Il 10 novembre scade il decreto Sanità: chiesti 6 mesi di proroga

Il prossimo 10 novembre scade il cosiddetto decreto Calabria. Il Presidente Occhiuto chiede una proroga: «Il governo – ha detto – proroghi questo provvedimento per 6 mesi, ci servono per completare il consolidamento della struttura manageriale della sanità che ho costruito in questi mesi e per continuare con le manovre che abbiamo avviato sulle risorse umane, sull’eliminazione del precariato, e con l’opera di ricostruzione della contabilità e del debito.

Abbiamo ancora bisogno di qualche mese per far partire a pieno regime Azienda Zero, ed avere così operativa la struttura di governance della sanità regionale.

Lo stesso tempo ci serve per chiarire lo scenario economico-finanziario nel quale si muoveranno le Asp e le Ao alla fine del commissariamento, e per farlo entro il 31 dicembre completeremo la circolarizzazione come previsto dalla legge e immediatamente nei mesi successivi ne analizzeremo gli esiti anche con il contributo di altre istituzioni come la Guarda di Finanza.

Vogliamo poter chiudere bene questo scrupoloso lavoro che rappresenterà il punto di partenza della nuova stagione della sanità calabrese». 

Anche il responsabile Pd della Sanità per il Mezzogiorno, Carlo Guccione, concorda con il presidente Occhiuto sulla necessità di prorogare di almeno sei mesi il decreto Calabria. 

Secondo Guccione, «È giusto che i calabresi non paghino, ancora una volta, il prezzo della malagestione della sanità calabrese visto che fino ad oggi non si è riusciti ad attivare tutte le norme previste dal Decreto Calabria. Ecco perché è giusto prorogare di ulteriori sei mesi questo provvedimento: non possiamo privare il comparto sanità della possibilità di avere il contributo di solidarietà di 60 milioni per ciascuno degli anni 2021, 2022, 2023, e un Piano straordinario delle assunzioni. 

L’erogazione delle risorse è condizionata al programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro che al momento non è stato approvato, né adottato. 

Ci auguriamo che il nuovo Governo possa trovare il modo di prorogare il Decreto Calabria prima della scadenza, prevista il 10 novembre. Ottenuto il prolungamento si vigili sul rispetto dei tempi e si faccia in modo che venga approvato il nuovo Piano operativo 2022-2024 per poter usufruire dei fondi. 

Ricordo, inoltre, che abbiamo a disposizione circa 1,5 miliardi di finanziamenti Inail ed ex articolo 20 legge 67/88 per l’edilizia sanitaria (costruire nuovi ospedali e ristrutturare presidi ospedalieri degli anni 70-80). Pur in presenza di ingenti finanziamenti è venuta meno la capacità di utilizzarli, in tempi ragionevoli, nella realizzazione delle opere previste: i tre nuovi ospedali, il cui iter di realizzazione è partito nel 2007, a distanza di 15 anni ancora non sono stati costruiti. Bisogna chiudere questa brutta pagina, la vera sfida oggi si gioca sulla capacità di mettere in campo tutte le azioni necessarie per realizzare le opere previste in tempi rapidi e con procedure chiare e trasparenti». (rrm)

DECRETO SANITÀ APPROVATO DAL SENATO
CALABRIA COMMISSARIATA PER DUE ANNI

Con 149 voti favorevoli e 117 contrari, il Decreto Calabria è diventato legge. Questo significa che la Calabria sarà commissariata per altri due anni, sotto la ‘guida’ del Commissario ad acta Guido Longo, che sarà affiancato da sub-commissari. Non è un bel giorno per la Calabria, anche se, grazie all’emendamento dell’on. Roberto Occhiuto, il debito della sanità calabrese potrà essere spalmato in trent’anni, consentendo nuove spese e soprattutto nuovi investimenti e assunzioni di personale medico e paramedico prima impediti dalla criticità della situazione economica e finanziaria,

Diversi i commenti prima, durante e dopo l’approvazione. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri nel corso della seduta al Senato ha rimarcato che: «La Calabria ha bisogno di normalità». Il che significa – ha detto Sileri – «trovare un ospedale vicino casa aperto, non chiuso, come purtroppo si vede in molte parti d’Italia e soprattutto in Calabria; significa trovare un medico vicino; significa trovare qualcuno che ti ascolta. I calabresi hanno bisogno di questa normalità, che tutti auspichiamo».

«Il provvedimento che ci apprestiamo a votare oggi – ha detto ancora Sileri – rappresenta il mezzo verso questa normalità che, ognuno di noi deve volere, perché siamo italiani, ma siamo anche tutti calabresi. Trovo francamente ingiusto per due motivi, il fatto che una persona calabrese e la sua famiglia debbano spostarsi dalla Calabria verso Napoli, Roma o Milano, perché non riescono a trovare una cura. In primo luogo, perché democrazia significa poter avere cure adeguate ovunque, anche vicino casa. In secondo luogo, è un’ingiustizia anche per il personale sanitario che vive, lavora e si sacrifica in Calabria. Vi garantisco che, avendo visitato diverse strutture in Calabria, la qualità sanitaria c’è. Il provvedimento che ci apprestiamo a votare deve anche rappresentare il mezzo per dare fiducia ai calabresi per quello che hanno nel loro territorio».

Tra gli interventi dei senatori contrari al Dl Calabria, ci sono quelli di Marco Siclari di Forza Italia, che ha ricordato al Governo nazionale «in Calabria lo Stato ha fallito per 11 anni per il tramite dei suoi commissari. Ho anche aggiunto – ha scritto su Facebook – che con l’approvazione di questo decreto, lo Stato certifica che i calabresi vengono considerati figli di un Dio minore. Al governo è mancato persino l’amore per la parte più debole del Paese, e lo dimostra questa scelta del Governo che ripropone di commissariare, di altri due anni, la sanità dopo aver riconosciuto i fallimenti registrati in 11 anni».

«Fallimenti – ha continuato Siclari – che hanno comportato, persino, la zona rossa alla Calabria per l’impossibilità della sanità calabrese di curare i malati di Covid, frutto dell’incapacità del Commissario di migliorare, in questi ultimi due anni, il Decreto Calabria, l’assistenza sanitaria».

«Ho concluso – ha detto Siclari – invitando il Governo, che ha certificato un’assistenza sanitaria inadeguata per la Calabria, di dare priorità ai calabresi nel piano vaccinale».

La senatrice forzista Fulvia Michela Caligiuri, nel corso della seduta, ha illustrato la proposta di non passare all’esame degli articoli del dl Calabria che prevede la proroga del commissariamento della Sanità calabrese. «Il decreto – ha spiegato – che proroga il commissariamento della Sanità calabrese, per ulteriori due anni viola apertamente diversi principi costituzionali, in primo luogo quello che prevede la leale collaborazione tra enti territoriali e lo Stato e la sussidarietà. La Regione, invece, viene privata di svolgere la sua funzione ed i suoi legittimi poteri. Inoltre, il commissariamento è finalizzato al mero rientro del debito, senza tenere in alcun conto la necessità di garantire le cure, ed una sanità all’altezza ai calabresi sul loro territorio. Dopo i fallimenti di ben undici anni di commissariamento – ha aggiunto la sen. Caligiuri – l’unico provvedimento da fare d’intesa con tutte le forze politiche era la restituzione della gestione della sanità alla Regione».

Anche Ernesto Magorno, senatore di Italia Viva, ha dichiarato il suo ‘no’ al Dl Calabria: «Non posso che sentirmi mortificato e deluso da un Governo che, di fatto, sembra aver dimenticato e abbandonato la Calabria. Una Calabria considerata sempre di più Cenerentola d’Italia. Noi sindaci – ha aggiunto Magorno – misuriamo, con piccoli e grandi problemi della nostra gente, ascoltiamo la loro disperazione, cerchiamo di rielaborarla in soluzioni e, soprattutto, non ci voltiamo mai dall’altra parte. Era questo il senso e il motivo del mio emendamento al Decreto Calabria, in cui proponevo di istituire, all’interno della struttura commissariale della sanità, un organo formato dai sindaci, con poteri di controllo e di proposta. Ma, allo stato dei fatti, quell’emendamento, non solo mio ma dei sindaci della Calabria e stato stravolto».

Tra i favorevoli, invece, la sen.  Bianca Laura Granato del Movimento 5 Stelle, che ha ricordato che «da oltre tre 10 anni, la Calabria è sottoposta a piano di rientro sanitario. Tanti cittadini non riescono ad usufruire del diritto costituzionale alla cura, e sono costretti alla migrazione sanitaria. La vigilanza dello Stato sui sistemi sanitari regionali è indispensabile così come è importante che le dirigenze sanitarie vengano assunte non dalla politica ma in base a concorso pubblico in base a criteri meritocratici e non di affiliazione politica».

