OLTRE IL MEDITERRANEO, NIENTE MIOPIE
UNO SGUARDO DAL PONTE DELLO STRETTO

di ENZO SIVIERO – Il tema del rapporto Nord-Sud non riguarda la sola Italia. Si tratta di un atteggiamento culturale (o meglio in-culturale…) che attraversa le genti e i luoghi perdendosi nella notte dei tempi. Ma il caso Italia merita una particolare attenzione sia per l’avvenuta globalizzazione sia per il fiume di denaro che l’Europa ha stanziato per il nostro Paese proprio a partire dalle acclarate diseguaglianze che ci connotano.

Tanto palesi da orientare l’Europa come ben noto, a riservare una quota del 40% proprio al Sud. Pur tuttavia con il “gioco delle tre carte” (che vogliamo sperare sia frutto più di necessità che di vera e propria volontà vessatoria), sembra ai più che al Sud siano stati finanziati con i fondi del Pnrr, molti progetti già in itinere (e quindi già finanziati con altri capitoli di spesa) e conseguentemente definanziati, sottraendo di fatto risorse già allocate. Non vogliamo pensar male, ma qualche dubbio sembra lecito… vedremo prossimamente quale sarà il reale quadro della situazione.
Con questa premessa si intende fare chiarezza sui diversi punti di vista tra nord e sud , con un occhio non miope verso, o meglio oltre, il Mediterraneo. Se è vero come nessuno può negare che l’Italia è il molo naturale verso il Mediterraneo, ad una visione strategica che interessa già l’oggi (e siamo già notevolmente in ritardo) ma soprattutto le prossime generazioni, non può negarsi che sia l’Africa il vero futuro dell’Europa! Ed è ovvio che da questo come da molti altri punti di vista, in questa prospettiva geopolitica è l’Italia a giocare il ruolo principale utilizzando quel “ponte liquido” che è il Mediterraneo, come è stato nel passato più o meno recente e com’è oggi ancor più pregnante visto anche il raddoppio del Canale di Suez. Non a caso Turchia (e lo stesso Egitto…) unitamente a Russia e Cina stanno pressoché spadroneggiando nel Mare (non più) Nostrum approfittando di un’Europa intrinsecamente debole, incapace di una politica unitaria visti gli interessi contrastanti di taluni, non pochi, suoi membri.

Ebbene il Sud è indiscutibilmente il vero trampolino di lancio verso l’Africa, così come l’Africa si proietterà verso l’Europa tramite il Mezzogiorno. In una prospettiva geostrategica gli investimenti al sud sono vieppiù necessari certamente per lo stesso sud ma anche e soprattutto per il nord che avrebbe tutto da guadagnare per la propria vocazione oggi mutata dovendo guardare a sud sia per le proprie esportazioni verso il nuovo immenso mercato africano sia per ricevere e far transitare le merci verso il centro e il nord Europa anziché come avviene oggi riceverle dai porti tedeschi e olandesi ben attrezzati per accogliere le navi in transito nel Mediterraneo.

Ma vi è di più in una prospetto ancora più ampia, guardando a Est con le vie della seta (: ) la Cina approda al Pireo con la prospettiva di raggiungere tramite i Balcani, e nuove infrastrutture ferroviarie ormai in esecuzione, il centro Europa . E così l’Italia (non solo il Sud) resterà tagliar fuori. Altro che Marco Polo o Matteo Ricci!

Immaginando anche collegamenti stabilì Tunisia Sicilia (TuneIt) e Puglia Albania GRALBeIT) che da oltre un decennio vengono proposti da chi scrive senza alcun riscontro da parte di chi ci governa, l’ingegneria visionaria (ma non troppo…) che ha fatto la storia del progresso, il Sud e l’Italia stessa sarebbero la cerniera tra tre continenti Africa Europa Asia. Ovvero una eccezionale piattaforma logistica ben più importante a livello globale, andando oltre il Mediterraneo.

È chiaro quindi che con questi presupposti il Ponte sullo Stretto di Messina è un piccolo ma fondamentale tassello di un disegno più complesso (indiscutibilmente praticabile purché lo si voglia…) capace di dare prospettive concrete per i nostri giovani (soprattutto del sud) perché restino a costruire il proprio futuro a partire dai loro lunghi di origine. Senza contare che il crescente indebitamento che ricadrà sulle generazioni future, potrebbe non essere sufficiente a ridare al Sud e all’intera Italia quella lucentezza che merita. Non limitiamoci al Sole al Mare alla cultura e al turismo.

Il Sud È il nostro futuro. Da questo punto di vista (e non solo…) il ponte di Messina va visto come asset strategico per l’Italia che guarda al Mediterraneo. Ormai tutti (o quasi..) si sono convinti che il futuro dell’Italia passi dal Mediterraneo per proiettarsi verso l’Africa. È del tutto evidente che in questo quadro geostrategico il ruolo della Sicilia e dell’intero Meridione è cruciale e con esso il Ponte sullo Stretto di Messina diventa fondamentale e improcrastinabile. Del resto il collegamento stabile tra Calabria e Sicilia è da decenni sancito dall’Unione Europea come parte del corridoio Berlino Palermo più di recente ridenominato Helsinki La Valletta.

Ne consegue che i tentennamenti dell’Italia verso quest’opera, con ricorrenti “stop and go” puramente politici, sono del tutto incomprensibili a livello europeo. Ora finalmente è giunta la conferma della necessità di un collegamento stabile. E le attività connesse al riavvio dei cantieri sono ormai una certezza. Del resto giusto per tornare su cose note ma su cui i NoPonte tornano in modo ricorrente senza pudore, il ponte a campata unica ha avuto il placet tecnico ma uno stop politico da parte del governo Monti generando un pesante contenzioso da parte del contraente generale Eurolink fortunatamente annullato con la ripresa del contratto iniziale.

Ebbene voglio qui richiamare a futura memoria ciò che scrivevo un paio di anni fa in merito alla discussione allora in atto in parlamento prima delle elezioni.“Ma ecco spuntare l’ennesimo ostacolo. Archiviata la proposta “assurda” di un tunnel , “non volendo” incomprensibilmente accettare la soluzione più logica di aggiornare il progetto definitivo già approvato (tempo pochi mesi) ed eventualmente indire una nuova gara, si da credito ad una soluzione già bocciata da decenni come esito degli studi di fattibilità propedeutici all’indizione della gara internazionale (vinta da Eurolink ). Ovvero un Ponte con piloni a mare così giustificato “presumibilmente ti costa meno”. Affermazione priva di riscontro oggettivo.

Certamente censurabile in un documento ufficiale. Tanto più che per valutarne la realizzabilità sono necessari studi e indagini molto estesi e costosi! Ma tant’è! Se non vi è consenso politico c’è sempre qualche “tecnico” pronto ad avallare i voleri del ministro di turno! Ma quel che più indigna è il fatto che non viene spiegato in linea tecnica il perché di debbano spendere altri 50 mln per studi di fattibilità già sviluppati nel passato (con non marginali profili di danno erariale), studi che semmai andrebbero aggiornati. E come giustificare gli oltre 350 mln spesi dallo Stato per il progetto definitivo a campata unica? Va ricordato che il progettista è la danese Cowi e la verifica parallela indipendente sviluppata dalla statunitense Parson, società con decine di migliaia di dipendenti e con acclarata esperienza su ponti di grande luce, a livello mondiale.

Ma vi è di più, abbandonando il progetto iniziale. l’ulteriore ritardo nell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera è valutabile in almeno 5 anni. Orbene procrastinare nel tempo una infrastruttura strategica come questa (del valore di 5-6 mld per il solo Ponte), significa penalizzare ulteriormente il Mezzogiorno. Mentre il costo dell’insularità è stimato in oltre 6 mld (ovvero un Ponte all’anno).

I livelli occupazionali sono valutati in decine di migliaia. E il solo indotto fiscale conseguente agli investimenti sulla “metropoli della Stretto” consentirebbe un rientro in pochi anni dei costi che lo Stato dovrebbe sostenere. Va da se (ma non sembra così chiaro a taluni contrari all’opera) che sarebbe ridotto drasticamente l’inquinamento dello Stretto senza contare gli attuali rischi per la sicurezza conseguenti alle possibili collisioni dei traghetti.

