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CALABRIA E SICILIA VOGLIONO IL PONTE
SALINI (WEBUILD): METTIAMO NOI I SOLDI

di SANTO STRATI – «Chiamiamolo Ulisse»: il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ribattezza così il ponte d’Europa, quello sullo Stretto, che dovrà colmare il divario tra continente e l’Isola. Musumeci ha promosso l’incontro, unitamente al presidente ff della Calabria Nini Spirlì, con l’ing. Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, la società che ha ereditato da Eurolink l’appalto del ponte, bocciato poi dal presidente del Consiglio Mario Monti una vita fa.

Sia Musumeci che Spirlì, insieme, vogliono testimoniare la determinazione delle due regioni più a sud di vedere finalmente realizzato il Ponte. E per sottolineare che non si trattava di una passerella promo-elettorale hanno invitato a Catania la persona che meglio rappresenta l’altissimo livello tecnologico raggiunto dall’Italia nel campo delle infrastrutture. Salini era un marchio storico, ha assorbito Impregilo, ereditando il progetto del Ponte dal consorzio Eurolink – impegna oltre settemila tecnici in ogni parte del mondo realizzando opere pubbliche di eccezionale valenza  – e, soprattutto, ha nel suo amministratore delegato un ingegnere che tiene moltissimo al Ponte: «Noi abbiamo fatto mille chilometri di ponte nella nostra storia imprenditoriale – ha detto Salini –, compresi due a campata unica tra i dieci più grandi del mondo. Quello sullo Stretto si può fare. Lo stavamo facendo, ma ci hanno fermati. La differenza tra Paesi che crescono e quelli che annaspano è anche nella capacità di creare le grandi opere, di creare prospettive e di essere attrattivi. La responsabilità sociale è importante, ricordo che a Catania ho chiesto che fanno i ragazzi qui, mi è stato risposto “niente”. Immaginare dei giovani senza futuro è terribile, che cosa ha fatto per loro la nostra generazione? Per questo mi sento coinvolto in questa operazione. È una sfida che insieme come Italiani dobbiamo affrontare e vincere. Dobbiamo spingere per il futuro dei giovani della Sicilia e della Calabria, glielo dobbiamo. Noi siamo pronti a partire, anche domani. Il progetto ha superato un sacco di ostacoli, superando tutti i passaggi burocratici previsti».

«È un’opera che porterà oltre 100mila nuovi posti di lavoro nell’area» – aveva dichiarato in tv Pietro Salini, ospite di Barbara Palombelli. Concetto ribadito anche ieri da un tavolo dove erano presenti anche i due assessori regionali alle infrastrutture Domenica Catalfamo (per la Calabria) e Marco Falcone (per la Sicilia, oltre all’ex ministro Pietro Lunardi (responsabile del dicastero delle Infrastrutture dal 2001 al 2006) e al  prof. Felice Giuffrè, costituzionalista e docente universitario in veste di coordinatore di Lettera 150, il network di docenti e professionisti che ha promosso l’iniziativa dell’incontro di Catania.

Pietro Salini, Nello Musumeci e Nino Spirlì

«Siamo stanchi – ha detto Musumeci – di essere considerati marginali al continente europeo». E ha chiarito che «noi vogliamo diventare il cuore del Mediterraneo, la piattaforma naturale delle navi che lo attraversano. Non è possibile diventarlo se non c’è l’alta velocità. E non ci può essere alta velocità se non si attraversa lo Stretto in tre minuti. Questo è l’appello che lancio al Governo».

«Non è il collegamento tra due regioni – gli fa eco Nino Spirlì – ma tra due territori europei. Calabria e Sicilia sono il primo ingresso di quella grande casa che è l’Europa. Sono le porte per chi arriva dal Canale di Suez e dai Paesi che oggi detengono un grande potere economico, come Cina e India, ormai ago della bilancia dell’economia mondiale; senza contare il continente africano, che, nei prossimi decenni, sarà l’interfaccia naturale con l’Europa. Non è dunque ammissibile che i primi territori europei non siano tra loro collegati».

Entrambi i governatori hanno trovato la risposta pronta dell’ing. Salini: «Siamo in grado di cominciare subito. Ci sono 50 anni di studi e approvazioni. È un progetto che era stato cantierato e pronto per essere eseguito. Poi il Paese ha deciso di interrompere questo ciclo e ci siamo fermati, com’è giusto che sia. Se il Paese ritiene sia una priorità, noi siamo pronti a farlo». 

