TG1-SAN LUCA: SCANDALOSA NARRAZIONE
DI UNA CALABRIA CHE SI VUOLE AFFOSSARE

di MIMMO NUNNARI – Da vecchio cronista Rai e da telespettatore calabrese mi sono molto indignato la sera che il Tg1 delle 20 ha mandato in onda a freddo senza alcun aggancio con una notizia qualsiasi un “servizio di propaganda” sull’attività dei “cacciatori” dei carabinieri, nel cuore dell’Aspromonte, a San Luca.

Ho provato a immaginare cosa poteva essere accaduto, senza tuttavia giustificare lo scivolone di stampo colonialista del primo telegiornale del servizio pubblico radiotelevisivo. Contatti tra uffici stampa dell’Arma e della testata giornalistica principale della Rai: normali scambi di cortesie, che non sono rare nel rapporto tra giornali e istituzioni. Cose che si sono sempre fatte, tra media e forze dell’ordine, e si fanno ancora, non solo alla Rai. A volte questo tipo di servizi si costruiscono con buone intenzioni, alfine di aumentare la fiducia dei cittadini verso le forze dell’ordine, che in questo caso erano i benemeriti carabinieri.

Ma da qui a fare uno spot – così s’e’ capito – senza senso, senza soggetto predicato e complemento, ce ne passa. Il risultato non sarà piaciuto per primi ai carabinieri, che sicuramente avrebbero preferito essere presentati – come meritano – come il volto rassicurante dello Stato presente sul territorio; a volte l’unico volto, dove lo Stato storicamente non c’è, come in alcune località della Calabria, per esempio San Luca. Quel San Luca, presentato come simbolo negativo di una Calabria immaginata come persa e irredimibile, come una comunità da cui stare alla larga, e che i carabinieri tengono a bada.

Ma non è così. Anche Polsi, uno dei santuari mariani più conosciuti del Mezzogiorno, luogo storico di pellegrinaggi e devozione popolare, ricadente nel territorio di San Luca, è stato citato nel servizio semplicemente come località famosa per le riunioni dei mafiosi. Ma non è così. Che a Polsi si siano riuniti in passato i mafiosi, e forse si riuniscono ancora adesso, è risaputo, ma non basta questo storico  “insulto” dei criminali a un tempio sacro, per cancellare la storia di un luogo di culto che “nacque in modo del tutto favoloso”, come scrisse Corrado Alvaro, scrittore di dignità e dimensione europea, che era proprio di San Luca, paese che ha dato i natali pure a padre Stefano de Fiores, uno dei mariologi più famosi della storia della Chiesa.

Chi ha realizzato il servizio televisivo, non aveva certo l’obbligo di sapere tutto ciò, e di fare eventualmente dotte citazioni, o elogiare l’umanità della stragrande maggioranza dei Sanluchesi, ma sarebbe servito per alleggerire il modo preconcetto di narrare che cos’è San Luca, secondo gli stereotipati modelli mediatici nazionali. E neppure di essere informato che qualche settimana prima il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Valditara fosse stato nel vecchio centro aspromontano – da secoli abbandonato dai Governi di tutti i colori politici – per promettere: «Investiremo nell’istruzione e nella scuola per dare un futuro ai giovani», aggiungendo: «Ciò significa credere nello sviluppo, ma soprattutto significa riunire l’Italia, un’Italia che oggi è spaccata, che non ha le stesse opportunità formative».

Chissà, se le promesse saranno mantenute, ma il gesto del ministro è apprezzabile: significa, se le promesse saranno mantenute, far uscire San Luca da dietro la lavagna, dove da sempre sconta una punizione, senza sapere qual è la sua colpa. Un servizio giornalistico coi fiocchi, non confezionato come uno spot commerciale, di questo avrebbe dovuto tenere conto. Il fatto è che al Tg1, come in genere in tutti i media nazionali italiani, hanno la convinzione che la Calabria esista solo per la cronaca nera. Non è una novità e c’è poco da stupirsi. Ma questa volta siamo di fronte al massimo dell’improfessionalita’, alla realizzazione di un servizio che pure con l’abc del giornalismo, ha poco a che fare. Dopo la gratuita intemerata del Tg1 il sindaco di San Luca Bruno Bartolo ha preso carta e penna e ha scritto al direttore del telegiornale, invitandolo a San Luca, e per dirsi: «Attonito, deluso, disilluso, scorato» e chiedersi da quel galantuomo che è: «Ha senso ciò che faccio? E ancora, in che modo amministrare? Quando ci si vede, costantemente e volutamente, martoriati?».

Nessuna meraviglia caro Bartolo. Da sempre, il modo di descrivere la Calabria sradicato dallanalisi dei contesti specifici ha prodotto solamente frutti avvelenati, alimentato retaggi storici e rinchiuso sempre più alcuni territori – come San Luca –  allinterno di recinti di metaforico filo spinato, dentro cui si sviluppa il male, e il termometro dellinsufficienza civile segna rosso, mentre il bene non riesce a prevalere. Qualunque racconto, non solo quello del Tg1, come in questa occasione, che non sia accompagnato da unanalisi attenta dei fattori degenerativi che si sono innestati nel tessuto sociale della Calabria, rischia di diventare, se non proprio falso, quantomeno non credibile.

Quel che stupisce pure, è che a parte la solitaria avvilita rimostranza del sindaco di San Luca, nessuno, per quanto finora al momento di scrivere si sappia, dei parlamentari eletti in Calabria – tra i quali i “forestieri” ex magistrati Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho – abbia sentito il bisogno e il “dovere” di interessare la Commissione di vigilanza Rai, per chiedere chiarimenti su quel servizio “senza notizia” del Tg1, che ha messo in castigo San Luca. O, forse, sono d’accordo anche loro, i parlamentari, che San Luca è irrimediabilmente perso? (mnu)

POLSI (RC) – Il presidente del Gal Terre locridee Macrì annuncia: «Qui presto un birrificio»

«L’ambiente naturale va preservato e valorizzato, è un dovere di tutti noi. Custodire la natura significa preservare la salute dei territori e delle persone e mantenere una ricchezza inestimabile che rappresenta il futuro», così il presidente del Gal Terre Locridee ha sottolineato l’importanza dei temi trattati, intervenendo alla sessione conclusiva di Polsi Ambiente 2023, svoltasi nel Santuario della Madonna della Montagna, a Polsi, nel comune di San Luca.

