INFRASTRUTTURE: LA MANCANZA AL SUD DI COMPETITIVITÀ EQUIVALE A 8 PUNTI DI PIL

di ERCOLE INCALZA – Solo ultimamente abbiamo cominciato a capire che il settore primario, sì quello che comprende le attività legate allo sfruttamento delle risorse naturali quali l’agricoltura, la pesca, l’allevamento, la pastorizia ecc., riveste un ruolo chiave nella crescita del Paese e che, in questo determinante ruolo, il Mezzogiorno è senza dubbio determinante.

Pochi giorni fa il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha ricordato che elemento cardine della agricoltura non è solo la produzione quanto, soprattutto proprio nel Mezzogiorno, la ristorazione, la trasformazione e la distribuzione ed ha precisato che è necessario supportare le nostre imprese convincendole ad investire in tecnologie e tracciabilità ed in particolare ha precisato: «È prioritario arrivare a sistemi di snodo logistico. I porti sono basilari, sono le autostrade del futuro che daranno ulteriore centralità al Mediterraneo. Ma si deve realizzare un meccanismo di interconnessione. Il porto deve essere collegato al retroporto, alla ferrovia e anche per una breve percorrenza alle autostrade. Solo con un sistema misto ed interconnesso potremo recuperare quella competitività che oggi costa 96 miliardi di euro al sistema Paese e 9 miliardi solo al comparto agro alimentare».

Leggendo attentamente la ricerca prodotta dall’Istituto “Divulga” della Coldiretti ci si convince che dei 96 miliardi di danno alla economia, circa la metà è proprio relativa alla carenza infrastrutturale del Sud, di un Sud che, a differenza delle aree del Centro Nord, possiede solo un Hub interportuale come quello di Nola – Marcianise a differenza del Nord che ne ha invece otto; un Sud che, in 74 anni, ha realizzato solo le autostrade Palermo – Messina,  Salerno – Reggio Calabria e Catania – Siracusa (non cito le autostrade Napoli – Bari – Taranto e Palermo – Catania perché le caratteristiche non possono certo essere definite di livello autostradale) ed invece non ha realizzato assi viari essenziali come la Maglie – Santa Maria di Leuca o l’asse 106 Jonica che collega Taranto con Reggio Calabria, non ha realizzato reti ferroviarie ad alta velocità lungo il collegamento Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Catania, Catania – Messina, Palermo – Messina, non ha neppure elevato i livelli funzionali di un asse ferroviario come quello jonico che collega Taranto – Sibari – Crotone – Reggio Calabria.

Lo abbiamo capito tardi e lo abbiamo capito proprio simulando queste macro aggregazioni; questo approfondimento sicuramente sarà bene utilizzarlo sia nella lettura delle “autonomie regionali differenziate”, sia dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) ed un simile approccio, a mio avviso, servirà sia a confermare la nuova narrazione sul Sud emersa già nel Festival Euromediterraneo dello scorso anno, sia a creare, insisto fino alla noia, dopo 74 anni, strumenti ed organismi davvero capaci per leggere ed al tempo stesso interpretare fenomeni che, specialmente durante i Governi Conte 1 e 2 e, purtroppo, anche Draghi, erano stati sempre affrontati con la logica davvero “offensiva” del 30% delle risorse degli investimenti globali da assegnare al Sud; purtroppo dichiarazione rimasta sempre una “buona intenzione”.

Ebbene, pochi mesi fa ebbi modo di ribadire che, senza innamorarci più di “percentuali” e di norme annunciate e mai attuate, eravamo in grado, senza inventare o programmare nuove opere, ma prendendo in esame il quadro di quelle già programmate ed in alcuni casi già supportate finanziariamente, di rigenerare davvero questa vasta tessera del mosaico Paese e, a tale proposito, elencai un quadro di interventi attraverso i quali era possibile, a mio avviso, ridimensionare il forte danno denunciato proprio dalla Coldiretti. Anticipai il quadro degli interventi, precisando che, se entro 5 – 8 anni fossimo stati in grado di attivare la spesa realizzando i vari interventi, il Mezzogiorno sarebbe stato in grado di passare dall’attuale 22% ad oltre il 30% nella formazione del Pil del Paese.

Devo dare atto al presidente Prandini ed al mondo degli operatori della logistica, soprattutto del comparto agro alimentare, di aver denunciato questa impellente esigenza di offerta infrastrutturale e, al tempo stesso, come ribadito dallo stesso Prandini, di aver posto, dalla stessa Coldiretti, come elemento centrale la Zes Agricola che questo anno era scomparsa dalla Legge di bilancio e che grazie ai Ministri Fitto e Lollobrigida è stata poi recuperata.