E se Webuild è pronta a investire direttamente i 4 miliardi necessari per realizzare il Ponte (senza dunque bisogno di bussare al Recovery) lasciando però allo Stato gli oneri accessori (due miliardi circa), i due governatori hanno calato un asso che il governo non potrà ignorare: pronti a mettere i soldi necessari per le opere accessorie. Quindi sarebbe un’opera senza problemi finanziari su cui serve una precisa volontà politica. E, difatti, i 50 anni fin qui trascorsi tra promesse e rinvii si spiegano solamente con la mancanza di una visione strategica per il Mezzogiorno e la difesa di interessi evidentemente di parte di una incredibile catena di no-ponte.

Il Ponte va fatto, questo appare evidente, perché deve finire la politica dei no ad ogni costo, deve scomparire la scelta della decrescita felice che gli ultimi governi a partecipazione grillina hanno promosso: in questa maniera si è favorito soltanto il sottosviluppo delle regioni meridionali e allargato il divario nord-sud. Il Governo deve assumersi le sue responsabilità: il pretesto che il Ponte non poteva rientrare nel PNRR perché impossibile da completare entro il 2026, data imposta dalla Ue, non regge più a fronte della copertura finanziaria offerta dal general contractor e dalle due regioni interessate. Senza contare che le penali previste in caso di mancata realizzazione verrebbero tutte a cadere (addirittura costerebbe più non farlo) e lo Stato avrebbe un’infrastruttura colossale a costi minimi.

Guardiamo ai numeri di quest’opera e il primo risponde ai più scettici che evocano disastri sismici epocali: la resistenza sismica è fino a 7,1 di magnitudo Richter. In Giappone i ponti costruiti negli ultimi venti anni hanno resistito a terremoti di estrema violenza. L’altissimo livello tecnologico raggiunto dai progettisti italiani è riconosciuto in tutto il mondo: le nuove tecnologie fanno il resto. Il progetto prevede un ponte a due campate con 5.300 metri di cavi per realizzare un attraversamento di 3.666 metri, con una campata centrale di 3.300 metri. Un’opera spettacolare (376mila tonnellate d’acciaio, due torri da quasi 400 metri, un corridoio per il passaggio delle navi largo 600 metri e alto 65): immaginate, in termini di attrazione turistica cosa potrebbe significare, arriverebbero da tutto il mondo per vedere il ponte, scoprendo i Bronzi, la Magna Grecia, la Sicilia e il patrimonio paesaggistico, artistico, culturale ed enogastronomico delle due regioni. Il traffico stimato sarebbe di 60mila convogli ferroviari e circa sei milioni di autovetture/camion l’anno. Insomma, spettacolare e funzionale insieme, in uno scenario d’incanto, unico e irripetibile.

Ovviamente gli ecologisti sono sul piede di guerra da anni, ma non si può continuare a dire sempre no, soprattutto quando ci sono fior di studi sull’impatto ambientale e la sostenibilità dell’opera. E i più irriducibili sanno di poter contare sull’insipienza ormai cronica della politica italiana, ma è ora di cambiare passo, di guardare ai benefici che l’opera può portare, già da subito anche sotto l’aspetto occupazionale.

«Calabria e Sicilia – ha detto Spirlì – sono due regioni che, insieme, rappresentano, dal punto di vista culturale, turistico e identitario, il fondamento dell’Italia. I loro patrimoni artistici, culturali e umani hanno portato all’Italia un tesoro veramente inimitabile, regalato al mondo intero. Perciò, dobbiamo cominciare a dire che qui è Europa; e qui l’Europa ha il dovere di creare “Ulisse”. Ma, se vogliamo ottenerlo, dobbiamo ribaltare l’attuale concezione geografica e politica. È urgente e necessario che l’Europa provveda al più presto a creare il collegamento tra la sua porta d’ingresso e il resto della casa. Noi non stiamo chiedendo un intervento da poveri. Il progetto c’è già, chiavi in mano. Qui siamo in Europa, bisogna svegliarsi. Il vero ingresso per il continente non è il porto di Rotterdam, ma quello di Gioia Tauro. Ci devono dire cosa vogliono fare».

Musumeci ha mostrato che ha davvero voglia di fare sul serio: «Per le persone in buona fede – ha detto – i problemi sono tecnici, per quelle in malafede, che sono tante nella politica dei Palazzi romani e non solo, è la volontà di mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento, che produce, e un Sud povero che arranca e consuma i prodotti del Nord. Finiamola con questa farsa».

E ha lanciato una battuta: se lo chiamiamo Ponte sullo Stretto è figlio di p…, allora chiamiamolo Ulisse. Bel nome, presidente, ma il Ponte se mai si farà il nome ce l’ha già idealmente direttamente da Omero: il Ponte sullo Stretto di Scilla e Cariddi. (s)

 

 

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