«Ogni opera umana deve essere realizzata con intelligenza, puntando all’innovazione ma nel rispetto dei luoghi – ha aggiunto ancora Macrì – Penso al progetto di viabilità che riguarda proprio l’Aspromonte e Polsi, un’opera piuttosto impattante per cui potrebbe essere una valida alternativa l’ammodernamento della strada per Montalto; un modo per assicurare i collegamenti senza devastare l’ambiente. Preoccupa, allo stesso modo, anche la situazione del maiale nero d’Aspromonte, razza pregiata che, a causa di lentezze burocratiche, rischia di scomparire».

“Polsi Ambiente”, convegno nazionale svoltosi nella Locride, dal 30 giugno al 2 luglio, con tappe a Siderno, Locri e Polsi, giunto alla terza edizione, grazie all’ideazione e organizzazione dell’avvocato Tommaso Marvasi, ha visto tra i partner dell’evento il Gal Terre Locridee che, nella propria azione sui territori, parte proprio da una concezione ambientalista dello sviluppo dei luoghi.

“La sfida delle fonti di energia” è stato il tema centrale della manifestazione, in linea con esigenze proclamate a livello internazionale, articolata in tre sessioni: quella marina, svoltasi a Siderno, quella giuridica a Locri, e quella più strettamente ambientalista a Polsi, con il dibattito su ecologia ed energie rinnovabili.

Oltre al presidente Macrì, sono intervenuti: Don Tonino Saraco, rettore del Santuario, Bruno Bartolo, sindaco San Luca, Nino Spirlì, presidente Regione Calabria 2020-21, Leo Autelitano, presidente Parco Nazionale dell’Aspromonte, Grazia Barillaro, Wwf Calabria, Luigi Montano, medico patologo, Arturo Rocca, presidente Osservatorio ambientale diritto per la vita, Toni di Cigoli, consulente PolieCo.

«Il PAL “Gelsomini” del Gal Terre Locridee va proprio nella direzione tracciata dalla manifestazione, visto che prevede anche l’avviamento di progetti non agricoli nelle aree rurali, avendo come filo conduttore l’innovazione sociale e i valori della diversità. E abbiamo appena avuto notizia che è stato approvato il progetto per realizzare, proprio a Polsi, un birrificio artigianale» ha concluso il presidente Macrì, a margine del convegno. (rrc)

POLSI (RC) – Torna il convegno nazionale Polsi Ambiente 2023 giunto alla terza edizione

Intenso il programma della terza edizione del convegno nazionale “Polsi Ambiente” (Locride, 30 giugno – 2 luglio 2023), consultabile in allegato, che vede tra i partner il Gal Terre Locridee.

Un convegno unico, a partire dai luoghi: il Santuario della Madonna della Montagna, millenario e solitario, nel cuore inaccessibile dell’Aspromonte, a Polsi, nel territorio del Comune di San Luca; la Locride, ricca di storia e bellezze naturali.

Il tema di questa terza edizione – che sarà ripreso al “Salone della Giustizia”, da quest’anno partner dell’iniziativa – è: “La sfida delle fonti di energia”, in linea con esigenze proclamate a livello internazionale e che indirizzano ormai la politica ben più degli atteggiamenti ecologici: tutto il mondo occidentale sta adeguando la propria politica a ciò. Nei paesi UE è addirittura un tema obbligatorio, che condiziona l’erogazione delle sovvenzioni comunitarie.

Ma è importante valutare anche che non sempre la produzione di energia da fonti rinnovabili è senza conseguenze: “Ambiente e legalità” è infatti il filo conduttore e il presupposto di tutte le edizioni di “Polsi Ambiente”, perché non si può dare un comportamento ecologicamente corretto, che non sia anche rispettoso delle leggi e del vivere sociale.

Questa terza edizione si articola in tre sessioni, più una giornata naturalistica (domenica 2 luglio, girovagando per il Parco Nazionale dell’Aspromonte, “L’Alpe emigrata in Calabria”).

Una sessione tutta marina, venerdì 30 giugno, ore 10.00, Hotel President, a Siderno, dove si dirà delle possibilità che il mare offre per la produzione di energia e dei problemi che da ciò possono derivare: con una sconvolgente relazione scientifica sulla presenza di micro particelle di plastica nell’organismo umano, persino nel Dna, così che la preservazione ecologica del mare diviene una questione basilare per la nostra vita.

La sessione giuridica si terrà tradizionalmente a Locri, sempre il 30 giugno, alle ore 17.00, nella Biblioteca “G. Incorpora”, a Palazzo Nieddu del Rio, con la presenza di rappresentanti istituzionali e giuristi; si dibatterà anche su ipotesi di innovazioni legislative: perché la Calabria è probabilmente il territorio meno inquinato d’Italia e potrebbe diventare un’avanguardia ecologica.

La sessione ambientale di Polsi, sabato 1 luglio, a partire dalle 9.30, esaminerà gli aspetti più propriamente ecologici legati al tema delle energie rinnovabili. (rrc)

A Polsi la Festa della Madonna della Montagna

di PINO NANO – Domani a Polsi si ripete il rito millennario della Festa della Madonna della Montagna, un rito secolare per niente scalfito dal tempo e dalle mille illazioni scritte in questi anni su quello che molti hanno raccontato come il “Santuario della Madonna della Mafia”. 

Ma forse non è un caso che per questa solenne occasione, che poi si trasforma nei fatti in una grande celebrazione della pietà popolare di tutta la gente che vive in Aspromonte, Famiglia Cristiana abbia scelto proprio San Luca d’Aspromonte e il Santuario di Polsi per celebrare i suoi primi 90 anni di vita.

Festeggiare i 90 anni di un giornale così importante nella vita del Paese come lo è stato e lo è tutt’ora Famiglia Cristiana significa voler dare al mondo il segnale di una sfida culturale che la Chiesa di Francesco intende intraprendere ripartendo proprio dalla Calabria e dalle realtà più segnate dalla criminlaità organizzata.

Per Africo, ma soprattutto per la storia del Santuario di Polsi, una giornata davvero speciale, se non altro perché la Chiesa ufficiale scende in campo per spiegare qual è stato fino ad ora il suo impegno reale contro le ndrine e soprattutto quale sarà il suo impegno futuro contro una ndrangheta – ce lo ha spiegato benissimo e in mille modi diversi in questi anni il magistrato Nicola Gratteri Capo della Procura Antimafia di Catanzaro – che non conosce pari al mondo in tema di forza di impatto illegale e di pervasività globale. 

