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REGGIO – Le Muse raccontano il ruolo della donna

Le Muse

Un successo il primo dei tre eventi che il Laboratorio delle Arti e delle Lettere Le Muse, guidato da Giuseppe Livoti, ha organizzato all’Archivio di Stato di Reggio, dedicandolo alla figura della donna nel tempo.

«Non chiamiamola Festa della Donna – ha ribadito il presidente Livoti in apertura della manifestazione – ma una serie di incontri per riflettere su come la società è cambiata, ed è in continua evoluzione, e su come il ruolo femminile abbia cambiato finalità nel contemporaneo».

L’evento ha visto la partecipazione del critico cinematografico Paola Abenavoli, che parla di «una letteratura calabrese visiva e ricca, poiché il cinema ha sempre narrato i nostri territori. Le immagini dell’Istituto Luce, all’indomani della Seconda Guerra, dimostrano come una voce narrante forte ed autorevole, una ripresa economica, sociale ed artistica della nostra regione, in un bianco e nero che sa di storia».

«Infatti – ha proseguito il critico Abenavoli – i territori venivano descritti con dovizia di particolari per esaltare i passaggio di una società contadina ad un cambiamento radicale in un la donna era il perno di numerose attività tra famiglia e lavoro».

La serata è continuata con inserti estrapolati dal Viaggio in Calabria di Vittorio De Seta,  documentario del 1993. Si tratta di un vero e proprio rapporto su una regione del Sud Italia, descritta come una «terra abitata, ancora, da chi vive come all’origine dei tempi, e dove la modernizzazione è stata la grande speranza delusa, terra di allevatori e contadini, uniti e solidali, con i ritmi legati alle stagioni, dalla semina al raccolto, dal riposo alle feste paesane, terra sotto gli effetti dell’industrializzazione selvaggia, tesa a sviluppare un’economia depressa, creando degrado ambientale e disoccupazione, tra immortalità e sottocultura, emigrazione e criminalità».

Maria Fortunata Minasi, direttore dell’Archivio di Stato di Reggio, nel corso dell’evento ha esposto documenti storici che attestano il ruolo della donna fino al ‘600, come si evince nel fondo notarile, che recita «le famiglie meno abbienti mandavano le bambine di undici e dodici anni a servizio per altri dieci-docici anni per guadagnare, e così potersi fare una dote».

Commentati, sempre dal direttore Minasi, documenti dell’Interdenza – Prefettura prima dell’Unità – che mostrano il lavoro delle balie, delle maestre dal Fondo Consiglio degli Ospizi della metà dell’Ottocento, carteggi in cui si parla di una zitella che chiede di entrare in un convento per fare lavoro di pulizie, ed al telaio, poiché sarebbe stata insidiata. (rrc)

 

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