LA SCUOLA IN CALABRIA TRA RITARDI, GAP
E LA GRAVE DISUGUAGLIANZA EDUCATIVA

di GUIDO LEONE –  Il  mese di marzo segna l’inizio dei Test Invalsi 2024. A partire sono stati gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, in tutto circa 515mila studenti, che a giugno sosterranno l’esame di maturità. Dal 3 aprile toccherà ai 575mila alunni di terza media, mentre a maggio sarà la volta degli alunni di seconda e quinta elementare e di seconda superiore.

I Test Invalsi, introdotti con una legge del 2007 per valutare il livello generale del sistema scolastico italiano, sono requisiti di ammissione alla maturità e agli esami di terza media, tuttavia va sottolineato che i risultati delle prove Invalsi non influenzeranno né la promozione né il voto finale degli studenti in corsa per il diploma.

Però forniranno indicazioni sul livello di istruzione raggiunto dalla classe, dall’istituto e a livello regionale e nazionale. Permettono, quindi, di avere una idea generale, statistico, della situazione di bambini e ragazzi, di fare una fotografia delle competenze scolastiche misurate non con un metodo nozionistico ma di ragionamento.

Ma tornando alle prove va detto che gli istituti scolastici possono scegliere in autonomia le giornate per lo svolgimento dei Test Invalsi 2024 all’interno di un arco temporale che varia a seconda del grado della scuola ad esclusione delle classi campione, che partecipano alla rilevazione nazionale in giorni prestabiliti.

Le date di svolgimento delle prove e il campione calabrese

Gli studenti di quinta superiore svolgono le prove tra l’1 ed il 27 marzo. Le classi campione sono state impegnate già nei giorni scorsi. Gli Invalsi per gli alunni di seconda superiore sono invece previsti per il periodo che va dal 13 al 31 maggio, con le classi campione che svolgeranno i test nelle giornate del 13, 14 e 15 maggio. Le terze medie faranno le prove tra il 4 ed il 30 aprile, le classi campione il 4, 5, 8 e 9 aprile.

Per quanto riguarda la scuola elementare, le giornate degli Invalsi sono fissate a livello nazionale.

Il 7 maggio è prevista la prova di italiano, il 9 matematica. Solo per le classi quinte, il 13 maggio si tiene la prova di inglese. Le prove avverranno simultaneamente nello stesso giorno per ogni materia e alla stessa ora con la tradizionale modalità carta e matita.

Tutti gli studenti sostengono una prova di italiano e una di matematica. I maturandi, gli alunni dell’ultimo anno dell’elementari e della terza media svolgono anche una prova di inglese, suddivisa in due parti, reading (lettura) e listening (ascolto).

Per i maturandi la prova Invalsi si compone di 3 diversi test a computer nelle seguenti materie: italiano, il test dura 120 minuti ed è composto da diversi quesiti di comprensione del testo; matematica, la prova vuole testare le conoscenze degli studenti nei seguenti ambiti: numeri, relazioni e funzioni, spazio e figure e dati e previsioni; inglese per accertare le abilità di comprensione e uso della lingua in linea con il Quadro Comune di riferimento Europeo riconducibile al livello B2.

La modalità CBT (Computer Based Testing) è utilizzata anche per i Test Invalsi di seconda superiore e terza media.

In Calabria il campione complessivo sarà rappresentato presumibilmente da circa 4000 studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado.

Come sono andate le prove Invalsi nelle scuole calabresi

Le prove Invalsi continuano di anno in anno a restituire il volto di un Paese diviso in due con differenze territoriali in italiano e matematica sempre marcate.

Anche gli esiti delle ultime prove 2023 hanno evidenziato che l’istruzione al Sud resta un’emergenza, con una situazione incredibile, diremmo quasi drammatica in particolare per la Calabria.

Si allargano i divari territoriali, con il Nord e il Sud Italia che viaggiano a due velocità già a partire dalla scuola media, soprattutto in Calabria, Sicilia e Campania.

Per la scuola primaria, i risultati sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto agli anni precedenti, ma con segnali di preoccupazione. Per le competenze in italiano  dove gli studenti di V elementare calabresi si piazzano ben ultimi con una media di 190 contro rispetto alla media nazionale pari a 200.

In matematica arriva al livello base solo il 66% degli allievi, con la Calabria, sotto la media nazionale.

In terza media la Calabria resta ancora ultima nella classifica, ma con un punteggio medio di 186 contro una media nazionale di 199, il gap da 10 punti aumenta a 13.

Nelle seconde classi delle superiori, la Calabria dall’ultimo posto passa al penultimo posto (con un punteggio medio di 189 contro una media nazionale di 204), ma torna ad essere ultima in V superiore con un punteggio medio di 182 a fronte della media nazionale di 200 e, quindi, un gap di ben 18 punti.

Le cose non vanno meglio per i risultati ai test di matematica.

Anche qui la nostra regione fa peggio, la differenza di circa 8 punti rispetto alla media nazionale in seconda elementare si allarga a 19 punti in terza media e a 21 punti in quinta superiore. La distanza con la regione Friuli Venezia Giulia che ha il miglior risultato è di ben 40 punti.

La situazione non migliora se si guarda alle competenze nella lingua inglese. I risultati di queste prove riproducono le stesse differenze con le regioni del centro-nord già riscontrate in Italiano e Matematica; differenze che iniziano a comparire in quinta elementare e si amplificano nel corso del processo formativo.

Forte la disuguaglianza educativa in Calabria

Insomma i divari territoriali non migliorano e rimangono forti evidenze di disuguaglianza educativa al Sud e in particolare in Calabria: le scuole riescono a fatica ad attenuare l’effetto delle differenze socio-culturali del contesto familiare e le disparità esistenti tra scuole e anche tra classi.

La principale criticità della scuola in Italia riguarda ovviamente la qualità degli apprendimenti degli studenti, inferiore a quella degli altri paesi avanzati.

La dispersione scolastica (in Calabria al 13%) è solo la punta dell’iceberg: oltre alla scomparsa di troppi ragazzi dai radar della scuola e della formazione professionale, ne abbiamo infatti un terzo che, pur conseguendo il diploma, non sa abbastanza per un lavoro e una vita sociale soddisfacenti.

Una possibile ricetta per migliorare gli apprendimenti nel nostro Paese? Un nuovo modello di reclutamento e di carriera degli insegnanti, una didattica rinnovata nel contesto di una scuola estesa al pomeriggio, interventi sostanziali sull’edilizia scolastica.

Riemerge, però, in tutta la sua drammatica evidenza l’urgenza di rimettere al centro dell’attenzione politica e dei nostri governanti l’istruzione e la formazione come emergenza sociale per il Sud e la Calabria in particolare.