Un convegno e un gesto simbolico insieme. E Famiglia Cristiana, su iniziativa del suo condirettore Luciano Regolo, ha fatto tappa a Polsi, cuore più antico della montagna calabrese, proprio per celebrare i suoi primi novant’anni di vita. 

Una vera e propria provocazione culturale, questa volta in nome dell’antimafia e della ricerca assoluta della legalità. Lo ha spiegato benissimo Don Luigi Ciotti (a destra in alto nella foto di Giulio Archinà), che ha esaltato «il nuovo corso del santuario della Madonna della Montagna, reso possibile anche dai gesti importanti e rigorosi del vescovo della diocesi di Locri Gerace mons.Francesco Oliva»,  sottolineando anche quanto «sia importante l’educazione soprattutto delle nuove generazioni». 

Sulla formazione e sull’informazione si è soffermato il Procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, magistrato di antica tradizione e di grande equilibrio.

«Non bastano le inchieste giudiziarie e l’impegno della magistratura  – dice l’alto magistrato – per sradicare la Ndrangheta. Chiesa istituzioni e società civile scuola persone comuni, tutti devono fare la loro parte», combattendo quello che è, lo ha ricordato la stessa Rosy Bindi, ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia- «l’humus culturale in cui la mafia cresce». 

C’è bisogno però – osserva padre Stefano Cecchin, osservatore privilegiato di questa realtà e soprattutto Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale – «di sottrarre i simboli religiosi alla strumentalizzazione mafiosa».

Padre Cecchin ha sottolineato come vada «riportata la vera figura di Maria nella sua giusta dimensione, Maria non è la donna sottomessa che obbedisce silenziosa e accetta la morte del figlio passivamente, ma è la donna che ha coraggio di dire il suo sì al momento dell’Annunciazione e anche il coraggio di rincuorare gli apostoli nell’attesa della Risurrezione, quando erano nascosti per paura e temevano il peggio. Maria è donna di coraggio, di speranza e di giustizia».

Spetta al Rettore del Santuario di Polsi, Don Antonio Saraco, raccontare il cambiamento della vita del santuario, cosa che il giovane sacerdote fa con grande semplicità e grande naturalezza: «L’incontro voluto da Famiglia Cristiana oggi qui a Polsi contribuisce a promuovere ancora di più la cultura della legalità, oggi più che mai importante e fondamentale per contrastare questo grande nemico della storia del Paese che è la ‘ndrangheta». 

Infine, Nando Dalla Chiesa, figlio del generale ucciso dalla mafia, che ha ricordato suo padre e quello che suo padre andava ripetendo continuamente prima di essere ucciso: «Serve più mai l’impegno costante nelle scuole, perché scuola, famiglia e parrocchia sono i primi presidi utili per costruire cittadini finalmente liberi dai poteri mafiosi». 

Al termine dell’incontro è stato piantato un albero di castagno al posto del grande albero centenario che era caduto qualche anno fa e all’ombra del quale si tenevano i summit mafiosi. 

«Una storia finisce – ha quindi concluso la giornalista di Famiglia Cristiana Annachiara Valle, che ha coordinato il dibattito – e un’altra nuova parte proprio da questo posto così caro ai calabresi e per tanti anni sottratto alla vera devozione». 

Auguri naturalmente a Famiglia Cristiana per i suoi 90 anni, dobbiamo dire meravigliosamente ancora ben portati. (pn)

LA NUOVA NARRAZIONE DELLA CALABRIA
UN MODELLO TRA ORGOGLIO E PREGIUDIZI

di SANTO STRATI – Tra orgoglio e pregiudizi, è assolutamente necessario tentare la via di una nuova narrazione della Calabria. Accanto all’efficienza dimostrata dal presidente Roberto Occhiuto e dalla sua squadra di Giunta, risulta evidente che non si ossa fare a meno di mettere mano alla reputazione della regione. Questa terra è stata maltrattata, vilipese, stravolta da cattiverie gratuite, la sua immagine compromessa. Il suo racconto fatalmente deviato, quasi a voler accentuare un distacco inevitabile, un divario incolmabile. E sappiamo che non è così.
Occorre ricostruire, rigenerare (questo verbo così di moda negli ultimi tempi) l’immagine della nostra meravigliosa terra perché i calabresi lo chiedono, lo pretendono (giustamente), ne sentono l’assoluto bisogno. E non è facile.
Per anni la Calabria è stata al centro dell’informazione di media nazionali e internazionali soltanto in occasione di morti ammazzati, clamorosi processi di mafia, disastri: tutto il resto è stato bellamente ignorato, a lungo, e senza ritegno, soprattutto dai media nazionali e dalla tv. Solo negli ultimi anni le sollecitazioni prodotte da più parti (e consentiteci di mettere anche le pagine di Calabria.Live) hanno destato nuova curiosità, nuova attenzione.
Come si fa una nuova narrazione? Usando prima di tutto gli strumenti della cultura. Abbiamo un modello, un esempio luminoso che può indicare il percorso ideale per rigenerare l’immagine della Calabria, il libro di Giusy Staropoli Calafati Terra Santissima (editore Laruffa) che offre un’immagine diversa della Calabria. La sua scrittura è straordinaria: la candidatura al Premio Strega è più che meritata e anche entrare nella dozzina dei finalisti sarebbe il minimo dovuto per una scrittrice di Calabria che rivela capacità e maturità letteraria di grande respiro. La storia è “calabrese” ma il racconto è universale, anzi l’ambientazione aspromontana conferisce al racconto un’inedita introspezione sia per chi questa terra la conosce bene, sia per chi ha sempre e solo associato la montagna reggina alla ‘ndrangheta. Ma anche a chi nemmeno immagina che spettacolo della natura sia tutto l’Aspromonte, con un Parco poco reclamizzato, poco conosciuto dagli escursionisti e dagli amanti del trekking.
Ricadiamo sempre nel classico errore che in 50 anni di Regione nessuno ha mai voluto risolvere e affrontare: serve una comunicazione “intelligente” (e costante) che possa dare un’immagine positiva della Calabria, ma allo stesso tempo occorre mettersi in condizione di poter accogliere quanti restano poi suggestionati da un’efficace narrazione di luoghi e genti. Quello che fa la Staropoli Calafati: “La Calabria… nessuno te la leva via di dosso. Non ti salvi da lei – scrive nel suo bellissimo romanzo –. Se la odi, o la ami, poco conta. Un giorno ti si scopre dentro e ti accorgi che ti ha sempre posseduta. Tenuta con lei. Noi siamo come gli alberi. Ogni albero è attaccato alla terra dalle radici… Perché il Sud è un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sai lasciare…”. Bastano queste poche righe per spiegare a un non calabrese lo straordinario senso di appartenenza che contraddistingue la nostra gente, quella calabresità che va raccontata agli altri per far scoprire – come dice il presidente Occhiuto – “la Calabria che non ti aspetti”.
La Calabria è caratterizzata da tre regole di vita: partire, restare, tornare. Un modus che solo i calabresi riescono a interpretare in maniera adeguata. Soprattutto per quello che riguarda il ritorno. La “restanza” è già un atto di coraggio che nobilita il senso di appartenenza, l’amore filiale verso una madre troppo spesso matrigna con i suoi figli e invece assai più generosa con gli estranei. In questa terra si sono arricchiti tutti i “forestieri”, ma solo qualche calabrese ha avuto qualcosa in più delle tradizionali briciole. Terra di conquista, di colonizzazione, nonostante gli splendori della civiltà magnogreca e una storia millenaria fatta di caparbia resistenza al nemico e all’invasore e di un sentimento che sarebbe sbagliato chiamare rassegnazione.
La protagonista del romanzo di Giusy Staropoli Calafati è una giornalista calabrese cresciuta a Milano che “torna” e riscopre la “sua” Calabria. I modelli letterari di ispirazione sono Alvaro, Strati, Perri, La Cava, ma la scrittura della Giusy non succube ad alcuna “cambiale” dei suoi autori preferiti (e stra-amati): c’è il forte senso dell’orgoglio che è l’elemento dominante di tutto il racconto. C’è la descrizione di un Aspromonte selvaggio e affascinante, dove i pastori (di cui Alvaro ci descriveva la “dura vita”) i pochi pastori rimasti non si tramandano il lavoro, ma il legame indissolubile alla propria terra. Ed è semplicemente geniale che l’autrice faccia innamorare la protagonista di un pastore vero (che però tiene i libri vicino al letto e cioè non inculturato) ma ricco della sua coscienza di calabrese autentico, di genuino figlio della sua terra.
È la descrizione di Polsi, del culto della Madonna della Montagna che indica come raccontare le attrazioni naturali (e mistiche) di questa terra: “Tutti tenevano giunte le loro mani. Il santuario della montagna era un luogo di fede e di preghiera. Nessuno stringeva pistole o zaccagne. Le mani degli uomini e delle donne erano mani semplici, fessuriate dai calli, stanche dalla fatica. Mani sporche della terra verso cui la Madonna guardava, ed ella stessa riempiva di promesse e di grazie. Polsi sapeva come far star bene l’anima”.
Non ci sono anime nere (che più avanti nel racconto emergeranno per raccogliere il disprezzo di chi legge) ma una partecipata narrazione di volti, di gente, di case e di mulattiere (si aspetta ancora una strada asfaltata che porti al Santuario). E la considerazione che la scrittrice mette in bocca alla protagonista Simona Giunta (Esisteva una Calabria che andava vista con gli occhi e la profondità del cuore) riempe di significato quest’idea condivisibile di una terra che è anche Italia, anzi che ha dato il nome alla penisola e non merita l’abbandono e l’indifferenza cui è ancora troppo spesso costretta.
Non sono più i tempi di “non si affitta ai meridionali” in quella Torino resa fortunata nella fabbriche da centinaia di migliaia di calabresi, ma ancora esistono stupide logiche di superiorità e razzismo. Nord opulento e Sud povero e dimenticato: ma se non ci fosse il Mezzogiorno a chi venderebbero i loro prodotti le aziende del Nord? Per questo solo uno stupido non comprende che se va avanti il Sud va avanti tutto il Paese. E per questo, accanto alla restanza e alla partenza, esiste la molla della speranza, il ritorno.
Il romanzo della Giusy è un grande inno alla speranza proprio perché il “ritorno” non solo significa riappropriarsi della terra che ha dato i natali, ma creare sviluppo e crescita e soprattutto futuro per le nuove generazioni. Dice la protagonista: “La gente come noi, al Nord, non apparterrà mai. La Calabria ce la portiamo dentro fino alla tomba”.
Per questa ragione, la nuova narrazione della Calabria deve essere rivolta a chi la Calabria ce l’ha nel cuore (e quindi esulta per la prospettiva del ritorno) e a chi la deve scoprire. “Questa terra – scrive la Staropoli Calafati – va riconquistata, rimessa a nuovo, perché il mondo le riconosca finalmente la sua grandezza e la malavita non l’affossi uccidendola.”.
Esprime la scrittrice il sentimento di orgoglio che deve contraddistinguere ogni calabrese: il suo libro è il racconto non solo di un amore tradizionale (o non convenzionale9 tra un uomo e una donna, bensì lo straordinario amore che lega alle origini, alla propria terra.
Una terra dove la “Santa”continua sì a imperversare, ma perde ogni giorno protagonisti, gregari e soprattutto potere, grazie a magistrati e forze dell’ordine, ma anche a tantissime persone perbene, che pagano il loro impegno antimafia con intimidazioni, minacce non velate, qualche volta con la vita. Ma accanto a questa terra che non è stravolta dalla ‘ndrangheta (non in misura superiore di quando avviene nel resto d’Italia e del mondo, dove la criminalità organizzata perde colpi, ma continua a imperare) c’è un’immagine positiva fatta di persone e cose, paesaggi di sogno, mari da favola, tesori inestimabili vestigia d’un passato che fa inorgoglire anche il più scettico dei calabresi. Soprattutto quelli che vivono al di fuori della Calabria e non dimenticano, sognano, immaginano il ritorno.
Sono i testimonial d’una campagna di reputazione che non costano nulla e che aspettano solo di poter dare il proprio contributo. La diaspora calabrese ha portato in ogni angolo della terra i figli di Calabria, i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno conquistato il successo, raggiungendo ruoli di prim’ordine in ogni campo. Nell’ambito della scienza (si pensi al Premio Nobel Dulbecco), della cultura, delle istituzioni. Perché il calabrese che va via (un tempo per scelta, oggi per necessità – visto che ai nostri giovani laureati non si offrono opportunità) sa che dovrà lottare il doppio rispetto a chiunque altro per superare i pregiudizi e mostrare le proprie capacità. La Calabria alleva geni (all’Unical escono giovani informatici contesi da ogni grande azienda in ogni parte del mondo), spende un sacco di soldi per formarli e dar loro le giuste competenze che poi non sarà in grado di utilizzare, a tutto vantaggio delle regioni furbe del Nord e della multinazionali che individuano subito le capacità. Ci sono centinaia, migliaia di medici, ingegneri, scienziati, esperti in tecnologia, pronti a ritornare, purché ci siano le condizioni di vita e di welfare che ancora oggi appaiono come un miraggio. E le donne, sottopagate, sfruttate, messe in disparte o, peggio, emarginate. È questa la narrazione che serve alla Calabria dove – diceva Pasolini, citato nel romanzo della Staropoli – “è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno, è stata uccisa la speranza pura, quella anarchica e un po’ infantile, di chi vivendo prima della storia, ha ancora tutta la storia davanti a sé”.
Ma la speranza non è morta, anche se ci hanno provato in molti a spegnerla. Ce lo racconta questo bellissimo romanzo che dovrebbe essere fatto leggere nelle scuole, non solo calabresi, e dovrebbe diventare il manifesto della possibilità di farcela. Di raggiungere il risultato. Non sappiamo se i giurati del Premio Strega si faranno affascinare fa questo straordinario e intenso racconto d’una Calabria di 40 anni fa e dei nostri giorni, dove l’amore non trionfa, ma la speranza riluce. Quella che fa dire alla protagonista: “Quella terra è governata da tutte le specie di uomini. Essi le hanno levato via la dignità, negato ogni forma di bene, e le cose belle che aveva gliele hanno infrante selvaggiamente. Ma non la speranza e neppure il futuro”.
La Calabria scopre un’altra “vera” scrittrice, da collocare accanto ai grandi di questa terra. Giusy Staropoli Calafati merita tutto l’onore e l’orgoglio dei calabresi e la stima del mondo letterario.