L’amara conclusione è che si “buttano” centinaia di milioni per ripartire da capo, ignorando le conseguenze di un ulteriore ritardo. Perché queste decisioni “masochistiche”? La quasi totalità dei tecnici “qualificati” e non asserviti alla politica la pensano allo stesso modo. (es)

[Enzo Siviero è Rettore E-Campus]

Giovedì a Roma l’incontro su “Mediterraneo e nuove sfide: Storia, cultura e sviluppo”

Giovedì 28 marzo, a Roma, nella Sala della Promoteca del Campidoglio, è in programma l’incontro sul tema Mediterraneo e nuove sfide, organizzato dalla Fondazione Cre (Calabria Roma Europa), dal Consolato Onorario del Regno del Marocco in Calabria e da Roma Capitale.

L’incontro sarà moderato dal giornalista dott. Santo Strati, direttore del quotidiano Calabria.Live. I saluti istituzionali saranno affidati al Federico Rocca per Roma Capitale e al dott. Rocco Genua per la fondazione Cre.

Introdurrà l’avv. Domenico Naccari, console Onorario del Regno del Marocco per la Regione Calabria. Interverranno il dott. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Wanda Ferro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’ Interno, Nicola Procaccini, Europarlamentare; Youssef Balla, ambasciatore del regno del Marocco in Italia, il dott. Abdellah Redouane, segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, il dott. Alfredo Carmine Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, l’Ammiraglio Andrea Agostinelli, presidente Autorità Portuale Mari Tirreno Meridionale e Ionico, Giacomo Saccomanno, presidente Accademia Calabra, il dott. Dominique Carducci Polsella, Consulente Aziendale, l’ing. Francesco Terlizzi, imprenditore.

Con i suoi 2,5 milioni di km2 e 46000 km di coste, il Mar Mediterraneo, il “mare in mezzo alle terre”, Rappresenta solo lo 0.67% delle superfici oceaniche, un piccolo puntino nel pianeta terra che ha da sempre un’immensa forza di attrazione per tanti e differenti interessi e universi culturali.

Furono i greci, per primi, a considerare “loro” quello che chiamavano “mare interno”, oltre il quale era “l’Oceano”, ossia un grande mare esterno, in quelle zone in pratica ignote. Giulio Cesare, impegnato nella costruzione del dominio romano, parlò per primo nel “De Bello Gallico”, di Mare Nostrum: fu davvero mare nostrum, allora. E tale rimase per secoli. Un mare controllato dalla potenza di Roma a sottolineare l’estensione delle loro conquiste. Ma il discorso sul Mediterraneo non si può circoscrivere alla cultura greco romana, questo mare va inteso come esplorazione, come sinonimo di scoperta, conoscenza dell’altro, mare come ibridazione e quindi ricchezza. 

Il Mediterraneo possiede un patrimonio storico, culturale e economico, scaturito dalla sostanziale e pressoché continua contaminazione di tutti i paesi, che si affacciano sulle sue coste: Italia, Grecia, Albania, Algeria, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Egitto, Francia, Israele, Libano, Libia, Malta, Marocco, Monaco, Montenegro, Palestina,Siria, Slovenia, Spagna,Tunisia,Turchia. Mediterraneità ieri e oggi è opportunità di congiungimento fra molteplici diversità oltre che, purtroppo, di scontri militari e bellici. Un interscambio continuo, non di rado crudelmente feroce, che è da sempre così, come ci raccontano la letteratura, i miti, i simboli atavici. (rrm)

LA CALABRIA PUÒ ESSERE HUB LOGISTICO
CHIAVE PER IL SUD E PER IL MEDITERRANEO

di ERCOLE INCALZA – Sono apparse a dicembre tante notizie relative alla nascita di un polo logistico in Austria; in particolare nella Carinzia; una Regione che riveste un ruolo strategico in quanto attraversata da un asse che collega Vienna e Venezia; inoltre rappresenta l’ambito territoriale più meridionale dell’Austria ed è anche attraversata dal Corridoio delle Reti Ten – T Baltico Adriatico. Esistono poi una serie di progetti infrastrutturali che amplificano ulteriormente la dimensione strategica della intera Regione come la ferrovia di Koralm ed il porto interno di Furnitz.

Ricordo che la galleria di Koralm, completata ultimamene, è lunga 33 Km e quando l’intero asse ferroviario sarà completato collegherà in modo davvero veloce i capoluoghi delle provincie Graz e Klagenfurt. Inoltre una volta completata questa ferrovia i collegamenti tra l’Austria ed il Veneto potranno contare su un asse ferroviario veloce e l’intero Corridoio Baltico diventerà interessante e strategico quanto quello Helsinki – La Valletta; disporremo in realtà di una seconda spina dorsale che dal Mar Baltico raggiungerà oltre che Trieste tutti i porti dell’Adriatico fino a Bari e a Brindisi.

Ma leggendo un protocollo d’intesa firmato tra l’Italia e l’Austria scopriamo che si sono costruite le condizioni per la istituzione di un “Corridoio doganale ferroviario transfrontaliero” tra il porto di Trieste e l’interporto di Villach Sud/Furnitz. Grazie a tale Corridoio le merci in arrivo al porto di Trieste potranno essere caricati dalla nave sulla ferrovia in direzione Villach Sud/Furnitz senza dover espletare le procedure doganali ed il relativo stoccaggio intermedio. È inutile ricordare i vantaggi di un simile collegamento sia in termini di contenimento di tempi, sia in termini di consumi energetici, sia in termini di produzione di Co2.

Ho voluto dilungarmi su questo esempio, tra l’altro ritengo utile precisare che pochi giorni fa il Corridoio doganale è entrato in funzione, perché lo ritengo davvero un esempio concreto di intervento finalizzato a modificare sostanzialmente l’assetto sia di una vasta area austriaca, sia del nostro Nord Est e indirettamente, come dicevo prima, a trasformare un Corridoio, quello Baltico Adriatico, da interessante asse di collegamento a impianto logistico lineare in grado di amplificare al massimo i vantaggi sia delle realtà produttive ubicate lungo il Corridoio che del vasto mercato dell’area orientale della Unione Europea.

Ma chi legge questa mia nota non riesce a comprendere quale sia il collegamento con la Calabria, quale sia la motivazione che mi ha portato a questa lunga premessa e, soprattutto, cosa c’entra con la Calabria un progetto così avanzato di intelligenza logistica; in realtà la mia è solo una banale provocazione basata essenzialmente sulla delusione che provo ogni volta che analizzo una serie di condizioni privilegiate possedute da alcuni ambiti della Calabria e che da anni restano solo grandi potenzialità. Elenco di seguito tali riferimenti strategici:

Il porto di Gioia Tauro

È il primo porto italiano per traffico merci e il decimo porto in Europa. Si estende su una superficie di 620 ettari ed è una delle maggiori infrastrutture presenti nel Mar Mediterraneo

Il porto trae vantaggio dalla profondità naturale delle sue acque (fino a 18 m) e offre una banchina lunga 3,4 km. Le strutture comprendono ventidue gru di banchina in grado di raggiungere fino a ventitré file di container, i dipendenti sono oltre 1.300 e la struttura ha una capacità massima di quattro portacontainer ultra grandi. La portata del porto ha raggiunto i 3.467.772 di TEU (container lungo 20 piedi) e può raggiungere e superare la soglia dei 5 milioni di Teu.

Il distretto portuale ha una superficie di 440 ettari. L’ingresso del canale ha una larghezza di 300 m e si allarga in un bacino di evoluzione con un diametro di 750 m. Il porto canale si dispiega verso nord per oltre tre chilometri, con una larghezza che varia da 200 a 250 m. All’estremo nord del canale c’è un secondo bacino di evoluzione con un diametro di 500 m. Il porto ha 5.125 m di banchine.