«Fondamentale – ha aggiunto – è anche rivedere i parametri di assegnazione dei fondi per il finanziamento dei servizi sanitari regionali, sulla base non della popolazione pesata ma anche in funzione delle co-morbilità che, sicuramente, comportano costi di gestione più elevati».

«Non tutti sapranno – ha proseguito – che i bilanci di 4 anni dell’Asp di Reggio Calabria sono spariti, e sono stati sostituiti da bilanci orali, non tutti sapranno che il commissariamento governativo ha riguardato solo l’aspetto economico-finanziario, ma quello gestionale è sempre rimasto nelle mani della Regione Calabria, i cui governatori che si sono susseguiti hanno sempre confermato le stesse persone alla guida delle Asp e hanno confermato sempre premialità per tutti i dirigenti che dopo numerosi anni di questa gestione hanno portato l’indice dei Lea a 136, ovvero ben 24 punti al di sotto delle soglie di accettabilità. Quali sono le principali cause del dissesto? Il rapporto “malato” pubblico-privato, per il quale si faceva ricorso a continui sforamenti del budget destinato alle strutture private convenzionate, con conseguente contenzioso e nuovi oneri per il bilancio delle Asp, le forniture spesso inutili o obsolete pagate fuori dai listini di mercato liquidate, anche più volte, assunzioni clientelari da parte dei politici di turno. Tutto ciò ha subìto una inevitabile battuta di arresto con il commissariamento governativo, ma ha anche comportato delle restrizioni non indifferenti sul diritto alla cura dei calabresi che si sono visti improvvisamente aumentare il costo delle prestazioni, della diagnostica, imporre limitazioni nelle prescrizioni, ma è fondamentale sempre distinguere le cause dagli effetti: le cause sono riconducibili alla cattiva gestione della sanità da parte della regione Calabria».

«Oggi, per la seconda volta – ha detto ancora – votiamo un decreto per la sanità calabrese. Abbiamo reso la struttura commissariale più incisiva anche nel merito della gestione del servizio sanitario calabrese, grazie ad un suo potenziamento sotto il profilo amministrativo e sanitario. Le precedenti strutture commissariali hanno sempre operato in una sorta di deserto istituzionale, private di qualsiasi supporto da parte del dipartimento della salute della Regione Calabria, pertanto un solo commissario, anche quando, col precedente decreto Calabria supportato tecnicamente da un sub Commissario, non è mai stato sufficiente a portare soccorso al disastrato sistema sanitario calabrese anche perché ci si deve muovere nel perimetro costituzionale modificato a favore delle autonomie regionali attraverso la riforma del Titolo V realizzata nel 2001».

«Per il piano di rientro sono stati stanziati altri altri 180 milioni per i debiti certificati – ha aggiunto la senatrice Granato –. Non sappiamo a quanto ammonti il debito non certificato proprio per i bilanci di anni mancanti. Speriamo che l’attuale struttura possa venire a capo di questo groviglio che appare inestricabile. È fondamentale, che il sistema sanitario nazionale possa essere sostenuto attraverso l’impiego di strutture pubbliche a copertura di tutto il fabbisogno. Le strutture private che hanno gestito male le risorse, che rischiano la chiusura, perché hanno operato gonfiando le spese a carico del servizio sanitario regionale, se attualmente indispensabili a garantire la continuità del servizio per alcune prestazioni sanitarie devono essere pubblicizzate».

«È questa – ha concluso – la ricetta per uscire dalla drammatica situazione in cui oggi si trova la sanità calabrese e quella di tutte le regioni d’Italia». (rrm)

Decreto Calabria: Magorno contesta il mancato coinvolgimento dei sindaci

Ultime battute per la conversione in legge del decreto Calabria, in Senato. Amare le considerazioni del sen. Ernesto Magorno, che è anche sindaco di Diamante. Il senatore aveva proposto ancora una volta, con un emendamento (bocciato) un maggiore coinvolgimento dei sindaci nella gestione della sanità calabrese.

«Non posso che sentirmi mortificato e deluso – ha detto in aula il sen. Magorno, argomentando il suo no al decreto – da un Governo che, di fatto, sembra aver dimenticato e abbandonato la Calabria. Una Calabria considerata sempre di più Cenerentola di Italia. Oggi più di ieri, noi sindaci siamo alle prese con la difficoltà di far quadrare il difficile equilibrio tra domanda dei cittadini e offerta pubblica. Ci misuriamo con piccoli e grandi problemi della nostra gente, ascoltiamo la loro disperazione, cerchiamo di rielaborarla in soluzioni e, soprattutto, non ci voltiamo mai dall’altra parte. Siamo noi a raccogliere il grido di aiuto di uomini, donne, anziani, giovani e purtroppo bambini costretti a lasciare la Calabria e ad affrontare l’esodo sanitario verso gli ospedali del nord, un calvario personale e familiare per farsi curare da malattie oncologiche o sottoporsi a visite specialistiche o a operazioni chirurgiche. Era questo il senso e il motivo del mio emendamento al “Decreto Calabria” in cui proponevo di istituire, all’interno della struttura commissariale della sanità un organo formato dai sindaci, con poteri di controllo e di proposta. Ma, allo stato dei fatti, quell’emendamento, non solo mio ma che ha la voce, il volto e l’anima dei sindaci della Calabria è stato stravolto totalmente e privato della parte in cui si prevedeva un diretto coinvolgimento dei sindaci calabresi nella filiera di comando della struttura commissariale alla sanità. Purtroppo, questa norma è stata inopinatamente stralciata e ciò dovrebbe preoccupare l’intera delegazione dei senatori calabresi, quantomeno di coloro che appartengono al centrosinistra e alla maggioranza di Governo. Il passato ci insegna che una classe politica, conservatrice e preoccupata di difendere lo“status quo” è capace solo di scrivere le pagine più brutte della nostra storia sia a livello nazionale che regionale.Il futuro ci sollecita a lanciare un segnale di grande maturità e coerenza, dando dimostrazione di avere nel cuore e nella mente solo ed esclusivamente il bene e la crescita della nostra Nazione e quindi anche della Calabria. Pertanto, proprio per tutelare fino in fondo i diritti dei calabresi, sono mio malgrado costretto a votare no al Decreto Calabria. Se votassi il testo del Decreto Calabria, così come è stato modificato nei lavori parlamentari alla Camera, tradirei me stesso, la mia gente, le mie radici, la mia storia, i miei ideali. Questo Decreto doveva rappresentare una svolta per la sanità in Calabria. Questo Decreto doveva esaltare il ruolo dei sindaci, invece li umilia e contemporaneamente li manda in prima linea a mani nude. Con questo Decreto si vuole governare per sempre la Calabria attraverso la sanità. Di fatto si stabilisce un principio che anche la moderna civiltà giuridica avanzata aborre. Il “fine pena mai”. Il “fine commissariamento” per la Calabria MAI! Ed io, che sono cresciuto alla scuola di quella politica che parte dal basso, fatta con dignità, coerenza e trasparenza, in una piccola sezione di partito come in piazza, per il popolo e con il popolo, DICO NO!».

Il Senatore e Sindaco di Diamante ha concluso: «È questo il modo di essere e fare politica, a cui ho sempre creduto, ispirandomi ad una donna tenace e coraggiosa, un grande esempio di passione e disinteressato impegno civile, culturale e sociale per la sua terra e in difesa dei diritti dei cittadini, in particolare delle fasce più deboli della popolazione. Quella donna, ci è riuscita, a differenza di oggi, in cui il diritto alla salute viene garantito con tagli e chiusure di strutture ospedaliere che paradossalmente peggiorano l’efficienza sanitaria e aumentano il deficit pubblico. Quella straordinaria donna, è una calabrese, è Marianna Presta, mia madre, interprete autentica dei veri valori e dei più alti ideali della tradizione socialista, che incarna nella propria storia, la politica autentica, quella che mette al centro la persona e l’amore per la polis. La politica, in cui mi riconosco, a cui sono fiero di appartenere, con cui ho sempre operato, con cui sto svolgendo la mia attività di parlamentare e con cui amministro da Sindaco.Ma se, come sembrerebbe, la politica sta diventando tutt’altra cosa, con l’amarezza di chi ha creduto e crede nel valore delle istituzioni, con la responsabilità civile e morale che appartiene alla mia cultura e coerenza di politico, di cittadino, di uomo libero e democratico, valuterò il mio ritiro dalla attività politica al termine della Legislatura Parlamentare e del mio mandato da Sindaco». (rp)

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto Calabria sul commissariamento della Sanità

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri con entrata in vigore da oggi il decreto sulla proroga del commissariamento della sanità in Calabria. Il decreto (n. 150 del 10 novembre dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni dai due rami del Parlamento.

