Site icon Calabria.Live

PONTE, AMBIENTALISTI CONTROCORRENTE
IL PARERE FAVOREVOLE DI FAREAMBIENTE

Vincenzo Pepe, presidente di FareAmbiente

di ROBERTO DI MARIAVincenzo Pepe, presidente di FareAmbiente ha di recente ribaltato tutti i luoghi comuni dell’ambientalismo “mainstream” a proposito del Ponte sullo Stretto. Nelle sue dichiarazioni, un aperto riconoscimento della sostenibilità ambientale del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.

Pepe arriva a queste conclusioni superando il muro di preconcetti di molti suoi “colleghi” ambientalisti militanti, e prendendo atto dei risultati di studi scientifici e analisi molto approfondite. In particolare, uno studio (“Stretto di Messina e rispetto della transizione ecologica”) pubblicato dal Distretto Rotary 2110, Sicilia e Malta, redatto dagli ingegneri Mollica e Musca, nel quale sono evidenziati i benefici che la realizzazione del Ponte comporterebbe per l’ambiente.

È proprio da questo studio che scaturisce l’enorme riduzione di emissioni di CO2 che si registrerebbe dopo la realizzazione del Ponte. Un ridotto utilizzo del traghettamento da parte del gommato comporterebbe circa 140.000 ton. di CO2 e diverse centinaia di tonnellate di altri inquinanti (ossidi di azoto, di zolfo, particolato, etc.) in meno sullo Stretto.

Una riduzione del 90-95% rispetto alla situazione attuale. Ma questo è solo uno dei tanti aspetti che dovrebbero indurre gli ambientalisti a chiedere loro la costruzione del Ponte. Il progressivo trasferimento del trasporto merci da gomma a ferro è un obiettivo che l’Ue persegue da molti anni: entro il 2030 la quota su rotaia deve essere pari almeno al 30%.

Oggi, in Italia siamo al 13%, ma in Sicilia va peggio: percentuali da prefisso telefonico e treni merci sono praticamente scomparsi dall’isola. Il perché è presto detto: che senso ha trasferire le merci da un camion a un treno che non si sa quando parte e, tantomeno, quando arriverà a destinazione?

Tanto vale farle restare su gomma e scegliere due possibilità: la rete stradale ed il traghettamento a Messina o, più facilmente, il traghettamento Ro-Ro verso il continente, senza cambiare modalità. A dispetto del fatto che entrambe le soluzioni sono molto più impattanti sull’ambiente rispetto al trasporto su rotaia, che può essere rilanciato, in Sicilia, solo realizzando il collegamento stabile con il continente. I treni merci viaggerebbero senza “rottura di carico”, divenendo competitivi con le altre modalità di trasporto, permettendo un facile conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla Ue ed evitando le pesanti sanzioni che si prevedono in caso di inadempienza. FareAmbiente lo ha capito.

Sono riflessioni banali ed è difficile credere che siano sfuggite perfino agli ambientalisti più appassionati, ma anti-Ponte sempre e comunque. I quali, peraltro, nelle loro tesi si spingono ad altre valutazioni, che con l’ambiente fanno semplicemente a pugni.
Consideriamo gli effetti che avrebbe il Ponte sulla mobilità delle persone.

Sappiamo che il Ponte comporterebbe l’arrivo dell’Alta Velocità in Sicilia, servendo altri 5 milioni di italiani e metterebbe il treno in condizione di competere con l’aereo, diventandone una validissima alternativa, consentendo di coprire il tragitto Catania-Roma in meno di quattro ore, da centro a centro. Con l’aereo, già oggi, ce ne vogliono quasi cinque, considerando i tempi necessari agli spostamenti centro-aerostazione, controlli, etc.

Meraviglia che i paladini della sostenibilità ambientale senza se e senza, nell’analisi costi-benefici, diano più peso agli aspetti economici che all’enorme riduzione dell’emissione di sostanze pericolose. Il trasporto aereo incide profondamente sul riscaldamento globale ed è per questa ragione che il trasferimento al treno di una quota consistente dei viaggiatori sulle medie distanze rappresenta uno degli obiettivi prioritari dell’Ue. Alcuni Paesi membri – in particolare in Francia – vietano tratte aeree fra città già collegate in Av ferroviaria.

Ma le considerazioni sull’impatto reale del Ponte sull’ambiente, non finiscono qui. Basta allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali per rendersi conto che l’isola viene inserita in uno dei corridoio “Core” della rete Ten-T europea dei trasporti. La Sicilia, infatti, si trova al centro del Mediterraneo, un mare che dopo il raddoppio del canale di Suez viene solcato da un quarto del traffico containers dell’intero globo.

Una quantità enorme di merci, in maggioranza diretta dalla Cina all’Europa. Com’è noto, una parte consistente di queste merci sfiora le coste siciliane, attraversa lo Stretto di Gibilterra e viene sbarcata nei porti del Mare del Nord (Rotterdam-Amburgo-Anversa). Se soltanto un’aliquota significativa arrivasse in Europa attraverso un porto mediterraneo, i percorsi di queste navi si accorcerebbero di 5-6.000 km, con una riduzione nelle emissioni in ambiente molto rilevante.

Va rammentato, per la precisione, che il percorso via ferrovia da questi porti verso ipotetiche destinazioni nel centro dell’Europa sarebbe paragonabile, se non inferiore, a quello da intraprendere a partire dai porti del Northern range. La Sicilia, con la sua posizione geografica, è una candidata ideale anche per le sue enormi potenzialità portuali, attualmente inespresse. Il piano regolatore portuale di Augusta prevede – grazie a fondali profondi 22 metri -, quasi 10 km di banchine accessibili alle più grandi navi esistenti. Il doppio di Gioia Tauro, attualmente lo scalo più grande in territorio italiano.

In tal senso, sia Genova che Trieste sono fortemente penalizzate e i disperati e costosissimi interventi necessari per renderle appena più competitive non porteranno risultati concreti: è vero che la contestatissima nuova diga foranea di Genova – che secondo autorevoli esperti finirà per costare oltre 1,5 mld di euro – renderebbe la città ligure in grado di accogliere grandi portacontainers (cosa oggi impossibile), ma offrirebbe meno di un quinto dei banchinamenti che potrebbero essere presto disponibili ad Augusta a costi di gran lunga inferiori. Il PNRR italiano ha puntato tutto sui due porti del nord Italia ma i risultati saranno risibili. Nel silenzio assordante degli ambientalisti di casa nostra.

Per quali ragioni i nobili movimenti ambientalisti – FareAmbiente a parte – non hanno preso atto delle evidenze sopra accennate? Convenienze politiche, inerzia, abitudine o forse la comodità di avere un simbolo contro cui combattere, la cui imponenza fa presa sull’immaginario collettivo, risvegliando ancestrali quanto ingiustificati timori?
Inoltre, è comodo confondere l’impatto estetico, certamente importante, con quello ambientale ma è anche vero che il Golden Gate, il Rion Antirion e il viadotto di Millau sono tra le opere più fotografate al mondo. Manca l’onestà intellettuale, come ha dimostrato FareAmbiente. (rdm)

Exit mobile version