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«TROPPI MURI E MAI ABBASTANZA PONTI»
STRETTO: IL PROBLEMA NON SONO I SOLDI

Troppi musi e mai abbastanza ponti

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Per il Mose di Venezia, nel bilancio del Consorzio Venezia Nuova (concessionario dell’opera), sono stati iscritti lavori per un costo di quasi 7 miliardi di euro. Si stima poi che la manutenzione del Mose costerà 100 milioni di euro per ognuno dei 100 anni in cui dovrebbe restare in funzione.  E sono più di 800mila euro i costi di quattro giorni di funzionamento per salvare la città dall’acqua alta.  

Il costo della Tav si avvicina a 12 miliardi, solo nella parte italiana. Ma due studiosi Foietta ed Esposito hanno stimato che, se la Torino-Lione fosse costruita tutta insieme e quindi non per “fasi funzionali” avrebbe un costo totale di 24,7 miliardi di euro. Terna sta costruendo un elettrodotto che costa circa 4 miliardi per portare l’energia dal Marocco alla Sardegna, alla Campania e alla Sicilia. Considerata la rilevanza strategica del Tyrrhenian Link, uno dei principali interventi infrastrutturali del Paese, fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza del sistema elettrico nazionale, l’iter autorizzativo dell’opera si è concluso in tempi record: sono infatti trascorsi 11 mesi tra l’avvio del procedimento e l’approvazione del progetto definitivo da parte del MiTE.

La Toto Holding Renexia vuole costruire un maxi parco eolico al largo delle isole Egadi, con un progetto da 9 miliardi. Vale 1 miliardo e 100 milioni di euro il bando di gara pubblicato da Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo Fs Italiane) in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea per la realizzazione del passante e della stazione AV del nodo di Firenze. Un’opera, riporta un comunicato, considerata «strategica» per il Gruppo Fs e Rfi.

Bene perché questo elenco di opere pubbliche  e private con ordini di grandezza di parecchi miliardi, spesso superiori al costo previsto per il ponte sullo stretto? Perché si vuole dimostrare che il problema che è sorto con quest’opera pubblica non è quello del suo costo, considerato che opere con importi molto più elevati sono state decise da pochi amministratori talvolta e sono state portate avanti in tempi estremamente brevi.      Chiedersi allora perché vi è tanta attenzione su questa opera pubblica, tanto da  fare  annullare un bando di assegnazione, mettendo in discussione la credibilità dell’intero Paese e andando incontro alla possibilità che lo Stato sia condannato ad un maxi risarcimento di 700 milioni, considerato che è ancora in corso un procedimento da parte della società vincitrice, può essere molto interessante.  

Qualcuno sostiene che la motivazione principale sia stata quella che l’opera se l’è intestata Silvio Berlusconi, qualcuno la definì il suo mausoleo e per questo non doveva essere costruita. Se questa spiegazione fosse corretta stiamo facendo un errore analogo, in quanto adesso se la sta intestando Matteo Salvini,  con il rischio che si ripeta il percorso già compiuto.

A me pare che questa spiegazione non sia convincente, come non lo è quella del benaltrismo per cui con quelle risorse si potrebbero fare tante altre cose. A mio parere il motivo principale per cui l’opera continua ad avere grandi difficoltà ad essere realizzata, malgrado si è dimostrato addirittura che il suo costo verrebbe pagato in un anno dai risparmi che ne avrebbe l’economia siciliana, sono altre. Verrebbe pagata in un anno non per il parere di qualche buontempone, ma per le evidenze di uno studio non solo della Regione siciliana, ma fatto in collaborazione con Prometea, la cui credibilità scientifica nessuno mette in discussione. 

Ed allora  la spiegazione deve essere probabilmente più ampia e deve guardare alla geopolitica di quest’area del mondo. Se è vero che il 20% del traffico mondiale passa attraverso il Mediterraneo, se è vero che nella graduatoria dei mezzi trasporto più inquinanti dopo l’aereo, viene l’auto e dopo la nave e infine il treno, allora il ponte sullo stretto ed il corridoio che da Hong Kong, attraverso il Canale di Suez ed il porto di Augusta potrebbe portare le merci a Berlino sposterebbe interessi consistenti da una parte all’altra  dell’Europa.  Per avere dimensione ricordo che il solo porto di Rotterdam  occupa direttamente 1.100 persone e 384.500 posti di lavoro dipendono in qualche modo dal porto.

Genera un fatturato annuo di 707,2 milioni di euro con un valore aggiunto (diretto e indiretto) di oltre 45,6 miliardi di euro. É peraltro evidente che prima o  poi la stessa Unione, in presenza di un corridoio che evitasse di far attraversare le maxi navi porta container tutto il Mediterraneo, costeggiando l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, passando lo stretto di Gibilterra, per poi risalire per le coste del Portogallo, della Spagna, della Francia, attraversare Calais, e poi costeggiare il Belgio per arrivare finalmente ai Paesi Bassi ed entrare nel porto di Rotterdam, potrebbe proibire o scoraggiare tale circumnavigazione fonte di tante emissioni di CO2. 

Se si pensa che è bastato collegare Gioia Tauro con “un’idea” di ferrovia per farla diventare il primo porto merci italiano si capiscono gli interessi in campo. E come molti porti, compresi Trieste e Venezia, avrebbero da temere la concorrenza di nuove vie. Allora forse tante cose si spiegano anche il costo, attribuito al progetto di 1,2 miliardi dal pezzo scritto da Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, che commette già l’errore nel titolo stesso, visto che non è costato 1,2 miliardi ma molto meno addirittura un quarto o la fiction The Bud Guy che, con una tempistica eccezionale arriva su Amazon Prime, raccontando il  crollo catastrofico, proprio quando si rimette in funzione la società ponte sullo stretto. 

Può essere poi che fare il ponte obbligherebbe il sistema Italia a collegare con l’alta velocità ferroviaria tutto il Sud del Paese, con costi evidentemente importanti, che non possono incidere sulle altre opere pubbliche che potrebbero non trovare i finanziamenti necessari soprattutto al Nord? 

Alla favola del blocco perché ci sono i “no ponte”, o perché il progetto non è adeguato, o perché la faglia sismica tra le due coste si allontana, o perché le balene potrebbero soffrire dell’ombra dei piloni o gli uccelli potrebbero andare a sbattere contro essi, consentitemi, non ci crede più nessuno. 

Adesso è l’ora di fare i conti e capire se finalmente il Paese vuole sfruttare quel dono che la natura gli ha dato ponendolo al centro del Mediterraneo, oppure in una visione eurocentrica vuole dimenticare la sua vocazione mediterranea. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)
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