di FRANCO CIMINO – A che servirebbe richiamare il tempo ormai lontano della cosiddetta prima Repubblica o le consuetudini di paesi democratici oggi, che dinnanzi a una posizione simile a quella assunta dal deputato Borghi e dal Ministro Salvini, ambedue esponenti di un partito di governo, sarebbero stati chiamati dal capo dell’Esecutivo a rassegnare loro le dimissioni che hanno, in modo diverso, chiesto al presidente della Repubblica, se proprio quel capo resta, come altre volte in casi gravi, in assoluto silenzio? Ovvero, in profondo pensamento per vedere opportunisticamente la posizione più conveniente da assumere? Infatti, non servirebbe a nulla. E io non chiedo la loro rimozione da alcuna propria postazione.
E di Borghi quella dell’incarico nella Lega. Questa politica é diventata così brutta, che pensare di applicarle le regole almeno del buon senso o della più elementare educazione istituzionale, sarebbe come gettare due secchi d’acqua in mare. Spostiamo, invece, il nostro interesse su due altri aspetti, non meno preoccupanti. Il primo riguarda l’ignoranza che porta questi due personalità politiche ad affermare delle vere assurdità intorno al valore della festa del due giugno e a quello della Repubblica.
Il secondo, per il più misero opportunismo, il concetto di sovranità nazionale in rapporto a quello di nazione. Il terzo, per estensione dell’ignoranza, l’Europa e la perdita di sovranità. Il tutto mantenendo sullo sfondo la totale distrazione sulla Costituzione. Anzi, non considerata affatto. Come se non esistesse. Ho scritto ieri una lunga riflessione su Repubblica, due Giugno e Grande Carta, per cui non mi ripeterò in alcuno di quei pensieri. Dico brevemente solo le tre cose con riferimento a quanto su elencato.
Questione “educazione” e, quindi, rispetto e gentilezza, a prescindere. Cosa ha detto il Presidente di tutti gli italiani, il democratico custode dei valori della Costituzione, il galantuomo che ogni paese ci invidia, “Russia” compresa? Testualmente, nella frase che ha fatto sollevare i due leggiti, questo: «Con le elezioni consacriamo la sovranità dell’Europa». Capisco che per i sovranisti questa parola è come carne per il macellaio, ma drammatizzarne il senso politico è davvero sorprendente.
Maggiormente se proviene da una forza politica, la Lega, che, nel mentre reclama la sovranità della nazione, si batte per realizzare l’autonomia differenziata, la quale assegnerebbe maggiori poteri alle regioni. Vai, poi, a vedere con quali meccanismi di egoismo territoriale e di prevaricazione dei ricchi sui già poveri. La sovranità europea, di cui parla il grande statista europeo Mattarella, nel solco dell’antico pensiero dei padri dell’Europa, è quella che si muove sull’antica vocazione dell’Italia per la costruzione dell’Europa Unita, quale soggetto politico nuovo per la crescita economica di tutto il Continente e, quale, attore nuovo ed essenziale, per la costruzione della Pace nel mondo.
Una sovranità che si erga come valore etico e politico e guida di un insieme di Stati, è quella invocata dal Presidente. Una sovranità che consente ai singoli paesi, pur non perdendo nulla della loro cultura e del loro peso politico, di cedere alla nuova istituzione solo la parte del loro vecchio egoismo e della assurda elefantiasi concezione del loro orgoglio, i veri nemici del Progresso e della Democrazia. E, soprattuto, di quel necessario spirito di solidarietà tra i popoli che si trasformi, ancor più fortemente di oggi, in programmi unitari di crescita, in contemporanea, di tutti i popoli nell’unico popolo europeo. Europa sovrana, significa Europa libera, democratica, indipendente. Unione di Stati liberi e democratici e “dipendenti” solo da quel grande progetto unitario. Che abbia come slancio di generosità la fatica per la Pace nel mondo.
È da questo sogno, oggi fine dell’Europa e suo primo progetto politico, che il nostro Presidente ha fatto discendere, anche ieri, la frase assurdamente contestata. Che non è stata affatto estemporanea e neppure personalizzabile. Essa, come Mattarella ripete continuamente, in particolare ai giovani, deriva dai dettami costituzionali, che educano alla Democrazia. E comandano che l’Italia sia protagonista nelle due fatiche storiche: l’Europa e la Pace. E per loro mezzo, di quella per l’attuazione dei principi fondamentali del vivere civile, la fratellanza, la giustizia, l’eguaglianza, la Libertà. Per tutti, persone e nazioni, popoli e stati. Nel sogno, per nulla cancellato, di un mondo nuovo, in cui i confini siano solo geografici e i popoli siano soltanto l’unico che li comprenda tutti, l’Umanità.
Questo è tutto. Cosa farà Giorgia Meloni per aprire, e non per chiudere, una profonda discussione su questi principi, quali decisioni vorrà prendere, che non siano le riservate scuse al Presidente sui più segreti canali diplomatici, per sanare una ferita istituzionale così profonda, anche questo mi interessa poco. Mi interessa e mi preoccupa invero molto, l’origine culturale che spinge sulla riforma cosiddetta del “premierato”. Il mio no ancora più netto e la mia battaglia per impedirla nel modo in cui è stata concepita, si racchiude nella domanda: «Cosa sarebbe stato, non di Mattarella, ma del presidente della Repubblica, in quanto istituzione, se quelle contestazioni, di cui abbiamo detto, fossero state lanciate in regime di capo del Governo eletto direttamente dal popolo». (fc)