E mentre le regioni più avanzate, a questo punto, vogliono andare per la loro strada, con la autonomia differenziata si palesa in maniera drammatica una ‘questione meridionale’ all’interno del sistema scolastico nazionale.

Speriamo che i prossimi esiti Invalsi smentiscano la tendenza di un’Italia che procede a due velocità. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]

L’EMIGRAZIONE, IL TRISTE FENOMENO CHE
ARRICCHISCE IL NORD AI DANNI DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Attualmente  la stragrande maggioranza degli interventi viene effettuata con tecniche chirurgiche d’avanguardia e mininvasive, grazie alla laparoscopia con visione tridimensionale ed alla chirurgia robotica. Queste  competenze hanno permesso di trattare moltissime patologie in maniera ottimale e secondo i più alti standard terapeutici nazionali ed internazionali». Lo afferma Alfredo Ercoli, professore ordinario di Ginecologia ed Ostetricia e direttore della Scuola di Specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia e direttore dell’Uoc di Ginecologia ed Ostetricia del Policlinico ‘G. Martino’. Di Padova? Eh no. Non ci crederete ma parliamo di Messina. 

Contraddicendo tutti coloro, molti di questi meridionali, che se hanno un problema di salute pensano che il miglior modo di risolverlo sia quello di comprare un volo low cost per il Nord. 

In realtà tutti sanno che le eccellenze sanitarie  in termini individuali sono certamente presenti in tutto il Paese. Ma mentre al Nord il sistema sanitario ha una organizzazione complessiva, che garantisce il malato in tutti i momenti della sua degenza spesso, invece,  nelle strutture meridionali a fianco alle eccellenze professionali vi è una realtà complessiva che non è all’altezza delle individualità, anche eccellenti, che vi operano. Tale situazione  di mobilità comporta un costo per la regione che subisce il trasferimento ed un vantaggio per chi invece accoglie i pazienti. 

Infatti le amministrazioni, che fanno parte del sistema sanitario nazionale, rifondono a quelle che accolgono i costi sostenuti per prestare le cure richieste. Anzi le strutture di accoglienza si sono organizzate in maniera tale che non vi siano liste di attesa per chi arriva da fuori, che invece permangono per i residenti, in modo da incoraggiare i pazienti alla emigrazione sanitaria. 

Un sistema messo a punto non solo per quanto attiene alla sanità ma anche per la formazione, che le Università del Nord offrono agli studenti del Sud. Recentemente il politecnico di Torino si preoccupava della bassa natalità del Sud, perché tale fenomeno avrebbe comportato una minore richiesta di iscrizione da parte degli studenti meridionali. 

Anche in questo caso il prezzo che viene pagato dal sistema economico meridionale è estremamente alto. Perché non riguarda solamente il costo dell’iscrizione presso le università, ma anche il costo del soggiorno che aiuta i sistemi economici di Pisa, di Bergamo o di Brescia, con una richiesta di affitto da parte dei pendolari, per tutti gli anni della frequenza.

Non solo ma a chiusura del periodo formativo, quando gli emigranti troveranno quel lavoro per il quale hanno deciso la frequenza nelle università settentrionali, i genitori compreranno magari una casa, vendendo quella posseduta, diminuendo enormemente il valore del patrimonio immobiliare del Sud, come sta avvenendo, e aumentando quello del Nord. 

Insomma il conto complessivo è di quelli che sembra incredibile. Il primo importo è quello relativo al costo della formazione dei 100.000 che ogni anno si trasferiscono per lavorare al Nord.

La maggior parte di essi ha una formazione universitaria. In media possiamo dire, considerato che vi sono anche delle professionalità senza titolo di studio,  che la formazione è quella media  superiore. 

Il costo complessivo per far nascere, crescere e formare  un giovane in modo che possa cominciare a lavorare è di circa 200.000 €, che moltiplicati per i 100.000 che ogni anno se ne vanno fa una somma vicina ai 20 miliardi di euro, che le regioni meridionali regalano a quelle del Nord, in prevalenza. In realtà vi sono anche le migrazioni internazionali che andrebbero sottratte a questa cifra. 

In questi anni è cresciuta anche la migrazione sanitaria dalle regioni del Sud a quelle del Nord con 4,25 miliardi di euro che si spostano verso il Nord. 

A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 93,3% del saldo attivo. Il 76,9% del saldo passivo grava sul Centro-Sud. Delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato.

Il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 2022-23 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centro-Nord. 

Facendo la somma di tutte queste risorse andiamo verso i 30 miliardi annui che vengono trasferiti che, sommati ai 60 di spesa pro capite differente, calcolata dal dipartimento per le politiche di coesione, fanno  una somma complessiva di circa 90 miliardi annui. 

Pensate che qualcuno voglia rinunciare alla mucca grassa che si trova a mungere senza opporre resistenza? Sarà difficile.       Ovviamente l’autonomia differenziata porterà ad una aggravamento di questa situazione. Poiché avendo a disposizione meno risorse la sanità meridionale non potrà che peggiorare, mentre quella settentrionale avrà un standard sempre più di livello. 

Stessa condizione subirà la formazione universitaria, mentre l’impossibilità di trovare livelli adeguati di occupazione nel Sud alimenterà il processo migratorio dei giovani formati meridionali.

É uno schema tipico delle colonie che sarà difficile ribaltare senza interventi decisi e continuati, che non si vedono all’orizzonte. Bisogna comunque sottolineare che in parte tali  spostamenti sono dovuti a una reale differenza di assistenza o di formazione.

Ma nella maggior parte dei casi dipendono da una cattiva reputazione che le  strutture sia mediche che formative, al di là della loro reale valenza, in alcuni casi per loro colpa effettiva,  in altri per una vulgata cavalcata dagli interessi di chi vuole alimentare i trasferimenti, si sono “guadagnate”. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’OPINIONE / Vincenzo Castellano: Il Sud paga più tasse ma riceve meno servizi

di VINCENZO CASTELLANO –  Il Sud ancora non è riuscito a recuperare il gap che lo separa dal Centro-Nord del Paese. Nonostante le numerose iniziative e riforme politiche adottate dagli anni Cinquanta fino allo straordinario Pnrr, il Mezzogiorno non ha mai registrato lo sviluppo che chi ha governato e governa ha promesso che avrebbe realizzato.

La sfida che ci attende, dopo la pandemia che ha messo in crisi l’intero sistema economico mondiale e una guerra russo-ucraina, ancora in corso, è la grande occasione da non perdere per intraprendere scelte coraggiose per rilanciare il Meridione rendendo sostenibile lo sviluppo futuro dell’intero Paese.

Oggi i cittadini residenti nel Mezzogiorno pagano più tasse rispetto ai loro connazionali che vivono nel Centro-Nord poiché lo Stato, investendovi meno soldi, costringe gli enti locali ad aumentare la pressione fiscale per garantire i servizi che, nonostante ciò, sono minori al sud rispetto che nel resto d’Italia.

