Il Ponte sullo Stretto s’ha da fare. Per questo il ministro delle Infrastrutture e i governatori di Calabria e Sicilia, Roberto Occhiuto e Renato Schifani, hanno deciso di accelerare per realizzare questa infrastruttura che è un’opera prioritaria sia per il governo che per le Regioni coinvolte.
Concetto che è stato ribadito nel corso dell’incontro avvenuto al Ministero tra Salvini, Occhiuto e Schifani dedicato proprio al Ponte, in cui è stato ricordato come la sua realizzazione avrà ricadute positive per tutta Europa e servirà per incentivare il miglioramento generale delle infrastrutture come già successo, in passato, con l’Autostrada del Sole.
È stato fatto il punto della situazione, per riannodare i fili della questione-Ponte, anche in relazione a tutte le opere commissariate in Calabria e in Sicilia su cui c’è stato un approfondimento tecnico: Salvini è determinato a sbloccarle. Sul tavolo ci sono progetti significativi, come la Statale Jonica in Calabria, l’Alta Velocità o la ferrovia Palermo-Catania. Per una maggiore concretezza e operatività, è stato deciso di creare una regia permanente tra Regioni e Ministero.
Per quanto riguarda il Ponte, ci sarà al più presto un incontro istituzionale con Rfi, che ha avuto l’incarico dal precedente esecutivo di organizzare un ulteriore studio di fattibilità.
«Diamo atto al ministro Salvini – ha detto il Governatore prima dell’incontro – di aver riportato il ponte sullo Stretto al centro dell’agenda politica del governo. Io presiedo una Regione che ha al suo interno il primo porto d’Italia, quello di Gioia Tauro, quindi ho sotto gli occhi quanto stia diventando importante il Mediterraneo. Un’infrastruttura strategica rappresenta un modo per rendere il Mezzogiorno l’hub dell’Europa nel Mediterraneo».
«Valutiamo l’adozione o meno del modello Genova – ha detto il Governatore Schifani – per velocizzare quei lavori che con quel modello hanno dato ottimi risultati il clima è perfetto e ottimo credo che ci siano tutti i presupposti» per il Ponte sullo Stretto. (rrm)
di GIOVANNI MOLLICA – Le parole del neo eletto presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, non danno adito a dubbi: il Ponte sullo Stretto va fatto. Subito e a una campata. La soluzione a tre campate è da cestinare, con buona pace dell’ennesimo incompetente Ministro delle Infrastrutture.
Privati dell’imbarazzante copertura di Giovannini, le esigue brigate NoPonte rimaste si aggrapperanno a mirabolanti Analisi Costi-Benefici periodicamente ripubblicate con grande rilevanza sui media nazionali che fanno del “non conviene” un argomento fondamentale da Roma in giù. Motivazione che, nell’attesa della ripartenza dei lavori, merita qualche riflessione.
La realizzazione di una qualsiasi infrastruttura non deve dipendere esclusivamente dalla sua possibilità di rimborsare il capitale investito. Dalle Piramidi alla Grande Muraglia, dal Vallo Adriano alle vie Consolari, dalla Torre Eiffel al Canale di Suez, interessi economici, ossessioni religiose, ambizioni personali, esigenze difensive e strategie mercantili si sono di volta in volta intrecciate per spingere gli uomini e le nazioni a incidere sulle abitudini di vita delle popolazioni, sull’ambiente e sul paesaggio. In una prospettiva storica – ma anche sociale, come infinite volte ripetuto dall’Ue -, che fa apparire paradossale l’opposizione delle forze progressiste e pseudo europeiste italiane. Per essere più chiari, di fronte al dramma ultrasecolare costituito dalla Questione meridionale, la ragioneristica Analisi Costi Benefici fatta propria dalla sinistra appare miserabile.
Ma è proprio in tema di benefici che c’è ancora molto da sapere perché il gigante dello Stretto non è solo un mezzo per andare più rapidamente dalla Sicilia al continente ma può e deve essere una straordinaria opportunità di progresso. A patto che della sua straordinaria valenza scientifica e tecnologica non sia riservata a pochi eletti ma ne resti qualcosa anche tra Scilla e Cariddi.
