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QUESTA SCIOCCA GUERRA DELLE FACOLTÀ
UNIVERSITÀ CALABRESI: SI DEVE FARE RETE

Studenti all'Unical

di FILIPPO VELTRIIo ne conosco decine e decine di ragazze e di ragazzi di Catanzaro, Cosenza, Locri. E ancora: di Isca sullo Jonio, di Mormanno, di Limbadi, di Caraffa del Bianco, di Cotronei e via discorrendo che si sono laureati all’ Università della Calabria in Ingegneria, in matematica, in fisica, in chimica, in lettere, in storia e hanno cambiato le sorti loro e delle loro famiglie. 

Ne conosco decine che oggi lavorano in prestigiose aziende o istituti di ricerca delle principali città europee e che occupano anzi postazioni di prestigio in grandi multinazionali. E lo stesso vale per ragazze e ragazzi che hanno studiato e si sono laureati a Catanzaro e Reggio Calabria, in Legge Medicina Agraria Architettura.

Solo l’Unical ha laureato più di centomila giovani calabresi, realizzando così quello che era il sogno dei padri fondatori: diventare cioè una fucina della classe dirigente. Per gran parte di quei 100 mila non sarebbe stato possibile arrivare alla laurea visto che fuori dalla nostra regione non erano in grado le loro famiglie di sostenere i costi di 5 e più anni di studi. Sono invece arrivati al traguardo finale ragazze e ragazzi di famiglie poverissime dei paesi più sperduti e lontani di tutta (ripeto, tutta) la Calabria, che in questi 50 anni hanno avuto la possibilità di farlo e poi di diventare qualcuno, non solo di trovare un lavoro.

Nel solo 2022 l’Unical ha già vinto bandi per più di 100 milioni di risorse del Pnrr. Si tratta di una grande opportunità e tra gli obiettivi strategici anche quello di garantire la copertura del cento per cento delle borse di studio.

Ovviamente ci sono anche ombre e non solo luci in questi 50 anni di storia di Arcavacata, che il mai dimenticato Rettore Beniamino Andreatta – sostenuto dai politici lungimiranti dell’epoca come Giacomo Mancini, Francesco Principe, Riccardo Misasi – volle in quel modo, con un centro residenziale e un Campus stile Stati Uniti d’America per sprovincializzare una società  TRAferma e abulica come quella calabrese. E soprattutto tentare di unificarla.

Ma quello che più colpisce in queste settimane è che questa scommessa vinta dall’Unical (forse l’unica cosa realmente positiva assieme al porto di Gioia Tauro negli ultimi 50 anni di vita calabrese) si accoppi da un lato a polemiche incomprensibili sul suo specifico ruolo e dall’altro – cosa più grave – ad una polemica da strapaese (non uso il termine pollaio che rende meglio in verità ma che ha urtato tempo fa la sensibilità di taluni dotti politici) che sta agitando parte del mondo politico (e non solo) sulle istituzioni di nuove facoltà (si chiamano corsi di laurea in realtà)  nelle tre università calabresi, con toni da guerra municipalistica che ricordano ben altri periodi bui della nostra recente storia e che sono privi di qualsiasi visione d’assieme su come – ad esempio – debba essere il sistema universitario regionale e a quali sfide debba rispondere, se non la richiesta di altri corsi di laurea per compensazione come se fossimo ad un mercato.

Si è addirittura arrivati tre mesi fa a portare una bara in piazza a Catanzaro Lido in una manifestazione in cui primeggiavano i dirigenti del PD catanzarese e due giorni fa nell’aula del Municipio di Catanzaro un’affollata assemblea convocata dallo stesso Comune con un manifesto in cui testualmente si leggeva “Non resteremo con le mani in mano’’. Roba da Piero Battaglia, sindaco di Reggio Calabria, anno 1970!  Poi – giusto per ricordare un po’ di storia recente – dopo quella chiamata successe quello che tutti sappiamo. 

Ancora una volta prevale, dunque, in questa nostra terra piccola ma martoriata il pennacchio e il campanile, agitando il vessillo facile facile della difesa della città. Ma questa non è classe dirigente, è una classe buona per addomesticare un momento, una rabbia, un desiderio di rivincita ma non per costruire il futuro e nemmeno per difendere la città di cui ci si riempie la bocca con toni da ultras di calcio, con tutto il rispetto che si deve a questi ultimi. La si smetta con la sindrome del ‘Calimero piccolo e nero’ e dell’assedio! Catanzaro e i catanzaresi sono nel cuore di tutti i calabresi e non hanno bisogno di alcuna rivalità!