La spesa pubblica che lo Stato concede al Meridione è inferiore rispetto a quella che elargisce al Nord. La regola adottata è sempre quella della cosiddetta “spesa storica” che negli anni è stata perpetrata in modo ininterrotto, sistematico e illegale costringendo gli Enti locali del Mezzogiorno ad adottare politiche che hanno visto aumentare progressivamente le imposte nei confronti dei propri cittadini, non riuscendo, tuttavia, a soddisfare tutti i bisogni di servizi necessari.

Questa circostanza provoca un effetto indesiderato che i meridionali, oltre ad usufruire di servizi e benefici di scarsa qualità, e pur avendo in media già redditi decisamente più bassi rispetto ai loro concittadini del Nord, sono costretti a subire un prelievo fiscale molto più oneroso rispetto a questi ultimi. Un esempio emblematico della inadeguatezza della “spesa storica” che ci permetterebbe di comprenderne rapidamente i negativi risvolti pratici è il confronto fra le due Reggio: Reggio Emilia e Reggio Calabria, dove la prima – che è risaputo ha già molti servizi – ha un fabbisogno standard di circa 140 milioni di euro, mentre a Reggio Calabria, con meno servizi, di circa 100 milioni di euro, circa 40 milioni in meno nonostante abbia più abitanti della città emiliana.

Ancora, se si analizza più nel dettaglio la spesa pubblica ci renderemmo conto come per l’istruzione a Reggio Emilia sono riconosciuti circa 30 milioni a Reggio Calabria 9. Per la cultura alla prima sono concessi oltre 20 milioni e alla seconda non si arriva a 5. Riguardo all’edilizia abitativa alla città emiliana sono destinati oltre 50 milioni e alla seconda si arriva a malapena a 10. E si potrebbe continuare ad oltranza. Anche la Corte dei Conti ha più volte rilevato che: «A fronte dei 116 euro medi pro capite di spesa sociale complessiva, si va dai 22 della Calabria ai 517 del Trentino (Bolzano) e a fronte dei 14 euro di spesa pro capite per i soli interventi contro povertà e disagio, si passa dai 3 euro nei Comuni della Calabria agli 83 nei Comuni del Friuli».

È evidente che di fronte a questa situazione che è il risultato di anni di politiche che hanno agevolato sempre di più le regioni del Nord è necessario intervenire con politiche di vantaggio per le regioni del Mezzogiorno. Le recenti iniziative del governo che hanno introdotto la decontribuzione per i lavoratori che vengono assunti al Sud, l’istituzione delle Zes (Zone Economiche Speciali) e delle ZLS (Zone Logistiche Semplificate, sono tutte misure che vanno accolte con favore ma invito il governo ad avere più coraggio. È necessario un intervento strutturale sul piano fiscale ad esclusivo vantaggio per le regioni del Sud e un piano di equità territoriale che preveda la ridistribuzione delle risorse pubbliche.

I cittadini meridionali pagano di più molti servizi rispetto a quanto gli stessi servizi costano al Nord. Le Rc auto, gli interessi bancari, la benzina, le utenze domestiche sono solo alcuni di questi. Ma anche il costo di un biglietto del treno, a parità o addirittura con maggiore distanza, costa di meno per i treni che vanno verso Nord rispetto a quelli che vanno verso Sud. È chiaro, quindi, che un cittadino che vive al Sud sostiene maggiori costi per i servizi e non è equo che paghi le tasse con le stesse modalità con cui le paga un cittadino che vive al Nord. (vc)

[Vincenzo Castellano è segretario Federale Italia del Meridione]

I CALABRESI NON SI “FIDANO” DI CALDEROLI
MILLE MOTIVI GIUSTIFICANO I SOSPETTI

di MIMMO NUNNARI – Non è più questione di Nord contro Sud e di secessionisti e statalisti, di (simpaticamente) polentoni e terroni, ma – fatti i necessari aggiornamenti – di non essere fessi o  “ammucca lapuni”, espressione in uso in alcune regioni meridionali, riferita a persone che credono a qualsiasi cosa gli viene detto: restando a bocca aperta e rischiando di ingoiare – metaforicamente –  una grossa ape o un calabrone, come vuole il proverbio. Il detto è usato per mettere in guardia i creduloni di fronte a notizie di cui non si riesce a distinguere il falso, la presa per i fondelli, dal vero.

Bisognerebbe tenere bene a mente un vecchio proverbio arabo: “La prima volta che minganni la colpa è tua, ma la seconda volta la colpa è mia”. Mettiamo, dunque, sull’avviso i nostri pochi o molti lettori, dal credere al  ministro Roberto Calderoli  il quale a Vibo, a proposito di Autonomia differenziata, ha detto che è “un’opportunità per il Mezzogiorno”. Nel Sud, storicamente, c’è gente paziente, che si fida, non si ribella, che aspetta da secoli il riconoscimento di diritti, della legittimazione di italiani uguali agli altri, e che spera nella riduzione delle distanze tra Settentrione e Meridione; questo sì, ingenui pure, ma “ammucca lapuni” no, signor ministro. Perché a lasciarsi incantare dalle storie ai limiti del surreale, che l’Autonomia conviene al Sud, si rischia di passare per fessi, per persone che si lasciano imbrogliare facilmente. 

Ora, pazienti si, pigri pure, non abituati a intraprendere iniziative autonome anche; qualche volta pure sudditi, per mentalità antica, ma stupidi no, per piacere. Che poi il ministro abbia scelto la Calabria per lo “spiegone” sulla bontà per il Sud dell’Autonomia differenziata, fa pensare più che a un gesto di cortesia, ad un ulteriore e ben celato discredito nei confronti di questa regione, che molti credono sia, oltre che mafiosa, abitata da tonti; che si può ingannare, tanto, come recita un detto latino: “fallacia alia aliam trudit, un inganno tira laltro”. Qui, oggi, non si tratta di rispiegare che cosa significhi l’Autonomia differenziata per il Mezzogiorno, poiché l’argomento è stato analizzato e dibattuto abbastanza, ne abbiamo fatto indigestione; semmai, si tratta di tenere alta la guardia e mettere in campo tutti gli strumenti possibili e leciti per cancellare questa ipotesi di riforma ingannatrice dall’agenda politica. Si tratta anche di ragionare sul potersi fidare, o meno, di Calderoli.

