlato solo di autonomia differenziata, mai dei Lep, mai dei diritti sociali e civili che vanno garantiti – e su questo la Costituzione prescrive degli obblighi – a tutti i cittadini».

«La cosa che mi è piaciuta di più della sentenza della Corte Costituzionale è che ha focalizzato l’attenzione soprattutto sui Lep, sulla necessità di garantire e finanziare i livelli essenziali delle prestazioni», ha detto Occhiuto, aggiungendo: «Calderoli dice che andrà avanti con le intese sulle materie non Lep? Consiglierei al ministro un po’ di prudenza, perché è importante attuare il titolo V della Costituzione, ma è importante, soprattutto, farlo in maniera tale che l’autonomia non sembri divisiva per il Paese».

«Credo però che ora, dopo la sentenza della Corte Costituzionale – ha spiegato il Governatore – della quale lui come altri della Lega si dichiarano giustamente soddisfatti perché la legge non è stata giudicata incostituzionale, forse un bagno di umiltà rispetto alle parti che dovevano essere approfondite e invece sono state trascurate dovrebbe pur farlo. I toni, a volte, sono importanti per ottenere il consenso più largo in Parlamento».

Per Occhiuto «forse le accelerazioni degli ultimi mesi sulle materie non Lep hanno generato tra i cittadini, soprattutto tra quelli del Mezzogiorno, la convinzione che si volesse andare avanti senza curarsi troppo dei diritti e dei doveri che lo Stato deve assicurare al Sud. Quindi, suggerirei un po’ di prudenza per evitare che questa legge venga rappresentata in maniera più divisiva di quando invece non sia».

Alla luce della sentenza della Consulta, per Occhiuto «ora il referendum sull’autonomia differenziata non abbia più alcun senso, perché la legge andrà profondamente modificata dal Parlamento, in parti essenziali».

«Si dovranno riformare tutte le parti che riguardano la definizione dei fabbisogni, dei Lep – ha concluso – il loro finanziamento, il trasferimento delle funzioni invece che delle materie. Quindi credo che non ci sarà più materia per il referendum. La sinistra, sbagliando, ha fatto di questo tema un tema ideologico». (rrm)

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: Meloni e colleghi chiedano scusa e facciano dietrofront

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – È una bocciatura senza appello quella della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata. La Consulta ha infatti dichiarato incostituzionali praticamente tutti i pilastri fondanti del testo voluto dal governo delle destre, cassando si spera in maniera definitiva ogni rigurgito secessionista.

Quanto dichiarato dalla Corte è la conferma tecnica di quanto da lungo tempo sosteniamo dal punto di vista politico, cioè che questa legge sarebbe stata un colpo mortale ai diritti socioeconomici e di cittadinanza per milioni di italiani, una sorta di secessione mascherata che avrebbe minato alle fondamenta la solidarietà e l’unità nazionale.

Adesso si spera il Governo possa rendersi conto compiutamente degli enormi e gravissimi rischi ai quali ha esposto l’intera comunità nazionale. Chissà cosa ne pensano i tanti parlamentari calabresi e meridionali che sventolavano trionfanti le bandiere delle regioni il giorno dell’approvazione della legge. Da questo punto di vista ci attendiamo che Meloni e colleghi gettino definitivamente la maschera, chiedano scusa per questo gravissimo affronto ai diritti costituzionali e facciano un immediato dietrofront.

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Nicola Fiorita: Inascoltato l’appello dei sindaci su ricorso a Consulta

di NICOLA FIORITA – La Calabria poteva essere alla guida della battaglia per fermare l’Autonomia differenziata e non lo ha fatto, lasciando alle altre Regioni il compito di ricorrere alla Consulta.

È mancato il coraggio e oggi, davanti al pronunciamento della Corte che demolisce la legge Calderoli nei suoi punti centrali, la nostra Regione appare debole e contraddittoria. Peccato, perché l’appello che avevo lanciato,e poi sottoscritto da 130 sindaci tra cui tutti quelli delle grandi città, aveva indicato una strada istituzionale, il ricorso alla Consulta, invocando una sostanziale convergenza tra centrodestra e centrosinistra per l’interesse della Calabria. Si è scelto invece di annacquare tutto con il ricorso a fantomatici “osservatori”, linea purtroppo sposata anche da Anci Calabria.

E, mentre in Calabria si osservava, le altre Regioni hanno fatto sul serio e la Consulta ha praticamente demolito l’impianto di Calderoli. Io penso che le preoccupazioni del presidente Occhiuto sugli effetti nefasti dell’Autonomia siano sincere e oggi, dopo l’illuminante pronunciamento della Consulta, mi sento di chiedergli un forte impegno politico, anche nel suo ruolo di leader nazionale di Forza Italia, perché la legge sull’Autonomia venga riscritta nel rispetto dell’unità nazionale e degli interessi del Meridione, salvaguardando i diritti fondamentali dei cittadini calabresi. (nf)

[Nicola Fiorita è sindaco di Catanzaro]