di ANTONIETTA MARIA STRATI – Ci sono forti criticità, secondo la Svimez, nel decreto Coesione. Il presidente Adriano Giannola e il direttore Luca Bianchi, nel corso dell’audizione in Commissione Bilancio al Senato sul decreto, hanno sottolineato diverse incongruenze che andrebbero sanate: se da una parte con la nuova governance il decreto riesce a rendere effettivi gli obiettivi legati alla politica di coesione, dall’altra non soddisfa a livelli di previsione di spesa.
Nello specifico, per l’Associazione «livelli inadeguati di spesa ordinaria in conto capitale nel Mezzogiorno hanno reso sostitutiva (e solo parzialmente) la spesa della politica di coesione europea e nazionale, indebolendone le finalità di riequilibrio territoriale», in quanto «fissa al 40% la quota delle risorse ordinarie in conto capitale che le Amministrazioni centrali dello Stato sono tenute a destinare agli interventi da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno. Si tratta di una maggiorazione rispetto a quanto introdotto dal decreto-legge n. 243 del 2016, convertito nella legge n. 18/2017, che prevedeva la cosiddetta «clausola del 34%».
Il Dl, infatti, contiene disposizioni dirette a dare attuazione alla riforma 1.9.1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) – come modificato con decisione del Consiglio dell’Ue dell’8 dicembre 2023 – che mira all’accelerazione e al recupero di efficienza della politica di coesione.
Con tali finalità, nel quadro dell’Accordo di partenariato e per tutti i programmi europei in corso, si prevede di rafforzare il coordinamento tra Amministrazioni e di promuovere la complementarietà e le sinergie dei progetti attuati con i fondi europei per la coesione con gli investimenti finanziati dal Pnrr e dalla coesione nazionale (Accordi per la coesione), tenendo anche conto del Piano strategico della Zes Unica per il Mezzogiorno, quest’ultimo da adottare entro il prossimo 31 luglio.
Tuttavia, per la Svimez, «l’effettiva attuazione della riforma dipenderà inoltre dall’incisività delle misure di rafforzamento della capacità amministrativa degli enti decentrali previste dello stesso “Decreto Coesione”. Le accresciute responsabilità dei presidi tecnici centrali, inoltre, dovranno accompagnarsi a una nuova e maggiore capacità di verifica e controllo da parte delle strutture di recente interessate da un processo di profonda riorganizzazione ancora in fase di completamento».
E, attualmente, il Decreto che «fa riferimento esplicito alle «amministrazioni centrali dello Stato», restringendo l’ambito di applicazione della clausola rispetto alla Legge di Bilancio per il 2019, che lo aveva esteso anche ai contratti di programma tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Anas SpA e a quelli tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Rete Ferroviaria Italiana SpA. Ciò rappresenta una rilevante criticità, dal momento che la quota del 40% si applica a un ammontare di risorse inferiore».
In questo modo per l’Associazione, «si smarrirebbe l’impostazione opportunamente accolta nella norma della Legge di bilancio per il 2019: è l’intensità dell’azione dell’operatore pubblico nella sua interezza e nella complessità dei suoi soggetti e delle sue funzioni che determina effetti sul territorio, sia in termini di erogazione di spesa pubblica che di dotazione di servizi per il cittadino. Sarebbe, perciò, opportuno integrare il dispositivo per estendere l’ambito di applicazione alle imprese a controllo pubblico e introdurre adeguati strumenti di monitoraggio».
Nella nuova governance, infatti, per rendere effettivi tali ambiziosi obiettivi, viene rafforzato il ruolo dell’Autorità politica per la coesione. Quest’ultima – attualmente, il Ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il Pnrr – presiede la Cabina di Regia con funzioni di: coordinamento tra programmi nazionali e regionali della coesione europea; promozione della complementarietà tra interventi del Pnrr e della coesione europea e nazionale; verifica delle attività di monitoraggio sull’implementazione dei programmi, delle quali è responsabile il Dipartimento per le politiche di coesione.
L’ambito di applicazione delle nuove disposizioni del “Decreto Coesione” – ha rilebvato la Svimez – riguarda le azioni dei programmi nazionali e regionali attuativi del ciclo di programmazione 2021-2027 ricadenti nei seguenti settori strategici: risorse idriche; infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell’ambiente; rifiuti; trasporti e mobilità sostenibile; energia; sostegno allo sviluppo e all’attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde.