Francamente pensiamo di no, partendo non da pregiudizi, ma dal presupposto intanto che sono tanti i dubbi sulle competenze di costituzionalista o riformista del ministro e sulle sue reali buone intenzioni. Ricordiamo, per tutto il suo curriculum di parlamentare, che legge elettorale più contestata della storia della Repubblica è opera sua: un marchingegno, per riempire il Parlamento di deputati e senatori scelti dalle segreterie dei partiti. È lunica legge definita in modo spregiativo dal suo stesso autore: una “porcata”. Da qui, il passaggio alla storia col nome Porcellum. Calderoli, è noto pure per aver presentato – aiutato di un algoritmo – milioni di emendamenti a ddl governativi che non gli piacevano. Una tattica dilatoria, e niente di più, da catalogare nelle piccolezze e  nelle tattiche peggiori della politica italiana. Calderoli è un leghista della prima ora, come Salvini, entrambi protagonisti, già da giovani, di quella Lega del secessionismo poi passata, dopo un lungo percorso, alla furbata dell’autonomia differenziata, sempre con un unico, vero, sostanziale obiettivo: un Nord che possa correre da solo, senza la palla di ferro al piede, che, per molti, al Settentrione, è il Sud. Nella strategia leghista non c’è solo l’Autonomia di Calderoli, ma c’è – molto più raffinatala  svolta nazionalista e sovranista dell’attuale leader Matteo Salvini, il quale, accantonata la vocazione nordista” ha puntato a radicare il partito su tutto il territorio nazionale allinsegna dello slogan Prima gli italiani”.

Anche il ponte di Messina, probabilmente rientra in questa strategia (apparentemente compensativa) che dovrebbe far dimenticare il passato, con un “dono”, non si sa quanto utile al Sud, senza tutto il resto: infrastrutture, porti, aeroporti, strade. Abbiamo dei pregiudizi nei confronti di Salvini? Certo che sì, li abbiamo e sono fondati. Salvini era a fianco a Umberto Bossi, quando  sognavano la Padania libera e autonoma, ed è stato, insieme a Calderoli &co., un campione di insulti e offese, nei confronti dei meridionali. Basterebbe, per tutti  gli oltraggi ricevuti dai meridionali, ricordare quell’auspicio, lugubre, di “purificazione” dei napoletani, nella lava del Vesuvio. Di questo non certo edificante passato Salvini  ha fatto ammenda  tempo fa a Palermo, rispondendo ai giornalisti, in una conferenza stampa: “Se abbiamo avuto toni eccessivi in questi anni sul Sud e i meridionali, chiedo scusa e cercheremo di evitare di ricadere negli stessi errori”. Se avesse tolto il “se”sarebbe stato meglio.

Oggi, i due, Calderoli e Salvini, sono ministri di un legittimo governo della Repubblica e in quanto tali vanno rispettati. Ma per poter essere creduti debbono fare di più: prendere per esempio coscienza che bisogna pensare a colmare quel divario di sviluppo tra Nord e Sud che non è mai stato colmato, e  che addirittura si è ultimante aggravato,  e mettere in campo strategie di immediata applicazione per invertire la marcia, con priorità per l’occupazione, la sanità pubblica, le infrastrutture di cui si diceva prima e i trasporti. Solo dopo questo “risarcimento”, si potrà passare a riforme che teoricamente possono essere anche valide per l’Italia tutta di domani; che verrà dopo l’Italia di oggi: inquieta, divisa e malcerta. E invece sta accadendo che si profila l’ennesima beffa per il Sud, se sono veri i rumors parlamentari che parte dei fondi del Pnrr, previsti dal Governo Draghi per il Mezzogiorno, stanno per prendere altre direzioni. Anche sull’Alta  Velocità Salerno Reggio si stanno addensando dubbi stando ad un’interrogazione del Pd.

La comunità dei meridionali, lungi dall’ingoiare calabroni, dovrà trovare le giuste strategie per pretendere il rispetto degli impegni e ricordare – a tutto il Governo Meloni – che le regioni del Sud appaiono sempre più determinanti per l’esito delle consultazioni politiche nazionali. Un particolare pensiero, se ci è consentito, lo rivolgiamo ai tanti che accolgono a braccia aperte Calderoli, Salvini & co., magari in buona fede, sperando in vantaggi per il Sud. Ricordatevi di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. (mnu)

PERDE COLPI L’AUTONOMIA DI CALDEROLI
SI LAVORI INVECE A FAR CRESCERE IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa marcia veloce, senza ostacoli, che aveva immaginato Calderoli è facile che debba fermarsi. Troppi sono i segnali e le prese di posizione di organismi non politici che dichiarano la loro contrarietà a un equilibrio nazionale  che potrebbe non reggere, nel caso in cui si attuassero i livelli essenziali delle prestazioni in tutto il Paese. La convinzione che ha pervaso  i documenti e le dichiarazioni  sia dell’organo tecnico del Senato, ma anche di Bankitalia, di Confindustria, e recentemente anche dell’Unione Europea, va nello stesso senso.

La conclusione che se la riforma, che attuerebbe il titolo quinto della Costituzione, inopinatamente modificato dal Centro Sinistra, dovrà essere attuata senza oneri per il bilancio statale, la situazione non potrà che rimanere invariata e quindi l’autonomia differenziata fermarsi. 

Ma mentre la contrarietà rispetto ad una riforma che vuole statuire come corretta una spesa storica che toglierebbe ogni anno al Mezzogiorno, a seconda dei calcoli, dai 30 ai 60 miliardi, è assoluta si deve però criticamente riflettere sulla situazione, ormai consolidata,  che certamente con crescite non particolarmente elevate non può essere cambiata, anche se sarebbe assolutamente corretto che lo fosse.

L’esempio diffusamente riportato dei 66 asili nido di Reggio Emilia rispetto ai 3 di Reggio Calabria dimostrano plasticamente come sarebbe estremamente complicato, certamente non senza aggravio di costi, stabilire diritti analoghi per tutti. 

Ma anche se l’autonomia differenziata voluta da Calderoli e che avrebbe, nello schema previsto dal Ministro, scavalcato totalmente il Parlamento, seguendo un accordo pattizio tra Regioni e Presidente del Consiglio, dovesse essere fermata non vi è dubbio che rimane in piedi il grande problema della differenza di diritti di cittadinanza esistenti nelle due parti del Paese, come anche quello della spesa storica che sarà estremamente complicato poter mettere in discussione. 

Perché evidentemente mentre é relativamente facile fornire servizi a chi non li ha, è assolutamente impossibile pensare, senza rivolgimenti sociali, di sottrarre i diritti di cittadinanza a chi ne usufruisce da anni. 

Ed allora se la strada di tenersi un residuo fiscale teorico, che in realtà proviene da meccanismi complessi che hanno la loro origine in tutte le parti del Paese, tra loro connesse, è assolutamente da bloccare, non si può non considerare che le realtà più evolute, come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che hanno chiesto per prime di poter gestire al meglio le risorse che con i limiti già detti produrrebbero, hanno bisogno di confrontarsi con quello che avviene nella realtà più evolute della MittelEuropa e cercare di non perdere passi per esempio nella infrastrutturazione. 

La Regione Veneto ha annunciato una svolta nel sistema dei trasporti: Hyper Trasfer arriverà e a progettarlo sarà il consorzio Webuild-Leonardo. Le capsule di trasporto realizzate con il nuovo sistema potranno viaggiare a più di 1.200 chilometri ora, tra l’Interporto di Padova e il Porto di Venezia. 

Bene stare all’avanguardia ha dei costi che queste Regioni hanno paura di non poter sostenere, per questo vogliono quella autonomia che consentirebbe loro di correre al passo degli altri competitori. Ed allora il tema non è tanto quello di fermare qualcuno per far crescere gli altri, non è quello di far correre Milano anche a costo che Napoli affondi, come incautamente affermò qualche anno fa Guido Tabellini, quanto invece quello di fare in modo che la locomotiva Sud, che può, come dice Lino Patruno, dare anche lezioni di sviluppo all’Italia, parta veramente e che produca quel reddito annuo che aumenti il Pil nazionale di una dimensione tale da consentire, aldilà delle risorse eccezionali del Pnrr, di poter avere un welfare, che non possa più prevedere che alcuni medicamenti possano essere a carico del servizio sanitario nazionale in alcune regioni ed in altre invece a carico del paziente, come avviene tuttora. 

Per questo la strada da percorrere è quella di procedere velocemente con investimenti adeguati, che consentano l’attrazione di iniziative dall’esterno dell’area, intanto nelle aree Zes, che già pare comincino a funzionare, anche se in modo diverso da regione a regione, ma anche riuscendo ad avere un progetto di sviluppo per il settore turistico che rifletta adeguatamente sulla necessità che si attui una normativa speciale che consenta l’insediamento accelerato di investimenti alberghieri, con l’adozione di una normativa che imiti le Zes manifatturiere, riproponendo il meccanismo. 

La strada che si è intrapresa per quanto riguarda il Ponte sullo stretto e le altre infrastrutture del sistema ferroviario, autostradale e portuale del Mezzogiorno e che Salvini, con una determinazione che stupisce, e che sta passo dopo passo portando avanti, é quella giusta. 

Per questo è necessario che si proceda con tempificazioni adeguate perché il tempo non è una variabile indipendente e i ritmi della crescita devono essere sostenuti, per dimostrare al Paese intero che la strada non può essere quella della divisione tra piccoli Staterelli indipendenti o quasi, quanto quella di una sinergica attività che porti, invece  che a a dividere l’unico tavolo che si ha a disposizione, rendendolo praticamente inutilizzabile per tutti, a moltiplicarne il numero perché si possa stare meglio in più.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’INUTILITÀ DEL “SISTEMA PAESE” CHE NON
AIUTA NORD E SUD, MA DANNEGGIA TUTTI

di MASSIMO MASTRUZZOIl principio di azione e reazione, noto anche come terza legge di Newton (1687), ci ricorda, inoltre, che le forze non si generano mai da sole, ma sono sempre in coppie. In natura non esiste mai una singola forza.

Senza nessun rispetto per vittime e per i danni alle abitazioni subiti dai cittadini dell’Emilia Romagna, chi non vuole smettere di consumare suolo, di cementificare in ogni dove, di tenere in piedi un modello sociale ed economico che si rivede nel progetto scellerato dell’autonomia differenziata, è arrivato addirittura a dare le colpe alle nutrie che bucano gli argini, piuttosto che ammettere di aver ignorato oltre ogni logica istituzionale i dati dell’Ispra: la regione Emilia Romagna è la prima in Italia per cementificazione in aree alluvionali, più 78,6 ettari nel 2021 nelle aree ad elevata pericolosità idraulica; più 501,9 in quelle a media pericolosità.

Ogni 5 dicembre in tutto il mondo, su iniziativa delle Nazioni Unite e della Fao, viene celebrato il suolo, con lo scopo di aumentare la consapevolezza sulla sua importanza per la vita umana.

E nella giornata mondiale del Suolo del 5 dicembre 2022, Legambiente Lombardia  aveva rilasciato l’allarme per la crescita sregolata del suolo consumato a uso immobiliare logistico, associato alle grandi infrastrutture di trasporto, come la BreBeMi, che intersecano la pianura a est e a sud del capoluogo regionale. Sono infatti queste le province della pianura in cui, secondo i dati di ISPRA (Istituto Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), si misura la più allarmante crescita di consumo di suolo, con la provincia di Brescia che consolida la propria posizione al vertice della classifica del cemento.

Quasi 900 ettari di suolo consumato negli ultimi 5 anni. È come se, nello stesso periodo di tempo, per ogni abitante della provincia si fosse costruita una formazione di cemento armato di 7,2 mq, più del doppio della media regionale ferma a 3,5 mq/abitante. Nel bresciano, nell’ultimo anno sono scomparsi 307 ettari di suolo, un valore che eccede i livelli degli anni della ‘bolla’ speculativa del cemento registrata a inizio secolo.

Tenere in piedi questo modello sociale ed economico che “favorisce” solo il Nord Italia, chiedendo addirittura che venga ulteriormente alimentato con l’autonomia differenziata, ignorando di fatto l’opportunità di sviluppo omogeneo dato invece dell’interdipendenza economica che non toglierebbe nulla ai territori già ricchi, anzi ne avrebbero un giovamento dal punto di vista dell’ecosostenibilità e della salubrità, rendendo peraltro tutta la nazione economicamente più stabile, oltre ad essere moralmente inaccettabile, tantomeno costituzionalmente, non è più economicamente sostenibile, se non per una visione miope oltreché egoista del Paese.

Ad avvalorare questa tesi v’è uno studio, curato da Srm (Intesa San Paolo) in collaborazione con Prometeia su L’interdipendenza economica e produttiva tra il Mezzogiorno e il Nord d’Italia – Un Paese più unito di quanto sembri che mostra come le principali filiere produttive nazionali siano tra loro territorialmente interrelate e come il Mezzogiorno generi spesso spillover di attività per il resto del Paese oltre a contribuire in valore alla forza competitiva dei nostri prodotti all’estero. Ad esempio il “ribaltamento” per ogni 100 euro di investimenti è diverso nelle due direzioni: Se investiti nel Mezzogiorno produco un ritorno (ribaltamento) verso il Centro Nord del 40,9% (40,9 euro);  Se l’investimento avviene nel Centro-Nord il ritorno verso mezzogiorno vale il 4,7% (4,7 euro).

È risaputo che su un suolo cementificato la quantità d’acqua che scorre violentemente in superficie aumenta di oltre cinque volte rispetto un suolo libero e uno. Così come  ormai abbiamo tutti compreso che le piogge saranno sempre peggiori, eppure si prosegue incessantemente a consumare suolo, rendendolo inevitabilmente vulnerabile. La provincia di Ravenna è stata la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021 (più 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale) con un consumo procapite altissimo (2,95 metri quadrati per abitante all’anno); è quarta per suolo impermeabilizzato procapite (488,6 m²/ab).

Un paradosso reale e drammaticamente visibile che dovrebbe far riflettere.

Attualmente assistiamo ad un “sistema Paese” con divisioni e contraddizioni che, in barba a quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione, spende di più dove c’è già di più, e meno dove in realtà servirebbe. Questo ha concretamente contribuito a quell’emorragica emigrazione interna che se da un lato ha contribuito ad arricchire il reddito pro capite dei territori che hanno “accolto”, con però la necessità di ricorrere ad ulteriore consumo di suolo. Dall’altro lato ha lasciare vuote le case, le piazze, le scuole, i bar, le strutture sanitarie, o meglio si sono inevitabilmente trasferite anch’esse.

Nel frattempo è notizia dell’ultima ora che il Servizio del Bilancio del Senato dopo aver passato al setaccio il disegno di legge sull’Autonomia differenziata, ha documentato  come l’autonomia regionale differenziata sia oggettivamente una secessione dei ricchi: «L’abnorme decentramento di funzioni e risorse finanziarie può creare problemi al bilancio dello stato e al finanziamento dei servizi nelle altre regioni».

Dopo aver smascherato i reali effetti che causerebbe lo scellerato DL di Calderoli, sostenuto trasversalmente da tutto il governo Meloni, l’analisi è stata precipitevolmente e incredibilmente ritirata con tante scuse.

Ora però che, nonostante la magra figura di aver prima pubblicato e poi ritirato il documento che sostanzialmente boccia il DL Calderoli, anche i tecnici del Senato hanno certificato che l’Autonomia Differenziata condannerà il Sud alla povertà assoluta, ovvero al concretizzarsi del rischiò desertificazione umana e industriale.

Alla Lega non è rimasto altro che l’arma del ricatto: o si fa questa riforma o viene meno la maggioranza e mandiamo in crisi il Governo.  

La lega anche attraverso le parole rilasciate in una intervista dal presidente del Veneto Luca Zaia, ha calato una volta per tutte la maschera sui reali propositi del partito di maggioranza del governo Meloni:

La priorità, per questo governo, non è certo l’interesse del Paese, ma soltanto trattenere sempre più risorse al Nord, e con questi continuare nella scellerata opera di consumo di suolo, a scapito del Mezzogiorno d’Italia.  (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale Movimento per l’Equità Territoriale]

 

L’OPINIONE / Giancarlo Greco: In 10 anni il Sud ha donato al Nord 10 mld per migrazione sanitaria

di GIANCARLO GRECOÈ inammissibile, inaccettabile. L’intero Mezzogiorno ha “donato” al ricco Nord ben 14 miliardi di euro in 10 anni per migrazione sanitaria, i viaggi della salute per intenderci che poi in gran parte sappiamo bene essere del tutto evitabili in presenza di un razionale sistema sanitario nazionale ben spalmato sull’intero territorio. Questo è un dato drammatico, il dato per eccellenza perché dipinge le vere ragioni dell’impoverimento progressivo e seriale, quindi scientifico, del Sud.

Per quanto riguarda la Calabria, poi, – continua Giancarlo Greco – la “donazione” è persino da record o quasi perché è la seconda in graduatoria dopo la Campania che ovviamente conta sul triplo dei residenti. La cifra che ha versato la Calabria in 10 anni alle altre Regioni del Nord, Lombardia ed Emilia Romagna in testa, è davvero “monstre”: ben 2,7 miliardi di euro. Una spesa pazzesca che avrebbe potuto incidere e non poco non solo sulla qualità e quantità dei servizi sanitari regionali quanto sull’intero sistema di sviluppo socio economico. Forte, fortissimo il sospetto che in tutti questi anni i commissari ad acta “stranieri” inviati in Calabria non abbiano fatto altro, chissà se solo casualmente, che reiterare e se possibile incrementare questo flusso che poi è un dissanguamento per la Calabria.

Non meno di 250 milioni di euro all’anno con punte vicine ai 300 milioni. Trend che non è mai diminuito in questo decennio mantenendo piuttosto sostenuto il sospetto del “progetto industriale” e nazionale finalizzato all’impoverimento della Calabria e del Sud a beneficio delle grandi aree del Nord. Non abbiamo nulla contro le imprese sanitarie private accreditate lombarde o emiliane in grado di fornire servizi sanitari attrattivi ed eccellenti, tutt’altro. Vorremmo però che la leale e funzionale sinergia tra sanità pubblica e sanità privata convenzionata con il sistema pubblico, quindi pubblica ugualmente, fosse consentita anche al Sud e in Calabria dove invece in questi anni si è quasi data la “caccia” al privato convenzionato quasi fosse un nemico della società e dell’integrazione sanitaria.

Un vero e proprio “delitto” per il territorio, questo continuo atteggiamento assunto dai commissari fin qui. Non tanto e non solo per l’importanza dei servizi sanitari che il privato accreditato può e deve erogare quanto per il livello occupazionale che ne viene appresso. Attualmente in Calabria sono occupati circa 20mila dipendenti nel sistema sanitario privato accreditato, un numero importante in termini di nuclei familiari. E molti di più potrebbero essere se lo stesso privato accreditato non fosse visto come “nemico” dell’integrazione sanitaria regionale perché così è stato fin qui. Ecco, chiediamo esattamente questo al nuovo commissario ad acta in Calabria Roberto Occhiuto.

Invertire la sciagurata tendenza e il progressivo impoverimento della Calabria a vantaggio delle strutture del Nord che spesso e volentieri, e giustamente, sono anche private accreditate. Anche in Calabria si può erogare con razionalità un servizio sanitario integrato di qualità in grado non di cancellare la migrazione ma quantomeno di dimezzarla, di abbatterla. Di renderla sostenibile ed equa. Fin qui ogni commissario ha lavorato per il contrario. Confidiamo che Occhiuto voglia giocare una partita tutta nuova. (gg)

[Giancarlo Greco è presidente di Unimpresa]

TORNA IL FEDERALISMO DIFFERENZIATO
UNA SCELTA CHE PENALIZZA TUTTO IL SUD

di DOMENICO MAZZA E GIOVANNI LENTINIC’era d’aspettarselo! Noi ce l’aspettavamo. Prima o poi sarebbe dovuto succedere. Non pensavamo potesse accadere adesso, in questo momento particolare. Dopo due anni di pandemia ed a tre mesi dall’inizio di una guerra rovinosa e dolorosa per gli ucraini, ma anche per tutti i popoli europei. Ne prendiamo atto e non faremo mancare le nostre parole di dissenso e di opposizione. 