Con l’arrivo di Gianluigi Aponte, armatore italiano, fondatore e proprietario della Mediterranean Shipping Company, cioè della prima compagnia di gestione di linee cargo a livello mondiale (220.000 dipendenti, 800 navi, circa 22,5 milioni di TEU movimentati all’anno) lo scalo è stato protagonista di un vigoroso piano di investimento, che ha interessato il rinnovo del parco macchine, operanti nel piazzale portuale. Tra gli altri mezzi, sono giunte a Gioia Tauro, direttamente dalla Cina, le tre gru a cavalletto, tra le più grandi al mondo, capaci di lavorare navi da 22 mila Teu.

L’aeroporto di Lamezia

L’aeroporto, realizzato negli anni ’70 dalla Cassa del Mezzogiorno dispone di un terminal merci, sempre attivo e in grado di effettuare movimentazione di merci varie. Inoltre, è dotato di un vasto magazzino per la temporanea custodia doganale, con doppi accessi air-side e land – side che agevolano le operazioni in ingresso e in uscita delle merci soggette alle procedure di custodia temporanea. Sono a buon punto inoltre i lavori per l’allestimento del Posto di Ispezione Frontaliera (Pif) che ha la finalità di sdoganamento diretto sullo scalo di prodotti di origine animale.

Importanti risultano anche le attività dei corrieri espressi, tenendo conto dello stretto rapporto di sinergia esistente con Aeroporti di Roma e in particolare con lo scalo di Roma-Ciampino, che risulta essere tutt’oggi la base operativa dell’Italia centrale per le principali compagnie di Express Couriers. Infine, la grande opportunità in termini di traffico è offerta principalmente dal potenziamento dell’intermodalità dell’aeroporto con il porto di Gioia Tauro, uno dei maggiori del Mediterraneo per questo tipo di movimentazioni.

Un asse ferroviario, quello lungo la tratta Salerno – Reggio Calabria

Un asse ferroviario ubicato sul Corridoio delle Reti Ten – T Helsinki – La Valletta che entro sette – otto anni potrebbe essere un asse con caratteristiche di alta velocità e che potrebbe rappresentare, senza dubbio, il progetto infrastrutturale dell’Italia meridionale tecnicamente, dopo il Ponte sullo Stretto, più importante e finanziariamente più rilevante. Questo nuovo intervento garantirà l’accesso al sistema ferroviario Av del Paese e renderà possibile l’accessoa diverse zone a elevata valenza territoriale quali il Cilento e il Vallo di Diano, la costa Jonica, l’alto e il basso Cosentino, l’area del Porto di Gioia Tauro e il Reggino, oltre che una velocizzazione dei collegamenti verso Potenza, verso la Sicilia, verso i territori della Calabria sul Mar Jonio e verso Cosenza. Allo stesso tempo, contribuirà in maniera significativa al potenziamento dell’itinerario merci Gioia Tauro-Paola-Bari

Un’asse autostradale quello tra Salerno – Reggio Calabria

Un asse, ubicato sul Corridoio Ten– T Helsinki – La Valletta, tra i migliori del Paese, che si estende per 432 Km. Il suo percorso si snoda in gran parte su territorio montano. Comprende 190 gallerie e 480 tra ponti e viadotti. Dei suoi 432 km, 125 km si percorrono in galleria e 97 km tra viadotti e ponti. 35 gallerie hanno una lunghezza che oltrepassa i 1000 metri e 70 ponti superano la lunghezza di 300 metri, Sarà la prima smart road italiana ed europea, cioè sarà dotata di un’infrastruttura wireless di ultima generazione, che metterà in collegamento autostrada, utente e veicolo tramite un’apposita app, la quale fornirà in tempo reale servizi di deviazione dei flussi di traffico nel caso di incidenti, suggerimenti di traiettorie alternative, interventi tempestivi in caso di emergenze.

La smart road è una “strada intelligente” sulla quale i veicoli possono comunicare e connettersi tra di loro L’investimento complessivo del programma Smart Road di Anas è di un miliardo di euro e verrà messo in atto in tre step. La prima fase, che sarà realizzata nei prossimi tre anni, prevede un investimento di circa 250 milioni di euro, anche grazie a contributi europei, e riguarderà alcuni dei più importanti nodi stradali del Paese, tra cui appunto la A2 Autostrada del Mediterraneo. I primi 100 km sono già stati cablati

Ebbene, questi quattro pilastri infrastrutturali già esistenti o disponibili entro un arco temporale certo, questo impianto logistico da qualche anno seguito con interesse da un grande imprenditore come Aponte, questa vasta realtà territoriale oggi guidata da un Presidente della Regione come Roberto Occhiuto convinto che la Calabria ha tutte le condizioni per diventare un Hub logistico chiave non solo del Mezzogiorno ma del “sistema Mediterraneo”, tutto questo fa scattare automaticamente un interrogativo: perché la Carinzia senza questa ricchezza strutturale ed infrastrutturale può permettersi il lusso di diventare uno degli Hub logistici più avanzati della Unione Europea?

Molti risponderanno precisando che le cause vanno ricercate nella ubicazione geografica della Carinzia, praticamente al centro dell’Europa, molti diranno che il porto di Gioia Tauro, a differenza del porto di Trieste, è solo un porto transhipment e quindi non c’è attività di manipolazione dei prodotti e di relativa distribuzione e commercializzazione, potrei continuare ad elencare tante motivazioni senza però raccontare quella che ritengo sia la più vera: noi stessi, sì noi meridionali, spesso non siamo coscienti di questa ricchezza infrastrutturale e, come emerso lo scorso anno nel primo Festival Euromediterraneo (Feuromed) a Napoli, inseguiamo una narrazione sbagliata delle nostre ricchezze e non siamo in grado di costruire un catalizzatore capace di trasformare queste potenzialità in ricchezze.

Nella prossima edizione del 2° Festival Euromediterraneo forse sarà opportuno ed utile avanzare proposte che rendano concreta e possibile la ricaduta di queste misurabili capacità, di questa sommatoria di occasioni perse sulla economia della Calabria, del Mezzogiorno e del Paese.

Forse è bene ricordarlo e ribadirlo: la Calabria non ha nulla di meno della Carinzia. (ei)

L’ITALIA PUNTI SULLA CALABRIA E SUL SUD
PER UNO SVILUPPO “EURO-MEDITERRANEO”

di MIMMO NUNNARIDopo la visita al porto di Gioia Tauro della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni si può tirare qualche somma sul futuro della Calabria.

Non che la premier abbia portato molti doni o disegnato prospettive interessanti per la regione terminale d’Europa, tuttavia sono da incorniciare le sue nette sincere parole sul porto di Gioia Tauro: «È un gioiello, il primo porto italiano e il nono europeo per traffico merci. Noi però siamo una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, quel mare che è il punto di contatto tra l’Indopacifico e l’Atlantico. Noi siamo in mezzo, con un porto che sta nella punta di questa piattaforma. E allora il nono posto in Europa non è l’obiettivo massimo a cui possiamo ambire. Molti passano da Rotterdam e Amsterdam banalmente perché non abbiamo le infrastrutture».

Dobbiamo partire da qui nel tirare le somme della visita di Meloni in Calabria, fidandoci del ruolo di sentinella degli interessi della regione che sta svolgendo il presidente della Giunta Roberto Occhiuto, che – ora o mai più – ha la grande occasione di proiettare la Calabria nel Mediterraneo, in quel mare dove si può trovare il filo della della rinascita di una vecchia e dignitosa regione del Sud, perché questo la Calabria è.

Con i suoi 800 chilometri di costa, che nel tratto del basso Tirreno ospita il porto di Gioia Tauro e più a sud lo Stretto, da sempre crocevia del mondo, la Calabria, isole di Sicilia e Sardegna a parte, è la regione più di tutte immersa nel vecchio “mare nostrum”: il mare dove tutta la storia dell’umanità è scritta. Circa 5000 anni fa un uomo fenicio, di nome forse Onoo, fu il primo ad avventurarsi con coraggio tra le onde, con una specie di canoa, forse per fuggire dai suoi nemici, oppure perché curioso di scoprire nuove isole e nuove terre che stavano oltre la linea dell’orizzonte.

