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COVID: REGGIO, L’URLO DEGLI ESERCENTI:
«L’ECONOMIA CALABRESE ANDRÀ A ROTOLI»

Angelo Musolino con gli artiginai pasticceri dell'Apar

La manifestazione di oggi a piazza Duomo a Reggio Calabria è soltanto la prima di tante altre: a chiamare a raccolta artigiani, esercenti, commercianti, è la Confesercenti reggina affiancata dall’Apar, l’associazione pasticceri reggini guidata dal presidente nazionale Angelo Musolino, e l’associazione ImprendiSud, per far sentire la voce di chi si sente penalizzato nel proseguimento della sua attività dalle – sacrosante – misure anticovid varate dal Governo. Ma non è solo Reggio, non è solo la Calabria: tutta l’Italia che lavora trasmette un’ansia di non facile attenuazione. Nella nostra regione, poi la situazione economica già di per sé difficile rende tutto più complicato.

La chiusura parziale di ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie e pub fa, difatti, tremare la Calabria. Con il nuovo Dpcm, infatti, se i pubblici esercizi possono restare aperti fino alle 18 (con possibilità di allungare fino a mezzanotte per i soli servizi di asporto), le palestre, i centri sportivi, le piscine e le attività legate allo spettacolo sono, invece, completamente chiuse.

Un quadro preoccupante, che taglia le gambe alla ripresa, che si stava conquistando a piccoli passi in Calabria, e che rischia di compromettere la già delicata quanto traballante economia regionale, se si considera che questi settori, come ha riportato Confcommercio Calabria, rappresentano l’8%  (18.175) delle localizzazioni di imprese attive nella nostra regione, che risultano essere 220.055 e impiegano il 10% (38.364) degli addetti complessivi, che rischia di lasciare un segno pesante sulla già fragile economia calabrese.

Particolarmente preoccupante, per Confcommercio, sono i pubblici esercizi, la cui chiusura imposta alle 18 «fa fuori la parte più rilevante del mercato»: quelli attivi, infatti, sono poco più di 15 mila, e «con i nuovi provvedimenti – si legge nel report – si stima una contrazione dei consumi compresa tra il 26,5% e il 32,6% che si tradurrà in una riduzione del fatturato superiore al 40% rispetto allo scorso anno», e  «più preoccupante è l’impatto che la chiusura comporta sull’intero indotto che rappresenta il 21% del tessuto economico complessivo della regione (45.348 localizzazioni) e impiega complessivamente 80.939 addetti (il 21% del totale). Tirando le somme, quindi, a risentire degli effetti di questi provvedimenti saranno, tra diretto e indotto, 63.523 localizzazioni (il 29% del totale) e 119.303 addetti (il 31% del totale)».

«La situazione è drammatica – ha dichiarato il presidente di Confcommercio Calabria, Klaus Algieri –. Le chiusure previste dal nuovo Dpcm rappresentano un peso insostenibile per pubblici esercizi, palestre, piscine e centri sportivi. Bisogna intervenire subito con misure concrete o il 40% delle imprese chiuderà definitivamente».

«È insensato – ha aggiunto – accanirsi contro questi settori. Se bar e ristoranti non rispettano le misure di sicurezza è giusto che vengano chiusi. Ma imporre la chiusura alle 18:00 per tutti indistintamente significa distruggere un’intera categoria, senza vantaggi per la collettività. Tuttalpiù significa ammettere di non essere in grado di fare i controlli.  Siamo sicuri che i problemi quindi siano i bar e ristoranti, le palestre, le piscine? Oppure i punti critici siano altri come i trasporti pubblici? Nelle città vediamo autobus, treni, metropolitane piene di gente che non rispetta alcun tipo di regola sul distanziamento. È lì che bisogna intervenire e ancora non lo si è fatto. Ma non è tempo di fare polemica, bisogna agire subito abbattendo i cavilli burocratici e garantendo in tempi stretti i sussidi necessari alle imprese che hanno chiuso e ai loro lavoratori per non scomparire».

«Servono, però – ha proseguito il presidente Algieri – indennizzi proporzionati alle perdite subite per mettere le aziende penalizzate dalla seconda crisi Covid nelle condizioni di superare il crollo di fatturato. Gli imprenditori di questi settori sono persone responsabili: hanno già fatto tanti sacrifici e rispettato tutte le regole e i protocolli sanitari. Ma non sono più in grado di reggere una situazione di questo genere. Basta mortificarli ulteriormente, facciamogli fare il loro lavoro».

«Va ripensato – ha concluso il presidente di Confcommercio Calabria – l’intero sistema di gestione dell’emergenza. Basta con provvedimenti generalizzati su tutto il territorio nazionale. È giunto il mondo di adottare misure territoriali che tengano conto del livello di contagio in ciascuna regione. Non trovo giusto che in Calabria, dove la situazione è sì, di emergenza, ma non ai livelli di altre regioni, si debba sottostare alle stesse imposizioni, pur essendoci condizioni per essere più flessibili».

Chiamati a raccolta dalla Fipe-Confcommercio, gli imprenditori sono scesi in piazza con una «protesta tanto ordinata e silenziosa quanto determinata»

Oltre 10 mila persone, nella giornata di ieri, si sono riunite nelle 24 piazze allestite in tutta Italia che, simbolicamente, hanno apparecchiato per terra, disponendo oltre 1000 coperti rovesciati a ricordare alla politica lo stato di emergenza nel quale versa il settore della ristorazione con 300mila posti di lavoro a rischio, 50mila aziende che potrebbero chiudere entro fine 2020 e 2,7 miliardi di euro bruciati solo per effetto dell’ultimo decreto.

Anche a Catanzaro è stata molto partecipata la manifestazione svoltasi a Piazza delle Prefettura: «la nostra categoria – ha dichiarato la presidente Fipe di Cosenza e Consigliera Nazionale Fipe, Laura Barbieri – vive un momento drammatico».

«In questi mesi – ha aggiunto – tre dei quali passati con le serrande abbassate, in balia di continui cambiamenti e decreti, il pubblico esercizio si è fatto carico di rendere sicure le proprie strutture e di adeguarsi ai protocolli sanitari, al momento non può sostenere un altro fermo di questo genere.  Il pubblico esercizio è un luogo sicuro, non è veicolo di contagi. Non è provata alcuna connessione tra la frequentazione di bar e ristoranti, luoghi di convivialità e non di assembramento e diffusione del virus. Non vi è alcuna connessione.»

«L’intera filiera del cibo, tra le più penalizzate dalle restrizioni di ieri e di oggi – ha concluso – ha bisogno di sostegno, credito e garanzie sull’autonomia finanziaria. Ha bisogno di lavorare».

Un piccolo passo avanti, di sicuro, è stato fatto dal Governo, con l’approvazione del Decreto Ristori, che contiene ulteriori misure per tutelare i settori colpiti.

Per il presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, «è un primo importante segnale che va apprezzato, ma dopo decine di provvedimenti che hanno avuto problemi a diventare realmente operativi, penso ad esempio ai ritardi della cassa integrazione, il fattore tempo è essenziale per recuperare un po’ di fiducia nelle istituzioni».

«Se le risorse promesse – ha aggiunto – non arriveranno sui conti correnti degli imprenditori entro i primi giorni di novembre, il Paese perderà una componente essenziale dell’agroalimentare e dell’offerta turistica che da sempre ci rendono unici al mondo». (rrm)

 

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