Una grande – in questo caso, grandissima – rappresenta un’occasione unica e irripetibile per innescare lo sviluppo locale fin dalla fase di progettazione. Ed è nel lungo periodo della costruzione che si concretizza il rapporto proficuo col territorio, al quale non devono essere riservati solo i disagi, in una concezione di soggetto passivo marginalizzato dal processo di rigenerazione economica, sociale e culturale generato dall’opera. Un argomento che abbiamo tentato più volte di evidenziare, senza trovare alcuna risposta dai decisori politici. Ora, però, i tempi stringono, cresce il pericolo di farsi trovare per la seconda volta impreparati e le responsabilità della politica locale sono molto maggiori.
Senza perderci in descrizioni dettagliate su quello che crediamo essere il miglior modus operandi ci limitiamo a ricordare quanto avvenuto nella Øresund Region, intorno al collegamento (16km) che dal 2000 unisce stabilmente Danimarca e Svezia. Otto anni dopo l’apertura al traffico, la regione ospitava già un consorzio di dodici università, sei parchi scientifico-tecnologici, oltre duemila aziende e cinque piattaforme di attività nei settori dell’IA e delle TLC, di logistica, alimentazione, ambiente, medicina e biotecnologie, neuroscienze e biochimica. Multinazionali quali Sony Ericsson, Astra Zeneca, Tetra Pak, Novo Nordisk e numerose PMI ad elevato tasso di innovazione hanno trovato nell’ Øresund un habitat ideale. Un territorio la cui economia era fondata sul servizio di traghettamento tra Malmœ e Copenaghen, nel 2009 ha vinto il premio come regione più innovativa d’Europa.
La sola Medicon Valley dà lavoro a 40 mila dipendenti e 10 mila ricercatori di oltre 300 aziende; il grande progetto di fisica delle particelle denominato ESS (European Spallation Source), operativo dal 2020, ha creato 6 mila nuovi posti di lavoro di altissimo livello. Le Università, con i loro 2500 Ph.D. rappresentano un serbatoio inesauribile per gli Istituti scientifici più celebri del mondo.
Tutto è nato all’ombra del Ponte. Non dopo l’inaugurazione ma molto prima, in conseguenza di una programmazione capillare che ha visto collaborare enti locali, Ministeri, il General contractor, le Università danesi e svedesi e coinvolto Atenei di ogni parte del mondo. Pensiamo all’interesse dei Paesi africani e mediorientali che si affacciano sul Mediterraneo a partecipare alla realizzazione dell’Ottava Meraviglia del Mondo. E dell’importanza di coinvolgere enti locali come sindacati, associazioni industriali, armatori, ordini professionali, commercianti e fornitori di servizi.
Potremo replicare nell’Area dello Stretto anche una piccola parte di quanto accaduto nell’Øresund Region? Non sarà facile. Sicilia e Calabria non sono Danimarca e Svezia e Roma non ha la visione lungimirante e la sensibilità sociale di Stoccolma e Copenaghen. Ma i Governatori e i sindaci dell’estremo Sud hanno il dovere di provarci. Non domani o dopo l’inaugurazione – sarebbe troppo tardi – ma subito. A partire da oggi, perché il lavoro preparatorio è immenso e lo sviluppo che ne potrebbe derivare in buona parte ancora da scoprire. La strada è quella del preventivo e capillare lavoro di preparazione del territorio alle esigenze della rivoluzione in arrivo. (gmo)
di SANTO STRATI – «Chiamiamolo Ulisse»: il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ribattezza così il ponte d’Europa, quello sullo Stretto, che dovrà colmare il divario tra continente e l’Isola. Musumeci ha promosso l’incontro, unitamente al presidente ff della Calabria Nini Spirlì, con l’ing. Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, la società che ha ereditato da Eurolink l’appalto del ponte, bocciato poi dal presidente del Consiglio Mario Monti una vita fa.
