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C’È IL REFERENDUM, SERVE IL NOSTRO VOTO
SI SCELGONO 72 SINDACI: REGGIO SFIDA A 3

Referendum 20-21 settembre

di SANTO STRATI — Comunque vada l’esito del referendum, rimane la sensazione che l’informazione ai cittadini non sia stata proprio il massimo, lasciando molto spazio al populismo anticasta (sponsorizzato e gestito ovviamente dai grillini) piuttosto che alle ragioni del sì e del no.

Non è nostra abitudine schierarci, ma riteniamo opportuno spiegare perché – a nostro modesto avviso – sarebbe opportuno votare NO a una riforma monca e discutibile che non risolve i problemi della politica e della governabilità. Si è giocato tutto sulla rabbia anticasta del populismo più sfrenato, dando libero accesso a un processo di delegittimazione dei Parlamento e dei suoi rappresentanti che non è accettabile. Non si può – a fronte di pochi assenteisti e scarsamente degni “rappresentanti del popolo” più che eletti prescelti dalle segreterie di partito – gettare fango sul lavoro “onorevole” di chi siede in Parlamento e svolge con passione, dedizione e onestà il proprio mandato, in nome del popolo italiano.

Ebbene, la furia dell’ex comico e dei suoi sodali ha fatto sì che si scatenasse un’indegna gazzarra che è sfociata, poi, nel progetto di revisione costituzionale sul quale gli italiani oggi e domani sono chiamati ad esprimersi.

Prevarrà, probabilmente, il Sì non perché gli italiani credono in questa buffa riforma, ma perché così riterranno di punire la “casta”, quella stessa che incredibilmente ha votato la sua decimazione in Parlamento. E anche questo è un aspetto buffo del referendum che ci chiama domani alle urne: ci sono stati appena 14 voti contrari al progetto di legge sul taglio dei parlamentari e 553 voti favorevoli. E una parte di chi ha votato a favore si è fatta poi promotrice del referendum confermativo, quasi a sconfessare un gesto magari inconsulto, dettato più dalla pressione grillina che dall’effettiva validità della legge.

Risibile è il risparmio che ne deriverebbe: l’equivalente di un caffè per ciascun italiano all’anno. Per contro, sono numerosi gli aspetti preoccupanti che il taglio dei parlamentari, in assenza di una nuova legge elettorale, mostra: per fare un esempio che ci tocca da vicino la Calabria vedrà tagliata del 40 % la sua rappresentanza parlamentare e i nostri parlamentari eletti all’estero passeranno da 18 a 12. Ovvero c’è un problema di rappresentanza che colpisce le regioni più piccole e creerà evidenti disparità tra gli abitanti delle regioni più popolose (e più ricche) e quelle a minore densità abitativa.

Il testo originario varato dai padri costituenti, approvato il 27 dicembre 1947, recitava testualmente all’art. 56: «La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila» e l’art. 57, a proposito del Senato assegnava a ciascuna regione un senatore per 200.000 abitanti o per frazione superiore a 100.000. «Nessuna regione – si leggeva nel testo del 1947 – può avere un numero di senatori inferiori a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore». Quindi la Carta costituzionale non fissava i numeri attuali, derivati invece dalla Legge costituzionale del 9 febbraio 1963 e dala successiva Legge costituzionale del 23 gennaio 2001 che riguarda il numero dei deputati e dei senatori in rappresentanza degli italiani all’estero. Quindi gli attuali 630 deputati e 315 senatori che il taglio lineare che il referendum dovrà sancire diventeranno rispettivamente 400 deputati e 200 senatori.

Il futuro Parlamento replicherà, con buona probabilità, la scarsa qualità “politica” (oltre a incapacità e competenza largamente dimostrate in questa legislatura) degli eletti, in quanto non scelti, ancora una volta, dagli elettori, da dalle segreterie dei partiti. Il Sì aprirà, anzi spalancherà, le porte a nuove immissioni di “prescelti” non per competenza e capacità, ma per, spesso, scellerate valutazioni di comodo imputabili esclusivamente ai capi dei singoli partiti.

L’esempio più calzante è ogni giorno sotto gli occhi di tutti gli italiani, a cominciare da ministri e sottosegretari per finire agli ultimi peones che votano non per convinzione personale ma su indicazione del partito, nonostante l’assenza di vincolo di mandato garantito dalla Costituzione (quello che permette ai parlamentari di trasferirisi a un gruppo parlamentare diverso da quello con il quale si è stati eletti). Questo significa che non si può dire sì a questa riforma della Costituzione che non solo offende l’intelligenza degli italiani, ma mortifica qualsiasi anelito di trasformazione della politica.

Il guaio è che il “liberi tutti” espresso dai partiti (vedi articolo successivo) in realtà non ha lasciato libertà di scelta, a cominciare dagli esponenti politici, anche quelli più scettici che hanno votato turandosi il naso, per finire agli elettori. Disorientati più che mai, mossi più da voglia di “castigare” il Parlamento che di premiare una inesistente formula politica che mostra un miserevole se non impalpabile spessore.

Le ragioni del sì, diciamolo chiaramente, servono a legittimare l’insulso atteggiamento dei pentastellati che prima criticavano la “casta” e poi sono finiti per diventarlo anche loro. Serve prima una legge elettorale, poi si potranno attuare riforma che stravolgono il dettato costituzionale e nessuno dei costiuenti si sarebbe mai sognato di proporre.

Se si volevano fare risparmi, sarebbe bastato ridurre gli emolumenti, gli stipendi, i benefit. Ridurre il numero dei parlamentari – ripetiamo, in assenza di una nuova legge elettorale – è pericoloso e assai discutibile. C’è solo da sperare che gli stessi italiani che bocciarono la riforma proposta da Renzi nel 2016, reagiscano con eguale entusiamo, mostrando quella maturità politica che molti dei nostri governanti ed esponenti politici non accreditano loro. Attenzione, non dimentichiamoci che i “sudditi” hanno anche la capacità di incazzarsi e rispondere con un sonoro NO alla stupidità di politici dilettanti,  incompetenti e incapaci.  (s)

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