Da allora, è cominciato il viaggio nel mare che si chiama Mediterraneo. A raccontarlo questo “viaggio”, significa narrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia e poi realtà antiche, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno; oppure, immergersi negli arcaismi dei mondi insulari e, allo stesso tempo, stupire di fronte all’estrema giovinezza di metropoli antiche che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Qualcuno, dice che nel sud del Mediterraneo accade ciò che nel Sud Italia accade da due secoli almeno: stessa eredità di antiche civiltà, stesso crepuscolo e destino, nel collocarsi nella storia dalla parte del torto.

E la Calabria, di questo Sud Mediterraneo, è indiscutibilmente e storicamente il centro. Quando la presidente Meloni da Gioia Tauro guarda all’Africa e al Mediterraneo, può essere certa che l’Italia il suo Mediterraneo lo ha in casa: con la Calabria, che rappresenta – messa giù in fondo allo Stivale – l’avanguardia dell’Occidente verso l’Oriente e l’Africa del Nord. La Calabria è geograficamente, storicamente e culturalmente, il territorio più vicino a quel grande teatro di dimensioni mondiali, a quel piccolo universo davanti al quale, come ha scritto domenica Lucio Caracciolo su la Repubblica: «L’Italia è quasi isola, esposta per ottomila chilometri al mare da cui importiamo le materie prime che non abbiamo e con cui esportiamo le merci che sostengono la nostra economia. La Penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse».

L’Italia dunque ha bisogno del Mediterraneo e tutte le ragioni suggeriscono, perciò, rapporti non solo economici, ma anzitutto dialettici, culturali e di sfida sociale con la realtà mediterranea, e la Calabria, con le sue Università, le sue imprese eccellenti, il suo immenso patrimonio culturale, può legittimamente candidarsi a svolgere questo ruolo di punta di diamante del Sud nel Mediterraneo.

Tutte insieme, le regioni meridionali, in prospettiva mediterranea, possono rivestire, nell’Unione Europea, quel ruolo che Francesco Compagna, un illuminato meridionalista, in tempi lontani, indicava nella definizione di geopolitica come “Mezzogiorno d’Europa”. Gli scenari (incerti) del futuro, saranno difficili da gestire, senza un’accorta politica mediterranea e sarà l’Italia – se le sue visioni glielo consentiranno – a dover svolgere un ruolo importante in un processo di sviluppo euro-mediterraneo che comporterà certamente dei costi, ma che avrà innegabili convenienze.

Ma, senza puntare sulla Calabria, e sul resto del Sud, ogni visione, ogni progetto, rischiano il fallimento. (mnu)

LA SCOMMESSA CALABRESE SUL FUTURO
È NELLA CENTRALITÀ DEL MEDITERRANEO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La centralità del Mediterraneo emerge con l’apertura del Canale di Suez nel 1869. Il raddoppio del 2015 poi ne ha potenziato la sua importanza strategica. Il suo costo 8,2 miliardi di euro e due anni di lavori ne hanno fatto un’opera di ingegneria tra le più importanti mai realizzate. Il raddoppio del Canale permette il passaggio di 97 navi al giorno contro le precedenti 49 e consente all’Egitto di raddoppiare i ricavi da transito che, nel 2023, dovrebbero essere corrispondenti a 13 miliardi di dollari all’anno, molti di più dei 5 precedenti.

Non sono mancate le critiche della comunità internazionale per la nuova infrastruttura. Una lettera appello di 500 scienziati ha chiesto alle autorità una valutazione ambientale. Le storie sono sempre banalmente le stesse, e si ripetono se guardiamo al progetto del Ponte sullo stretto. Quello che si sa per certo è che si è detto addio alla circumnavigazione dell’Africa, perché con il nuovo canale arrivano nel Mediterraneo anche le navi di grandi dimensioni finora impossibilitate ad attraversarlo.

Uno studio condotto da Intesa Sanpaolo ha calcolato l’impatto sulla portualità italiana, sulla base del possibile spostamento della convenienza del passaggio via Suez di alcune rotte, valutabile in un aumento di circa 170 mila containers. Tutto perfetto? Sembrava di si. Fino a quando si è visto che sono in pochi a prevedere come cambieranno davvero le rotte commerciali transoceaniche.

Perché se la realtà dell’area del Mar Rosso va a fuoco, come sta accadendo in questi giorni, tutto può cambiare.

In realtà l’Italia non è riuscita a sfruttare adeguatamente la sua posizione geografica. E del 20% del traffico mondiale che passa dal Mediterraneo è riuscita ad intercettarne una piccola parte.

Per problemi di organizzazione portuale, di fondali adeguati, di mancato messa a regime di un porto come quello di Gioia Tauro, che possiede un retro porto con ettari disponibili molto rilevanti, per il non utilizzo, conseguente all’annullamento del 2012 della costruzione del ponte sullo stretto da parte di Monti, che ci trova ancora in una fase di passaggio, di Augusta, per i bassi fondali che non consentono di accogliere le maxi navi e le opere di dragaggio in ritardo, vedi Taranto, vi è una mancata valorizzazione del sistema logistico da parte del Paese, che fa perdere migliaia di posti di lavoro possibili, considerato che la sola Rotterdam, tra diretti ed indiretti, occupa oltre 700.000 persone.

È incredibile come i “frugali “olandesi siano riusciti a non farsi mettere in crisi dall’apertura del Canale di Suez, che ha riproposto il Mediterraneo come centro dei commerci mondiali, dopo che nel 1492, con la scoperta dell’America, aveva perso il suo ruolo di centro unico dei traffici.

Bene un Medio Oriente che si infiamma, come si è visto dalla ripresa da parte delle navi maxportacontainers della circumnavigazione dell’Africa, equivale ad una nuova scoperta dell’America e gli effetti potrebbero essere devastanti soprattutto per i Paesi che su questo mare si affacciano. E ciò potrebbe contribuire ad incrementare i flussi di migranti verso l’Europa.

Pensiamo all’Egitto che sulle risorse provenienti dall’attraversamento del canale ha pensato di trarre redditi relativamente importanti, alla Grecia che ha investito molto sul Pireo, a Tangermed che rappresenta una certezza ed una speranza per l’Algeria.

Infine l’Italia nella quale il progetto di alta velocità ferroviaria che parta da Augusta a Berlino, per collegare Singapore, Hong Kong alla Mittel Europa, può essere messo in discussione dalla chiusura di una via d’acqua, che è diventata fondamentale per il commercio mondiale.

Qualcuno potrebbe dire che in ogni caso vi è un collegamento col Nord Africa, che diventerà sempre più importante e che non ha bisogno di passare dal canale, ma certamente sappiamo tutti che intercettare il traffico proveniente dall’Estremo Oriente, Cina, Giappone, Corea, India ma anche degli Emirati e dal Corno d’Africa è un fatto non irrilevante.

Non vi è dubbio che Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia siano Paesi con i quali avverrà un incremento notevole dei traffici, ma non vi è altrettanto dubbio che tutto parte dalla pacificazione dell’area del Medio Oriente.

Se questo non dovesse avvenire e il conflitto dovesse protrarsi, con l’accentuazione delle tensioni anche con l’Iran, probabile finanziatore dei terroristi che stanno mettendo in discussione i traffici dal Mar Rosso, potremmo avere effetti paragonabili alla scoperta dell’America del 1492. L’evento in quel caso fu un evento positivo per il mondo, ma certo un problema non da poco per il Mediterraneo.

In questo caso è solo un problema per tutti, ma lo è meno per esempio per Germania e Francia, che pagherebbero solo per i maggiori oneri di trasporto.

Per l’Olanda e i Paesi Atlantici probabilmente potrebbe alla fine essere anche un vantaggio, perché a quel punto, dovendo circumnavigare l’Africa, i porti più vicini sarebbero quelli degli amici, “frugali” ma sempre bulimici.  Per questo l’Italia non può consentire che l’Europa continui a non recitare che un ruolo di comparsa, in quella che per noi ma per tutto il Continente può trasformarsi in tragedia.

