di FRANCO CIMINO – La Politica non è un gioco, anche se ormai sono in tanti, tra coloro che la praticano, che pensano che lo sia. Non lo è in quella sede, l’Amministrazione locale, che vorrebbe essere la più Politica, ma che da noi sempre più distante da essa si trova, venuta fatta camminare nella direzione opposta. Vieppiù in questi ultimi anni, compreso quest’ultimo. È un gioco, pressoché ovunque, in Italia. Altrove, dove si è più sofisticati ed eleganti, il gioco è quello degli scacchi, in cui notoriamente è richiesto l’abbinamento pazienza-intelligenza.
Conoscenza profonda della tecnica e delle regole. Quando non sono gli scacchi, il gioco preferito è il biliardo. Anche qui, la regola, semplice ma ferrea, si accompagna strettamente alla tecnica. E, questa, alla fantasia, all’abilità quasi artistica nel rendere nuovo ogni tiro, inattesa la decisione, precisissimo il rotolare della palla e il suo toccare il pallino e i birilli, per poi andare in buca per sua scelta, talvolta necessaria. Qui da noi, galvanizzati dai successioni del Catanzaro e dalle ambizioni represse di molti (le abbiamo avute in verità tutti da ragazzi) aspiranti calciatori, il gioco scelto è il calcio. La posta in gioco, non richiesta da alcun campionato, è la Giunta Comunale. Il premio, non promesso da alcuno, è la maggioranza numerica per sostenerla (sic!). La partita è iniziata, in verità, poco dopo l’avvio di una grande avventura, politica e non calcistica.
Esattamente quattordici mesi fa, anche se è da fine aprile- primi di maggio che, al coperto di qualche ristorante o abitazione, rigorosamente in campo neutro, sono iniziati i preparativi “atletici” e il riscaldamento negli spogliatoi. Questa partita è appena finita. È, però, solo quella di andata. Presto ci sarà il ritorno. Si gioca attualmente senza stadio. Senza pubblico. Senza regole, senza l’arbitro. E con un pallone a tempo, quello breve nelle mani di un presumibile vero padrone del pallone. Di colui il quale deciderà di lasciarlo o di riprenderlo a secondo di come sarà al momento il risultato. L’unica cosa certa che ha “certamente” operato durante questa lunga fase preparatoria, è stata la classica campagna acquisti dei diversi giocatori, valutabili non per la qualità tecnica ma per la quantità di un qualcosa.
Nessun nome, ma un numero. Moltiplicabile al massimo per uno. Nessuna squadra e nessun colore di maglietta, perché mancano sia le squadre che le divise. Nemmeno qualche procuratore che curi i passaggi dei “giocatori”da una società a un’altra, ché mancante queste, ciascun giocatore ha giocato per sé, mettendo sul mercato soltanto sé stesso e qualche tifoso dichiarato sulla carta. Ma le partite, per quanto bruttissime e senza regole e arbitro e spettatori, soprattutto senza campo e stadio, come queste, si chiudono sempre con vincitori e sconfitti. Se ci fosse stata, in mancanza di intelligenza, almeno un poco di furbizia, questa partita, qui da noi, si sarebbe dovuta giocare per come aveva iniziato. E cioè in sordina, con discrezione, intorno a qualche bella cena innaffiata da buon vino, visto che vi erano al tavolo competenti “enogastronomi”.
Invece, si è voluto trasformare una semplice brutta partita di pallone, con il mercatino aggiunto, in un fatto politico. L’arbitro, o chi avrebbe dovuto esserlo, ha lasciato fare. Su tutto è stata fatta campeggiare una domanda e la conseguente richiesta tra le parti. “ Questo governo ( nascente, ora nato), è di sinistra o di destra?” È la conseguenza: per essere definito dell’una o dell’altra ci vogliono numeri. In Consiglio si chiamano numero dei consiglieri. In giunta, degli assessori.
Siccome i numeri, per chi in politica li sostituisce alle idee, sono soltanto tali, volendo leggerli “ideologicamente” (la mia analisi sulla Città dalle elezioni in poi, è naturalmente assai diversa, ma ne parlerò in altro contesto) essi dicono chi ha vinto e chi ha perso.
Ha perso, e pesantemente ancora una volta, il PD. Ha perso sul terreno suo privilegiato. Quello della furbizia da furbetti del quartierino. A luglio scorso gli è andata bene per la soggezione che ha avuto l’arbitro verso di esso. Il quale ha concesso che a un partito con il minimo dei consensi elettorali, quasi ultimo tra le liste concorrenti, ricevesse, con solo due consiglieri comunali (ah, i numeri!), due assessori con deleghe pesanti, di cui il vicesindaco. Questa volta avrebbe voluto fare il bis (anzi il tris per la richiesta del terzo assessore, dicono le cronache pettegole), ma non gli è riuscito. Il tris l’ha fatto, invece, quel furbo vero di Antonello Talerico. Il quale ha accettato la sfida colorando il suo rafforzato esercito di “politica” su cui ha impresso l’egida del suo nuovo partito. Partito che a quanto parrebbe non sarebbe di sinistra. Pertanto, si può dire che ha vinto lui. E da solo. Un consigliere comunale (anche regionale) contro un intero partito della “ sinistra” a Catanzaro, il PD. Il PD comunale, provinciale, regionale e nazionale. Questo dicono i numeri, la loro logica. E questo risultato offre la partita. Quella brutta, a cui pochi abbiamo potuto assistere, per assenza totale di pubblico. Il pubblico dei cittadini, sempre più pericolosamente sofferenti e indifferenti rispetto a ciò che si vorrebbe chiamare politica e istituzioni.
Dicono che da quelle parti, considerata la debolezza e cedevolezza dell’arbitro, si stia già pensando alla partita di ritorno. Io consiglierei prudenza. La logica del mercato, di questo mercatino, dice che chi vince trova più gente dietro la porta col cappello in mano. La prossima sfida, pertanto, potrebbe chiudersi con un altro vantaggio a favore dell’attuale vincitore. Che vorrebbe – ah i numeri! – fare almeno quaterna! (fci)