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«NON PIÙ SERVITORI MUTI» MA IMPEGNATI
IN UNA POLITICA NEL SEGNO DELLA LIBERTÀ

«NON PIÙ SERVITORI MUTI» MA IMPEGNATI IN UNA POLITICA NEL SEGNO DELLA LIBERTÀ

di PINO NANODi mons. Francesco Savino so quel tanto, o quel poco, che di solito si racconta in Vaticano di ogni altro Vescovo scelto in questi anni da Papa Francesco, e di lui in Vaticano – in Sala Stampa si sa sempre tutto – si dice sia un pastore di grande carisma e di grande intelligenza. Ma si dice soprattutto che Papa Francesco, ormai quasi dieci anni fa, lo abbia fortemente voluto alla guida della Diocesi di Cassano allo Jonio per la fermezza delle sue idee e per la severità con cui già da giovane sacerdote in Puglia, sua terra di origine, lui trattava e giudicava sé stesso.

Non mi meraviglia, dunque, il fatto che in queste ore lui abbia preso carta e penna e abbia deciso di scrivere una lettera-aperta alla politica, e a chi in queste ore si candida alle elezioni europee o comunali.

Francamente non accadeva da tempo. E non mi meraviglia affatto che questa sua lettera alla politica, lui l’abbia consapevolmente definita nel titolo di apertura che ne fa “Un atto politico”.

Un “atto politico” per un pastore della Chiesa come lui, per giunta Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana per il Sud, vuol dire una cosa importante. 

Vuol dire che è un appello a cui nessuno può sottrarsi.

Vuol dire che siamo in presenza di una riflessione che non può e non deve passare inosservata. Vuol dire che non è solo un monito per tutti, ma è anche una lezione di vita e di morale cristiana. Sono tre cartelle piene, di pensieri e parole, che fanno di questo “atto politico” una sorta di testamento spirituale per la storia di questa regione.

«Non è un atto di ingerenza in ambiti che non mi competono- sottolinea Mons. Savino- non è una indebita invasione di campo, né un tentativo di condizionamento delle scelte che farete, delle parole che pronuncerete, delle idee che porterete. Questa invece è la piena assunzione di responsabilità di chi, come me, convinto da sempre – come avrebbe detto don Lorenzo Milani – che “il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”, certamente avverte di non avere nessun titolo per dare lezioni a nessuno e nessuna presunta autorità sacrale nel nome della quale profondere elevati consigli, tuttavia si sente fortemente gravato dalla responsabilità di “sortire insieme» dai problemi che attanagliano gli uomini e le donne di queste nostre comunità.

«Un atto politico», lo chiama Mons. Savino. Forse, però, è molto di più che un “atto politico”. 

Direi, piuttosto, che è “Un atto di fede”.

«Prima ancora che da cristiano – dice mons. Savino – io vi scrivo da uomo che nella vita ha deciso di stare sulla terra con entrambi i piedi e di starci così come ci è stato l’Uomo dei Vangeli: schierato con la gente che fa fatica, dalla parte di chi è stato privato di ogni dignità e compagno di strada degli ultimi, di quanti sono costretti al silenzio, degli scomunicati, dei falliti, dei tanti che vivono ai margini».

Altro che un“Atto politico”. 

Questa di Mons. Savino è una denuncia sociale di dimensioni enormi. Se non altro, per come lui la argomenta e la spiega al mondo esterno.

«Guardo queste nostre comunità nelle quali, seppur con i miei limiti e le mie fragilità, cerco di mettercela tutta per contribuire a realizzare quel sogno di Terra impastata con il Cielo che il Maestro di Nazareth chiamava Regno di Dio, e non posso non pensare a quanti invece il cielo non sanno più guardarlo stanchi di tante promesse non mantenute, rassegnati per i tanti treni in partenza con figli che non faranno più ritorno, sopraffatti dalle angherie del malaffare, della furbizia, della violenza criminale e della volgarità ‘ndranghetista».

Rieccola, finalmente, la Chiesa del coraggio, la Chiesa della preghiera, la Chiesa della pietà, la Chiesa della speranza, la Chiesa degli altri.

«Seguo il dibattito politico che da tempo caratterizza la vita di questo nostro Paese e non posso non annotare -scrive il Vescovo- uno scadimento culturale e per certi versi anche etico che sta sdoganando un linguaggio sempre più violento e modalità sempre più irruenti di chi attraverso la politica dovrebbe dare testimonianza di rispetto, di garbo e di cortesia, e invece alimenta situazioni di tensione, rancore e spaccature».

Mi chiedo, ma come si fa a sintetizzare un testamento spirituale di questa portata senza però correre il rischio di tralasciare le parti più salienti del messaggio della Chiesa di Francesco?

