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IL PAESE CRESCE MA IL SUD S’IMPOVERISCE:
IN 20 ANNI PERSI QUASI 1 MLN DI RESIDENTI

IL PAESE CRESCE, IL SUD S'IMPOVERISCE: IN 20 ANNI PERSI QUASI 1 MLN DI RESIDENTI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA –  Quasi un milione  in meno nel Sud, dal 2004 al 2024, in un Paese che complessivamente cresce nello stesso periodo  di poco più di un milione di residenti. Crescono infatti tutte le ripartizioni tranne Sud e Isole. 

 Le regioni più esteticamente dinamiche la Lombardia, ( +847.000), il Lazio (+534.000), il Veneto (+229.000), l’Emilia-Romagna (+375.000); quelle più penalizzate la Sicilia (-183.000), la Puglia (-144.000), la Campania(-141.000). 

Dicevo esteticamente dinamiche perché il loro tasso di crescita è sempre molto basso e l’aumento della loro popolazione deriva da una forma di cannibalismo nei confronti del sud del Paese, che nasconde il problema importante di una realtà  in declino. 

Le motivazioni che stanno alla base della decrescita delle due parti non sono totalmente differenti. In realtà vi è una base comune ed è la mancanza di politiche attive per la famiglia, che rendono la procreazione non un interesse collettivo ma esclusivamente un bisogno del singolo, che poco interessa alla società. 

Politiche attive totalmente dimenticate e che ci rendono differenti dagli altri grandi paesi europei. Francia, Gran Bretagna e Italia che  fino a qualche anno fa avevano la stessa popolazione. Oggi le altre due cugine si avviano verso i 70 milioni, anche per una maggiore presenza di extracomunitari, mentre noi ci discostiamo sempre più dai 60 milioni raggiunti nel 2010( 60.626. 000). 

Capire che la famiglia non è solo un bene dei singoli ma anche un bene collettivo è un passaggio che solo recentemente ha  cominciato ad essere un pensiero condiviso. Fino a soli pochi anni fa sembrava che lo Stato dovesse essere indifferente alle nascite  e quindi non dovesse assistere e proteggere le coppie nella fase procreativa.  

Con lo sviluppo economico, come accade in tutti i paesi del mondo, si pensi che addirittura in Cina hanno legiferato per imporre alle famiglie un solo figlio quando erano poveri, sono cominciate a diminuire le nascite. Per cui tutti i paesi occidentali, industrializzati, hanno cominciato con politiche di protezione delle famiglie e di assistenza alle giovani coppie per incoraggiarle a procreare. 

Tra tali provvedimenti vanno ovviamente compresi quelli relativi alla disponibilità di posti pubblici  negli asili nido, che  aiutano le famiglie a crescere i figli con costi più contenuti, e che al Sud sono stati sempre molto carenti. 

Per fortuna con il Pnrr, modificato recentemente,  adesso gli asili nido non dovrebbero andare più al bando, come era stato previsto nella prima fase, ma come é corretto le nuove strutture vengono assegnate alla realtà che ne sono più carenti, cioè inferiore al livello essenziale di prestazione fissato dal 2022 a 33 posti ogni 100 bambini di età 3-36 mesi. Finalmente un provvedimento che recupera 735 milioni di euro e li mette a disposizione di 401 Comuni, con l’obiettivo di realizzare oltre 30mila nuovi posti.

Al Sud ai tassi di fecondità, che andavano diminuendo, e che portavano a una diminuzione delle nascite si é  aggiunto l’effetto dei tassi di emigrazione,  che sono progressivamente aumentati. 

Ogni anno ci dice la Svimez che 100.000 mila ragazzi formati, con un costo complessivo per le realtà di riferimento di oltre 20 miliardi, vanno via dal Mezzogiorno, con un “regalo” a carico delle realtà regionali meridionali, che si ritrovano a dover affrontare i costi che vanno dalla procreazione fino al momento in cui i ragazzi diventano produttivi, per poi regalare il frutto di tanti sforzi alle regioni settentrionali e spesso anche a molti altri paesi comunitari, che offrono condizioni complessive di diritti di cittadinanza più interessanti. 

D’altra parte pensare di trattenere i giovani nelle loro realtà di provenienza quando non trovano lavoro, non hanno un diritto alla mobilità, né ad una sanità adeguata ,diventa impossibile. 

Non si vive di solo sole, mare e aria pulita. Complessivamente il Paese, pur avendo discreti incrementi nelle regioni settentrionali, perde peso all’interno dell’Unione Europea sia in termini demografici che di conseguente Pil prodotto. 

Ma è un ragionamento che parte dal Nord, che poi è la  classe dirigente che indirizza il nostro Paese, che non riesce a capire e che pensa di salvarsi guardando al proprio giardino di casa, esaltando una loro supposta etnia di Veneti o di Lombardi o di Emiliani Romagnoli, con la ricerca di un’autonomia differenziata che pensano potrà salvarli, non capendo che in realtà il processo sul quale siamo incamminati fa affondare tutti. 

La risposta vera al declino demografico del nostro Paese va data su due piani: il primo è quello di politiche attive per la famiglia che rendano la procreazione una gioia così come dovrebbe essere e non un impegno economico che la impoverisce.

Il secondo piano è quello relativo ad un migliore equilibrio economico che aiuti i giovani meridionali a rimanere nelle loro realtà, dove peraltro hanno una rete familiare di aiuti, costituita anche dai nonni.

L’occasione del Pnrr, che è stata data al nostro Paese fondamentalmente per diminuire i divari, malgrado una vulgata interessata che tenta con azioni conseguenti di distorcere gli obiettivi per riportare le risorse alla, una volta chiamata, locomotiva del Paese, costituita dall’apparato Tosco, Emiliano Romagnolo, Lombardo, Veneto, va, con azioni simili a quella recente sugli asili nido, che supera le difficoltà dell’amministrazione periferiche meridionali.

Oltre che a fare in modo di potenziare le tre gambe su cui dovrebbe basarsi lo sviluppo del Mezzogiorno costituite dalla logistica, dal manifatturiero e dal turismo, in modo da offrire a molti più giovani la possibilità di un progetto di vita, eliminando la tentazione sempre presente di essere estrattivi rispetto ad un territorio che, grazie anche agli ascari abbondanti presenti, non riesce a difendersi adeguatamente. 

Guardare al positivo che nasce non ci deve far dimenticare che i problemi strutturali sono talmente rilevanti e riguardano un territorio così ampio che il rischio della sindrome delle eccellenze, che vanno adeguatamente raccontate e valorizzate, può diventare estremamente pericolosa. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

 

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