Nel decreto è stata inserita anche la norma che fa slittare, causa pandemia, la data delle elezioni che si dovranno tenere tra tra il 14 febbraio (prima data utile) e il 28 marzo.

Nel decreto non c’è alcun riferimento alla nomina del commissario ad acta, mentre è prevista la permanenza dei commissari e dei direttori generali nominati in base al precedente decreto e in carica al 3 novembre 2020.

Il decreto avrà durata biennale, con verifiche obbligatori ogni sei mesi sullo stato di attuazione delle misure necessarie per il ripristino delle normali condizioni amministrative in ambito sanitario. Secondo il decreto, spetterà al commissario ad acta la nomina dei commissari Asp e delle Aziende ospedaliere nonché i direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale e qualsiasi altro organo ordinario o straordinario. Alla data odierna cessano dunque dalle loro funzioni tutti i commissari (incluso Zuccatelli che aveva la gestione dei due ospedali catanzaresi Mater Domini e Pugliese Ciaccio).

La nomina del nuovo commissario è attesa per oggi stesso. (rrm)

Il testo completo pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale di oggi

ZONA ROSSA O GIALLA , DIATRIBA INUTILE
LA REGIONE VOTI CONTRO DECRETO SANITÀ

di SANTO STRATI – Il Consiglio regionale è stato convocato in via straordinaria domani, sabato per votare un ordine del giorno con cui si chiede per la Calabria il declassamento da zona rossa a zona gialla. Il che, se permettete, è una rispettabilissima iniziativa ma che non serve a nulla: rossa o gialla la zona, poco cambia per la nostra regione, visto che la decisione – sicuramente non facile – di un parziale lockdown per la Calabria risponde esclusivamente a una logica di prevenzione e non si basa, ovviamente, sul numero dei contagi, per fortuna molto più bassi che nelle altre tre regioni diventate zona rossa. Il problema principale riguarda la fragilità strutturale della sanità in Calabria: non ci sono, di fatto, le condizioni per affrontare ricoveri di massa in terapia intensiva, ove il contagio dovesse assumere livelli incontrollabili. In altre parole, occorre fermare le possibilità di rischio contagio costringendo i cittadini a evitare situazioni di assembramento e l’unico strumento valido, ad oggi, risulta la chiusura di attività e bloccare le persone a casa. Piaccia o no, la situazione provocata da dieci anni di insensato commissariamento della sanità nella regione ha messo in ginocchio il territorio calabrese, con una feroce (e criminale) politica di tagli economici che hanno guardato solo ai risparmi ottenuti e non al numero delle vittime di malasanità che si sarebbero potute evitare. È questo il vero senso della battaglia che tutti insieme, Consiglio e Giunta regionale, sindaci, amministratori, società civile, devono portare avanti: opporsi con ogni mezzo all’infame decreto Sanità la cui proroga per 24-36 mesi è un’offesa ai calabresi e una mortificazione per le competenze e le capacità locali che, grazie a Dio, non mancano.

Da ogni parte si levano scudi contro la decisione di instaurare una zona rossa (ogni sindaco ha deciso di dire la sua), ma dopo le dichiarazioni del ministro della Salute Roberto Speranza alla Camera c’è poco da contestare: il problema non è il colore della zona, ma ha due aspetti di fondamentale importanza. Il primo riguarda l’organizzazione e l’immediato adeguamento delle strutture sanitarie per fronteggiare la crisi covid (visto che da giugno ad oggi, pur avendo i quattrini, si sono realizzati appena sei posti in più di terapia intensiva a Reggio), così da scongiurare una evitabile quanto odiosa ondata di nuove vittime per mancata assistenza. Il seocndo è rivolto al tessuto imprenditoriale e sociale: se il Governo decide di chiudere, lo faccia, ma prima metta i quattrini per ristorare le perdite nelle tasche di ristoratori, baristi, commercianti, esercenti che vedono sfumare non solo ricavi che già si annunciavano ridotti al 50%, ma anche qualsiasi aspettativa di ripresa economica. È comodo dire chiudiamo e poi paghiamo: il Governo deve prendersi la responsabilità diretta di gestire la crisi sia sanitaria sia economica, lasciando parte le promesse (ci sono svariate migliaia di lavoratori che aspettano ancora la cassa integrazione da aprile e si sono salvati grazie alle generose anticipazioni dei datori di lavoro, quando è stato possibile) e mettendo nero su bianco date e cifre, Soldi veri, non crediti d’imposta. Le serrande sono abbassate ma le spese corrono ugualmente: affitti, utenze, tasse e imposte, contributi, manutenzione e quant’altro serve per tenere in piedi un’azienda. I nostri governanti, probabilmente, non conoscono le dinamiche di spesa per gestire un’attività commerciale, ma non possono più ignorarle, come non possono ignorare le centinaia di migliaia di imprenditori e lavoratori autonomi invisibili ed esclusi, pur facendo capo alla filiera produttiva del Paese. Lo abbiamo scritto e lo ripeteremo fino alla noia: si rischia di provocare una spaventosa crisi di nuova povertà che investe il ceto medio, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti. Serve bloccare ogni imposizione fiscale se si vuole salvare il tessuto produttivo, diversamente salta in modo irreversibile l’economia del Paese e sarà troppo difficile arginare la spaventosa massa di nuovi disoccupati (licenziati) di precari senza alcuna possibilità di reimpiego, di padri di famiglia disperati perché privati di qualsiasi reddito. E cosa danno da mangiare ai propri figli? Le promesse del Governo?

Quindi, ben vengano le iniziative di lotta, il rigore – possibilmente trasversale – delle forze politiche calabresi a chiedere di guardare con occhio diverso ai bisogni reali della nostra disgraziata terra. Perché è intollerabile che ancora oggi gli italiani del Nord, ricco e opulento, abbiano in investimenti fissi di sanità 84,4 euro a disposizione, contro i 15,9 degli italiani di Calabria: è qui l’odioso divario su cui – proprio nell’ambito sanitario – bisogna confrontarsi e alzare la voce, battere i pugni, fino a farsi sentire, senza rinvii né vaghe assicurazioni. La riserva del 34% a favore del Mezzogiorno in termini di spesa per gli investimenti è diventata legge e bisogna dare atto al premier Conte e al ministro per il Sud Peppe Provenzano, ma già ecco che a proposito del Recovery Fund le regioni del Nord (che covano silentemente il sogno dell’autonomia differenziata) stanno già brigando per togliere al Sud buona parte dei fondi proprio a esso destinati.

Il presidente f.f. Nino Spirlì – cui suggeriremmo per amor di patria di astenersi da altre comparsate televisive che generano solo imbarazzo – fa bene a promuovere una decisa iniziativa contro il rinnovato decreto Sanità, rimarcando le colpe dei commissari che «non hanno svolto il loro lavoro correttamente». Spirlì afferma che «è necessario raccontare le cose per come stanno, sulla scorta di atti formali che fotografano al meglio la verità che stiamo raccontando da giorni. Prima di dire che questa situazione è responsabilità della Regione, dunque, è opportuno che i rappresentanti del Governo interroghino la propria coscienza, facciano un passo indietro e accettino, una volta per tutte, quella che ormai è una certezza: il fallimento della gestione commissariale in Calabria. Quella stessa gestione che l’esecutivo Conte, malgrado una forte opposizione interna, si accinge a riproporre». E il presidente facente funzioni non dimentica di elogiare il lavoro di quanti stanno dannandosi l’anima per aiutare chi soffre: «non consentirò mai – ha detto – che vengano messi in discussione lo sforzo e la professionalità dei medici, degli infermieri e del personale sanitario e amministrativo della regione. Professionisti eccezionali che, nonostante le tante criticità determinate dalle varie strutture commissariali scelte dal Governo, hanno dato – e stanno dando tuttora – il massimo di se stessi per far funzionare l’intero sistema. Li ringrazio uno a uno».

Ma c’è anche chi il commissariamento lo difende. La senatrice pentastellata Bianca Laura Granato non usa mezzi termini: «Paghiamo le dirette conseguenze dell’inadeguatezza anche degli apparati burocratico-amministrativi regionali che solo un commissariamento rafforzato potrebbe sopperire. È davvero fuori da ogni logica invocare l’uscita del commissariamento in queste condizioni, a chi dovremmo affidare la sanità in questa regione? – si chiede la senatrice Granato – certo non ad una classe dirigente e politica che ha miseramente fallito pur avendo avuto il tempo e le risorse per intervenire e mettere in sicurezza il diritto alla salute e alle cure dei calabresi». Con buona pace della sen. Granato è forse utile ricordarle che il decreto Sanità portato a vanto del M5S è stato poi sconfessato da numerosi parlamentari calabresi pentastellati per l’incapacità di offrire soluzioni alla grave situazione della sanità in Calabria.