Francamente non lo so, ma proverò a farlo.

«Vi confesso – scrive ancora Mons. Francesco Savino – che sento sempre più mie le parole di quell’inusuale e duro atto di accusa che tanti anni fa fece il santo vescovo Tonino Bello dinanzi ad una classe intellettuale silente e per certi versi complice di una politica che già allora involgariva i propri toni: “siete latitanti dall’agorà – scriveva don Tonino – è più facile trovarvi nelle gallerie che nei luoghi dove si esprime l’impeto partecipativo che costruisce il futuro. State disertando la strada. Per scarnificare la storia di ieri state abbandonando la cronaca di oggi che, senza di voi, è destinata a diventare solo cronaca nera (…). Vi siete staccati dal popolo, così che per la vostra diserzione, stanno cedendo nell’organismo dei poveri anche quelle difese immunologiche che li hanno preservati finora dalle più tragiche epidemie morali (…). E intanto la città muore».

Quante verità assolute nascondono queste dichiarazioni, e quanto coraggio deve avere avuto il vescovo di Cassano nel chiedere ad ognuno “Dove siete finiti?”

«Lasciate – aggiunge mons. Savino – che vi consegni, infine, la mia pena e la mia tristezza per quelle scene di violenza sempre più numerose che in questi ultimi tempi stanno caratterizzando le tante piazze nelle quali i nostri giovani ovunque in Italia – e non solo – manifestano il loro dissenso e la loro contrarietà ad ogni forma di discriminazione, di guerra, di aggressione all’ambiente. Scene che, come tanti fra voi, pensavo di aver relegato alla memoria della mia gioventù, a quando anche io volevo dire la mia per un mondo più giusto e solidale durante quelle stagioni piene di tensioni sociali che pensavamo non potessero più tornare. Ed invece eccole riaffiorare di nuovo come una specie di fiume carsico che in realtà non ha mai smesso di scorrere in silenzio sotto i nostri piedi».

Una denuncia dietro l’altra, ma che fanno di questa lettera-aperta ai candidati politici un documento di grande valenza nazionale.

«Da qui – sottolinea l’Uomo della Cei al Sud – la necessità di ribadire che la politica la facciamo tutti “insieme” e non voi soltanto, da qui il dovere di rigettare la logica delle deleghe in bianco, da qui la responsabilità da parte mia di rivolgermi a voi con una franchezza che, credetemi, lungi dal voler essere l’atto presuntuoso di chi pensa di avere sempre qualcosa da insegnare, è semplicemente la parresia del vangelo, quella che ti monta dentro quando incroci i volti della fatica, gli sguardi della rassegnazione, le lacrime della sottomissione, quella che ti fa parlare a nome di chi non ha più voce perché gli è stata strozzata in gola, e ha perso ogni speranza perché le speranze sono andate tutte deluse».

Ma come se ne esce Padre?

«Una sola cosa – scrive Mons. Savino nella sua lettera – mi limiterò a dirvi, anzi a chiedervi riprendendo proprio le parole di padre Ernesto Balducci, un religioso, filosofo e teologo al quale la mia formazione deve tanto, che negli anni Ottanta diceva che “la nostra premura è che le coscienze delle persone non diventino subordinate a noi”, qualcosa che io vivo quotidianamente sulla mia pelle come terribile responsabilità».

Rieccola, dunque, la Chiesa della speranza, del perdono, del futuro, dove ciò che davvero conta è la libertà di ognuno.

Questo passaggio conclusivo è bellissimo.

«Nella vostra azione politica e nel lavoro che ora andrete a fare in occasione di questa importante tornata elettorale – ripete mons. Savino – abbiate come sola premura «che le coscienze delle persone non diventino subordinate» a voi. Rifuggite piuttosto da certa politica clientelare che alimenta il “desiderio di dipendere, di consegnarsi in mano a qualcuno, di scaricarsi della responsabilità di scegliere”, e impegnatevi piuttosto per una politica che restituisca ad ogni persona «il desiderio di essere libero».

Un inno alla libertà individuale e collettiva, altro che “atto politico”. Un inno al rispetto dell’altro, altro che “atto politico”. Un inno alla ricerca del bene comune, altro che “atto politico”. 

«Quel grande teologo svizzero che è stato Hans Urs von Balthasar – conclude l’apostolo della Cei al Sud – esortava perché gli uomini e le donne che incrociamo ogni giorno non siano “più servitori muti di dèi muti”. Non vi nascondo che in questa frase io trovo ogni giorno il senso ultimo ma anche la bellezza del mio ministero. Auguro a voi di scoprire in queste parole il significato più profondo della vostra vocazione politica e la motivazione più radicata del vostro impegno».

Grazie Padre, per aver trovato il coraggio di essere sempre così diretto. (pn)

 

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