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Il compleanno della Regione, compie 50 anni.
Presidio di unità e libertà. Ora faccia le riforme

La prima seduta del Consiglio regionale a Catanzaro: era il 13 luglio 1970

di SANTO STRATI – Esattamente 50 anni ieri, nascevano le Regioni. Si era dovuto attendere 22 anni per dare corso al titolo V della Costituzione che prevedeva la ripartizione dell’Italia “in enti autonomi con propri poteri e funzioni”, come recitano gli articoli 114 e 115 della nostra Carta. Il 7 e l’8 giugno del 1970, anche i calabresi come il resto dell’Italia, con esclusione delle popolazioni delle regioni a statuto speciale, si recarono alle urne per eleggere il primo Consiglio regionale, ma in Calabria in quei giorni ribolliva la rabbia dei reggini che sarebbe poi esplosa appena qualche mese dopo. La questione del Capoluogo e la “guerra” tra Reggio e Catanzaro sarebbe sfociata in una rivolta sanguinosa, assurda, che raccoglieva però la rabbia di un popolo messo sotto i piedi dalla politica. Già prima delle elezioni del 1970, i reggini si sentivano “parte estranea” del nuovo Ente: temevano di esserne esclusi e i politici del tempo non hanno certo brillato in attenzioni verso la più grande ma insieme più disastrata provincia calabrese. La Calabria di 50 anni fa rispecchiava in pieno il concetto delle “Calabrie”, tra competizione, campanilismi e “dispetti” tra province e territori che non avrebbero mai potuto dare il giusto lievito alla nascente realtà della Regione. Così, il primo Consiglio regionale, convocato per il 13 luglio a Catanzaro avrebbe registrato l’assenza di molti dei consiglieri eletti nella circoscrizione reggina. Il commissario di Governo Mario Gaia che aprì il primo Consiglio regionale aveva concluso invocando la Divina Provvidenza, ma non venne ascoltato né in cielo né in terra: quella ferita il tempo ha poi sanato, – com’è noto – con l’assegnazione della Giunta al “nuovo” capoluogo di Regione e l’Assemblea regionale a Reggio.

È comunque un compleanno che non può passare inosservato: i padri costituenti avevano individuato l’esigenza della ripartizione regionale della giovanissima Repubblica, ma la Democrazia Cristiana che si era fatta prima sostenitrice del dettato costituzionale, in realtà, avrebbe fatto volentieri a meno delle Regioni, per non correre il rischio di parcellizzare la sua forza, vista la sua egemonia politica che sembrava inamovibile nella crescita del Paese. Nel 1962, il primo governo di centrosinistra, con i socialisti, trovò questi ultimi a spingere per la nascita delle quindici regioni a statuto ordinario (cinque erano già attive ma con lo statuto speciale – Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino), in attuazione al titolo V. E solo otto anni dopo, il 16 maggio 1970, il governo Rumor varava finalmente la legge che assegnava le risorse finanziarie alle nascenti realtà regionali, il primo vero passo per l’attuazione del dettato costituzionale.

Non c’era alcun precedente cui ispirarsi, e le Regioni dovevano inventarsi una vita inedita, tra incertezze, furberie e sani principi di buon governo. Però, sembravano e costituivano – e sono, come ha ripetuto in questi giorni il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – “fondamento della democrazia” con la loro autonomia nei confronti dello Stato centrale. La lezione che viene da questi 50 anni non va valutata in maniera negativa. Certo assai frequentemente è prevalso l’interesse personale sul bene comune (e la magistratura ha fatto e farà sempre il suo dovere), ma nel complesso le Regioni, la Regione Calabria, hanno il merito di aver fatto diventare più coeso il territorio, risvegliando – soprattutto in questi ultimi anni – una coscienza civica “maggiorenne”. I cittadini non sono più semplici spettatori, ma vogliono sentirsi attori, protagonisti di scelte e cambiamenti. Spetta all’Assemblea di Palazzo Campanella coinvolgere i cittadini e riavvicinarli alla politica, perché non c’è niente di più sbagliato che credere a una disaffezione irrecuperabile nei suoi confronti.

La partecipazione popolare alle elezioni del 1970 fu davvero elevata, ma nel tempo l’elettorato si è andato riducendo costantemente, forse a sottolineare la caduta di interesse e, soprattutto, la perdita di entusiasmo nei confronti della politica. Se 50 anni fa votò il 90% degli aventi diritto, trent’anni dopo, col nuovo millennio la percentuale scese al 70% per raggiungere – e qui la Calabria fa storia a sé – livelli di mortificante partecipazione (44% alle passate elezioni del 2015, dato pressoché ripetuto alle regionali del 26 gennaio di quest’anno). Tocca, dicevamo all’Aula, alla Giunta, alla Presidente, far diventare protagonisti i cittadini e soprattutto ascoltare le loro richieste, farsi esecutori delle esigenze dell’intera popolazione, in un processo di inclusione sociale che possa far sentire fieri della propria terra.

Dunque, quale bilancio trarre da questi 50 anni? In Calabria, tra luci e ombre, peccatucci e peccati mortali, la politica ha mostrato di avere perso un’importante occasione, quella di dare la giusta enfasi al localismo inteso come opportunità di coinvolgimento e partecipazione del popolo alle decisioni che riguardano il proprio territorio. Invece, si è spesso registrata una costante conflittualità con lo Stato centrale, trascurando una qualsiasi forma sperimentale di leale collaborazione, preferendo spesso una forma di “concorrenza” con l’apparato. Del resto le ultime schermaglie tra la presidente Santelli e il ministro delle Regioni Boccia non hanno fatto che confermare l’istinto alla litigiosità che l’ente regionale – non solo in Calabria, intendiamoci – si porta latente e fa esplodere alla minima occasione. Non a caso il conflitto Stato Regioni è materia continua di contendere tra Tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato. Il subdolo e tragico attacco del coronavirus al Paese, con la sua terribile scia di morte, ha messo, però, in evidenza che una Regione “forte” può fronteggiare qualsiasi emergenza, solo se si appoggia allo Stato centrale e corregge le tentazioni alla disunità e alla disunione.

