22 ottobre – È stato un magnifico preludio per la stagione del Politeama con la messa in scena del Don Giovanni di Mozart realizzata in memoria di Giovanni Colosimo, grande appassionato e fine conoscitore di lirica nonché grande industriale di Catanzaro. Una prestigiosa realizzazione, con un cast di altissimo livello che porta il Politeama di Catanzaro a primeggiare non solo in Calabria ma a livello nazionale per la qualità del cartellone e delle scelte artistiche, frutto del dinamicissimo sovrintendente Gianvito Casadonte.
Il Don Giovanni proposto da Luciano Cannito presenta caratteristiche che fondono insieme innovazione e tradizione, con una rigorosa rilettura del libretto di Lorenzo Da Ponte, senza trascurare un’attualizzazione curiosa. L’ambientazione è nel Regno delle Due Sicilie (Cannito ha lavorato molto con Roberto De Simone e ha una particolare vocazione culturale napoletana) e il Don Giovanni proposto stasera non è un supereroe sciupafemmine quanto piuttosto un aristocratico viziato che utilizza il suo potere per approfittarsi di donne ingenue e sprovvedute. Ogni riferimento al #metoo e al caso Weinstein non è decisamente casuale…
Importante il cast artistico: a dirigere l’Orchestra Filarmonica della Calabria è stato chiamato uno dei direttori e maestri concertatori più noti e affermati in Europa, il polacco Marcin Nałęcz-Niesiołowski; nel ruolo del grande seduttore c’è Carlo Colombara, un artista di fama internazionale e nel ruolo di Leporello Marco Camastra, altro affermato protagonista del mondo della lirica. Le scene sono di Michele Della Cioppa, direttore degli allestimenti scenici del Tetro dell’opera di Roma, i costumi – bellissimi – di Giusi Giustino, che dirige la sartoria del San Carlo di Napoli. Affiancano l’Orchestra Filarmonica della Calabria (che avrebbe dovuto essere diretta da Filippo Arlia) il magnifico coro lirico “Francesco Cilea” di Reggio, diretto da Bruno Tirotta.
«La direzione di Marcin Nałęcz-Niesiołowski – ha sottolineato con soddisfazione il Sovrintendente Gianvito Casadonte – è garanzia dell’alta qualità artistica che la Fondazione ha preteso per questo allestimento del Don Giovanni. Un allestimento prezioso che, voglio ancora una volta ricordarlo, è stato reso possibile grazie all’intervento fondamentale della famiglia Colosimo che ha voluto, assieme a noi, onorare la memoria di un uomo straordinario come Giovanni Colosimo».
Luciano Cannito nelle sue note di regia scrive: «La Napoli del Settecento era davvero simile alla Spagna del Settecento di Mozart e Da Ponte e di sicuro la permanenza nella città partenopea del sublime maestro di Salisburgo e del librettista italiano, sono certe e ben documentate.
Da qui parte la mia lettura fedele al libretto originale, che dunque se ne discosta solo in quella che noi oggi chiameremmo “location. La verità è che la mia formazione culturale napoletana, gli anni di collaborazione con Roberto De Simone, la profonda “scuola napoletana” dello scenografo Michele Della Cioppa e della costumista Giusi Giustino, non potevano far altro che far virare questa nuova messa in scena di “Don Giovanni” verso un Regno delle Due Sicilie, aristocratico, un po’ decadente, polveroso, caldo, ricco e forse un po’ viziato.»
«E se di Regno delle due Sicilie si parla – dice ancora il regista – allora anche di popolo bisogna parlare, dei vecchi monumenti dal passato illustre, di fame, degli espedienti per cavarsela, dei mercati, della vita vissuta per strada perché il clima lo permetteva e la povertà delle case popolari lo rendeva necessario, dei balli improvvisati ad ogni occasione, delle feste, della gioia della gente comune per le piccole cose. Don Giovanni si sente in cuor suo un principe, anche se dispone solo di un unico fidatissimo servitore, Leporello, e di un esiguo numero di camerieri nel suo palazzotto, dove pure le ricche sedie sono spaiate, come immaginiamo potesse accadere talvolta in vecchie case di nobili dal patrimonio sempre più scarso. Don Giovanni, a modo suo, è però coraggioso e brillante. Non teme nulla, neppure la morte, con la quale scherza di continuo e che sfida fino alla fine. Impermeabile ai sensi di colpa (sembra un antesignano della scuola freudiana…), arriverà ad accettare di cenare con un fantasma pur di tener fede alla parola data e dimostrare a se stesso la sua nobile risolutezza. Don Giovanni gioca con la Morte perché in effetti è consapevole che prima o poi così sarebbe andata a finire: troppe donne, troppi rischi, troppe fughe, troppi mariti traditi, troppe lacrime fatte versare. Ma soprattutto troppi desideri. Ma si sa, i desideri una volta realizzati, non sono più tali. Don Giovanni è dunque costretto a correre verso il prossimo. Una ricerca infinita di desiderio che solo la morte può interrompere». (rs)
Luciano Cannito spiega il suo Don Giovanni in un video postato da Gianvito Casadonte: