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REGGIO: FALCOMATÀ È AVANTI DI TRE PUNTI
CROLLO LEGA, CALABRIA NON AMA SALVINI

Giuseppe Falcomatà e Nino Minicuci

di SANTO STRATI – La Calabria non ama Salvini, questo è evidente. Basta osservare il crollo verticale registrato dalla Lega a Reggio (sotto il 5%) e Crotone (sotto il 4%), dove, invece, in controtendenza sul resto d’Italia, Forza Italia si laurea primo partito. A tarda notte ancora si sta completando lo spoglio, ma non c’è da attendersi alcuna sorpresa: come largamente previsto si va al ballottaggio e il 4 e 5 ottobre i reggini e i crotonesi, insieme con i cittadini di Taurianova, Castrovillari, San Giovanni in Fiore e Cirò  dovranno scegliere chi sarà il loro prossimo sindaco. Giuseppe Falcomatà supera di pochi punti il suo antagonista Nino Minicuci ed entrambi in queste due settimane dovranno lavorare sul territorio per raccattare voti. Il ballottaggio è un’altra elezione: i candidati eletti nelle liste (a esclusione dei primi otto esclusi in cerca del premio di maggioranza) non cercano né portano voti all’aspirante sindaco. A chi è rimasto fuori, indipendentemente dalla forza elettorale che potrebbe essere irrilevante, non gli può fregare di meno e allora rimangono solo due uomini in lotta, a cercare di far votare chi non si è recato alle urne al primo turno. Un lavoro certosino e immane, ma fa parte delle regole del gioco. Che diventa ancora più difficoltoso, visto il breve distacco che separa i due contendenti. C’è chi parla di apparentamenti, ma nessuno può disporre a piacimento dei voti ricevuti: salvo opportunità politiche che possono aprire nuove prospettive. E la politica, si sa, è l’arte del compromesso: mai dire mai di quello che può capitare in nome di

La valutazione politica, a caldo, ci dice che i due schieramenti tradizionali – destra/sinistra – non hanno brillato in originalità e la campagna – una cattivissima campagna elettorale locale – non ha risparmiato insulti, insinuazioni, sgarberie, al posto di presentare programmi e progetti. Sì, sono stati illustrati, per grandi linee, idee relative a programmi e progetti, ma con scarsa convinzione ritenendo inutile “perdere tempo” spiegare nel dettaglio come si intenderà amministrare la città in caso di elezioni. C’è poi chi, come Angela Marcianò, ha addirittura prodotto un programma di 100 pagine realizzato ascoltando il territorio e recependo i consigli e le competenze di chi ci capisce qualcosa. Ma, come si è visto, il malloppone di 100 pagine non è servito: la candidata “civica” Marcianò, con la macchia della Fiamma Tricolore che alla fine l’ha un po’ bruciacchiata (poche centinaia di voti, valeva la pena imbarcarli nel suo progetto?), ha combattuto strenuamente contro il suo principale nemico, il tempo. Se avesse avuto almeno due/tre mesi di tempo in più avrebbe conquistato molti significativi consensi. Ha sbagliato a indugiare nell’annunciare la discesa in campo, nel presentare la candidatura, e s’è trovata con troppo poco tempo a disposizione. Ciò non toglie che il suo è un risultato di tutto rispetto, anche se una sua sola lista porterà un consigliere a Palazzo San Giorgio. Poco male, la presenza è già di per sé importante.