Anche per questo motivo, ci permettiamo di considerare un’inutile discussione quella che domani il Consiglio regionale – già con le contestazioni di natura politica dell’opposizione – andrà ad affrontare. Si parli di emergenza sanitaria e dell’impossibilità per i calabresi di autogestirsi in un momento così drammatico del Paese e in una situazione dove la salute di tutti è messa seriamente a dura prova. Si individuino gli strumenti di lotta civile per impedire che venga votato il nuovo decreto di commissariamento: questo è l’impegno che i calabresi si aspettano dai loro rappresentanti istituzionali, è questo il vero obiettivo da raggiungere. Mai più commissariamenti, autodeterminazione delle figure professionali locali adeguate a risolvere i problemi e a gestire la sanità, con una non meno importante aspettativa: l’azzeramento del debito pregresso nella sanità. Si può fare, le norme dell’emergenza, l’extradeficit, la disponibilità dell’Europa nei confronti del debito pubblico, lo permetterebbero. Ci vuole volontà politica e una buona dose di coraggio e autorevolezza, che ahimè, non riusciamo a intravvedere in questo esecutivo, in balia dei capricci dei cinquestelle (prossimi a diventare quattro gatti) e dei colpi di tosse d’un Salvini ormai in caduta libera. Il Covid lascerà una insopportabile scia di vittime e danni spaventosi alla nostra economia, ma allo stesso tempo può rappresentare un’opportunità unica per cavalcare la crisi e guidare il Paese verso crescita e sviluppo, mettendo al primo posto il Mezzogiorno e il suo ruolo fondamentale nell’ottica mediterranea.

Ci piacerebbe, dunque, auspicare una sorta di tregua per il bene comune, ma sappiamo che quasi certamente è un sogno irrealizzabile. I nostri irresponsabili esponenti politici (nessuno escluso) sanno solo continuare in inutili schermaglie dialettiche, impalpabili, fumose e inaccettabili, per imputare all’una e all’altra parte ogni genere di errore, per attribuire tutti i guasti di dieci anni di commissariamento della sanità, e, infine, per contrastare qualsiasi iniziativa solo perché presentata dalla parte avversa. Per cortesia, fermatevi, i calabresi ne hanno le scatole piene di questi atteggiamenti e trovate un punto d’incontro per raggiungere il comune obiettivo del bene comune. A leggere le note che arrivano in redazione, da maggioranza e opposizione, non si può non notare che l’emergenza covid non ha insegnato nulla, anzi sta accentuando – in vista del prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale – lo scontro politico, senza esclusione di colpi. Basterebbe un onesto e serio esame di coscienza per mettere da parte arroganza, supponenza e incapacità di dialogo e ragionare, una volta tanto, nel solo interesse dei calabresi. (s)

 


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CONTE SOTTRAE LA SANITÀ AI CALABRESI
FARE PRESTO, IL DECRETO È IMPUGNABILE

di SANTO STRATI – Beffati e traditi i calabresi, mortificata la Calabria e le sue competenze. Svilite le grandi capacità che eccellenti manager hanno da sempre saputo dimostrare. La proroga del già pessimo decreto Sanità Calabria è l’ultimo atto di una guerra silenziosa dichiarata alla Calabria dalla congrega dell’autonomia differenziata: è l’obiettivo, mascherato delle ricche regioni del Nord, quelle, per intenderci che aspettano di liberarsi della “zavorra” del Mezzogiorno e della sua “piagnucolante” popolazione. Quelle regioni, guarda caso, più colpite nella prima fase del coronavirus (Lombardia, Veneto ed Emilia) e oggi di nuovo sull’orlo dell’abisso di un nuovo incubo.

Quando l’incolpevole ministra Erika Stefani, ai primi di luglio dello scorso anno, su mandato di Salvini & company, aveva tentato di far passare il testo sull’autonomia differenziata, poco è mancato che venisse presa a fischi e irripetibili versacci: non era aria, ma lei non l’aveva capito, e aveva tentato di portare. a termine il delicato, quanto esplosivo incarico. Era il tempo del governo gialloverde, mancavano ancora diversi mesi al Papeete e alla salvinata di mezza estate che avrebbe cambiato profilo all’esecutivo. Quell’esecutivo che aveva come ministro della Salute la pentastellata Giulia Grillo. prima firmataria ed esecutrice convinta del decreto Sanità Calabria. Firmato in quel di Reggio, da un Consiglio dei ministri appositamente convocato in Calabria per fare passerella elettorale. Uno spot ai danni dei calabresi sbeffeggiati a casa propria, costretti a subire un provvedimento che peggiorava le cose anziché tentare di migliorarle. La Sanità usciva da otto anni di infelice e terribile commissariamento, con guasti al sistema già di per sé traballante assai, e ripiombava in un nuovo commissariamento, con precise esclusioni di manager locali, come se non ci fossero professionalità di altissimo livello in grado di gestire la Sanità.

Tutto è passato, tra amarezze, inefficaci manifestazioni di protesta (il sen. Marco Siclari ne guidò una davanti a Montecitorio), ma non ci fu verso di modificare neanche una virgola. Lo scorso settembre, quando, naturalmente neanche lontanamente si poteva pensare all’ondata pandemica che avrebbe travolto tutti, l’allora presidente della Regione Mario Oliverio aveva incontrato a Roma il nuovo ministro della Sanità, Roberto Speranza, ottenendo promesse, vaghe, ma era già un risultato, sulle modifiche che sarebbe stato il caso di apportare al famigerato decreto. Finita la legislatura, arrivato il Covid, è giunto alla scadenza naturale l’orribile testo normativo.

La presidente Jole Santelli aveva scritto un’accorata lettera il 13 settembre proprio a Speranza e al presidente Conte indicando le priorità da seguire proprio in vista della scadenza del decreto. Non è successo nulla, nonostante gli appelli, gli allarmi, gli avvisi che da ogni parte si sono levati contro la sola idea di una proroga che sarebbe stata non solo ingiusta ma sicuramente improponibile. E invece, invece è successo. Zitti zitti, a parte una clamorosa litigata all’ora di pranzo tra Speranza e il ministro dell’Economia Gualtieri per gli aspetti economici del decreto che ha fatto slittare il Consiglio dei ministri che doveva decidere, il provvedimento di proroga del decreto è passato, peggiorando ulteriormente la situazione. Si parla di 24 mesi (con l’opzione di rinnovo per altri 12) e di un supercommissario con poteri straordinari (forse magici?) in grado si sovrastare anche il presidente della Regione. Si è giustamente scatenato l’inferno contro il decreto che, in buona sostanza, autorizza il Governo a fare ciò che meglio crede della salute dei calabresi, indifferente a qualsiasi proposta o suggerimento che dovesse venire dalla regione. Una protesta vibrata ma che viene da una sola parte, la destra. Il deputato azzurro Francesco Cannizzaro (probabile e potenziale candidato a presidente della Regione) ha immediatamente chiesto la mobilitazione di tutti i sindaci della Calabria e dei parlamentari calabresi, tutti insieme in via trasversale, per opporsi al decreto e alla sua conversione in legge, anche magari ricorrendo alla giustizia amministrativa.

Da questo punto di vista Calabria.Live può riferire l’autorevole parere di un ex presidente del Tar secondo il quale il decreto è assolutamente impugnabile: «sembrano sussistere tutti i presupposti per impugnare quell’ibrido di decreto ministeriale». Quindi si può e si deve fare l’impugnazione davanti al Tar, al Consiglio di Stato, dovunque sia necessario perché questo obbrobrio non deve passare.