Sia Musumeci che Spirlì, insieme, vogliono testimoniare la determinazione delle due regioni più a sud di vedere finalmente realizzato il Ponte. E per sottolineare che non si trattava di una passerella promo-elettorale hanno invitato a Catania la persona che meglio rappresenta l’altissimo livello tecnologico raggiunto dall’Italia nel campo delle infrastrutture. Salini era un marchio storico, ha assorbito Impregilo, ereditando il progetto del Ponte dal consorzio Eurolink – impegna oltre settemila tecnici in ogni parte del mondo realizzando opere pubbliche di eccezionale valenza – e, soprattutto, ha nel suo amministratore delegato un ingegnere che tiene moltissimo al Ponte: «Noi abbiamo fatto mille chilometri di ponte nella nostra storia imprenditoriale – ha detto Salini –, compresi due a campata unica tra i dieci più grandi del mondo. Quello sullo Stretto si può fare. Lo stavamo facendo, ma ci hanno fermati. La differenza tra Paesi che crescono e quelli che annaspano è anche nella capacità di creare le grandi opere, di creare prospettive e di essere attrattivi. La responsabilità sociale è importante, ricordo che a Catania ho chiesto che fanno i ragazzi qui, mi è stato risposto “niente”. Immaginare dei giovani senza futuro è terribile, che cosa ha fatto per loro la nostra generazione? Per questo mi sento coinvolto in questa operazione. È una sfida che insieme come Italiani dobbiamo affrontare e vincere. Dobbiamo spingere per il futuro dei giovani della Sicilia e della Calabria, glielo dobbiamo. Noi siamo pronti a partire, anche domani. Il progetto ha superato un sacco di ostacoli, superando tutti i passaggi burocratici previsti».
«È un’opera che porterà oltre 100mila nuovi posti di lavoro nell’area» – aveva dichiarato in tv Pietro Salini, ospite di Barbara Palombelli. Concetto ribadito anche ieri da un tavolo dove erano presenti anche i due assessori regionali alle infrastrutture Domenica Catalfamo (per la Calabria) e Marco Falcone (per la Sicilia, oltre all’ex ministro Pietro Lunardi (responsabile del dicastero delle Infrastrutture dal 2001 al 2006) e al prof. Felice Giuffrè, costituzionalista e docente universitario in veste di coordinatore di Lettera 150, il network di docenti e professionisti che ha promosso l’iniziativa dell’incontro di Catania.
Pietro Salini, Nello Musumeci e Nino Spirlì
«Siamo stanchi – ha detto Musumeci – di essere considerati marginali al continente europeo». E ha chiarito che «noi vogliamo diventare il cuore del Mediterraneo, la piattaforma naturale delle navi che lo attraversano. Non è possibile diventarlo se non c’è l’alta velocità. E non ci può essere alta velocità se non si attraversa lo Stretto in tre minuti. Questo è l’appello che lancio al Governo».
«Non è il collegamento tra due regioni – gli fa eco Nino Spirlì – ma tra due territori europei. Calabria e Sicilia sono il primo ingresso di quella grande casa che è l’Europa. Sono le porte per chi arriva dal Canale di Suez e dai Paesi che oggi detengono un grande potere economico, come Cina e India, ormai ago della bilancia dell’economia mondiale; senza contare il continente africano, che, nei prossimi decenni, sarà l’interfaccia naturale con l’Europa. Non è dunque ammissibile che i primi territori europei non siano tra loro collegati».
Entrambi i governatori hanno trovato la risposta pronta dell’ing. Salini: «Siamo in grado di cominciare subito. Ci sono 50 anni di studi e approvazioni. È un progetto che era stato cantierato e pronto per essere eseguito. Poi il Paese ha deciso di interrompere questo ciclo e ci siamo fermati, com’è giusto che sia. Se il Paese ritiene sia una priorità, noi siamo pronti a farlo».
E se Webuild è pronta a investire direttamente i 4 miliardi necessari per realizzare il Ponte (senza dunque bisogno di bussare al Recovery) lasciando però allo Stato gli oneri accessori (due miliardi circa), i due governatori hanno calato un asso che il governo non potrà ignorare: pronti a mettere i soldi necessari per le opere accessorie. Quindi sarebbe un’opera senza problemi finanziari su cui serve una precisa volontà politica. E, difatti, i 50 anni fin qui trascorsi tra promesse e rinvii si spiegano solamente con la mancanza di una visione strategica per il Mezzogiorno e la difesa di interessi evidentemente di parte di una incredibile catena di no-ponte.