Ci riferiamo al federalismo differenziato. L’agognato obiettivo perseguito e ricercato sin dalle prime manifestazioni elettorali dai Rappresentanti della Lega Nord. Ebbene oggi, questo, potrebbe realizzarsi grazie al Ministro agli affari regionali che, a seguito lo strappo consumatosi con il leader di Forza Italia, risponde in toto ai Governatori del Nord.

Un tentativo maldestro, l’ennesimo, per tentare di stravolgere la Costituzione. 

E questa volta, con il disegno di legge già pronto e preconfezionato dalle solite scrivanie venete, lombarde ed emiliane, alle quali si sono aggiunte le bramosie di Piemonte e Toscana.                               

L’articolato è un disegno di legge composto da cinque punti. Il primo definisce i principi generali, e dunque il riconoscimento di “particolari forme di autonomia ai sensi dell’art.116 e le modalità di intesa tra le Regioni e lo Stato”. Tuttavia è l’articolo quattro quello destinato a scardinare il principio fondante della Carta Costituzionale. Questo prevede che le risorse finanziarie necessarie all’esercizio da parte della Regione delle funzioni trasferite — “siano determinate nell’intesa dall’ammontare della spesa storica sostenuta dalle Amministrazioni statali della Regione interessata per l’erogazione dei servizi pubblici oggetto di devoluzione”— e, continua, con l’affermazione che le Regioni —“ricevendo esattamente la quota corrispondente alla spesa storica saranno incentivate ad efficientare l’esercizio delle funzioni trasferite al fine di trattenere le risorse risparmiate”. 

Quanto virgolettato è ciò che, da sempre, chiedono i Presidenti delle regioni Veneto ed Emilia Romagna. Non partecipare al processo perequativo dello Stato in nome di un’efficienza, tutta da dimostrare (a nostro parere indimostrabile), delle loro Regioni che, per anni, hanno ottenuto più risorse di quante avrebbero dovute riceverne. 

L’intesa prevede che le risorse necessarie a finanziare le funzioni trasferite siano tratte da tributi propri della Regione o da compartecipazione al gettito di tributi maturati nel territorio regionale. Condizione necessaria per il trasferimento delle funzioni richieste e delle risorse corrispondenti resta la definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), in 4 materie che saranno oggetto di richiesta: sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale.

Viepiù, in un secondo momento, l’articolo 4 prevede, una volta definiti i Lep, anche il superamento della spesa storica attraverso la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. 

A questo punto ci sia concessa un’osservazione. In tal modo si potrebbe creare una spaccatura ancora maggiore nel divario tra Nord e Sud, con arretramento ancor più marcato per quelle aree periferiche che rappresentano il sud nel sud. 

Siamo in presenza di un attacco alle corde più sensibili della nostra Costituzione. Con il rischio, sempre più concreto , di rompere la tenuta di una comunità solidale. Si stanno mettendo sul piatto da gioco disparità di trattamento tra persone, indebolimento dei diritti di cittadinanza e, forse un domani non troppo lontano, anche la differenziazione tra i salari.   

Per questo riteniamo che il Ministro per il sud, assieme a tutti i Presidenti delle Regioni meridionali e ad una Rappresentanza istituzionale regionale e nazionale dell’area che nel Mezzogiorno sconta il ritardo più atavico, l’Arco Jonico, si facessero interpreti e portavoce, con il Governo e con il Primo Ministro di quello che potrebbe rivelarsi un boomerang per le Regioni e per le popolazioni del Sud ed un ecatombe per l’area Jonica calabro-appulo-lucana. 

D’altronde accettare una soluzione come quella proposta dal Ministro agli affari regionali equivarrebbe a confermare il conclamato spaccamento in due del Paese. E verrebbero meno anche i dettami imposti da Bruxelles circa la coesione territoriale, atteso che, l’Europa ci chiede di concedere maggiori spettanze a chi è rimasto più indietro per consentire un sostanziale pareggio territoriale fra aree dello stesso Paese. 

Ed è grazie a questo principio che l’Italia risultò essere beneficiaria del più cospicuo pacchetto di fondi Next Generation UE. 

Se aggiungiamo che, a livello nazionale,  la distribuzione dei fondi PNRR sta disattendendo i parametri richiesti dall’Europa, i presupposti di questo federalismo differenziato potrebbero conferire il colpo di grazia alle Regioni meridionali. Il tutto con la certezza matematica che aree come quella jonica, devastate da una disoccupazione due volte superiore a quella dello stesso Mezzogiorno e tre volte rispetto quella dell’intero Paese, saranno destinate a desertificarsi. E l’esodo, già in atto da tempo, verso altri lidi, diventerà inarrestabile. 

Riteniamo, infine, che non possa essere accettata una così palese differenziazione tra cittadini dello stesso Stato. Con la consapevolezza che se si procederà verso tale disparità di trattamento si creerà un inedito sistema di “scala mobile” al contrario dove chi già sta meglio continuerà a vivere una vita agiata e chi sta peggio finirà alla fame. (dm e gl)

Saccomanno (Lega): Richieste del sindaco di Milano assurde, i fondi dirottati al Nord hanno ridotto Calabria in povertà assoluta

Il commissario regionale della LegaGiacomo Saccomanno, ha evidenziato come «leggere le richieste da parte di Sala e di altri politici del Nord su un presunto privilegio nella ripartizione dei fondi a favore del Meridione appare una eresia!».

«Da oltre 30 anni – ha spiegato – il Nord prevarica sul Mezzogiorno e ha sempre ricevuto somme maggiori. Non è comprensibile ed accettabile la richiesta avanzata che appare un ulteriore tentativo di depredare una parte della Nazione che si trova in difficoltà. D’altro canto, l’Europa ha chiesto, con l’erogazione dei fondi del Pnrr, di coprire l’attuale divario esistente e, quindi, la richiesta appare inaccettabile ed anacronistica!».

«È sufficiente leggere le molteplici sentenze della Corte Costituzionale – ha proseguito – oppure le relazioni della Corte dei Conti o della Banca d’Italia, per avere la certezza che il Sud ha ricevuto, sempre, importi minori. Basta guardare i fondi per i livelli essenziali, per la sanità, per l’istruzione, per gli asili e le infrastrutture: importi ridotti per il Sud rispetto a quelli riconosciuti per l’altra Italia. Dalle stime eseguite, il Mezzogiorno perde circa 170 milioni al giorno, in relazione ai 62,3 miliardi che ogni anno -dati del Sistema dei conti pubblici territoriali alla mano- viene sottratto al Sud e dirottato verso il Nord!».

«Parlo di circa 5,2 miliardi al mese di spesa pubblica allargata, non solo statale – ha detto ancora –. Questi sono dati certificati dalla Corte dei conti ed è stato ammesso anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta. Potrei continuare e snocciolare tanti altri dati! Ma, preferisco fermarmi qui e ribadire che senza la crescita del Sud l’Italia non potrà mai allinearsi e crescere unitariamente».