Ma, in attesa del ricorso al Tar, c’è una domanda che si fanno i calabresi:  dov’è la sinistra della regione? Dove sono i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, gli amministratori che se ne stanno in silenzio di fronte a questa mortificazione (ma sarebbe meglio parlare di vera e propria violenza) nei confronti dei calabresi? Non sono bastati i guasti di dieci anni di commissariamento a far capire che non è questa la strada da seguire: servono medici-manager in grado di interpretare le istanze del territorio e impegnare ogni risorsa per tutelare la salute dei cittadini: i commissari hanno lavorato solo con l’obiettivo di tagliare i costi, indipendentemente dalle nefaste prevedibili conseguenze. Con la salute, che è il bene primario di tutti i cittadini, non si possono fare considerazioni di natura economica e finanziaria, e invece risparmiare sui costi a spese del benessere dei cittadini è stata l’unica via seguita. E, del resto, si è visto cos’hanno fatto il commissario Cotticelli e i suoi gregari quando si chiedeva a giugno, da ogni parte, di provvedere a realizzare nuovi posti letto in terapia intensiva. Sapete quanti ne hanno realizzati al Grande Ospedale Metropolitano di Reggio? Appena sei, quando se ne potevano fare un centinaio (le risorse finanziarie c’erano e non sono state utilizzate). Questo perché a gestire la sanità non servono rispettabilissimi generali a riposo, ma necessitano competenze e capacità specifiche. Quando, in piena epidemia primaverile il Rettore dell’Università Magna Graecia Giovambattista De Sarro insisteva a trasformare in ospedale Covid Villa Bianca di Catanzaro (praticamente già pronta all’uso) qualcuno dei commissari (Zuccatelli, tanto per non fare nomi) ne fece una battaglia d’opinione riuscendo a spuntarla. E oggi stiamo a guardarci in giro e ascoltare sconsolati i medici che si stanno ammazzando di lavoro che quando provano a smistare in altri ospedali qualche ricoverato in terapia intensiva si sentono rispondere in maniera ancora più sconsolata: i posti ci sono, ma non abbiamo il personale.

Le somme è facile tirarle, a questo punto: servono assunzioni immediate di medici e infermieri e invece nel Palazzi del potere, stanno a discutere dei compensi e delle spese di trasferta dei futuri commissari che verranno a “regnare” nella Calabria rassegnata. Marco Siclari, il senatore reggino che per primo, quando pochi intuirono la gravità di ciò che sarebbe accaduto, chiedeva mascherine per tutti e assunzioni di medici per prevenire il virus, (nessuno però gli diede ascolto), provocatoriamente lancia il nome di Guido Bertolaso come commissario straordinario a costi zero. Ma la sua voce, assieme a quella di tutta la destra, si perde nell’assordante silenzio dei dem e della sinistra calabrese che, cinicamente – dobbiamo pensare – coglie solo l’occasione della zona rossa (giustificata da carenze strutturali nella sanità e non decisa per numero di contagi) per fare campagna elettorale: «i guasti della sanità li ha provocati il governo di destra.

Molto sintetico il senatore Ernesto Magorno sulla zona rossa: «le responsabilità non possono che essere ascritte all’operato della Giunta Regionale che, pur avendo avuto risorse per oltre 80 milioni di euro dal Governo, non è intervenuta in modo da mettersi in linea con quelle che erano le esigenze per affrontare al meglio la seconda ondata di contagi». E del decreto Sanità, sen. Magorno cosa dice? E il vicepresidente del Consiglio regionale Nicola Irto gli fa eco: «dove sono i posti in terapia intensiva annunciati nei mesi passati? In tutti questi anni, sulla sanità, si è parlato a vanvera fin troppo. E lo stesso sta avvenendo nelle ultime ore. Siamo arrivati al punto di non ritorno dopo dieci anni di commissariamento che non sono serviti a nulla. La cura in sé si è rivelata sbagliata. Probabilmente peggiore del male». E sul decreto sanità? Neanche una parola. Lo stesso vale per i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, etc. Si parla solo di zona rossa che è un buon pretesto per aizzare la folla. La campagna elettorale per Germaneto, ahimè, è iniziata nel peggiore dei modi. (s)

VERSO LA PROROGA DEL DECRETO SANITÀ
SCELTA ASSURDA, È CONTRO LA CALABRIA

Quelli che avevano osannato (e voluto) il decreto Sanità, presentato in pompa magna a Reggio con la presenza del premier Giuseppe Conte, ora lo rinnegano perché hanno scoperto quanti danni ha provocato nella regione, bloccando assunzioni e aggiungendo un altro commissariamento ai tanti commissariamenti. “Quelli” sono i parlamentari Cinquestelle, allora capeggiati dal ministro della Salute del tempo (parliamo di maggio 2019) Giulia Grillo, i quali adesso – di fronte alla pressoché certa proroga gridano scandalizzati, ma non fanno nulla per impedire la futura catastrofe annunciata.

La Regione deve battere i pugni sul tavolo del ministero della Salute, visto che oltretutto siamo in piena emergenza Covid, e di tutto abbiamo bisogno tranne che di ulteriori disastri nella sanità calabrese. L’assessore Gianluca Gallo (in pectore futuribile presidente della Regione se convince la coalizione di centro destra) è uno dei primi a lanciare il grido di allarme contro l’assurda scelta del Governo. Ma la battaglia non dovrò essere solo sul Decreto calabria: c’è solo una strada – come più volte ha indicato il sen. Marco Siclari (FI) – quella di azzerare il debito della sanità regionale e ripartire da zero. Non è impossibile e la gravità della situazione emergenziale potrebbe favorire oltre che accelerare tale ipotesi. Siclari aveva proposto già ad aprile 2019, prima che venisse varato il famigerato Decreto Calabria, che lo Stato si facesse carico del debito della sanità calabrese, vista la responsabilità del Governo con la nomina continua di commissari. Intanto, sono numerose le prese di posizione contro gli intendimenti del Governo nei confronti della sanità calabrese ed è, dunque, necessaria una precisa presa di posizione della Regione.

«Ho sperato – ha detto l’assessore regionale Gallo – che le indiscrezioni trapelate sulla stampa trovassero smentita. Di fronte al silenzio che suona come conferma, invito il Governo a fermarsi: una proroga del commissariamento della sanità calabrese sarebbe una catastrofe». L’assessore regionale all’agricoltura ed al welfare, ha commentato – sgomento – le anticipazioni riportate dai media in ordine alla bozza di decreto che l’Esecutivo Conte sarebbe pronto ad adottare. Con l’obiettivo di prorogare ulteriormente il commissariamento della sanità in Calabria e, al tempo stesso, a lasciare in mani commissariali anche la gestione dell’emergenza Covid-19. «Credo che al di là delle appartenenze e dei ruoli – dice Gallo – non vi sia nessuno che possa affermare che il Decreto Calabria, con il quale dal maggio 2019 ad oggi Roma ha avocato a sé ogni scelta in fatto di sanità, abbia garantito servizi più efficienti ai calabresi. Lo stesso vale per l’emergenza pandemica: commissariati anche in questo, coi risultati che tutti conoscono e contestano». Eppure, sottolinea Gallo, «di fronte alle voci che danno per imminente la proroga del commissariamento, si registra sul fronte del centrosinistra la stessa indifferenza di quando, dieci mesi fa, il Governo tagliò di 40 milioni lo stanziamento destinato alla Forestazione calabrese. Confido che nessuno prediliga l’inerzia, per mero spirito di parte».

È fermo nella sua denuncia l’assessore Gallo: «Per quanto ci riguarda, lanciamo l’allarme, rispetto a quello che sta per accadere, perché ci si impegni in una battaglia di libertà e civiltà: ai calabresi deve essere consentito di decidere da sé del proprio futuro. La Regione è pronta a fare la sua parte nel confronto con il Governo, ma chiediamo che i parlamentari eletti in Calabria, e con loro i sindacati e le forze vive della società calabrese, facciano altrettanto, con forza e determinazione: si induca Roma a definire, nel confronto con le parti istituzionali e sociali, una strategia che consenta di scrivere pagine di fiducia nel campo della sanità anche in Calabria. In caso contrario, non potremo che opporci ad una scelta che riteniamo scellerata e, in questo momento storico, deleteria e sciagurata».

Anche il capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale Filippo Pietropaolo si schiera contro l’ipotesi di proroga del decreto Sanità: «È inaccettabile – ha dichiarato – che il governo nazionale, anziché prendere atto del fallimento del Decreto Calabria, decida di prorogare il commissariamento e addirittura rafforzarne le prerogative, esautorando del tutto la Regione dalla gestione del sistema sanitario calabrese. È chiaro a tutti che non si tratta di un commissariamento tecnico, ma di una vera e propria occupazione politica, nel solco di quanto avvenuto nell’ultimo anno e mezzo.  Basti pensare alla feroce opposizione del commissario Zuccatelli, in perfetta sintonia con il Partito democratico, alla realizzazione di un centro regionale Covid a Villa Bianca, come saggiamente proposto sei mesi fa dall’on. Wanda Ferro e dal rettore dell’Università Magna Graecia Giovambattista De Sarro. Se si fosse percorsa la strada tracciata mesi fa da Guido Bertolaso e che oggi mostra la sua validità a Milano e nelle Marche, la Calabria potrebbe contare su una struttura efficiente e sicura per la cura dei pazienti affetti da Covid, autonoma rispetto agli altri ospedali. Ci troviamo invece con i reparti di Malattie infettive già al limite della capacità e la necessità di inventare posti letto smantellando o adattando ambienti ospedalieri destinati ad altri servizi. La Calabria si trova oggi del tutto impreparata, sul piano strutturale, strumentale e della dotazione di personale, ad affrontare gli effetti di un aumento dei contagi ampiamente previsto da mesi. Nel frattempo la gestione commissariale non ha migliorato il debito sanitario né i livelli essenziali di assistenza. Nonostante, quindi, il commissariamento si sia rivelato un disastro, il governo intende proseguire su questa strada in maniera illegittima, considerato che la Corte costituzionale ha giudicato costituzionale il Decreto Calabria solo per il suo carattere di temporaneità. Il governo si preoccupi di salvaguardare il diritto alla salute dei calabresi, supportando la Regione nella realizzazione dei posti di terapia intensiva, del rafforzamento delle Usca, dei laboratori diagnostici, anziché pensare ad occupare il sistema sanitario regionale alla vigilia del voto».