Ed allora con queste scelte la dominanza del Mezzogiorno nei confronti del Nord nel processo di crescita del Paese non sarebbe un caso sporadico, come avvenuto lo scorso anno, ma diventerebbe un dato strutturale consolidato. (ei)

PORTO DI GIOIA, 50 ANNI FA L’INIZIO LAVORI
OGGI UNA GRANDE REALTÀ MEDITERRANEA

Nessuno, quando venne messa la prima pietra del Porto di Gioia, avrebbe potuto immaginare uno sviluppo così forte e, diciamolo, anche inaspettato. Ma il Porto sta esprimendo solo il 20% del suo potenziale: la Calabria deve adottarlo e farlo diventare il volano della crescita del territorio per l’attrazione di investimenti (c’è un retroporto vastissimo e inutilizzato). E – quando si farà – per il Ponte Gioia può rappresentare una sede logistica eccezionale dove stoccare (e perché no? lavorare) i “pezzi” che andranno allestiti e montati. Non ci vuole un genio, ma solo buonsenso, quello di cui la Calabria ha davvero tanto bisogno. Presidente Occhiuto non sottovaluti questa ulteriore opportunità per Gioia Tauro. Il futuro è lì, tra quelle banchine e il retroporto. (s)

di MICHELE ALBANESE – Ricorrono oggi (ieri ndr), 25 aprile, i 50 anni dalla posa della prima pietra per la costruzione del porto di Gioia Tauro. Fu GiulioAndreotti, all’epoca Ministro alla Cassa per il Mezzogiorno, presente anche Giacomo Mancini, ad inaugurare il cantiere che costruirà il porto.

In occasione della visita, un po’ oscura e misteriosa tanto che pochi giorni prima nessuno tra i dirigenti provinciali della Dc sapeva della presenza del Ministro e della cerimonia che molti anni dopo farà parlare di se anche per l’imbarazzante presenza, al rinfresco, di esponenti del clan mafioso dei Piromalli, Andreotti diede prova del suo proverbiale senso dell’ironia commentando la sfiducia delle popolazioni locali nei confronti delle promesse del governo.

«I calabresi hanno ragione di diffidare», disse, «perché spesso alla prima pietra non segue la seconda».

La cava dei Mancuso e il ruolo dei Piromalli

Ma in quella circostanza non an­dò così. Alla prima ne seguirono altre e poi altre ancora, molte delle quali provenienti da una cava tra Nicotera e Limbadi che abilitò i Mancuso di Limbadi alla conquista del vibonese. Si scrisse che i Piromalli di Gioia Tauro per mettere le mani sulle quelle pietre diedero dei soldi a don Ciccio Mancuso per comprare e poi sfruttare quel pezzo di montagna di granito fatta saltare con la dinamite. Un’opera­zione che fece con volare i Mancuso ai tavoli che contavano della ‘ndrangheta calabrese. Il comple­tamento del porto avvenne ben 13 anni dopo con un costo stimato di quasi mille miliardi di vecchie lire. Una cifra mostre per allora. Quel 25 aprile il palco era stato allestito dal comune di Gioia Tauro in C.da Vota proprio davanti alla distesa di agrumeti già espropriati e da­vanti al piccolo paese di Eranova che nonostante la tenace resistenza degli abitanti verrà spazzato via dalle ruspe. Si dava quindi il via a quella che veniva ritenuta essere l’avvio dell’industrializzazione calabrese. Il porto costituiva l’asset principale per la realizzazione del Quinto Centro Siderurgico partorito dopo i moti di Reggio Calabria del 1970.

Le resistenze dell’Iri e di Confindustria sul Quinto Centro Siderurgico

Allora c’era da combattere, per avere ragione delle ultime resistenze sulla strada della realizzazione dell’impianto siderurgico, provenivano dall’Iri, dalla Confindustria e da alcuni settori delle forze politiche di Governo e di opposizione. Il porto fu finito, ma del siderurgia che avrebbe all’impiego di 7500 posti di lavoro non si vide nemmeno l’ombra. Il Cipe aveva deliberato per la costruzione del porto 178 miliardi di lire che, presto, a suon di perizie e varianti, si moltiplicarono. Nonostante tutto, tra le potreste della gente di braccianti e operai già allora dubbiosi che la siderurgia effettivamente si realizzasse, che issarono cartelli “Non basta la prima pietra, il quinto centro non ce lo darà nessuno”.