Il presidente del Consiglio Mimmo Tallini ha voluto sottolineare anche l’aspetto transazionale che, oggi, l’Ente Regione porta con sé. Lo sguardo all’Europa è portatore di condivisione e sviluppo e va mantenuto e sostenuto. «Le Regioni  – ha detto il presidente del Consiglio regionale della Calabria – sono un soggetto istituzionale imprescindibile che ha valenza anche europea. L’assetto che le riguarda può anche essere oggetto di riflessione dopo mezzo secolo dalla loro istituzione, ma, come giustamente afferma il presidente Mattarella, l’autonomia delle Regioni è fondamento della democrazia. Indietro non si torna e, per andare avanti superando conflitti e sovrapposizioni tra poteri dello Stato costituzionalmente rilevanti, è necessario aprire una discussione, come sta per farsi all’interno della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali. Ombre e luci – ha fatto notare Tallini – e anche errori non di poco contro, nel replicare a volte il centralismo statuale nel rapporto con gli altri poteri orizzontali ad incominciare dai Comuni, tuttavia le Regioni hanno sempre rappresentato un pezzo cruciale dell’unità della Repubblica e un presidio di libertà per i cittadini da esse rappresentati».

La nuova consiliatura, venuta fuori dalle elezioni del 26 gennaio, ha l’opportunità di far valere questi principi, ponendosi un obiettivo primario, da raggiungere subito: riforma dello Statuto e adeguamento della legge elettorale. Sono tre punti da rivedere senza tentennamenti: voto disgiunto (ovvero si può votare per un presidente di una parte politica e insieme per un’altra coalizione), voto di genere (obbligo di scelta tra due candidati uomo-donna) e rialzamento del tetto della soglia minima di accesso al Consiglio. Così com’è, la legge elettorale della Calabria penalizza le donne e, soprattutto, le minoranze. Se solo ci fosse un minimo di spirito costruttivo a Palazzo Campanella, questa riforma che non costa nulla in termini di risorse finanziarie, sarebbe approvata in 120 secondi. (Ogni riferimento a precedenti votazioni in Consiglio non è casuale, ma volutamente e provocatoriamente voluto). (s)

Gli eletti del primo Consiglio regionale del 1970: quaranta consiglieri

Pasquale Perugini, Cosenza, (Dc – voti 20.106);

Aldo Ferrara, Serra San Bruno (Dc – 18.656);

Antonio Guarasci, Rogliano, (Dc – 18.687);

Giuseppe Nicolò, Bova Marina, (Dc – 18.185);

Pasquale Iacopino,  San Lorenzo, (Dc – 15.913);

Ernesto Corigliano, da Cosenza, (Dc – 14.461);

Mariano Rende, Bisignano, (Dc – 14.370);

Antonino Lupoi, Sinopoli (Dc – 14.321);

Domenico Intrieri, Celico, (Dc – 14.092);

Lodovico Ligato, Reggio Calabria, (Dc – 13.150);

Vincenzo Peltrone, Badolato, (Dc – 12.588);

Fedele Palermo, Carolei, (Dc – 12.517);

Giorgio Liguori, Montegiordano, (Dc – 11.301);

Angelo Donato, Chiaravalle C. (Dc – 10.726);

Sergio Scarpino, Catanzaro, (Dc – 10.330);

Rosario Chiriano, Filadelfia, (Dc – 9.785);

Francesco Bevilacqua, Nicastro, (Dc – 9.281);

Mario Casalinuovo, Catanzaro, (Psi – 12.173);

Consalvo Aragona, Cosenza, (Psi – 9.472);

Antonio Mundo, Albidona, (Psi – 8.807);

Saverio Alvaro, Giffone, (Psi – 7 .405);

Consolato Latella, Siderno, (Psi – 7.334);

Vincenzo Cassadonte, Squillace; (Psu – 3.525);

Benedetto Mallamaci, Motta S. Giovanni, (Psu – 3.414);

Antonio Scaramuzzino, Nicastro, (Pri – 5.756);

Giuseppe Guarascio, Cotronei, (Pci – 15.654);

Giuseppe Oliverio, S. Giovanni in Fiore, (Pci – 13.454);

Tommaso Iuliano, Tiriolo, (Pci – 10.128);

Pasquale Iozzi, Verzino, (Pci – 9.550);

Tommaso Rossi,  Cardeto, (Pci – 8.924);

Armando Algieri, Acri, (Pci – 7 .433);

Francesco Martorelli, Cosenza, (Pci – 7.019);

Giuseppe Fragomeni, Siderno, (Pci – 6.682);

Giovanni Scudo, Pellaro, (Pci – 5.735);

Costantino Fittante, Chiaravalle, (Pci – 5.412);

Scipione Valentini, Altilia, (Psiup – 2.942);

Giuseppe Torchia, Miglierina, (Pli – 2.494);

Giuseppe Marini, Montepaone, (Msi – 5.004);

Benito Falvo, Scigliano, (Msi – 4.920).

 

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