Ancora l’Europa sta subendo gli effetti di un’interruzione di rapporti con la Federazione Russa, che ha messo in crisi soprattutto, come si è visto anche dai riflessi economici che l’attraversano, la Germania.

Il blocco del Mar Rosso, se dovesse protrarsi per un periodo non limitato, potrebbe essere un duro colpo per le economie che sul Mediterraneo si affacciano. In questo il Sud italiano diventa, in questo caso nel male, un protagonista assoluto, perché subirebbe gli effetti negativi della ripresa degli sbarchi senza avere quelli positivi della vicinanza al canale di Suez.

Altro che il fumoso piano Mattei, del quale poco si sta comprendendo tranne il fatto che vorrebbe che l’ Africa diventasse la batteria d’Europa, come si è sempre fatto con i Paesi a sviluppo ritardato e con il Sud, ma effetti concreti immediati su un commercio già poco florido che in questo modo si annullerebbe. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

SERVE UN PROGETTO DI TRASFORMAZIONE
EPOCALE PER UNIRE CALABRIA ALL’EUROPA

di MARCELLO FURRIOLO – Puntuale come sempre il 57mo Rapporto Censis sulla situazione della società italiana fotografa un Paese “inabissato in una ipertrofia emotiva, mosso da scosse emozionali che tramutano tutto in emergenza e conducono a spasmi apocalittici e fughe millenaristiche”. Mentre i problemi veri sono rimossi dall’agenda collettiva.

Un paese di“sonnambuli inabissati nel sonno del raziocinio. Ciechi dinanzi ai presagi. Gli italiani non sarebbero più alla ricerca dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. Registriamo una siderale incomunicabilità generazionale e va in scena il dissenso senza conflitto dei giovani. Esuli in fuga. 36.000 ragazzi tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’ Italia nell’ultimo anno. Come si vede un’immagine lacerante. Il rapporto, mai come quest’anno, si sofferma su aspetti di psicologia collettiva che hanno un riflesso socio-economico. In un paese invecchiato, sfiduciato e stressato da due guerre alle porte di casa e da una situazione economica e politica, complessa nella sua fragilità.

Un ritratto per molti versi sostanzialmente mutato rispetto agli ultimi anni. Non tanto cambiato nelle sue diversità e contrapposizioni territoriali ma pressoché omologato nelle sue preoccupazioni e nell’incapacità di guardare al futuro con fiducia e di mettere in campo azioni adeguate per modificarne il corso. I “sonnambuli” della lunga notte della politica. In un meraviglioso territorio privilegiato dalla natura, in cui si muore per  selvaggia violenza  di genere, ma anche per l’isolamento patologico dell’anoressia.E la Calabria che posto occupa in questa foto di gruppo, un po’ dagherrotipo e un po’ videoclip della società della fluidità dei pensieri e dei costumi? Sicuramente la Calabria fornisce il suo contributo decisivo nell’invecchiamento della popolazione, nella fuga esilio della sua meglio gioventù, nella paralisi sonnambula della sua vita sociale e soprattutto politica. Eppure in queste ore non mancano piccoli segnali, sia pure contraddittori, dell’emergere di una possibilità di riscrittura della vocazione della regione rispetto non solo al resto del Paese, ma anche dello stesso Mezzogiorno.

Appare evidente che il destino della Calabria debba ormai legarsi sempre di più non al resto del Mezzogiorno, prendendo atto del fallimento delle politiche dei vari Governi nazionali e locali in risposta alla letteratura querula della “Questione Meridionale”, ma all’Europa e al Mediterraneo. Il Presidente Roberto Occhiuto è stato ricevuto al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un colloquio definito “positivo e cordiale”.

A conclusione è stata diffusa alla stampa una foto che ritrae “i due Presidenti” in un atteggiamento di grande rispetto reciproco, che evocava quasi la conclusione di un incontro tra due rappresentanti di due paesi alleati.

Occhiuto a margine dell’incontro con Mattarella ha affermato che la Calabria deve diventare “la Porta dell’Europa sul Mediterraneo”. Come dire che, forse, finalmente si è individuata la strada che fa uscire la regione dall’isolamento e dalla sua storica marginalità. Ma per fare questo occorre con coraggio ripensare ad una nuova idea di Calabria, aggiornare il suo identikit socio economico, riscrivere il diario non dei sogni ma delle necessità strutturali per diventare “la Porta” dell’Europa, su cui si affacciano i territori e le popolazioni  più travagliati, ma anche più giovani e portatori di nuovi bisogni e nuove culture.

Fare questo significa dotare la Calabria di infrastrutture a livello europeo, significa impedire che si continui a morire su tratti ferroviari ottocenteschi per mancanza di elettrificazione, doppi binari e sicurezza nei passaggi a livello. Significa potenziare il Porto di Gioia Tauro e aprire nuove strutture portuali di primo livello anche sullo Jonio e realizzare una grande area metropolitana nell’area centrale della Calabria tra i due mari. Significa ancora alzare il livello dell’impegno e degli investimenti per l’ambiente, a partire dal nuovo rigassificatore. Significa rendere la sanità pubblica e privata in grado di dare le risposte più adeguate alla domanda di salute non solo dei cittadini calabresi, ma delle popolazioni che si affacciano sulle nostre coste. Ma  principalmente – sono sempre le parole di Marcello Furriolo – significa rendere le nostre tre Università autentici fari del sapere umanistico e scientifico, in grado di diffondere la storia e la visione avveniristica del futuro, in un confronto sempre più  pregnante con le popolazioni del Mediterraneo. E in un quadro di autentica e motivata autonomia amministrativa.

Ma, forse, pensare e realizzare tutto questo si traduce nella necessità di dotare questo territorio delle infrastrutture, porti, aeroporti, strade e ferrovie, in grado di unire realmente la Calabria all’Europa, all’Africa e all’est europeo. In questa nuova geografia il Ponte sullo Stretto rischierebbe di apparire del tutto fuori scala, anche se appartiene ai sogni di una generazione politica che ha vissuto di immagini simbolo e opere di regime di vago sapore “millenaristico”. Il futuro della Calabria non passa dalla Sicilia, ma dalla sua capacità di trasformarsi e farsi riconoscere nell’immagine inclusiva dell’Europa da parte di tutte le civiltà che guardano al Mediterraneo. Un sogno da “sonnambuli” o un grande progetto di trasformazione epocale. (mf)

[Marcello Furriolo è ex sindaco di Catanzaro, giornalista e scrittore]

LA MACROREGIONE DEL MEDITERRANEO
UN’OPPORTUNITÀ PER LA CALABRIA E IL SUD

di ENRICO CATERINI ed ETTORE JORIO – Due pezzi in più per dare alle politiche UE un maggiore respiro per il Sud del Paese e del Mediterraneo intero, proiettato quest’ultimo su quaranta regioni subnazionali (11 italiane, ovviamente rivierasche ma non comprendenti il Molise e la Basilicata), delle quali tantissime extra europee. Il tutto funzionale a generare, in una prospettiva non di lungo periodo, una macroregione mediterranea avente l’obiettivo di proporre alle rispettive comunità sociali una sorta di cittadinanza mediterranea.

Una iniziativa domestica e un’altra internazionale organiche ad un diverso sviluppo delle politiche unionali

Sul piano interno la Zes Unica, che – se ben collaborata dagli interventi del PNRR e dei fondi ordinari UE – costituirà un strumento attuativo di politiche di crescita che rintraccino e realizzino iniziative di successo nelle regioni del Mezzogiorno.

Sul piano dell’UE, la Intermediterranean Commission (IMC), rappresentativa di uno dei sei ambiti di intervento della Conference of Peripheral Maritime Regions (CRPM), è finalizzata ad occuparsi dello sviluppo del dialogo euromediterraneo sui temi della cooperazione territoriale. Più esattamente, dei trasporti, della politica marittima integrata, della coesione socio-economica, dell’acqua ed energia, fattori determinanti per le economie e l’occupazione delle regioni coinvolte.

