di MIMMO NUNNARI – Da vecchio cronista Rai e da telespettatore calabrese mi sono molto indignato la sera che il Tg1 delle 20 ha mandato in onda a freddo senza alcun aggancio con una notizia qualsiasi un “servizio di propaganda” sull’attività dei “cacciatori” dei carabinieri, nel cuore dell’Aspromonte, a San Luca.
Ho provato a immaginare cosa poteva essere accaduto, senza tuttavia giustificare lo scivolone di stampo colonialista del primo telegiornale del servizio pubblico radiotelevisivo. Contatti tra uffici stampa dell’Arma e della testata giornalistica principale della Rai: normali scambi di cortesie, che non sono rare nel rapporto tra giornali e istituzioni. Cose che si sono sempre fatte, tra media e forze dell’ordine, e si fanno ancora, non solo alla Rai. A volte questo tipo di servizi si costruiscono con buone intenzioni, alfine di aumentare la fiducia dei cittadini verso le forze dell’ordine, che in questo caso erano i benemeriti carabinieri.
Ma da qui a fare uno spot – così s’e’ capito – senza senso, senza soggetto predicato e complemento, ce ne passa. Il risultato non sarà piaciuto per primi ai carabinieri, che sicuramente avrebbero preferito essere presentati – come meritano – come il volto rassicurante dello Stato presente sul territorio; a volte l’unico volto, dove lo Stato storicamente non c’è, come in alcune località della Calabria, per esempio San Luca. Quel San Luca, presentato come simbolo negativo di una Calabria immaginata come persa e irredimibile, come una comunità da cui stare alla larga, e che i carabinieri tengono a bada.
Ma non è così. Anche Polsi, uno dei santuari mariani più conosciuti del Mezzogiorno, luogo storico di pellegrinaggi e devozione popolare, ricadente nel territorio di San Luca, è stato citato nel servizio semplicemente come località famosa per le riunioni dei mafiosi. Ma non è così. Che a Polsi si siano riuniti in passato i mafiosi, e forse si riuniscono ancora adesso, è risaputo, ma non basta questo storico “insulto” dei criminali a un tempio sacro, per cancellare la storia di un luogo di culto che “nacque in modo del tutto favoloso”, come scrisse Corrado Alvaro, scrittore di dignità e dimensione europea, che era proprio di San Luca, paese che ha dato i natali pure a padre Stefano de Fiores, uno dei mariologi più famosi della storia della Chiesa.
Chi ha realizzato il servizio televisivo, non aveva certo l’obbligo di sapere tutto ciò, e di fare eventualmente dotte citazioni, o elogiare l’umanità della stragrande maggioranza dei Sanluchesi, ma sarebbe servito per alleggerire il modo preconcetto di narrare che cos’è San Luca, secondo gli stereotipati modelli mediatici nazionali. E neppure di essere informato che qualche settimana prima il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Valditara fosse stato nel vecchio centro aspromontano – da secoli abbandonato dai Governi di tutti i colori politici – per promettere: «Investiremo nell’istruzione e nella scuola per dare un futuro ai giovani», aggiungendo: «Ciò significa credere nello sviluppo, ma soprattutto significa riunire l’Italia, un’Italia che oggi è spaccata, che non ha le stesse opportunità formative».
Chissà, se le promesse saranno mantenute, ma il gesto del ministro è apprezzabile: significa, se le promesse saranno mantenute, far uscire San Luca da dietro la lavagna, dove da sempre sconta una punizione, senza sapere qual è la sua colpa. Un servizio giornalistico coi fiocchi, non confezionato come uno spot commerciale, di questo avrebbe dovuto tenere conto. Il fatto è che al Tg1, come in genere in tutti i media nazionali italiani, hanno la convinzione che la Calabria esista solo per la cronaca nera. Non è una novità e c’è poco da stupirsi. Ma questa volta siamo di fronte al massimo dell’improfessionalita’, alla realizzazione di un servizio che pure con l’abc del giornalismo, ha poco a che fare. Dopo la gratuita intemerata del Tg1 il sindaco di San Luca Bruno Bartolo ha preso carta e penna e ha scritto al direttore del telegiornale, invitandolo a San Luca, e per dirsi: «Attonito, deluso, disilluso, scorato» e chiedersi da quel galantuomo che è: «Ha senso ciò che faccio? E ancora, in che modo amministrare? Quando ci si vede, costantemente e volutamente, martoriati?».
Nessuna meraviglia caro Bartolo. Da sempre, il modo di descrivere la Calabria sradicato dall’analisi dei contesti specifici ha prodotto solamente frutti avvelenati, alimentato retaggi storici e rinchiuso sempre più alcuni territori – come San Luca – all’interno di recinti di metaforico filo spinato, dentro cui si sviluppa il male, e il termometro dell’insufficienza civile segna rosso, mentre il bene non riesce a prevalere. Qualunque racconto, non solo quello del Tg1, come in questa occasione, che non sia accompagnato da un’analisi attenta dei fattori degenerativi che si sono innestati nel tessuto sociale della Calabria, rischia di diventare, se non proprio falso, quantomeno non credibile.
Quel che stupisce pure, è che a parte la solitaria avvilita rimostranza del sindaco di San Luca, nessuno, per quanto finora al momento di scrivere si sappia, dei parlamentari eletti in Calabria – tra i quali i “forestieri” ex magistrati Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho – abbia sentito il bisogno e il “dovere” di interessare la Commissione di vigilanza Rai, per chiedere chiarimenti su quel servizio “senza notizia” del Tg1, che ha messo in castigo San Luca. O, forse, sono d’accordo anche loro, i parlamentari, che San Luca è irrimediabilmente perso? (mnu)