di SANTO STRATI – Il decreto sanità Calabria che andrà in votazione finale martedì 18 al Senato è la più concreta dimostrazione di come il Sud e la Calabria siano considerati dal governo lega-stellato. Peggio che sudditi, i calabresi vengono privati del servizio sanitario con la sola preoccupazione di togliere la facoltà di nomina alla Regione, dimenticando quali sono in realtà i reali problemi della sanità: personale mancante ovunque, medici e paramedici, convenzioni ritirate ad ambulatori privati, che suppliscono egregiamente all’assenza delle strutture pubbliche, e soprattutto mai pagati dalla pubblica amministrazione (o con ritardi insostenibili per qualsiasi gestione economica), servizi di emergenza o di urgenza lasciati esclusivamente all’abnegazione di tanti medici e personale sanitario che fanno miracoli pur di non far mancare l’assistenza necessaria. Ecco perché questo decreto – se i nostri governanti avessero un minimo di dignità – dovrebbe cadere, prima ancora che sia appurata la sua lampante incostituzionalità.
Il Fatto Quotidiano, che, generalmente, è abbastanza tenero con i grillini (grandi responsabili di questo sfacelo) venerdì ha titolato un commento di Enzo Paolini in modo inequivocabile: “La disfatta non è della Calabria, ma dell’intero Paese”. «Nessuno – né il ministro, né i sottosegretari, né i commissari, non il presidente della Regione, neanche i sindaci – dice niente su come far rimanere in Calabria e i malati che sono consapevolmente, dolorosamente espulsi, mandati a curarsi in altre regioni. Una vergogna – scrive Paolini – che costa ai calabresi 300 milioni l’anno… La rinascita di un popolo, quello calabrese, paradigma di un Paese in ginocchio, non passa attraverso la dichiarazione di incostituzionalità di un decreto di commissariamento che espropria le istituzioni delle loro legittime funzioni, ma attraverso la riqualificazione della propria classe dirigente, che ha perso ogni contatto con i cittadini».
Non tutti, però, hanno perso il contatto. Due iniziative indicano che c’è ancora chi crede nel proprio mandato. La prima si tiene domani a Reggio: il sindaco Giuseppe Falcomatà ha convocato in seduta straordinaria in piazza Italia il consiglio comunale e quello metropolitano sul problema della sanità di Reggio (col dissesto conclamato dell’ASP): è la prima volta nella storia che il consiglio comunale e il consiglio metropolitano si convocano congiuntamente in piazza, per ascoltare le diverse istanze del mondo della sanità reggina, dando voce agli utenti, ai pazienti dei servizi, agli operatori, ai medici, ai professionisti che operano nelle strutture pubbliche e private presenti sul territorio comunale e metropolitano, con l’obiettivo di offrire indicazioni e percorsi su una tematica che assume un’altissima rilevanza sociale, per un territorio storicamente penalizzato sotto il profilo del diritto alla salute. Ci sarebbe da aspettarsi anche una presa di posizione sul decreto sanità, su cui – temiamo – i cittadini non sono stati adeguatamente informati.
L’altra iniziativa, molto più clamorosa, si deve al senatore azzurro Marco Siclari, un medico, reggino di nascita, che ha fatto della salute la sua battaglia quotidiana nelle aule del Parlamento. Siclari – come è possibile ascoltare nel suo contributo video – invita alla mobilitazione tutta la Calabria, ovvero i calabresi che hanno a cuore la propria salute e quella dei loro cari. Martedì 18 in Senato si vota sul decreto Sanità, dopo che sono stati respinti tutti i 152 emendamenti presentati: Siclari ha organizzato una manifestazione a Roma, alle 14.30 davanti a Montecitorio per difendere il diritto alla salute dei calabresi. Partiranno molti pullman da ogni parte della Calabria e non sappiamo ancora quanti aderiranno a quest’invito alla mobilitazione. Una volta tanto, al di là degli schieramenti politici, sarebbe auspicabile vedere insieme tutti i sindaci dei capoluoghi e dei centri grandi e piccoli, i rappresentanti delle istituzioni (Regione, Province, Comuni) accanto a semplici cittadini per mostrare il volto unito di una Calabria che non è più disposta a tacere.
Non riteniamo che sia un disegno di natura propagandistica o elettorale questo di Siclari, ma un sincero sdegno di un calabrese che si sente vicino ai calabresi. Nessuno pensi di sminuire il significato di questa manifestazione, solo perché l’ha promosso un senatore di Forza Italia, che peraltro è uno dei tantissimi giovani calabresi che ha dovuto lasciare la propria terra per crescere professionalmente e costruire il futuro. Quel futuro che viene continuamente negato ai nostri giovani laureati, apprezzati e utilizzati a piene mani dalle regioni ricche o dal resto del mondo che capisce il valore di questi ragazzi e offre loro opportunità di crescita, di formazione, di specializzazione, di successo. È un invito che deve trovare solidali i calabresi e soprattutto i loro rappresentanti politici, perché dalla piazza il dibattito vada in Parlamento.
Stavolta non si parla, però, dell’emigrazione intellettuale, dramma sociale che i nostri ragazzi vivono in prima persona, ma di salute. I calabresi, scippati di tutto, si vedono sottrarre anche il diritto di potersi curare nella propria terra, dove ci sono fior di specialisti e la malasanità non è colpa dei medici e del personale. La Calabria, dovrebbe trovarsi riunita davanti a Montecitorio a urlare il suo risentimento e la sua indignazione, fino a far vergognare chi ancora contrabbanda come panacea di tutti i mali questo assurdo decreto che per la Sanità calabrese non prevede neanche un euro. La Lega in Calabria sta costruendo una realtà politica impensabile fino a qualche anno fa: Salvini e i suoi dimostrino che ci tengono davvero a questa terra, non valutandola soltanto come terra di conquista elettorale, abbiano il coraggio di far cadere il decreto e avviare un discorso nuovo, serio, che prenda in considerazione la salute, prima di tutto, e le reali esigenze dei malati e dei cittadini.
È fin troppo facile prevedere che non succederà. E che probabilmente l’iniziativa di Siclari non troverà il consenso sperato, se non ci sarà una partecipazione significativa e forte. Però i calabresi si ricordino di dire basta e di alzare la voce, democraticamente e con la dignità che fa parte della loro (e della nostra) storia. (s)