Reggio ha ricordato Antonino Scopelliti, magistrato reggino ucciso 31 anni fa per mano mafiosa.
Alla cerimonia commemorativa, svoltasi a Campo Calabro, hanno partecipato il sindaco f.f. Carmelo Versace, le massime autorità civili e militari e naturalmente anche la presidente della Fondazione Scopelliti, Rosanna Scopelliti.
«La memoria che ogni anno si rinnova qui a Campo Calabro – ha dichiarato Versace – nel ricordo e nel doveroso omaggio che le massime istituzioni e i cittadini rivolgono al giudice Antonino Scopelliti, è il segno di una comunità attenta, sensibile e soprattutto incapace di dimenticare i propri figli migliori. Ma dopo 31 anni da ciò che è accaduto in questo luogo, non possiamo rassegnarci all’idea di non conoscere la verità».
Un omicidio definito da Versace, «una ferita ancora aperta non solo per questa terra ma per l’intero Paese che in quegli anni ha visto scosse le proprie fondamenta democratiche attraverso l’estremo sacrificio di uomini dello Stato colpiti dalla criminalità organizzata. E come rappresentanti istituzionali abbiamo il dovere di tenere viva la luce intorno a questa drammatica vicenda, sostenendo il lavoro delle associazioni impegnate nella lotta antimafia, in primis la Fondazione Scopelliti con il suo presidente Rosanna Scopelliti che invitiamo a proseguire in questo appuntamento che ha un valore enorme per Reggio Calabria e non solo da un punto di vista simbolico, ma soprattutto come richiamo alle coscienze di tutti noi».
«Ma è anche necessario – ha poi concluso Versace – che la magistratura, in cui riponiamo sempre la massima fiducia, prosegua nell’opera di ricerca della verità ponendo una parola definitiva alla morte del Giudice Scopelliti e ad una pagina buia di questo territorio».
«Nel fascicolo del magistrato Scopelliti presso il Csm – aggiunge D’Ettore – si leggono passaggi importanti nei quali si evidenzia la sua straordinaria carriera: si mettono in evidenza la capacità investigativa, l’intelligenza, l’intuito, le qualità umane e l’impegno civico che ha profuso nell’esercizio della professione. Ricordo con piacere anche i suoi trascorsi universitari, si laureò a soli 21 anni con una tesi sul “contratto astratto” di cui fu relatore l’esimio e mai dimenticato prof. Angelo Falzea, a testimoniare anche una solidissima preparazione civilistica».
D’Ettore ha ricordato ancora «la capacità di analisi, la straordinaria capacità di eloquio quando fu pubblico ministero. E poi i suoi articoli sui rapporti tra giustizia, magistratura, stampa e mass media nei quali, spesso, sottolineava l’importanza dell’istituzionalizzazione del comportamento del giudice e la capacità di preservare l’ordine collettivo specie nelle dichiarazioni e nei rapporti con la stampa».
«Antonino Scopelliti fu, insomma, un precursore di un modello di comportamento del magistrato nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni e nei rapporti con la società civile».
D’Ettore, inoltre, ha ricordato la rivendicazione continua «di appartenere alla terra di Calabria di cui ne sottolineava il possibile contributo che avrebbe potuto dare allo sviluppo dell’intero Paese con esempi, anche in seno alla magistratura. Il terribile omicidio ha comportato un effetto enorme nella risposta dello Stato. Le sentenza di condanna per i vertici di Cosa Nostra hanno dimostrato il livello di pericolosità e il livello eccelso del magistrato che indirizzava le richieste di condanna in maniera capillare e puntigliosa contro le organizzazioni criminali, superando il vaglio dei vari gradi di giudizio».
D’Ettore ha concluso parlando di «vero esempio per tutte le istituzioni e per gli altri magistrati, che si sono formati facendo propri i suoi insegnamenti e quella capacità di svolgere le funzioni giurisdizionali che sono modello di un magistrato che oggi è diventato un paradigma assoluto per l’intera categoria italiana».
Antonino Scopelliti nasce a Campo Calabro, in provincia di Reggio Calabria, il 20 gennaio 1935.