Anche da sinistra non mancano, però, critiche alla probabile scelta del Governo. «Caos, rabbia e tanta paura – afferma in una dichiarazione il consigliere regionale dem Libero Notarangelo, vicepresidente della Commissione Sanità. – Man mano che cresce la curva dei contagi e la preoccupazione che il nostro sistema sanitario non sia in grado di reggere l’impatto dell’emergenza e dei ricoveri, ci interroghiamo sui ritardi accumulati nella predisposizione di un piano per la gestione della seconda ondata, soprattutto in Calabria. Ma quello su cui dovremmo attivarci senza troppe polemiche è come trovare soluzioni: per rispondere alla carenza di personale, per accelerare i tempi di esecuzione dei tamponi, per individuare locali idonei ad ospitare i pazienti asintomatici, quelli che non possono stare in quarantena in casa propria. Giusto per citare qualche esempio. E ce lo chiediamo con maggiore urgenza proprio oggi, ad un giorno dalla scadenza del Decreto Calabria».

Notarangelo espone dubbi che in realtà sono di casa presso molti calabresi: «Nel Decreto rilancio di giugno – ha detto – il Governo aveva varato un aumento delle risorse destinate al servizio sanitario nazionale da 2,5 miliardi di euro, metà per il 2020 e il resto sul 2021 proprio per affrontare la seconda ondata, che nessuno si era illuso non ci sarebbe stata. Le risorse sono state distribuite tra le Regioni per fare partire i piani di emergenza. Non c’è notizia di come siano stati utilizzati questo fondi mentre c’è un rimpallo di responsabilità sulle competenze in particolare per le assunzioni straordinarie. Non sappiamo come si muovono le Unità speciali di continuità assistenziale, ovvero il primo punto di riferimento per la gestione domiciliare nei casi di Covid. Ancora più vaghi sono i piani di potenziamento dell’assistenza territoriale, vale a dire quella rete di medici e infermieri del territorio che è stata, e continua ad essere, l’anello mancante nella fase acuta della crisi e che ha portato molti pazienti a rivolgersi direttamente agli ospedali, già in difficoltà e quindi favorendo il diffondersi del contagio. Ma il presidente facente funzioni pensa di affrontare di petto le criticità con una ordinanza con cui vengono sospese le attività ambulatoriali negli ospedali calabresi. L’ordinanza nega di fatto il diritto alla salute perché fa riferimento alle prestazioni specialistiche con classe di priorità D (differibile) e P (programmata) nei fatti sta diventando impossibile, anche per chi è portatore di patologie di tipo oncologico o cardiovascolare che dovrebbero poter fruire di una corsia preferenziale dettata dalla gravità della malattia, potersi sottoporre alle attività ambulatoriali indispensabili per continuare a curarsi. Del resto ho avuto modo di affermarlo in una serie di note nel periodo del lockdown, e intervenendo in aula nel corso del dibattito tenuto in Aula quando nel pieno dell’emergenza: la sanità costituisce uno dei pilastri della politica, di una politica sana che investe su di essa e vi destina idonee risorse, individuando con procedimenti trasparenti le migliori competenze per la sua gestione, perché su tematiche come queste non ci si improvvisa.

«Questo è il quadro di fronte al quale ci troviamo davanti – afferma ancora Notarangelo –  a poche ore da un ulteriore stretta sulle misure di contenimento della diffusione del virus, mentre i casi di contagio continuano a crescere e non ci sono più posti letto nei reparti di Malattie infettive. Se ci fossero state delle strutture territoriali pronte per garantire quella che viene chiamata “Medicina di prossimità” anche i medici di base non sarebbero stati a mani nude nell’affrontare la seconda ondata, e senza sostegno, soprattutto ora che si parla addirittura di affidale anche la possibilità di effettuare i tamponi rapidi. Dov’è la rete che gli consente di agire con le aziende sanitarie locali, con i Dipartimenti di prevenzione quando abbiamo decine di testimonianze di pazienti affetti da covid autogestiti e in attesa di riscontro al tampone dopo giorni? La verità è che manca il quadro di comando – conclude Notarangelo – che il presidente facente funzione non può mettersi a posto la coscienza a furia di ordinanze che chiudono senza aprire a soluzioni concrete».

Secondo la deputata Wanda Ferro (FdI) occorre dire basta al commissariamento: «Un anno e mezzo di ‘Decreto Calabria’ – ha dichiarato – non ha avuto alcun impatto positivo sulla  sanità regionale. La voragine del debito sanitario ha continuato ad aggravarsi, e sono addirittura peggiorati i livelli di assistenza. Così uno strumento straordinario che avrebbe dovuto consentire di migliorare il sistema sanitario calabrese lo ha reso ancora più vulnerabile agli effetti della grave emergenza che ci troviamo ad affrontare. Si è trattato di un vero e proprio fallimento, per questo siamo sconcertati di fronte all’ipotesi che il Governo pensi ad un intervento per prolungare la durata del commissariamento, addirittura prevedendo maggiori poteri commissariali rispetto a quelli previsti dello stesso ‘Decreto Calabria’. Si punta infatti a mettere il Dipartimento regionale e l’intero sistema sanitario sotto il controllo esclusivo dei commissari. L’obiettivo evidente del governo nazionale è quello di mantenere le mani sul settore sanitario calabrese, e non certo quello di realizzare un sistema efficiente e capace di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini».

Annunciando un’interrogazione a risposta orale in aula al ministro della Salute Speranza, la Ferro spiega: «La sanità calabrese ha bisogno della responsabilità  delle scelte, per questo è necessario che il settore sia governato da chi è stato investito di questo compito da parte dei cittadini. Il governo vuole invece impedire che la Regione proceda alla nomina dei nuovi commissari delle aziende sanitarie e ospedaliere dopo aver completato le procedure di selezione come previsto dallo stesso decreto.  Diciamo basta quindi al commissariamento, ricordando che la stessa Corte costituzionale, a seguito del ricorso da parte della Regione, ha sottolineato come la temporaneità degli interventi previsti fosse elemento imprescindibile della costituzionalità del decreto. Auspico che il governo non proceda su una strada che si è rivelata già disastrosa per la Calabria, e concentri il proprio impegno nel supportare la Calabria nel contrasto dell’emergenza coronavirus, considerata la necessità di rendere operative le Usca, potenziare i laboratori di diagnostica, rafforzare i reparti covid e le strutture di terapia intensiva, con strumenti e dotazione di personale, garantendo la piena operatività dei reparti non-covid per il trattamento in sicurezza delle altre patologie, organizzare la ricettività per l’isolamento fiduciario». (rrm)

L’emergenza mal si concilia con la burocrazia.
Sospendere subito il decreto Sanità Calabria

di SANTO STRATI – Era già apparso da subito inutile e dannoso, in condizioni normali, figurarsi ora con l’emergenza coronavirus: il decreto Sanità Calabria, approvato lo scorso giugno, va annullato radicalmente, o quantomeno sospeso. È assolutamente incompatibile con l’emergenza sanitaria in atto e in Calabria non permette una gestione adeguata della Sanità.

Grazie a Dio, in Calabria la situazione è ancora sotto controllo e i numeri fanno sperare che si possa riuscire a contenere il contagio in limiti sostenibili, ma la burocrazia imposta dal decreto Sanità non aiuta ad affrontare nella maniera più opportuna l’emergenza. L’indignazione dei calabresi per il decreto, quando venne approvato con la bocciatura di tutti gli emendamenti presentati, fu molto forte. Il sen. Marco Siclari, uno dei più tenaci sostenitori dell’inopportunità del decreto, aveva stigmatizzato che questo provvedimento «non elimina ‘ndrangheta e tantomeno la politica. Ad essere danneggiate e, in molti casi, eliminate sono le aziende sane che non avranno le possibilità finanziarie di competere con quelle eventualmente infiltrate. Un decreto fatto su misura della politica, per permettere le nomine alla politica. Cotticelli e i commissari chi li ha nominati? Non rendetevi responsabili del colpo mortale inflitto a un sistema sanitario già devastato».