ANCHE NELLA DEVOZIONE FEDELI DI SERIE B
IL VESCOVO DI LOCRI CONTRO IL DIVARIO

di SANTO STRATI – C’è una grande disparità anche nella cura e manutenzione delle strade che servono ai fedeli per giungere ai luoghi di culto: alla processione della Madonna della Montagna di Polsi il vescovo di Locri Francesco Oliva si scaglia contro l’abbandono, ancora più accentuato in Calabria, delle vie di comunicazione. I fedeli sono svantaggiati se non del tutto impediti a giungere, per esempio, al Santuario di Polsi: «Non siamo fedeli di serie B – ha detto mons. Oliva – perché le risorse per rendere accessibili i luoghi di villeggiatura in montagna ci sono e per Polsi no? Perché non dev’essere consentito il diritto di accesso a un luogo di culto qual è il nostro santuario? I fedeli devoti del nostro Meridione non sono cittadini di serie B. E non accettano di essere ingannati  e umiliati dalla solite promesse politiche non mantenute. I politici vanno e vengono, ma i problemi rimangono sempre gli stessi».

È una dura reprimenda contro il colpevole abbandono in cui la politica calabrese lascia le strade e le vie di comunicazione di Polsi, ma è un discorso che vale per molti altri borghi di montagna dove diventa sempre più un’avventura attraversare viottoli e stradine sterrate difficilmente praticabili. Un richiamo ancora più forte, in vista delle prossime elezioni regionali, sulle quali – come si ricorderà – la conferenza episcopale calabra si era già espressa chiedendo finalmente competenza e capacità in chi si candida e marcando il rifiuto della politica del non fare e degli interessi personalistici. È stata la prima volta che l’assemblea dei vescovi calabresi ha preso posizione nella politica regionale, predisponendo un documento di così grande rilievo (vedi Calabria.Live dell’8 agosto).

Molto bello il discorso del vescovo Oliva, quello di un pastore che ha cura delle sue anime e sente sulla propria pelle le tante asperità che il divario nord-sud continua ad accentuare: cittadini di serie B, malati di serie B, ora anche devoti di seconda categoria. Dove sta il diritto alla uguaglianza nel processo di crescita civile del nostro Paese, se anche nelle piccole, ma urgenti, problematiche nessuno provvede?

«Ci ritroviamo qui – ha detto salutando i fedeli che sono riusciti ad arrivare al Santuario – per ringraziare la Madonna della Montagna. Lei è la Madre di Dio e madre nostra. Qui abbiamo un appuntamento annuale che non vogliamo interrompere. Preghiamo il Signore di concederci sempre la grazia di poterlo fare, liberandoci da questa pandemia che tante morti e tanta sofferenza ci sta procurando. Per difenderci da essa ci stiamo sottoponendo a tante limitazioni, anche come Santuario. Ciò che che caratterizza la devozione alla nostra Madonna sono le carovane, i pellegrinaggi a piedi. A molti di essi non non è stato possibile raggiungere il Santuario e son dovuti tornare indietro. Molti altri devoti non possono venire al Santuario a causa delle difficili condizioni delle vie di accesso. Sono molti i devoti che chiedono la messa in sicurezza delle strade di accesso al Santuario, che ci sia almeno una strada percorribile in auto da due versanti, quello ionico e quello tirrenico. Sostengo con piacere l’iniziativa dei devoti di Polsi che stanno sottoscrivendo una richiesta a riguardo. Non si chiede la luna: eppure non troviamo ascolto!».

Quella della strada conduce al Santuario di Polsi è una lunga storia: era stata riparata e trasformata in una sottospecie di stradone di montagna, per poi venire distrutto dalle prime violente piogge invernali. Arrivarci è un vero atto di devozione: «Essere qui oggi – ha detto il vescovo Oliva – in questo delicato contesto è un dono del Signore. Lo è per tutti noi che siamo qui e possiamo stare ai piedi dell’immagine sacra della Madonna di Polsi, aprirle il nostro cuore, invocare aiuto e soccorso».

Il vescovo non ha tralasciato di sottolineare la tragedia del fuoco in Aspromonte: «Venendo abbiamo visto tutti i danni prodotti dagli incendi estivi, che hanno distrutto boschi che si erano formati in centinaia di anni, che i nostro antenati avevano gelosamente custoditi come patrimonio comune. Una vera ecatombe ambientale, un disastro ecologico! Il nostro Santuario si è trovato circondato dalle fiamme distruttive provocate da gente senza scrupoli, veri e propri criminali. Solo questa piccola area intorno a noi è stata risparmiata. Dobbiamo ringraziare Maria. Ella ha sofferto tanto per questo attacco criminale ai boschi dell’Aspromonte. Ne ha sofferto fino a piangere per l’indifferenza dei suoi figli, che – cagionando tali incendi – hanno dimenticato che Lei è la madre che ebbe cura Gesù, e ora si prende cura con affetto e dolore materno di questo mondo ferito».