Frequenta il liceo classico a Reggio Calabria e l’Università a Messina; si laurea in giurisprudenza a soli 21 anni (il 24 novembre 1956) discutendo una tesi dal titolo “Il Contratto astratto”: relatore il prof. Angelo Falzea.
A soli ventiquattro anni vince il concorso in magistratura. Nominato uditore giudiziario il 10 aprile 1959, è destinato prima al Tribunale di Roma – dove prenderà possesso il 27 aprile 1959 – e poi quello di Messina per svolgere il prescritto tirocinio.
Nel rapporto redatto per l’ammissione all’esame pratico per la nomina ad aggiunto giudiziario, il dirigente della sezione alla quale è assegnato il dott. Scopelliti, sottolinea, tra l’altro, come lo stesso, in poco più di un mese: “ha presieduto n. 10 udienze e redatto complessivamente n. 34 sentenze. Dalla redazione delle sentenze, di cui talune importanti per le questioni di diritto processuale civile e di diritto civile, che risolvevano, risulta che il dott. Scopelliti possiede un’ottima cultura giuridica e una precisa conoscenza della giurisprudenza”.
Dopo svariate esperienze professionali, Il Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 23 gennaio 1980 delibera la sua nomina a magistrato di Cassazione.
Come Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, si occupa, tra gli altri, di delicati procedimenti di terrorismo e criminalità organizzata.
Viene delegato a rappresentare la pubblica accusa in alcuni giudizi su fatti che hanno segnato la storia italiana più recente: il processo “Valpreda” per la strage di Piazza Fontana a Milano, il processo per la strage di piazza della Loggia a Brescia, quello per l’omicidio dell’on. Aldo Moro e della sua scorta, e quelli per l’omicidio del colonnello dei carabinieri Antonio Varisco e per l’uccisione del capitano Emanuele Basile.
Segue inoltre i processi per la morte del consigliere istruttore Rocco Chinnici e della sua scorta (chiede il rigetto dei ricorsi degli imputati ma la I sezione della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annulla la sentenza per vizi nella motivazione) nonché quelli per la morte del giudice Vittorio Occorsio, del giudice Amato (in questo caso la I sezione della Corte di cassazione, presieduta dallo stesso giudice Corrado Carnevale, accoglie in toto le richieste della Procura Generale) e del giornalista Walter Tobagi, nonché quelli relativi al ccdd. “casi Calvi e Sindona”.
Designato a rappresentare la pubblica accusa all’udienza del 30 gennaio 1992 nel cd. maxi-processo a Cosa Nostra, come noto, viene barbaramente assassinato prima di poter adempiere a questo ulteriore, delicato, compito.
Fu universalmente apprezzato per le qualità umane, la capacità professionale e l’impegno civile; il suo pensiero e le sue idee possono essere ripercorsi attraverso alcuni interventi pubblicati per la rivista “Gli oratori del Giorno: rassegna mensile d’eloquenza”.
Di sconvolgente attualità è ad esempio la concezione del magistrato in merito ai rapporti tra magistratura e mass media, contenuta in un celebre scritto dal titolo Libertà d’informazione o di diffamazione (pubblicato in “Gli Oratori del Giorno”, Roma, luglio 1987 Anno LV) in cui, tra l’altro, con grande equilibrio, afferma: “Grande quindi la responsabilità del giudice e del giornalista in ogni momento ed in ogni piega della propria attività[…] stampa e magistratura sono oggi i protagonisti più potenti della società italiana; […] hanno il potere di distruggere l’immagine di chiunque con una frettolosa comunicazione giudiziaria o con un insidioso articolo nella pagina interna di un giornale; che la nostra è una società in cui un qualsiasi pentito (vero o presunto) o un subdolo corsivo possono delegittimare la più autorevole delle persone e dissolvere il prestigio di ogni istituzione; che in questo gioco perverso il magistrato e il giornalista stanno coltivando un pericoloso ruolo primario ed è quindi inevitabile che si entri in rotta di collisione non avvedendosi, né l’uno né l’altro che delegittimare è delegittimarsi, uccidere è un po’ suicidarsi”.