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LA CALABRIA NON È UN PAESE PER GIOVANI.
LA LEZIONE DI DRAGHI SUL FUTURO RUBATO

Daniela Strippoli, guida turistica in Calabria

di SANTO STRATI – Non è un Paese per giovani l’Italia, meno che meno la Calabria. Il grido di allarme lanciato dall’ex presidente della BCE Mario Draghi sul futuro “sottratto” (noi abbiamo sempre detto “rubato”) ai giovani sta provocando qualche riflessione in più tra i nostri governanti. Ma la sua lezione, temiamo, resterà una voce inascoltata.

Il problema dei giovani dimenticati, trascurati, o più frequentemente ignorati, è quanto di peggio possa affliggere un Paese come il nostro dove la crisi di natalità ci sta facendo precipitare in una nazione di pensionati e anziani. Ai giovani cui non è stato offerta alcuna opportunità, fino ad oggi, resta il peso di un  debito massiccio che non si sa con quali risorse riusciranno ad affrontare.

Il punto principale è che la montagna di miliardi in arrivo, tra Mes e Recovery Fund, andrà spesa non per pagare debiti pregressi ma per investimenti e progetti di sviluppo. Due parole che l’attuale governo pronuncia co estrema disinvoltura e un’ammirevole frequenza, peccato, però, che restino solo parole, cui non seguono fatti.

Prendiamo i dati della Calabria: la disoccupazione dei giovani è a livelli vergognosi. Non servono i numeri, basterebbe l’idea di quantità per spingere più d’uno a vergognarsi per non aver attuato politiche di sviluppo che vedessero come attori principali i nostri laureati e diplomati, sempre con la valigia pronta, perché disillusi dal futuro.

C’è è vero, questo fenomeno di cui abbiamo parlato ieri di South-Working, ovvero della voglia di restare al Sud sfruttando le opportunità del lavoro agile, ma occorrebbe pensare, invece, a creare opportunità di occupazione. Il lavoro che non c’è va inventato, rinunciando – se si ha il coraggio – alla politica di sussidi che fino ad oggi è stata attuata, con qualche rara eccezione. Diversi anni fa, nel 2004, venne varato dal sindaco Giuseppe Scopelliti a Reggio un un progetto “Obiettivo Occupazione” come sostegno alla domanda di lavoro esistente: 300 unità lavorative da inserire nel circuito produttivo locale tramite la concessione di un contributo all’assunzione pari ad 12.000 euro annui ed erogato ai datori di lavoro per 15 anni. Il bonus (assegnato a sportello) costituiva una sorta di integrazione di salario per creare occupazione. Ha fatto sorridere molti giovani e incentivato occupazione, scatenando un mare di polemiche; però non era un sussidio per non lavorare, come il reddito di cittadinanza. I giovani calabresi, sia ben chiaro, non vogliono assistenzialismo: vogliono crescere col lavoro, farsi una famiglia e non dipendere dalle pensioni dei loro genitori.

Serve coraggio, dicevamo, perché è facile prevedere sussidi a pioggia e far crescere maggiormente il debito, più complicato creare progettualità che rispondano a una strategia di crescita, anzi di ri-crescita, visto che la pandemia ha trasformato mezzo mondo condannandolo a un’economia di guerra. Ed è proprio qui il senso della lezione di Draghi che molti fanno finta di ignorare. Il debito serve per investire, non per pagare vecchi debiti e ingigantire la pesante eredità negativa che lasceremo alle future generazioni.

Per la Calabria, terra non a vocazione industriale, ma ricca di risorse naturali, archeologiche, paesaggistiche, che trabocca di cultura ad ogni angolo di strada, la risposta alla domanda crescente di occupazione dei giovani trova proprio nell’ambito culturale gli spazi giusti. Si tratta di far crescere l’industria culturale calabrese poggiandosi proprio sulla specificità del territorio e delle sue risorse, utilizzando le nuove tecnologie che non servono solo a inventariare reperti preziosi o produrre algoritmi per gli usi più disparati, ma che creano nuova occupazione e, soprattutto, offrono opportunità di formazione. Ecco quest’aspetto della formazione – che già gli atenei calabresi stanno egregiamente attuando con larga soddisfazione – è la base dell’occupazione che verrà.

I beni culturali possono costituire l’area dello sviluppo possibile, della crescita intelligente con opportunità di lavoro a tutti i livelli. Servono ingegneri informatici, ricercatori, studiosi, ma serve anche la “manovalanza” della cultura, ovvero guide, segretari amministrativi, assistenti, custodi, fattorini, sviluppatori, etc.

Un piccolo esempio. Lo scorso dicembre, a Sambiase, un giovane del luogo si è offerto di illustrarci, prima di andare a cena, alcune delle singolari caratteristiche del borgo. Non solo è emersa la competenza per spiegare e contestualizzare gli antichi manufatti, ma soprattutto è apparsa la grande soddisfazione e la gioia di poter manifestare la propria capacità. Ha mostrato di fare con passione questo lavoro che si è inventato e che, di tanto in tanto, riesce a proporre a gruppi di forestieri in visita, d’intesa con alberghi e b&b locali. Si è trattato di una guida offerta “gratuitamente” al forestiero, senza chiedere di essere pagato; poi, a malincuore, il giovane ha accettato una ricompensa che abbiamo voluto dare in segno di gratitudine per il “bagno” di cultura offerto: non voleva soldi, gli bastava la gratificazione del nostro apprezzamento. Quanti giovani ci sono come lui? Quanto spazio c’è per formare e preparare giovani guide ai beni culturali, che illustrino il territorio e i suoi tesori? Cosa serve per organizzare una vasta area di guide-cicerone per coprire ogni angolo del territorio? Quanta occupazione si potrebbe creare? Non servono laureati, ma ragazzi svegli con una buona cultura e voglia di condividere le conoscenze acquisite.

C’è una giovane guida abilitata che vive a Catanzaro: si chiama Daniela Strippoli e ha aperto un sito: www.incalabriatiguidoio.it. Ha studiato Storia dell’Arte alla Sapienza ed è tornata in Calabria. S’è inventata un lavoro che le piace e le dà soddisfazione. «Voglio illustrare a tutti, – scrive nel suo sito – grandi e piccoli, in modo semplice e chiaro, e dal vivo, la Terra nella quale ogni giorno vivono, soffrono, amano e lavorano perché poi, a loro volta, la facciano conoscere agli altri».

È un modello da seguire. Non servono milioni di investimento, occorre però che, durante e dopo la formazione, sia garantito un salario dignitoso a tutti. Non sussidi, ma stipendi che compensano un’attività lavorativa dalle mille suggestioni. In altri termini, serve puntare sul capitale umano per produrre ricchezza nella regione, ma soprattutto creare opportunità di lavoro reale, smettendo una buona volta di “rubare” il futuro ai nostri ragazzi. (s)

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