L’Autorità politica viene investita di rafforzati poteri di indirizzo e controllo, presidiando al coordinamento con le Amministrazioni (Ministeri, le regioni e le province autonome) responsabili dei programmi, che è previsto si realizzi attraverso la condivisione di un elenco di interventi prioritari per ciascuno dei suddetti settori strategici, da selezionare in base a stringenti criteri, anche tenendo conto delle previsioni del Piano strategico della Zes Unica.
In coerenza con la dichiarazione di principio di adottare un «approccio orientato al risultato», per tutti gli interventi prioritari concordati, le Amministrazioni sono tenute a seguire cronoprogrammi procedurali e finanziari modificabili solo nel caso di impossibilità di rispettarne le tempistiche a causa di circostanze oggettive.
«I cronoprogrammi – ha ricordato l’Associazione – devono prevedere il conseguimento di obiettivi iniziali, intermedi e finali, individuati in relazione alle principali fasi di realizzazione degli investimenti: completamento delle procedure di selezione delle operazioni e di individuazione dei beneficiari; assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti; completamento dell’intervento. La verifica del rispetto dei tempi previsti per l’attuazione degli interventi e del conseguimento dei relativi risultati, viene svolta dal Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, al quale le Amministrazioni trasmettono relazioni semestrali sulla realizzazione degli interventi prioritari».
La riforma introduce poi un meccanismo di premialità per le Amministrazioni regionali adempienti rispetto a tempistiche e conseguimento degli obiettivi. La premialità, in particolare, consiste nell’utilizzo delle (eventuali) economie delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc) – maturate in relazione agli interventi conclusi nell’ambito degli Accordi per la coesione – per coprire integralmente la parte di cofinanziamento regionale dei programmi europei Fesr e Fse Plus. Ciò si traduce nella possibilità di coprire con risorse FSC l’intera quota del cofinanziamento nazionale posto a carico delle regioni (30% del totale), in misura doppia rispetto all’attuale valore massimo di 15 punti percentuali.
Il «Decreto Coesione» richiama, inoltre, la possibilità del ricorso ai poteri sostitutivi nei casi di inerzia, inadempimento o mancato rispetto delle scadenze dei cronoprogrammi da parte delle Amministrazioni responsabili, per scongiurare rischi di disimpegno automatico dei fondi erogati dall’Unione Europea.
Infine, vengono introdotte nuove disposizioni in materia di utilizzazione delle risorse 2021-2027 del Fsc. Si prevede, in particolare, la possibilità di assegnare con delibera del Cipess le risorse del Fondo, quale anticipazione, anche alle Regioni con le quali non sia stato ancora sottoscritto l’Accordo per la coesione (Campania, Sicilia, Sardegna e Puglia).
Nello stesso Decreto si dà corso a tale possibilità nella previsione contenuta all’art. 14, dove si prevede che a copertura degli interventi previsti per il Risanamento del sito industriale di Bagnoli-Coroglio, concorrano le risorse finanziarie indicate in via programmatica per la Regione Campania dalla delibera del Cipess n. 25 del 2023 (1,2 miliardi di euro per il periodo 2024-2029).
Per la Svimez, dunque, «nel complesso l’azione governativa risponde alle esigenze di coordinamento maturate successivamente all’avvio del Pnrr, rese ancor più cogenti alla luce delle criticità attuative e delle successive revisioni del Piano. Trasversalmente alle innovazioni di governance, emerge il disegno di rafforzamento dell’Autorità politica della coesione, nei ruoli di indirizzo della programmazione, selezione degli interventi prioritari e monitoraggio dell’attuazione dei programmi nazionali e regionali».
«La scelta di accrescere i poteri centrali – viene evidenziato ancora – è coerente con l’obiettivo dichiarato di rafforzare il livello di efficacia e di impatto degli interventi della coesione europea in raccordo con le altre programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale. Questa impostazione risponde alle intenzioni della riforma di adottare un approccio orientato al risultato. In tal modo, il governo pare voler recepire già nella programmazione in corso a livello nazionale, le indicazioni emerse nel dibattito sul futuro della coesione nel post-2027: uniformare la coesione europea «tradizionale» al modello performance based del Pnrr».
«La riformata governance multi-livello nazionale che ne deriva segna un positivo ritorno di assunzione di responsabilità del governo nazionale sugli interventi orientati alla coesione territoriale», scrivono nella loro relazione Giannola e Bianchi, sottolineando come «le Amministrazioni responsabili, nel momento in cui presentano l’elenco degli interventi prioritari, vengono poste di fronte a una duplice e impegnativa sfida attuativa: rispettare le tempistiche europee di certificazione della spesa e quelle nazionali di raggiungimento dei risultati fissati dai cronoprogrammi».