E Il Fatto quotidiano che generalmente è abbastanza tenero con i grillini  aveva titolato un corsivo di Enzo Paolini “La disfatta non è della Calabria, ma dell’intero Paese”.

È il caso di ricordare che lo scorso giugno c’era il governo lega-stellato. Ci fu un Consiglio dei ministri a Reggio, inutile passerella per lanciare un decreto che avrebbe creato disagi e scontenti, senza risolvere neanche la minima parte dei guasti della sanità in Calabria. Poi venne, grazie all’incomprensibile attacco di follia di Salvini, il nuovo governo, a conduzione grillo-dem, e il governatore Mario Oliverio aveva tentato (senza grandi risultati) di ottenere lo scorso ottobre dal ministro Speranza dei correttivi utili a sbloccare la situazione.

Nessuno poteva minimamente immaginare cosa sarebbe successo sei mesi dopo.

Quindi, un decreto che i grillini hanno imposto  con una stupida ottusità, si trova a complicare ulteriormente una emergenza la cui gravità è lampante, anzi è peggio di qualsiasi valutazione.

Siamo in emergenza? Servono misure emergenziali: la sospensione del piano di rientro dal deficit della Sanità è il minimo da pretendere dal Governo, anche se la cosa migliore sarebbe un controdecreto “Sanità Calabria” che annulli gli effetti di quello vigente e permetta una gestione non più commissariale nella regione.

Già, perché dopo dieci anni di commissariamento, la soluzione indicata dal decreto sanità è stato un altro commissariamento, identico se non peggiore dei precedenti.

«Un decreto – aveva detto la deputata Enza Bruno Bossio all’indomani del giuramento del nuovo governo – convertito in legge nonostante i limiti di costituzionalità e che oggi va valutato anche per i pesanti effetti che sta generando per la sua inapplicabilità».

La deputata dem calabrese ne auspicava la cancellazione da parte del nuovo governo: «un decreto concepito solo per espropriare la Regione delle poche e residuali competenze che poteva esercitare», visto che c’era un commissariamento da oltre un decennio. Non è una richiesta da sottovalutare e il viceministro Pierpaolo Sileri che, in un’intervista video a calabria.live, difendeva il decreto, dovrebbe farsi promotore di questo dietrofront: non rinviabile e di immediata esecuzione.

In più occasioni avevamo sottolineato che l’unica strada per uscire dalla crisi della sanità in Calabria era la cancellazione del debito. Ipotesi suggestiva ma non realizzabile prima, viste le limitazioni finanziarie dell’Europa nei confronti dell’Italia: oggi non ci sono ostacoli, si deve e si può spendere, si può registrare l’enesigibilità del debito per incapienza del debitore (la Calabria) e ripartire da zero.

Con quale ruolo e quanta responsabilità per il nuovo presidente della Regione sarebbe da vedere, ma Jole Santelli ha dimostrato di avere capacità e determinazione, anche nella scelta del team di collaboratori che serve ad affrontare l’emergenza. Non per niente ha rafforzato l’unità di crisi della Protezione civile attraverso un gruppo operativo con competenze trasversali ai dipartimenti regionali.

Nelle deleghe che ha trattenuto per sé, la Presidente Santelli ha compreso la sanità, dato che il decreto vigente assegna al commissario ogni potere e delegittimerebbe un eventuale assessore ad hoc. E visto che l’intesa col generale Saverio Cotticelli, commissario ad acta  per la salute, è ottima e, soprattutto, considerato che ha scelto tre luminari (le eccellenze mediche Raffaele Bruno, Paolo Cavalesi e Franco Romeo) il suo impegno nell’ambito della Sanità sarebbe totale, ove venisse cancellato o sospeso il decreto Sanità.

La presidente Santelli ha fatto capire che questa ulteriore responsabilità non la spaventa, anzi la sua disponibilità è pressoché dichiarata, ma occorre appunto un passo decisivo da parte del governo Conte.

Il drammatico viaggio della speranza per migliaia di calabresi verso gli ospedali del Nord (centinaia di milioni di euro buttati via) si è fermato solo per l’emergenza coronavirus, ma non è che non servano cure, purtroppo si muore anche per tumore e per altre gravissime malattie, che i medici calabresi – se messi in condizione di lavorare in maniera adeguata – potrebbero curare  nella regione. Abbiamo fior di specialisti e strutture sanitarie che solo l’insipienza della politica ha mortificato e represso nella crescita: basti vedere cosa hanno fatto e cosa stanno facendo contro il Covid-19 gli specialisti e i medici calabresi, affiancati da personale paramedico che non si risparmia. Una grande folla di “eroi” che – passata la pandemia – finirà probabilmente per essere dimenticata, travolta dalle mille insulse leggi e normative che strangolano la sanità calabrese.

A tutto questo si aggiunga la scoperta che in Regione – già ai tempi di Agazio Loiero presidente – era stato predisposto un piano contro il rischio di epidemie, elaborato per contrastare quella che è passata alla storia come “influenza suina”. Era il 26 ottobre 2009, poco più di dieci anni fa. Peccato che quel piano – come peraltro è capitato anche in altre regioni – sia stato messo da parte, appena passato il pericolo.

Come sempre, stiamo a chiudere le stalle, dopo la fuga dei buoi: in una Regione commissariata ad aeternum, chi si prendeva la briga di mantenere in piedi e aggiornare costantemente un piano operativo pronto a fronteggiare qualsiasi emergenza sanitaria di carattere epidemiologico? Nessuno, ovviamente e le conseguenze si vedono in queste drammatiche, terribili, settimane: ci sono ancora strutture sanitarie (dello Stato) che sono prive di dispositivi di prevenzione per medici e personale sanitario; sono stati chiusi ospedali mai aperti, messe fuori uso strutture che avrebbero potuto offrire, con le adeguate trasformazioni, posti aggiuntivi di terapia intensiva, assistenza  continua, modalità di pronto intervento.

La lezione del coronavirus servirà a far ripartire da zero la sanità in Calabria (ma anche in Italia)? Si sono viste tutte le inadeguezze e si piangono non solo i malati che il virus ha finito per decimare, ma soprattutto i tantissimi medici e operatori sanitari che hanno lavorato a costo della loro vita, fedeli al proprio impegno al servizio della collettività. La loro morte, in grandissima parte, si deve al contagio conseguente alla mancanza di strumenti di prevenzione, all’assoluta insufficienza di dispositivi di sicurezza (mascherine tenute per un’intera giornata, al posto delle tre ore consentite), macchinari obsoleti o in numero troppo modesto per assicurare la respirazione artificiale ai ricoverati in terapia intensiva. Bisognerà, quanto tutto sarà finito – e nessuno è in grado di valutarlo – bisognerà davvero pensare che siamo arrivati all’anno zero. E non solo nella sanità. Andranno ripensati il modello di vita e le prospettive di sviluppo, e ricominciare, ripartire. Con fatica e con la giusta passione. E in Calabria senza più commissariamenti nella sanità. Questo da subito. (s)

Sanità: Speranza cambierà il decreto Calabria? Gli interventi di Siclari e Nesci

Stamattina in seduta comune delle Commissioni Sanità di Camera e Senato il ministro Roberto Speranza, dopo aver esposto la drammatica situazione della sanità in Calabria (tanto che è probabile un suo intervento di modifica al decreto votato la scorsa estate) ha ascoltato le richieste del sen. forzista Marco Siclari, uno dei più strenui sostenitori della lotta contro il commissariamento della sanità calabrese e la deputata pentastellata Dalila Nesci.

«Ho chiesto al Ministro – ha detto il sen. Siclari – di introdurre un fondo speciale destinato a risolvere le emergenze della sanità calabrese e di trasformare il “tetto massimo di spesa sanitaria” in “tetto minimo di spesa” per garantire la sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale che rischia di collassare nel 2024 e non garantire più il diritto alla salute agli italiani. Nel 2024 mancheranno 52.000 medici e le liste di attesa aumenteranno di molto tranne per chi chiederà assistenza privata».