Uguale sorte dovrebbe capitare a Klaus Davi che, probabilmente, arriverà a prendere un seggio in Comune, che poi era il suo obiettivo primario. Sergio Klaus Mariotti (questo il vero nome completo) si è innamorato della Calabria: ha fatto un’ammirevole campagna lo scorso anno per San Luca che non vedeva le urne da tempo immemorabile, poi si è lasciato conquistare da Reggio. Un innamoramento non proprio ricambiato al massimo, ma quest’altro “straniero” ha saputo conquistare consenso stando in mezzo alla gente, scegliendo di andare ad abitare ad Archi, nel quartiere storico della ndrangheta cittadina, dialogando con tutti, lanciando idee e provocazioni, non tutte da buttare. Il futuro sindaco dovrebbe tenerlo in considerazione per un assessorato alla reputazione. A Reggio servirebbe molto visto che la città pur avendo risorse straordinarie (a partire dai magnifici Bronzi che quella parte di mondo che sa che sono al Museo di Reggio ci invidia) per finire al Bergamotto di Reggio Calabria che difende la sua unicità mondiale e tiene in alto i numeri delle esportazione dell’intera regione. Senza contare lo splendido lungomare che vanta innumerevoli tentativi di imitazione (come recitava uno slogan della settimana enigmistica) e le altre magnifiche tipicità che rendono l’enogastronomia un fiore all’occhiello che non appassisce mai. Però – sostiene Klaus Davi – il brand Reggio è sottoutilizzato, anzi non è utilizzato per niente e potrebbe macinare milioni di euro tra cultura e turismo, tra eccellenze dell’Università Mediterranea e un territorio metropolitano che nasconde tesori preziosi e mai adeguatamente valorizzati.

Torniamo alla Lega: i numeri a volte sono impietosi e ci danno la fotografia di un partito inesistente: ha un bel dire Salvini il “nostro” candidato ha spuntato il ballottaggio a Reggio: gli è rimasto solo quest’argomento che non convince neanche i suoi fedelissimi. La parabola discendente è cominciata con le scellerate dimissioni dal Governo ed è continuata con clamorose gaffes e scelte discutibili, mirate più a sottolineare il suo inesistente potere che ad avviare il processo di rinnovamento del Paese. Che ha bisogno di una destra come ha bisogno di una sinistra, per una dialettica e un confronto che abbia a cuore le sorti del Paese. Invece la meteora grillina, basata sul nulla o tutt’al più sul “vaffa” ha abituato gli italiani a non pretendere più niente dalla politica. Dilettanti allo sbaraglio al Governo e nei posti chiave, ministri inadeguati quando non incompetenti, una lotta tiepida sul mantenimento di un potere che non c’è. E rissa continua. Non è spiegabile come il Partito democratico continui a farsi dettare l’agenda da Luigi Di Maio e suoi sodali (ormai in perenne lotta tra di loro) senza mostrare gli attributi che, secondo la migliore tradizione, un tempo tirava fuori.  Non ci sono i politici di una volta – commentano gli ultrasessantenni rimpiangendo grandi personalità che hanno edificato il Paese – e non si sa se fa più danni l’incompetenza o il malaffare, che messi insieme creano, comunque, una formula micidiale.

Così, il pareggio alla regionali (3-3) accontenta tutti e autorizza tutti a conquistarsi il classico quarto d’ora di notorietà (secondo l’azzeccata intuizione di Andy Wharol), peccato che, poi, facendo un po’ di conti si scopre che: i Cinque Stelle si sentono vincitori perché ha vinto il Sì, cui hanno costretto persino Zingaretti e alleati che pur sdegnati hanno chinato il capo; Zingaretti si sente vincitore e ritiene il governo rafforzato (ignorando che il Pd ha vinto solo dove non era appoggiato dai Cinque Stelle); Salvini – cui bisogna riconoscere le pericolose insidie che ha teso ai partiti di governo alle regionali – accampa vittorie che non sono sue: Zaia, in Veneto, vive di luce propria, Toti, in Liguria, è espressione di Forza Italia e Acquaroli è uomo della Meloni. Dove ha vinto Salvini? Ci ha provato in Calabria, ma gli è andata peggio. A Reggio, alle regionali del 26 gennaio, la Lega aveva superato l’8% dei consensi: oggi è sotto il 5%; a Crotone, sempre alla regionali, era il primo partito della città col 12,42%: supera oggi di poco i 3,5 punti di percentuale. Con questi numeri la paventata conquista del Meridione e soprattutot dello trova un ostacolo serio. Non sappiamo se l’uomo del Ponte (Minicuci) riuscirà a far tornare il sorriso a Salvini, di sicuro quello di Falcomatà, ieri sera, davanti ai giornalisti era a 32 denti. (s)

 

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