Per fortuna ci sono in queste ore politici che stanno cercando di fare ragionare con toni più moderati, tra cui il presidente del Consiglio Regionale Filippo Mancuso, catanzarese doc, nato, cresciuto ed eletto nel capoluogo. 

Ora: forse tra quei 100 mila giovani calabresi laureatisi in questi 50 anni all’ Unical (a proposito: si chiama Università della Calabria e non Università di Cosenza come sbrigativamente e malevolmente taluni insistono a chiamarla) ci sarà anche qualcuno (anzi: c’è di sicuro) degli agitatori di oggi della guerra delle Università. Ma è evidente che costoro non hanno appreso la lezione di quello che ha significato questo ateneo e soprattutto la cosa più bella di tutte che ha creato: tenere cioè assieme, fare crescere, studiare, dormire, mangiare sempre tutti assieme e magari lavorare, ragazze e ragazzi di Reggio e Vibo, di Catanzaro e di Cosenza, di Crotone e Castrovillari.

Tutti assieme, nelle maisonettes del Campus o nelle stesse case di Arcavacata, Rende, Quattromiglia etc etc. E lo hanno fatto senza pennacchi o campanili, senza rivalse o altro, continuando magari lo stesso a tifare chi per il Catanzaro e chi per il Cosenza. Ma oggi non c’è un derby di pallone alle porte (tra l’altro – sia detto per inciso – assolutamente improponibile con un Catanzaro spettacolare primo in classifica e un Cosenza meschino ultimo in graduatoria). Quei ragazzi – questa è la verità – erano e sono migliori quindi dei loro dirigenti di oggi. Per fortuna nostra, visto che quei dirigenti sono addirittura arrivati ora alla guerra nei tribunali amministrativi. Poveri noi! (fv)


IL VERO OBIETTIVO È FARE RETE TRA I TRE ATENEI

di SANTO STRATI In questa sciocca quanto incredibile baruffa tra il Capoluogo e l’Unical per l’istituzione del corso di laurea di Medicina, manca la visione strategica di una regione che ha il dovere di pensare ai suoi figli e alle generazioni future.

Manca anche il buon senso, lasciatecelo dire, perché non ci sono vincitori e sconfitti nell’eventuale guerra (anche di carte bollate) CZ-CS ma solo retrogradi integralisti di un campanilismo che sembrava morto 50 anni fa dopo le tristi vicende di Reggio per il capoluogo.

Su questo dovrebbero riflettere i nostri governanti e i nostri politici, con un solo obiettivo possibile (e obbligato): fare Rete tra le Università calabresi (già in odore di eccellenza) e costruire nuove opportunità di crescita formativa per i nostri ragazzi (e per quelli che sceglieranno di venire a studiare in Calabria), tenendo presente la necessità di mettere finalmente mano a un piano per l’occupazione che metta fine alla fuga dei nostri cervelli.

Fino a 50 anni fa i nostri ragazzi se volevano laurearsi dovevano attraversare lo Stretto (se stavano a Reggio e dintorni) oppure guardare da Salerno in sù. La nascita dell’Università della Calabria e, prim’ancora, dell’Istituto di Architettura di Reggio, e poi della sorprendente Università Magna Graecia di Catanzaro (sta sfornando fior di specialisti in campo medico) ha dato una connotazione diversa alle opportunità formative che la propria terra poteva offrire ai suoi giovani.

Basta guardare i clamorosi numeri di iscritti stranieri all’Unical per comprendere che facilmente è possibile immaginare un “ritorno” al contrario: i ragazzi del Nord che vengono a formarsi in Calabria, scambiarsi esperienze, misurare capacità e competenze fino a costituire team ideali di lavoro in termini di Sistema Paese. 

Il mondo, per fortuna, è cambiato: è cambiato anche il modo di fare formazione. Ben vengano altri corsi si laurea a Reggio, Catanzaro, Cosenza (Rende), con un auspicabile pensiero anche alle due città “dimenticate” e ultime per qualità della vita della Calabria: Crotone e Vibo. Sono due città splendide ma sottovalutate e immeritatamente svalutate, con una gioventù ricca di voglia di vivere, di studiare, laurearsi e, possibilmente, restare vicino ai parenti e agli affetii con un lavoro dignitoso (anche nello stipendio) che permetta loro di crescere e creare nuove famiglie. Ecco, quindi, la parola magica di cui si dovrebbe fare tesoro: Rete. Le tre Università calabresi facciano rete, unite per valorizzare ancor di più capacità e competenze e mostrare quel lato di eccellenza (genuina, non di facciata) che, sotto sotto, qualche grande e blasonato Ateneo comincia a invidiarci. (s)

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