Un assist importante per le Regioni italiane, messe così in condizione di sviluppare le loro politiche territoriali di trasporto e di movimentazione dei loro porti, con un serio ingigantimento dell’indotto in favore anche degli enti locali, specie se messo direttamente in relazione con iniziative favorite dalla Zes Unica.

Gli atti negoziali dei quali non potere fare a meno

Quanto alla coesione – in linea con il regolamento interno di funzionamento, implementato di recente – essa la si potrà concretizzare attraverso una carta convenzionale dei diritti, dei doveri e delle libertà fondamentali.  Insomma, un trattato internazionale vero e proprio con cessioni di parziale sovranità nelle materie attribuite.

Relativamente alla cooperazione sono, invece, da distinguere:

quella per l’acqua e l’energia, da disciplinare verosimilmente attraverso un accordo che assicuri ai cittadini del Mediterraneo il minimo vitale pro-capite (equivalente ad un LEP) di acqua e di fonti energetiche;

quella afferente ai trasporti, attraverso l’individuazione di una area libera di circolazione (di capitali, merci, servizi e lavoratori) circummediterranea, di investimenti infrastrutturali stradali e portuali, di reti digitali e informative a gestione comune.

I migranti circolanti come risorsa

Tra le legittime aspettative dell’IMC c’è, ovviamente quella di incidere positivamente nelle politiche migratorie, promuovendo e monitorando le iniziative più utili a favore di una crescita strutturale – del tipo il progetto geo-politico Mattei – intese ad incidere direttamente sui tessuti di vita, produzione e consumo delle regioni più povere.

In un siffatto particolare momento, l’iniziativa istituzionale comprende anche l’analisi della contingenza e di rimozione dello stato di disagio di genere che caratterizza e penalizza il quotidiano femminile nell’esigere i diritti fondamentali, spesso segnatamente negati in una parte di quest’area geo-demografica.

Una guida che riconosce al Mezzogiorno un corretto protagonismo

A presiedere l’Assemblea Generale è stato chiamato il numero uno della Regione Calabria, il presidente Roberto Occhiuto, un modo per pretendere dall’estremo sud dell’Italia continentale la svolta di una geografia che metta insieme, l’una di fronte alle altre, Nazioni diverse, di sovente confliggenti in termini culturali, religiosi, di produttività e di ricchezza. In quanto tali, alcune di esse afflitte da gravi gap di uguaglianza sociale e di democrazia praticata. Difficile, quindi, il ruolo di dirigere i lavori e di mediare le decisioni, impossibili da assumere se non a seguito di percorsi formativi e di approfondimento delle politiche attive, da progettare e attuare, compatibilmente con le regole internazionali che dovranno stimolare cambiamenti regolativi interni dei singoli Paesi di appartenenza delle anzidette quaranta regioni.

Insomma, il «conoscere per deliberare» è il primo traguardo da raggiungere ovunque per divenire simili percettori dei diritti, così come a monte sarà difficile effettuare preventivamente il percorso correttamente ricognitivo dei singoli fabbisogni, perché estremamente differenziati.

Lo sviluppo delle politiche di crescita unitaria dovranno, pertanto, passare gradatamente dalla condizione di miraggio a quella di realtà seppure differita.

Una mission istituzionale da spendere in favore della pace

Guardando bene la circoscrizione geografica di competenza della Commissione Intermediterranea, identificativa del perimetro marittimo del Mare Nostrum, si arguisce un possibile interessante intervento “diplomatico”, invero, sino ad oggi trascurato.

Considerata l’estensione della condizione geofisica del Mediterraneo, tale da fare rientrare la competenza di esercizio anche entro le dodici miglia del Mare Nero (con rivieraschi Turchia, Iran e Iraq), l’IMC potrebbe proporsi come strumento di sviluppo esteso alla Crimea (Russia) e al territorio di Odessa (Ucraina), entrambe impegnate sul tema dei trasporti per mare. In quanto tali, destinatari di politiche di crescita di un Mediterraneo unitario, funzionale all’esercizio di politiche di pace reale. (ec-ej)

Vedi il documento finale dell’Assemblea della Commissione Intermediterranea votato lo scorso giugno a Villa San Giovanni

 

IL PONTE CENTRALITÀ DEL MERIDIONE:
PERCHÈ SERVE UN PROGETTO DI SISTEMA

di LIA ROMAGNO – L’obiettivo è accendere il secondo motore economico dell’Italia, il Mezzogiorno, e ridurre allo stesso tempo la diseguaglianza sociale ed economica tra il Nord e il Sud. La chiave è la messa in campo di un “progetto di sistema” infrastrutturale con al centro il ponte sullo Stretto di Messina una delle porte d’ingresso in Europa da Sud, ovvero quella vasta, popolosa area del Mediterraneo che il Vecchio Continente ha riscoperto con la guerra in Ucraina e la “sete” di energia – di cui i paesi affacciati sul Mare Nostrum sono ricchi – determinata dalla chiusura dei rubinetti di Mosca e dalla volontà di affrancarsi dai combustibili russi.

Un “Progetto di sistema” per il Sud in Italia e per l’Italia in Europa è quello messo a punto da Svimez, insieme ad Animi (Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno), Cnim (Comitato nazionale per la manutenzione) e Arge, già presentato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, posto al centro di un confronto nella sede della Ficei, cui oltre al presidente della Federazione Italiana Consorzi ed Enti di Industrializzazione, Antonio Visconti e Andrea Ferroni, hanno preso parte, tra gli altri, il viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, Adriano Giannola e Aurelio Misiti, presidenti rispettivamente di Svimez e Cnim, l’architetto Pier Paolo Maggiora di Arge.

Il Ponte, che ha una rilevanza strategica, è quindi parte di un progetto più complesso che, ha sostenuto Aurelio Misiti, presidente del Cnim, vale circa 80 miliardi, di cui 30 e 20 sono rispettivamente il peso dell’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria sulla linea tirrenica e dell’alta capacità sul fronte ionico.

Strategiche sono poi anche le altre due porte d’ingresso in Europa, ovvero i porti di Augusta – che deve intercettare e “rilanciare” quel 25% di ricchezza che passa dallo Stretto di Messina – e di Gioia Tauro. L’idea è poi quella di arrivare alla creazione nel retroporto di Gioia di una «città della piana, per fare di 160 mila abitanti una voce sola – ha spiegato Misiti – che insieme alla città metropolitana di Reggio-Calabria dialoghi con quella di Messina in modo da arrivare ad avere un’unica città metropolitana dello Stretto, con poteri simili a quelli di Roma Capitale». «L’obiettivo è far sì che il Mezzogiorno possa essere un motore economico alla stregua del Nord grazie alle ricchezze che passano dallo Stretto di Messina», ha sottolineato il presidente del Cnim, rilevando poi che la possibilità di collegare Roma e Catania in 3 ore e 30 (come Roma e Milano) grazie al ponte e all’alta velocità attiverebbe gli investimenti dei privati sulla rete autostradale. «Ci sono le condizioni perché il Sud possa svilupparsi, e possa farlo anche da solo».

Il Ponte, ha affermato il viceministro Bignami, «non è un’opera fine a se stessa ma un attivatore delle economie del territorio che dovrebbero mettere in connessione la Sicilia con il resto del Meridione e questo con il continente. E risponde anche all’esigenza di rendere più forte e strutturata la nostra nazione che oggi è tra le potenze manifatturiere mondiali nonostante la situazione del Meridione che consente di immaginare ampi margini di sviluppo per quest’area e di conseguenza per l’intero Paese».

Il viceministro ha poi  smontato le critiche di chi ritiene troppo elevato il costo dell’opera – circa 14 miliardi – come i “suggerimenti” di quanti considerano necessario un ripensamento sostanziale del progetto. Il ponte, ha sostenuto, consentirebbe di “elidere” i costi dell’insularità per la Sicilia, stimati in circa 6 miliardi l’anno, che verrebbero «ribaltati sulla realizzazione dell’opera che creerebbe anche sviluppo». Mentre «fare tabula rasa dei rapporti giuridici in essere, in caso di una nuova gara». considerando anche i contenziosi che ne deriverebbero, allungherebbe a dismisura i tempi.