«Se siamo suoi devoti – ha aggiunto il presule – chiediamole che ci aiuti a guardare questo mondo con occhi più sapienti e rispettosi dell’ambiente, che ci aiuti ad amarne la bellezza». Non avremo futuro «se non comprenderemo che i danni prodotti all’ambiente sono danni prodotti all’intera umanità, se non ci ribelleremo e non denunceremo apertamente coloro che si rendono responsabili di tali misfatti. Sì, il mondo non ha futuro se continua ad affermarsi una mentalità ostile alla natura, che considera l’ambiente come cosa che non gli appartiene, che non si fa scrupoli nel maltrattare e distruggerlo».

A noi fedeli devoti – ha detto ancora mons. Oliva – «la Madonna di Polsi chiede di camminare assieme, di stringere un patto a difesa dell’ambiente e della cosa comune. CHiede di mettere da parte ogni comportamento di disprezzo della natura, di amare i boschi, di non abbandonare i rifiuti per strada o nelel aree pic-nic, di lasciare il posto in cui andiamo più bello di come lo abbiamo trovato. Chiede di farlo assieme: “Insieme è la parola chiave per costruire il futuro: è il noi che supera l’io”».

Un appello rivolto non solo ai credenti, è facile toccare i tasti della devozione per lanciare un sincero grido d’allarme, ma in realtà il bellissimo discorso di mons. Oliva è destinato soprattutto a chi non ha fede, a chi l’ha perduta, a chi potrà ritrovarla o trovarla soltanto guardando la bellezza del creato, lo straordinario mondo che Dio ci ha donato e al quale le lodi di San Francesco, fanno da cornice e lo rappresentano in tutto il suo splendore. Papa Francesco che dal poverello di Assisi ha preso il nome, ha più volte espresso il suo pensiero sui guasti che l’uomo sta provocando a una natura che, a sua volta, si ribella e punisce l’umanità. È dal piccolo borgo di Polsi che arriva la lezione più importante, destinata alla futura classe politica che governerà la Regione: occorre metterci amore per rendere questa terra sempre più bella e, ovviamente, anche quest’area del Santuario ad oggi abbandonata e troppo trascurata. L’impegno dell’attenzione non è solo di chi crede, ma riguarda tutti indistintamente. Per fare in modo che non ci siano più cittadini di serie B, malati di serie B, devoti di serie B, ma italiani e calabresi largamente orgogliosi delle proprie origini. (s)

AMBIENTE E LEGALITÀ, INCONTRO A POLSI
PER SALVAGUARDARE LA NOSTRA CALABRIA

di TOMMASO MARVASI – Si avvicina domenica 18 luglio e la curiosità e l’attesa per la giornata di Polsi Ambiente 2021 aumentano. Lo avevo anticipato circa un mese fa, quando annunciai il convegno di Polsi Ambiente 2021 sul tema “Ambiente e legalità”: andremo a Polsi da cittadini e non da eroi per parlare normalmente di cose normali, come l’ecologia, come la salvaguardia dell’ambiente, che non può prescindere dalla legalità.

Non voglio ripetermi: lo faremo in un luogo dalla bellezza prepotente, nel cuore dell’Aspromonte, forse (anzi non forse) il Parco Nazionale più misterioso d’Italia. Vi arriveremo con difficoltà, con le inadeguate strade che lo rendono difficilmente accessibile. Qualcuno verrà in fuoristrada percorrendo una strada sterrata e pittoresca. Altri attraverso un percorso più lungo ma sostenibile anche da un’auto normale (ma robusta).

Quando saremo lì riuniti e cominceremo a ragionare, ciascuno di noi con le sue peculiarità, con la sua cultura, con la sua religiosità, con le sue idee, ci accorgeremo che il discorso sull’ambiente non soltanto è centrale, nel senso di coinvolgere veramente tutti, ma che è anche l’unico discorso possibile e che abbia una prospettiva concreta.

L’essenzialità dell’austero Santuario della Madonna della Montagna, ci inviterà a ripensare ad un modo di vivere, al progresso vertiginoso degli ultimi due secoli, che ha portato l’umanità sull’orlo del baratro, con un consumo non responsabile delle non infinte risorse del pianeta e con influenze negative sull’ecosistema.

Non mi ritengo un conservatore neppure riguardo alla terra e neppure per un istante penso che la situazione geografica, climatica e dei mondi animali e vegetali sia immutabile. Credo che il clima possa cambiare, che ci possa essere un’ultra era glaciale o il suo opposto, che il mare possa aumentare o diminuire di livello con le conseguenze sulle terre emerse.

Ma sono fermamente convinto che l’uomo debba fare di tutto perché questi cambiamenti siano naturali, derivino dalla vita propria del pianeta e non siano indotti o accelerati da una sua sciagurata attività.

Un modo di vivere, il nostro, che comporta anche la necessità non espressa e non dichiarata di mantenere la non eguaglianza tra gli uomini. Meno di metà della popolazione mondiale (1,2 miliardi tra europei e nordamericani; che consumano più ricchezza di tutti gli altri uomini messi insieme; circa mezzo miliardo di sudamericani e forse un altro miliardo e mezzo di asiatici) vive più o meno al livello che noi conosciamo. L’altra metà non gode delle nostre stesse “comodità”. Per far capire subito: pensate se tutti i 7,6 miliardi della attuale popolazione mondiale fosse motorizzata come in Europa. Quanto petrolio servirebbe e quanto inquinamento ne deriverebbe. E pensate che noi apparteniamo alla parte di popolazione che se bevesse l’acqua che bevono altri miliardi di uomini si ammalerebbe.

L’uomo ha preso coscienza di ciò ed il problema, se riesce a coinvolgere persino un vecchio e comodoso signore come il sottoscritto, significa che è entrato nella nostra cultura.

Ne parleremo a Polsi, un luogo estremamente significativo, dal quale può partire un movimento culturale inarrestabile.

Ringrazio innanzitutto Claudia Salvestrini, la valorosa direttrice del Consorzio PolieCo, una delle più esperte conoscitrici del mondo dei rifiuti italiano e dei traffici illeciti internazionali di rifiuti: che determinano più movimenti finanziari del traffico di droga.