Nonostante questo, «va rimarcato – si legge nel testo – che il verificarsi delle condizioni necessarie per dar corso all’attivazione dei meccanismi premiali non è privo di incertezze. L’accesso alla premialità, infatti, richiede alle Amministrazioni di essere adempienti sia sui cronoprogrammi degli interventi finanziati dalle europee, sia su quelli inclusi negli Accordi per la Coesione. L’applicazione di tale previsione richiederà dunque una tempestiva verifica degli stati di avanzamento e completamento degli interventi FSC, storicamente caratterizzati da procedure complesse e tardive. A ciò si aggiunge l’ulteriore di criticità dei ritardi già maturati dalle quattro Regioni del Mezzogiorno con le quali non è stato ancora sottoscritto l’Accordo per la Coesione».
«Si è detto, poi – continua la nota della Svimez – che la premialità introdotta dalla riforma si basa sulla possibilità per le Amministrazioni regionali di avvalersi delle risorse FSsc a copertura del cofinanziamento regionale di spese di investimento dei programmi regionali cofinanziati dai fondi europei Fesr e Fse Plus, liberando le relative risorse nei bilanci locali. Andrà però verificato se le Amministrazioni valuteranno l’incentivo finanziario commisurato allo sforzo amministrativo aggiuntivo richiesto per accedervi».
«Un’ultima considerazione – si legge – merita un aspetto che interessa tutte le programmazioni degli investimenti con finalità, diretta o indiretta, di riequilibrio territoriale nella dotazione di infrastrutture e nei livelli dei servizi offerti a cittadini e imprese. La nuova governance ha restituito al presidio politico centrale una maggiore responsabilità di indirizzo e monitoraggio dei programmi nazionali e regionali. Per rendere monitorabile l’efficacia del nuovo modello e valutabile l’avanzamento finanziario del complesso delle programmazioni, andrebbero fissati obiettivi di spesa di breve e medio termine. Nel caso dei fondi europei, ad esempio, per valutare in itinere quanto il nuovo modello sia in grado di conseguire l’obiettivo dell’accelerazione, gli obiettivi andrebbero fissati rispetto ai dati di attuazione del ciclo di programmazione 2014-2020. Analogamente, si potrebbe procedere nel caso dell’Fsc».
Il Decreto, inoltre, interviene anche sulla materia di perequazione infrastrutturale, sia per gli interventi finanziati con le risorse aggiuntive destinate a colmare il gap infrastrutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, sia per quelli coperti da risorse ordinarie senza vincoli ex ante di destinazione territoriale.
il Decreto rinomina in «Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno» il «Fondo perequativo infrastrutturale» istituito dall’art. 22 della legge delega n. 42 del 2009. Le regioni del Mezzogiorno saranno dunque esclusive beneficiarie degli interventi che si prevede di finanziare nei seguenti ambiti: infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche, nonché a strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, coerenti con le priorità indicate nel Piano strategico della Zes unica. Per la Svimez «si tratta, però, di una ridenominazione di un Fondo esistente interessato di recente da un rilevante definanziamento».
Per dirla in parole povere, «il Decreto introduce una riforma del Fondo che, da un lato introduce una destinazione esclusiva per le regioni del Mezzogiorno, dall’altra però non interviene sull’esiguità delle risorse disponibili».
Per la Svimez, infine, un «tema ancora più decisivo» rimane, infatti, quello dell’effettiva capacità di monitoraggio ex ante, di verifica ex post e, infine, delle sanzioni per le Amministrazioni che non raggiungono la quota. In questi anni, in assenza di criteri di cogenza, la clausola non ha mai trovato concreta attuazione da parte delle Amministrazioni e, nel tempo, si è anche ridotta la disponibilità di basi informative in grado di offrire tempestivamente un quadro sull’allocazione territoriale della spesa ordinaria in conto capitale. A tal proposito, il «Decreto Coesione» non introduce meccanismi di monitoraggio degli stanziamenti e delle risorse per investimenti effettivamente spese nei territori dalle Amministrazioni, né meccanismi di compensazione degli scostamenti dalla quota fissata.
A tal proposito, è utile il riferimento a quanto a suo tempo previsto per il finanziamento aggiuntivo dei cosiddetti «progetti speciali» della Cassa per il Mezzogiorno. (ams)