L’opera trascinerebbe investimenti sulle altre infrastrutture, ha poi sottolineato: «Intendiamo realizzare il ribaltamento del paradigma che prevede prima la realizzazione delle opere complementari e poi l’innesto del ponte come completamento. É un approccio sbagliato, anzi la lunga storia del ponte sconta proprio questo errore. La realizzazione del ponte è la dimostrazione della volontà del governo Meloni di realizzare  la centralità del Meridione».

Adriano Giannola ha messo l’accento sul «piano straordinario di salvataggio» del sistema Italia messo in campo dall’Europa con il Pnrr, «un piano di rinascita», «condizionato al fatto che riduciamo le diseguaglianze e aumentiamo la coesione sociale», che vuol dire affrontare il nodo del dualismo Nord-Sud, soprattutto considerando il fatto che le regioni settentrionali si stanno progressivamente allontanando dalla media europea: «Lombardia, Emilia e Veneto, tanto amanti dell’autonomia, che è una follia, arretrano sempre di più, non trainano più nulla se non loro stesse», ha affermato il presidente di Svimez, sottolineando come il faro anche per l’imprenditoria del Nord debba essere diventare protagonisti della centralità del Mediterraneo che l’Europa oggi ha riscoperto dopo averla abbandonata per trent’anni.

«È il momento di recuperare sul ponte, sul Mezzogiorno che è il terreno su cui si innesca quella reazione a catena che può fare il secondo miracolo economico al Sud e al Nord». E in questo quadro Giannola ha posto la necessità di «cambiare radicalmente rotta sul Pnrr», la cui priorità, ha ribadito, è «l’unicità economica del Paese». (lr)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IL MEDITERRANEO FA SCOPRIRE ADESSO
IL RUOLO STRATEGICO DEL MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZA – Prima considerazione tipicamente geografica: il nostro Paese può essere considerato un sistema insulare in quanto a Nord incontra un vincolo sostanziale, rappresentato dall’arco alpino, nei rapporti con gli altri Paesi dell’Europa ed a Sud incontra il vasto bacino del Mediterraneo.

Fatta questa premessa ritengo opportuno far presente che mi ha sempre affascinato una immagine che paragona il sistema delle reti e dei nodi del sistema logistico del Paese alle componenti di base che danno la vita al corpo umano:

– gli assi stradali e ferroviari rappresentano il sistema arterioso e venoso

– i porti, gli interporti, gli aeroporti, i nodi urbani ed i valichi sono i polmoni che rendono possibile la vita continua e sistematica ai flussi di merci e di persone

In fondo il Mediterraneo è un ambito a cui si rivolgono, con grande interesse, tutti i Paesi europei ed è, al tempo stesso, un ambito obbligato per tutti coloro che intendono entrare nel vasto sistema europeo.

Con il suo solo 1% nell’intero spazio marittimo del Pianeta, il Mediterraneo è attraversato da oltre il 22% della movimentazione mondiale. È un dato che non solo fa capire il ruolo strategico e la rilevanza logistica del Mediterraneo ma, al tempo stesso, denuncia quanto diventi rilevante e direi rivoluzionaria la serie di valichi che, proprio in questo momento storico, si tanno realizzando lungo il nostro arco alpino. In realtà non solo stiamo amplificando la osmosi tra il nostro Paese e l’Europa ma anche tra l’intero bacino del Mediterraneo e l’intero sistema terrestre europeo.

Questo interessante impianto logistico, questa rara ricchezza che rappresenta, senza dubbio, una rilevante rendita di posizione per il nostro Paese, questa misurabile sommatoria di convenienze che trasforma questo bacino geografico in bacino geoeconomico, purtroppo non è stato adeguatamente capito ed apprezzato all’interno del nostro Paese. Infatti a livello logistico, a livello di ottimizzazione della intera supply chain che caratterizza le varie filiere logistiche e merceologiche, i nodi portuali del Centro Nord (Civitavecchia, Livorno, La Spezia, Genova, Ancona, Ravenna, Venezia e Trieste) garantiscono davvero una ricaduta economica sull’intero retroterra e assicurano ai nodi interportuali di Guasticce, Bologna, Verona, Padova, Orbassano, una adeguata canalizzazione delle merci; diventano, cioè, i porti e gli interporti, veri polmoni che amplificano i vantaggi prodotti dai transiti e con la realizzazione dei nuovi valichi, come il tunnel Torino – Lione, la ristrutturazione del Sempione, il San Gottardo e il Brennero, diventano sedi di ulteriore interesse non solo per il nostro Paese, non solo per le provenienze dal centro europeo ma degli ingressi dall’intero bacino del Mediterraneo.

Ed allora sarebbe miope ed irresponsabile non affrontare, da subito, le motivazioni che non hanno consentito, da sempre, a questa vasta realtà territoriale di beneficiare della particolare ubicazione strategica, le motivazioni che hanno solo ammesso le potenzialità di questo vasto sistema senza però mai trasformare queste misurabili ed oggettive potenzialità in reali HUB della logistica. Molti diranno che questa presa d’atto dimentica che nel Mezzogiorno esiste il più grande impianto logistico del Paese con i suoi 3 milioni di TEU (container lungo 20 piedi) e cioè Gioia Tauro, a questa contestazione rispondo subito precisando che però tre grandi potenziali impianti portuali transhipment come quelli di Cagliari, Augusta e Taranto movimentano un numero limitatissimo di TEU ed ancora nel Mezzogiorno esiste solo uno interporto quello di Nola – Marcianise.

In realtà il Mezzogiorno non solo non possiede quelli che prima ho definito i “polmoni” della economia, i “polmoni” del successo logistico ma, addirittura, non riesce, in nessun modo, ad utilizzare i vantaggi prodotti dalla movimentazione delle merci in transito, cioè i vantaggi prodotti da un transito sistematico di oltre 160 milioni di tonnellate di merci all’anno, cioè ad un volano di risorse prodotto dalle attività logistiche pari ad oltre 3,4 miliardi di euro che al Sud lascia come valore aggiunto un valore non superiore al 5%, cioè praticamente nulla.

Cosa non ha funzionato, non certo la capacità imprenditoriale della gente del Sud quanto l’azione di chi ha, negli anni, interpretato l’intera area del Mezzogiorno come ambito da gestire senza assicurare un adeguato ritorno. Questo comportamento per poter essere non solo modificato, non solo contestato deve essere, a mio avviso, contrastato costruendo nel Mediterraneo le condizioni per cui il vasto territorio del Sud diventi area geoeconomica catalizzatrice di interessi di realtà economiche in grande espansione, di HUB logistici sempre più rilevanti come il porto di Bar in Montenegro, come Durazzo in Albania, come il Pireo in Grecia, come Damietta in Egitto, come il porto di Haifa in Israele.

Poco tempo fa proprio partendo da una simile ipotesi, disegnando una simile aggregazione di interessi, avevo, addirittura, ipotizzato una unica Società per Azione dei porti del Mediterraneo; una Società che poteva trovare nel Mezzogiorno il catalizzatore portante di una iniziativa che potesse ottimizzare al massimo gli interessi di chi invece oggi ritiene il Mezzogiorno, come dicevo prima, solo pura area di attraversamento.

Basterebbe davvero poco, costruendo queste alleanze, evitare che, annualmente, il Mezzogiorno perda un introito certo di oltre due punti di PIL ed è al tempo stesso inconcepibile che, dal dopo guerra ad oggi, sia mancata non una programmazione a realizzare reti ferroviarie e stradali capaci di ottimizzare le interazioni tra i vari nodi logistici (portuali ed interportuali) quanto la concreta attuazione di quanto programmato (in proposito solo quattro dati: l’autostrada Palermo – Messina progettata e realizzata in 37 anni, l’autostrada Salerno – Reggio Calabria progettata e realizzata in 28 anni, l’asse Palermo – Agrigento – Caltanissetta progettata in 8 anni e ancora in corso di realizzazione, l’asse stradale 106 Jonica progettata in 11 anni e ancora in corso di realizzazione).