Parleranno di ecologia e delle sue regole il prof. Silvio Greco, calabrese notissimo nel mondo ecologico, che ha avvertito anni ed anni fa, quando nessuno neppure lo riteneva possibile, che tramite i pesci stavamo mangiando la plastica e che ci dirà su “Antropocene Calabro”; i giuristi prof. Tommaso Oberdan Scozzafava, dell’Università Roma 3, apprezzato autore anche non scientifico (ultima sua recentissima pubblicazione “Resoconto di una storia insolita”, Avigliano Ed,); prof. Antonio Viscomi, dell’Università Magna Grecia, già chiamato a fa parte della Giunta Oliverio della Regione Calabria; e prof. Franco S. Toni di Cigoli, che darà una visione internazionale del problema; l’avv. Angelo Calzone del WWF Calabria dirà di problematicità ambientali anche legate al territorio.

Porteranno infine il loro saluto – oltre alle Autorità presenti – gli onorevoli Paola Balducci e Gianfranco Rotondi che, sull’onda del convegno di Saint Vincent 2020, hanno presentato la scorsa settimana, al Grand Hotel President di Siderno l’associazione “Verde è Popolare”.

Naturalmente con un posto d’onore riservato ai “padroni di casa”, il Rettore Rev.mo Don Antonio Saraco, il Presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dott. Leo Autelitano, il Sindaco di San Luca, Bruno Bartolo, e l’avv. Giuseppe Campisi, Presidente dell’Associazione dei Sindaci della Locride. Infine l’arch. Francesco Macrì, Presidente GAL Terre Locridee e Comitato “Locride Capitale della Cultura 2025”: iniziativa che sta dando forza ed orgoglio all’intero territorio. (tm)

L’autore, avvocato e giornalista, è originario di Siderno, vive a Roma
[Courtesy La Discussione]

“La Calabria che vogliamo” chiama a raccolta a Polsi per cercare il cambiamento

Giuseppe Nucera
Giuseppe Nucera

Si tiene domenica 15 settembre a Polsi, davanti al Santuario della Madonna, un incontro-dibattito sul futuro della regione, promosso dall’Associazione La Calabria che vogliamo. Il luogo è stato volutamente scelto per indicare la frattura col passato e la cattiva reputazione di vicinanza alla mafia che, ancora oggi, viene alimentata da stampa e politici di corte vedute. L’insediamento del nuovo Governo offrirà lo spunto per discutere di progetti e di richieste da avanzare all’esecutivo e al nuovo ministro per il Sud, Peppe Provenzano.
Uno dei coordinatori di La Calabria che vogliamo, Giuseppe Nucera, ex presidente degli industriali reggini, a questo proposito ha chiesto un «vero cambio di passo» rispetto all’azione portata avanti in questi anni dalle politiche a sostegno del Mezzogiorno.

La Calabria che vogliamo

«Adesso basta – ha dichiarato Nucera – con le solite promesse a vuoto e le inutili passerelle di ministri, buone solo per farsi immortalare su qualche rivista. Siamo stanchi delle solite chiacchiere a vuoto e non siamo disposti ad accettare un ‘Lezzi bis’ per il Mezzogiorno. Nel programma del nuovo governo Conte si legge, per l’ennesima volta, di un ‘piano straordinario di investimenti per la crescita e il lavoro al Sud’. Così come ‘accelerare la realizzazione di progetti strategici, tra loro funzionalmente connessi, di valorizzazione dei territori, utilizzando al meglio i Fondi europei di sviluppo e coesione’. Non giudichiamo l’azione del neoministro Provenzano, che ha appena giurato al Colle, ma non possiamo non constatare che nel programma vi siano le solite belle parole di facciata»

«Per dare davvero una scossa al Sud, e nella mia Calabria nella fattispecie – ha sottolineato Nucera – bisogna puntare, ad esempio, sull’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria, così come sulla riproposizione di un’opera fondamentale, il Ponte sullo Stretto, e a valorizzare l’area industriale Zes di Gioia Tauro». (rp)

Caso Morra: cresce l’indignazione. Il rettore di Polsi: «Un’enorme offesa»

Cresce l’indignazione popolare per le offensive dichiarazioni rese in Senato dal sen. Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, sui calabresi e l’accostamento dei simboli religiosi alla ‘ndrangheta (vedi l’editoriale di Santo Strati). E a Polsi, davanti al Santuario, si farà prossimamente un sit-in promosso da La Calabria che vogliamo, il movimento guidato dall’ex presidente degli industriali reggini Giuseppe Nucera. L’imprenditore ha, a questo proposito, dichiarato: «L’orgoglio calabrese che è figlio di un avvertibile risveglio del Mezzogiorno e del Mediterraneo, alza i toni dopo le clamorose e lesive dichiarazioni rese in sede parlamentare dal Presidente della Commissione Antimafia. Provo sconcerto e amarezza nell’ascolto delle parole del sen. Morra. Accostare i calabresi ed il Santuario di Polsi alla simbologia della ‘ndragheta è, ancora una volta, un’azione di denigrazione verso un popolo ed un territorio che merita rispetto e giusta considerazione – afferma Giuseppe  Nucera – Noi della Piattaforma la Calabria che vogliamo intendiamo portare avanti un’azione di verità contro i pregiudizi e le false analisi sui calabresi, recuperando la reputazione che è fondamentale per il riscatto e la rinascita.
«Il 27 giugno al Senato della Repubblica – prosegue Nucera – abbiamo presentato il rapporto sulla Reputazione del Territorio, dimostrando le grandi prospettive di rinascita della Calabria. Domenica 25 Agosto abbiamo convocato un sit-in di forte protesta civile (laica e religiosa) in prossimità del Santuario e e il 15 settembre andremo  a Polsi per un pellegrinaggio di preghiera e costituiremo formalmente la piattaforma di impegno civico e pensiero politico, economico e istituzionale  “La Calabria che Vogliamo”. Intendiamo, come società civile calabrese  con la sua diaspora intellettuale e professionale,  residente ed emigrata, riaffermare che Polsi è un luogo di fede e tradizioni e non di ‘ndrangheta».

Il rettore del Santuario di Polsi, don Tonino Saraco ha rilasciato una piccata dichiarazione all’ADNKronos: «Le accuse di Morra – dice don Saraco – ci offendono enormemente. Per attaccare Salvini ha usato, si è servito di un luogo comune ignorando quanto le forze dell’ordine hanno fatto per liberare il santuario dalla profanazione della ‘ndrangheta».

