di SERGIO DRAGONE – L’autoironia non è “una dote di cui sono colmi” i calabresi, direbbe De Andrè. Appartengo a quella schiera di persone che non hanno paura di ridere dei propri difetti e di quelli della propria terra, senza per questo fare venire meno la propria orgogliosa appartenenza. Uno dei miei maestri in giornalismo, l’indimenticabile Saro Ocera, diceva che dopotutto la Calabria era solo “la parte a nord dell’Egitto”. Un campione di autoironia.
Figurarsi se mi ha scalfito più di tanto la performance, per la verità un po’ deludente, di Checco Zalone sul palco di Sanremo che ha ambientato in Calabria la surreale favola di Cenerentola/Trans Oreste. L’intenzione di lanciare un messaggio contro l’omofobia è stata lodevole. Non è la prima volta che l’artista pugliese affronta temi scottanti, come quello dell’immigrazione nel suo bel film Tolo Tolo. Anche in quell’occasione, lanciò una “battuta terribile” (sono parole sue) sulla Calabria. Nella scena in cui la nave con i profughi a bordo avvista il porto di Vibo Marina, il protagonista della delicata ed esilarante storia si rivolge ai migranti: «Torniamo in Africa, è meglio, ci vogliono far sbarcare a Marina di Vibo Valentia, su dai, un minimo di dignità».
Zalone è molto bravo, nulla da dire, e ad un artista tutto si può permettere. Ci sarebbe da interrogarsi perché ha immaginato la Calabria come terra “ideale” dell’intolleranza omofoba e dell’ipocrisia sugli orientamenti sessuali.
E’ forse per lui ed i suoi autori l’emblema dell’arretratezza culturale che fomenta l’odio contro gay e lesbiche? Questo aspetto dovrebbe chiarirlo Checco ed è dirimente in questa polemica che si è scatenata sui social. Io credo che la favola di Cenerentola/Trans Oreste poteva essere ambientata tranquillamente in ogni regione italiana dove la cronaca ogni giorno segnala fenomeni terribili di intolleranza e violenza omofoba.
Una cosa sola non riesco a perdonare al formidabile attore pugliese (che anche in futuro andrò a vedere al cinema): avere sfregiato la canzone-capolavoro di Mimì sia pure per una causa nobile. A parte la solita gaffe di Amadeus che avrebbe ben potuto ricordare la straordinaria Mia Martini, mi ha colpito negativamente quel testo goffo e sguaiato che a mio parere risulta offensivo anche verso i transessuali.
Il capolavoro di Mimì si reggeva su una prova di alta poesia di Bruno Lauzi e come tale è diventato immortale. A me è parso sinceramente un sacrilegio e non c’entra niente l’autoironia.
Lo stesso tema venne affrontato con ben altra eleganza e genialità da due grandi artisti. Nel 1984 Pierangelo Bertoli scrisse l’intensa e triste Maddalena, in cui denunciava l’intimo dramma psicologico di un trans. Molti anni più tardi, Fabrizio De Andrè, il più grande di tutti, compose Princesa, ispirato al libro autobiografico di Fernanda Farias De Albuquerque, detta “Princesa”, scritto in carcere a Rebibbia. Inutile sottolineare la differenza con il grottesco testo di Cenerentola/Oreste trans.
In ogni caso, lo spettacolo deve andare avanti. E dobbiamo andare avanti anche noi calabresi, con le armi dell’autoironia e la voglia di cambiare. (sdr)