Penso che il Festival EuroMediterraneo dell’Economia a Napoli rappresenti la prima occasione per ricordare al nuovo Governo, a questo nuovo Parlamento quanto sia stato finora irresponsabile l’approccio sia dell’organo centrale che locale nella gestione del Mezzogiorno e nella ottimizzazione delle condizioni strategiche offerte dal bacino del Mediterraneo e, al tempo stesso, per denunciare alla Unione Europea quanto sia stato e quanto, in futuro, sia conveniente investire nel Mezzogiorno e nell’intero “HUB logistico Italia” soprattutto per i Paesi dell’intera realtà comunitaria e quanto le reti TEN – T, con i valichi realizzati anche con rilevanti risorse del nostro bilancio, siano in grado di offrire condizioni di crescita e di sviluppo per l’intero impianto comunitario.  (ei)

IL MEDITERRANEO TEATRO DELL’ECONOMIA
MONDIALE: COLTIVARE LA VISIONE STORICA

di ERCOLE INCALZA – Il Mediterraneo è uno dei più grandi teatri della economia mondiale. Nel 1983, proprio agli inizi della stesura del Piano Generale dei Trasporti l’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile ritenne opportuno che si affrontasse l’approccio alla redazione del Piano tenendo conto anche delle caratteristiche storiche, dei fattori esogeni ed endogeni che, direttamente o indirettamente, avevano condizionato la crescita e lo sviluppo del Paese e quelli che, in futuro, avrebbero potuto condizionare l’attuazione di alcune linee strategiche. Incontrammo, quindi, prima lo storico Fernand Braudel che ci indicò delle linee metodologiche utili per una lettura dei fenomeni che avevano, nel tempo, condizionato la crescita e ne avevano ritardato la sua naturale evoluzione. Dopo fu incaricato formalmente, tra gli esperti preposti alla redazione del Piano, il professor Valerio Castronovo. Trovammo, in particolare, interessante che i due storici erano convinti della importanza del teatro economico rappresentato dal bacino del Mediterraneo.

Fernand Braudel, quindi, prospettò solo una serie di approcci utili per una lettura organica delle evoluzioni che avevano caratterizzato la crescita e lo sviluppo dei commerci e delle logiche trasportistiche soprattutto nell’intero bacino del Mediterraneo. Un approfondimento che poi abbiamo trovato nella famosa pubblicazione del libro: “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”. L’opera ha innovato profondamente la nostra visione della vita europea e mediterranea nel Cinquecento: allo schema tradizionale della crisi sopraggiunta come conseguenza delle nuove vie di navigazione atlantica, Braudel contrapponeva – con la forza di convinzione che derivava da una conoscenza precisa di fonti sterminate – la  visione di un mondo ancora pieno di traffici e di contrasti, di tensioni e scambi, di cui erano partecipi, direttamente o indirettamente, non solo i Paesi rivieraschi, ma anche Stati lontani. In altre parole, la vitalità dell’area mediterranea risultava dirompente ed essenziale, per le civiltà del vecchio mondo, ancora per tutto il XVI secolo.

Valerio Castronovo invece, seguì tutti i lavori del Piano e approfondì le interazioni tra le grandi aziende industriali del Paese e la loro incidenza nelle fasi di crescita non solo del Paese ma del sistema di Paesi al contorno del nostro. Altro suo contributo fu quello relativo alla distinzione tra ambito continentale ed ambito insulare e, all’interno di tale distinzione, la difficile tematica territoriale: una continuità territoriale possibile quella con la Sicilia ed una impossibile quella con la Sardegna e poi il rapporto tra il nostro Paese ed i Paesi che si affacciano sul bacino.

Per Valerio Castronovo le interazioni politiche trovavano sempre il Mezzogiorno come cerniera capace di amplificare la crescita e lo sviluppo. In vari interventi Castronovo ribadiva sempre che il Regno delle due Sicilie conteneva nel nome già un chiaro riferimento sull’autonomia di un territorio che poteva diventare un ottimo spazio di autonomia governativa. Il Mediterraneo per quel Regno era una occasione per relazionarsi con tutti i Paesi che si affacciavano su tale bacino, ma senza dubbio anche un facile rischio per far crollare il ruolo e la funzione dello stesso Regno. Castronovo, poi, comparava sempre le due Italie quella del Centro Nord e quella del Sud in termini di potenzialità e di incisività logistica, ribadendo che “il Centro Nord ha interessi ben strutturati e si interfaccia con l’Europa e, quindi, con realtà economiche forti, il Mezzogiorno, invece, si interfaccia con un numero elevato di Paesi, quelli del Mediterraneo, che avevano forti potenzialità di crescita e forti evoluzioni proprio in alcune filiere commerciali”. Noi in realtà pur avendo disegnato una ottima Costituzione non abbiamo, sempre secondo Castronovo, inciso minimamente su un approccio organico sulla intera area che con i Borboni era la stessa di quello che ora chiamiamo Mezzogiorno.

Le iniziative industriali del Sud, tra le più importanti quella dei canteri navali di Palermo avviati nel 1897 su iniziativa della famiglia Florio, non erano state supportate da azioni dello Stato; bisogna arrivare al dopo guerra, addirittura negli anni ’60, per trovare interventi diretti dello Stato, alcuni fallimentari come le Aree di Sviluppo Industriale (ASI) (46 identificate e approvate urbanisticamente e solo 9 avviate concretamente) e i grandi complessi industriali come la FIAT a Termini Imerese, come la Liquichimica a Ferrandina, il centro siderurgico e poi il polo logistico a Gioia Tauro, come la Montedison a Brindisi e l’ILVA a Taranto.

In realtà, secondo Castronovo, avevamo perso nel Sud il riferimento geografico unitario borbonico ed avevamo solo ottenuto un impegno dello Stato a creare condizioni di sviluppo. In più occasioni Castronovo, nelle riunioni di lavoro del Piano Generale dei Trasporti, ricordava che forse l’approccio unitario all’intero Mezzogiorno, un approccio seguito fino alla fine della esperienza borbonica, era crollato con la istituzione delle otto Regioni. Castronovo non intendeva con questo invocare la istituzione di una macro regione ma voleva solo evidenziare la perdita di una visione unitaria di ciò che chiamavamo Mezzogiorno e quindi del suo ruolo strategico nel Mediterraneo.

Castronovo in modo lungimirante ribadì la opportunità di evitare un conflitto fra il Mar Mediterraneo ed il Mare del Nord; i due Mari dovevano invece essere una occasione di ricchezza della intera Unione Europea e ricordo che accolse con grande entusiasmo la istituzione nel 2005 del Corridoio comunitario delle Reti TEN – T Genova – Rotterdam. In fondo avendo seguito in modo capillare la evoluzione del sistema imprenditoriale del nostro Paese precisava sempre che per una impresa piccola, media, grande, la ubicazione di una offerta portuale, l’accesso e la qualità gestionale di un impianto portuale, devono essere slegate da logiche di schieramento e da principi puramente localistici. Ricordo che in un convegno avevo denunciato come una anomalia logistica quella dell’invio dei container dall’interporto “Quadrante Europa” di Verona a Rotterdam e non a Genova o a Trieste. Lui mi disse: “Sono porti della Unione Europea, convertiti alla efficienza della offerta logistica e non ai colori e alla storia del passato; il Mediterraneo ed il Mare del Nord sono occasioni da sfruttare e non possono in nessun modo essere occasioni di potere; la logistica insegue solo le offerte efficienti”.

Ho preferito fare riferimento, parlando del Mediterraneo, a due storici e non a grandi economisti o a soggetti politici o istituzionali perché ritengo che forse la loro onestà mentale ci aiuti a capire tante scelte infelici che spesso hanno compromesso i successi del nostro Paese all’interno del Mediterraneo. (ei)