Il Ponte va fatto, questo appare evidente, perché deve finire la politica dei no ad ogni costo, deve scomparire la scelta della decrescita felice che gli ultimi governi a partecipazione grillina hanno promosso: in questa maniera si è favorito soltanto il sottosviluppo delle regioni meridionali e allargato il divario nord-sud. Il Governo deve assumersi le sue responsabilità: il pretesto che il Ponte non poteva rientrare nel PNRR perché impossibile da completare entro il 2026, data imposta dalla Ue, non regge più a fronte della copertura finanziaria offerta dal general contractor e dalle due regioni interessate. Senza contare che le penali previste in caso di mancata realizzazione verrebbero tutte a cadere (addirittura costerebbe più non farlo) e lo Stato avrebbe un’infrastruttura colossale a costi minimi.
Guardiamo ai numeri di quest’opera e il primo risponde ai più scettici che evocano disastri sismici epocali: la resistenza sismica è fino a 7,1 di magnitudo Richter. In Giappone i ponti costruiti negli ultimi venti anni hanno resistito a terremoti di estrema violenza. L’altissimo livello tecnologico raggiunto dai progettisti italiani è riconosciuto in tutto il mondo: le nuove tecnologie fanno il resto. Il progetto prevede un ponte a due campate con 5.300 metri di cavi per realizzare un attraversamento di 3.666 metri, con una campata centrale di 3.300 metri. Un’opera spettacolare (376mila tonnellate d’acciaio, due torri da quasi 400 metri, un corridoio per il passaggio delle navi largo 600 metri e alto 65): immaginate, in termini di attrazione turistica cosa potrebbe significare, arriverebbero da tutto il mondo per vedere il ponte, scoprendo i Bronzi, la Magna Grecia, la Sicilia e il patrimonio paesaggistico, artistico, culturale ed enogastronomico delle due regioni. Il traffico stimato sarebbe di 60mila convogli ferroviari e circa sei milioni di autovetture/camion l’anno. Insomma, spettacolare e funzionale insieme, in uno scenario d’incanto, unico e irripetibile.
Ovviamente gli ecologisti sono sul piede di guerra da anni, ma non si può continuare a dire sempre no, soprattutto quando ci sono fior di studi sull’impatto ambientale e la sostenibilità dell’opera. E i più irriducibili sanno di poter contare sull’insipienza ormai cronica della politica italiana, ma è ora di cambiare passo, di guardare ai benefici che l’opera può portare, già da subito anche sotto l’aspetto occupazionale.
«Calabria e Sicilia – ha detto Spirlì – sono due regioni che, insieme, rappresentano, dal punto di vista culturale, turistico e identitario, il fondamento dell’Italia. I loro patrimoni artistici, culturali e umani hanno portato all’Italia un tesoro veramente inimitabile, regalato al mondo intero. Perciò, dobbiamo cominciare a dire che qui è Europa; e qui l’Europa ha il dovere di creare “Ulisse”. Ma, se vogliamo ottenerlo, dobbiamo ribaltare l’attuale concezione geografica e politica. È urgente e necessario che l’Europa provveda al più presto a creare il collegamento tra la sua porta d’ingresso e il resto della casa. Noi non stiamo chiedendo un intervento da poveri. Il progetto c’è già, chiavi in mano. Qui siamo in Europa, bisogna svegliarsi. Il vero ingresso per il continente non è il porto di Rotterdam, ma quello di Gioia Tauro. Ci devono dire cosa vogliono fare».
Musumeci ha mostrato che ha davvero voglia di fare sul serio: «Per le persone in buona fede – ha detto – i problemi sono tecnici, per quelle in malafede, che sono tante nella politica dei Palazzi romani e non solo, è la volontà di mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento, che produce, e un Sud povero che arranca e consuma i prodotti del Nord. Finiamola con questa farsa».
E ha lanciato una battuta: se lo chiamiamo Ponte sullo Stretto è figlio di p…, allora chiamiamolo Ulisse. Bel nome, presidente, ma il Ponte se mai si farà il nome ce l’ha già idealmente direttamente da Omero: il Ponte sullo Stretto di Scilla e Cariddi. (s)
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