«Il problema – dice il rettore del santuario di Polsi – non è il fatto di esibire il rosario, cosa che peraltro Salvini ha fatto sempre. Il problema è che dopo anni si continua a dire che il santuario di Polsi è luogo dove si continua a riunire la ‘ndrangheta. Mi dispiace che l’abbia detto proprio il responsabile dell’Antimafia. Il santuario che sorge nel comune di San Luca negli anni è stato profanato dalla criminalità ‘ndranghetista tanto che sono dovute intervenire le forze dell’ordine per presidiare il luogo di devozione. La profanazione è stata fermata? Non è che siamo riusciti noi come Chiesa. – dice il rettore del santuario – Il punto è che non è che lo dice la Chiesa che il santuario è libero, lo dicono le forze dell’ordine e quindi diventa mancanza di rispetto nei confronti del lavoro fatto sino ad ora dalle forze dell’ordine. Questa la delusione maggiore. Gli sforzi che cerchiamo di fare per scongiurare questo accostamento vengono smontati da uscite di questo tipo. E quel che è peggio è che lo dice il responsabile della Commissione Antimafia».

Quanto al gesto di Salvini di esibire il rosario, il rettore di Polsi dice: «Salvini avrà fatto eventualmente un affronto al mondo cattolico ma sono problemi suoi. A me ha dato fastidio che il senatore Morra abbia parlato così. Allora chiudiamolo questo santuario se continuiamo a dire che è luogo di ‘ndrangheta. Il vero volto di Polsi sono i pellegrini con la loro devozione e non si può offendere questa gente. Non so se è stato fatto per controbattere a Salvini, ma non puoi attaccare una persona con delle assurdità. Chi viene a Polsi si sente offeso dalle accuse di Morra. Non mi sento offeso per la mancanza di rispetto del nostro lavoro ma per la mancanza di rispetto delle forze ordine e della magistratura. E poi Morra lo sa che due anni fa è venuto Minniti a Polsi dicendo in modo chiaro che è un luogo che appartiene allo Stato e non più alla ‘ndrangheta? Se ne è uscito con questa cosa per attaccare Salvini ma non può farlo così perchè ha detto a tutta Italia – se non al mondo intero – che il santuario di Polsi è luogo di incontro della ‘ndrangheta e allora mi sento offeso perchè se avessi la minima percezione che le cose stessero così non ci starei un minuto di più».

Anche il vescovo di Locri-Gerace, in un’intervista all’emittente calabrese TeleMia, si è scagliato contro Salvini e Morra.  «Di pessimo gusto – ha detto mons. Oliva – è il frequente ricorso all’ostentazione dei simboli religiosi per usi impropri. Ancor più fuori luogo è farlo in una sede qualificata per la sua laicità qual è il Parlamento. Il simbolo religioso parla solo a chi lo usa con fede. Attraverso il Rosario il vero devoto incrocia il volto di Maria meditando la vita del suo Figlio. Parimenti il vero politico sa di non trovare protezione mostrando un simbolo religioso per altri fini che non sono quelli propri di chi ha fede. È vero che spesso i mafiosi hanno fatto uso della simbologia religiosa, ma questo non aveva e non ha alcun valore religioso. La loro ostentazione di immagini o simboli religiosi era un gesto sacrilego. È sacrilego usare per fini impropri la simbologia religiosa. La vera religione non si concilia col crimine ed il malaffare». Il Vescovo della diocesi Locri-Gerace, ha sottolineato che «il Santuario della Madonna di Polsi non può essere accostato alla ‘ndrangheta. E quando uomini di ‘ndrangheta sono andati lì con altri intenti, non certo per pregare, hanno tradito e rinnegato la fede ricevuta da piccoli. La loro presenza al Santuario non aveva alcun significato di devozione mariana. La Madonna è la madre che non plaude ai figli che scelgono la via del delinquere, ma soffre per loro ed indica la strada del ravvedimento. Continuare ad associare il Santuario della Madonna di Polsi alla ‘ndrangheta non solo non è corretto, ma è poco rispettoso per chi lavora quotidianamente per ridargli la sua vera identità di luogo di preghiera. È da tempo che si sta operando per liberare questo luogo da ogni accostamento alla ‘ndrangheta. Il Santuario di Polsi intende per sempre rinnegare la ‘ndrangheta e qualunque forma di criminalità. Vuole essere solo luogo di spiritualità». (rrm)

IL VESCOVO OLIVA A POLSI: «LA MADONNA È INCONCILIABILE CON LA MAFIA»

3 settembre – «Non è assolutamente conciliabile la fede in Maria con la criminalità mafiosa. Non è fede genuina quella di chi cova nel suo animo propositi di sangue e di vendetta. Portare con sè l’immagine della Vergine e nutrire odio, rancore, vendetta non sono comportamenti conciliabili con la più genuina fede mariana». Non usa mezzi termini il vescovo di Locri-Gerace mons. Francesco Oliva al Santuario di Polsi, per la festa della Madonna, per condannare l’ipocrisia degli uomini di ‘ndrangheta che si dicono devoti della Santa Madre del Divin Pastore. «Non basta dirsi cattolici – ha aggiunto il vescovo – Non basta partecipare ad atti di culto, accompagnare la statua in processione, ricevere i sacramenti, venire in pellegrinaggio”: occorre – dice il presule – voltare pagina e convertirsi a Dio attraverso un’opera di bonifica del cuore. «Dobbiamo conquistarci la libertà di fare il bene, dobbiamo vincere le nostre schiavitù. Schiavo è il mafioso che mette al centro di tutte le sue preoccupazioni gli affari, l’esercizio del potere, l’idolatria del denaro. Schiavi possiamo essere anche noi se agiamo sempre e solo per il nostro tornaconto, se anteponiamo l’interesse personale al bene comune».


Domenica la tradizionale processione con migliaia di pellegrini giunti da ogni parte della Calabria (e non pochi dall’estero): il vescovo ha presieduto la messa concelebrata col rettore del Santuario di Polsi don Tonino Saraco e altri sacerdoti e durante l’omelia ha voluto ammonire i fedeli. «Polsi è un luogo in cui da secoli – ha detto il vescovo Oliva – si manifesta la pietà e la religiosità di un popolo semplice e devoto. È una tradizione di fede che si rinnova e che troppo spesso è stata mortificata da interferenze esterne. Il venire qui non da pellegrini, ma con intenti malvagi e sacrileghi è stata una grandissima offesa alla fede di tutto il popolo mariano». Un popolo – ha rimarcato il presule »la cui fede è stata gravemente profanata, ma è un popolo fiero e coraggioso che non teme sventura alcuna e a Maria affida la propria storia». (rrc)