#Oggi, ho chiesto al #Ministro di introdurre un #fondo speciale destinato a #risolvere le emergenze della sanita calabrese e di #trasformare il “tetto massimo di spesa sanitaria” in “tetto #minimo di spesa” per garantire la #sostenibilità del nostro #ServizioSanitarioNazionale che #rischia di collassare nel 2024 e non garantire più il #dirittoallasalute agli italiani🇮🇹Nel 2024 mancheranno 52.000 #medici e le liste di #attesa aumenteranno di molto tranne per chi chiederà assistenza #privata 🙏🏻🙏🏻Marco Siclari Marco Siclari

Posted by Marco Siclari Senato on Thursday, 24 October 2019

Siclari aveva presentato un documento in cui evidenziava le indifferibili esigenze della sanità in Calabria e nel resto d’Italia:

  • Incrementare il numero di medici (oggi ne mancano 20.000 e nel 2024 ne mancheranno 54.000), infermieri, operatori sanitari e amministrativi sbloccando il turnover, aumentando da subito il numero degli ingressi nelle scuole di specializzazione, e prevedendo un sistema adeguato per selezionare in modo più coerente gli studenti che accedono alle facoltà di Medicina e Chirurgia aumentando comunque il numero degli iscritti al corso
  • Aumentare i salari a medici, infermieri, operatori e tecnici sanitari.
  • Rivedere il regolamento che disciplina il commissariamento della sanità nelle regioni, intervenendo eliminando il blocco del turnover fino a coprire le carenze organiche delle strutture ospedaliere.
    Prevedere, per le regioni commissariate, un fondo da utilizzare per la straordinaria manutenzione degli strumenti (TC, RM, ascensori, ambulanze ecc), l’acquisto di nuova strumentazione, di nuova tecnologia e di nuovi farmaci e per l’assunzione di personale medico sanitario nelle strutture ospedaliere dove vi è necessità e carenza di organico
  • Rivedere il Decreto Calabria che, dopo mesi di attuazione, dimostra di essere inefficace e di mettere a rischio l’intero sistema sanitario territoriale (320 milioni spesi per curare i calabresi fuori regione, il 21% di migrazione). Ho sollecitato il Ministro di intervenire per poterlo migliorare, considerando che lo stesso Ministro Speranza aveva espresso voto contrario quando fu discusso dal Parlamento. Chiediamo di eliminare il blocco del turnover fino a coprire le carenze organiche delle strutture ospedaliere e di destinare un fondo per la straordinaria manutenzione e l’acquisto di nuova strumentazione, di nuova tecnologia e di nuovi farmaci.
  • Prevedere l’esenzione dal ticket sanitario per i minori fino al quattordicesimo anno di età e per tutte le famiglie e i pensionati che hanno reddito basso
  • Introdurre, quali prestazione a carico del S.S.N., delle protesi dentarie per i pensionati con bassi livelli reddituali, nonché degli ausili e delle protesi per i soggetti disabili che vogliamo svolgere attività fisica e sportiva
  • Prevedere nel nuovo Patto per la Salute l’obbligo a carico delle Regioni di programmare idonee procedure che garantiscano la continuità assistenziale del malato in relazione alla patologia. Al regime di ricovero ordinario deve essere associata l’assistenza domiciliare, il supporto ed il sostegno assistenziale psicofisico per i malati terminali e per tutti coloro che soffrono di patologie più gravi ed invalidanti specialmente quelle motorie, neurologiche, cardiovascolari e oncologiche necessarie a migliorare le condizioni generali di cura e che diano dignità al paziente e per chi va incontro al fine vita. I più bisognosi di assistenza non possono essere lasciati nelle loro abitazioni a carico dei loro familiari perché mancano le strutture come l’Hospice, come le strutture di riabilitazione ecc ecc, lo Stato deve garantire dignità ai loro cittadini fino alla fine.

Dalila NesciLa deputata Nesci (M5S) ha chiesto al ministro Speranza di vigilare sui ritardi delle assunzioni: «non possiamo rischiare – ha sottolineato – chiusure di reparti». «Questa mattina – ha dichiarato la deputata grillina – sono intervenuta sul “caso Calabria” durante la seduta delle Commissioni congiunte del Senato e della Camera dei Deputati in tema di sanità durante la quale il Ministro della Salute Roberto Speranza ha condiviso le sue linee programmatiche».
«In particolare – continua la NESCI – ho ricordato al Ministro l’impegno del Governo “Conte 1” che ha emanato, e convertito in legge, il “Decreto Calabria”, proposto come uno spartiacque nella gestione sanitaria regionale, per ripristinare Lea e diritto alla salute. Tuttavia, si sono avviate dinamiche poco chiare tra la Struttura Commissariale ed il Tavolo di verifica interministeriale che vanno approfondite».
«Riguardo alle assunzioni di medici, infermieri, OSS e tecnici – avverte la NESCI – ancora poco incisivi sono stati gli strumenti messi in campo per superare l’annoso problema della carenza di personale nelle aziendale sanitarie ed ospedaliere. Nello specifico, le circa 400 assunzioni approvate tramite il Dca 135/2019, si limitano per lo più a ricalcare e riproporre le assunzioni già stabilite dall’ex Commissario ad Acta Massimo Scura e non prendono in considerazione le esigenze attuali». In conclusione la deputata Nesci ha detto di aspettare «al più presto una risposta dal Ministro Speranza affinché si evitino chiusure e riduzioni di reparti: si attui il “Decreto Calabria” senza tergiversare per non alimentare giochi perversi della vecchia guardia politica nelle aziende». (rp)

 

Approvato il decreto sanità: calabresi infuriati, grillini felici. Chi ha ragione?

Con 137 voti a favore e 103 contrari (oltre a 4 astenuti) il Senato ha approvato definitivamente il ddl n. 1315 di conversione in legge, com modificazioni, del decreto-legge n. 35 relativo alle misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria, che era già stato approvato dalla Camera dei Deputati. Uno scarno scomunicato di poche righe mette fine al percorso di questo benedetto/maledetto decreto che i calabresi faranno fatica a digerire, visto che non porta alcun miglioramento nella drammatica situazione della sanità nella regione.

I grillini si dichiarano felici e sostengono che questo decreto segnerà il cambiamento. Sileri, peraltro, rassicura gli operatori privati che tutti i pagamenti pregressi saranno onorati (vedi intervista video a Calabria.Live del Presidente della Commissione Sanità al Senato Pierpaolo Sileri)* .

Di parere diametralmente opposto il sen. Marco Siclari, strenuo combattente, sin dal primo giorno, di una battaglia senza speranze. I suoi tantissimi emendamenti sono stati respinti dall’Aula, ma la manifestazione che ha promosso e organizzato davanti a Montecitorio, qualche risultato lo ha portato: «Dopo essere stato ricevuto insieme a una delegazione di medici e rappresentanti di categoria, – ha detto il sen. Siclari – sono stati approvati due ordini del giorno che prevedono l’impegno da parte del Governo a valutare l’opportunità di prevedere misure volte a consentire per la Regione Calabria una deroga ai limiti di spesa annua previsti dalla normativa vigente, al fine di programmare l’acquisto di prestazioni sanitarie e garantire il raggiungimento dei Livelli Minimi di Assistenza per la Specialistica Ambulatoriale. Il secondo punto impegna il Governo a valutare la possibilità di prevedere, per le aziende che hanno erogato prestazioni sanitarie e che vantano crediti certi, un meccanismo di pagamento delle predette prestazioni, previa esibizione di idonea documentazione che attesti la veridicità dei crediti, ciò a salvaguardia dei cittadino, beneficiario finale della prestazione, che dovrà essere sollevato da qualsivoglia possibile conseguenza negativa derivante dal mancato pagamento della prestazione di cui lo stesso è beneficiario».

«Considerando che la decretazione di urgenza utilizzata da questo Governo non ha reso possibile la modifica del decreto Calabria, – sostiene Siclari –  il confronto è stato comunque produttivo e siamo riusciti a strappare al Governo un impegno politico a valutare punti che sono fondamentali per non rendere totalmente inutile e dannoso questo decreto», ha concluso il senatore azzurro. Nel suo appassionato intervento in aula, Siclari ha urlato il suo sdegno, a nome dei calabresi contro un decreto – ha detto «che non tutela le realtà sane del territorio che sono la maggioranza. State penalizzando i cittadini che non avranno più garantito il diritto alla salute e tutta la Calabria perché state alimentando un pregiudizio e rimarcando un’etichetta che la parte sana dei calabresi, che ripeto è la stragrande maggioranza, sta lottando per eliminarla». Questo decreto – dice Siclari – non mantiene le promesse fatte: «Neanche un euro è stato destinato all’assistenza sanitaria e la politica ha gli stessi poteri di prima. Un super commissariamento non è la soluzione». (gsp)

*L’intervista a Pierpaolo Sileri (M5S), Presidente Commissione Sanità al Senato

Il decreto entrato in vigore il 3 maggio 2019 e convertito oggi in legge.