«E allora, chi vuole bene alla nostra Nazione – ha concluso – deve collaborare affinché vengano superate le differenze esistenti e, quindi, tutti assieme contribuire per la crescita del Sud che vuol dire sviluppo dell’Italia e, quindi del Nord. Ragionare diversamente vuol dire far solo del male agli italiani e allo stesso Nord». (rcz)  

NORD E SUD, DIVARIO ANCHE NEGLI ATENEI
E CONTINUA LA MIGRAZIONE DEI CERVELLI

di FRANCESCA CUFONE –Il divario tra Nord e Sud, negli ultimi anni, si è sempre più allargato e il gap è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura. Grave il ritardo, anche, nei servizi per linfanzia. 

E a ricordarcelo sono sempre i dati Svimez: la spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord. Le differenze Nord/Sud riguardano soprattutto lofferta di scuole per linfanzia e la formazione universitaria. Nel Mezzogiorno solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Prosegue labbandono scolastico sempre crescente e lemergenza sanitaria non ha affatto giovato la situazione pregressa. In questo sarebbe utile mantenere la didattica a distanza nelle università al fine di garantire egual diritto allo studio.

La pandemia ha anticipato lera della digitalizzazione e dovremmo evitare affermazioni del tipo ritorniamo alla normalità”, bensì creiamo una nuova normalità”. In questo può venirci in soccorso la Ricerca scientifica in quanto una delle sfide più urgenti che si presenta alla società odierna riguarda la necessità di verificare e rivedere in profondità i processi formativi che vengono offerti alle nuove generazioni. In un mondo che non può fondarsi soltanto sui mercati e sulla tecnica, il patrimonio culturale e di risorse umane fornito dall’università gioca un ruolo decisivo.

Si tratta, dunque, di riattivare una riflessione alta intorno al senso al futuro delluniversità, riproponendo le domande di fondo circa il suo ruolo nella società e la sua vocazione allapertura lincontro superamento delle barriere. È diventata, ormai, prassi diffusa quella di articolare i compiti delluniversità secondo la formula della triplice missione, con unespressione che agli obiettivi tradizionali della formazione della ricerca affianca quello della diffusione della conoscenza nellinterazione con il territorio.

Purtroppo abbiamo un primato negativo: siamo il Paese in Europa che investe meno nelluniversità, dunque nella Ricerca e la continua migrazione dal Sud verso il Nord, ma anche i meccanismi di riparto del Ffo (fondo finanziamento ordinario), aumentano il divario tra le regioni italiane. A ciò si aggiunge unaltra beffa: il Recovery Plan prevede investimenti in ricerca dal 2021 a 2026 × 12.000.000.000, oltre il 3,6 miliardi per la formazione universitaria, di cui almeno il 40% doveva essere destinato al mezzogiorno. A distanza di un anno la quota si è ridotta al 29%, precisando che il 40% su 545 milioni vale 218 milioni, cioè meno del 30% riservato ai giovani. Questi ultimi emigrano soprattutto perché cercano sbocchi occupazionali.

Scappano ancora anche troppi ricercatori e quelli che vorrebbero rientrare spesso hanno difficoltà a trovare occasioni di lavoro interessanti.

Gli sgravi fiscali previsti per coloro che rientrano in Italia sta avendo effetto. La creazione di grandi infrastrutture di ricerca sicuramente ne attrarrebbe altri. I giovani ricercatori dallestero vorrebbero entrare in Italia e molti ritornare proprio al sud. Ma chiedono procedure più snelle e programmazione regolare di bandi e progetti. In altre parole, vogliono sapere quale opportunità potranno cogliere anche in futuro, non si accontentano chiaramente di progetti saltuari, in quanto la legge 240/2010 Gelmini fissa anche un limite ai contratti ‘precari’, vale a dire un singolo ricercatore non può accumulare più di 12 anni tra contratti da assegnista e ricercatori a tempo determinato  (RTDa, RTDb), superata questa soglia senza riuscir ottenere un ingresso in ruolo.

Sono temi difficili da un punto di vista tecnico che devono essere discussi allinterno delle università, ma non riguardano soltanto gli specialisti: tutti i cittadini e quindi gli atenei devono svolgere un ruolo di ‘traduzione’ di queste questioni a beneficio di tutti e far capire che in un Paese democratico si devono affrontare anche queste emergenze. A maggior ragione laddove sono state più penalizzate. Lautonomia differenziata ha accentuato il divario in termini di diritti, marcando una sostanziale differenza nelle opportunità di crescita e sviluppo dellindividuo e conseguente divario a livello nazionale ed europeo.

In un dibattito sul regionalismo differenziato il rettore dell’Università di Catania, Francesco Priolo, ha ribadito «come le politiche universitarie degli ultimi dieci anni abbiano penalizzato le università del Mezzogiorno con un vero e proprio trasferimento di risorse dal Sud al Nord che ricadute non soltanto per i nostri atenei, ma soprattutto per i nostri territori. Il trasferimento strutturale dei nostri giovani al Nord trasformerà il tessuto e la formazione socio-culturale del Meridione nel giro di un decennio».

E sulle ‘migrazioni’ dal Sud al Nord, il prof. Viesti ha precisato che «il fenomeno migratorio degli studenti del Sud al Nord è quantificabile in 3 miliardi annui tra tasse universitarie, vitto e alloggio che arricchiscono ulteriormente quei territori, e al tempo stesso provoca un ulteriore depauperamento del Sud in termini di sviluppo, crescita e ricchezza e anche un aumento di quella biforcazione socio-economica tra le diverse regioni».

Ecco perché come Italia del Meridione sosteniamo l’alzata di scudi da parte dei rettori delle università meridionali, che si trovano nuovamente a dover ‘correggere’ gli errori, per ben tre volte in dieci giorni, dello stesso Ministero nel presentare i bandi del Pnrr sulla Ricerca. Anch’essi riferiti al NextGenerationEU che ha l’obiettivo di ridurre i divari tra le due parti del Paese. Misure e criteri che continuano, invece, ad essere disattesi e su cui la politica e i suoi rappresentanti meridionali devono vigilare, pretendendo la regolarità e la certezza della distribuzione dei fondi così come la Comunità Europa ha dettato.

La responsabilità di ciò che avverrà da oggi in poi è maggiore rispetto al passato, proprio perché è un’occasione unica che il sud non può farsi strappare. Non si tratta di un problema che investe soltanto luniversità ma la città, il territorio, è espressione della crescita delle regioni che rappresenta, perché riguarda temi importanti come listruzione, la ricerca, le infrastrutture, lambiente e che puntano sulla valorizzazione delle proprie risorse umane. Investire su queste, sulla ricerca e sulla cultura, significa scrivere un destino diverso per le future generazioni e per quel ‘Meridione fuori questione’. (fcu)