«Tutte le preoccupazioni e le perplessità della popolazione della zona e, allo stesso tempo, la piena consapevolezza che quanto finora sia è ottenuto è frutto delle lunghe lotte popolari (anche contro le provocazioni fasciste che qui spalleggiano gli agrari) – scrisse nella sua cronaca sull’Unità Franco Martelli allora – sono state espresse a nome della Cgil, della Cisl e della Uil dal compagno Alvaro il quale ha, anche, chiaramente indicato l’esigenza che la lotta prosegua per battere tutte le resistenze e avviare veramente la costruzione del Quinto Centro Siderurgico. Né – ha aggiunto ancora Alvaro – il conto coi lavoratori calabresi da parte del Governo può chiudersi qui, dal momento che anche altri impegni assunti sono ancora in gran parte da realizzare».

Una passerella per tutti

Durante la cerimonia presero la parola i dirigenti locali del Pci, del Ps, della Dc e della Psdi e il presidente della Regione Ferrara e il sindaco di Gioia Tauro Gentile. Come sospettavano gli operai, il Quinto Centro Siderurgico sparì ben presto e le sole opere realizzate furono il porto, la Diga sul Metramo e la Superstrada Jonio-Tirreno. Perché? Primo perché, allora, la siderurgia era già in crisi per cui realizzare un altro impianto siderurgico era praticamente inutile e, secondo, perché quelle opere civili servirono ad altro e cioè a far dare alle famiglie di ‘ndrangheta il salto di qualità, trasformando la loro dimensione agro pastorale in vere e proprie imprese criminali: nacque in quel modo la “‘ndrangheta imprenditrice”, che cominciò a mettere le mani sui cantieri con le guardianie e successivamente, grazie ai subappalti, a divenire unici fornitori di servizi ai mega Consorzi edili che stavano per realizzare il porto imponendosi con le forniture di cemento, movimento terra, ferro e altro. I boss divennero “imprenditori”, comprarono camion e ruspe e misero le mani sulla montagna di miliardi destinati alla costruzione del Porto, della Diga e della strada tra i due versanti della Provincia reggina.

Il progetto del Porto

Il progetto per la costruzione del porto prevedeva la realizzazione di “un canale della larghezza di galleggiamento variabile da 250 a 350 metri e della lunghezza di 3200 metri, che doveva avere regine dal bacino d’ingresso proteso a mare e protetto a due moli foranei convergenti. I quali formeranno un’imboccatura della larghezza di 300 metri al galleggiamento e di 220 metri a quota meno quindici metri. Il molo Nord, lungo 950 metri, raggiungerà con l’unghia della scarpata esterna il fondale di meno 50 metri, mentre quello Sud si spingerà fino a 440 metri dalla battigia raggiungendo un fondale di 35 metri. L’avamporto avrò un cerchio di diametro di 800 metri per l’evoluzione del naviglio all’attracco, mentre il banchinamento è previsto per oltre cinque chilometri, di cui tre saranno adibiti alle necessità del Centro siderurgico. Per le sue caratteristiche, il costruendo porto consentirà l’attracco di navi fino a 80mila tonnellate.

Tutte le infrastrutture al servizio dell’agglomerato di Gioia Tauro interessano una superficie di oltre 500 ettari; il consorzio industriale ha, fino a oggi, acquistato la disponibilità dell’area interessata alla realizzazione della prima fase dei lavori del porto, la cui ultimazione è prevista entro 40 mesi.

Per l’esecuzione dell’opera si calcola che saranno impegnate oltre duecentomila giornate lavorative. Si prevede che, entro il 1978, il complesso delle opere portuali e delle altre infrastrutture generali (con un ulteriore investimento globale di oltre 200 miliardi di lire) sarà completamente ultimato. Di tempo per finirlo ci sono voluti non 40 mesi, ma quasi 160 e quella somma totale di 200 miliardi in totale non bastò manco a realizzare meno di un quarto delle opere previste. La “grande piscina”, come veniva troppo affettuosamente chiamata in zona, nella quale brulicavano le cozze e le ostriche, restò tale per alcuni anni, prima che qualcuno pensò di utilizzarlo come terminal carbonifero, osteggiato per anni dalla popolazione. Poi arrivò il transhipment! Ma questa è un’altra storia. (ma)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud]

 

 

IL DIVARIO ASSURDO SULLA MOBILITÀ TRA
NORD E SUD: PERCHÈ SERVE CAMBIO PASSO

di LEANDRA D’ANTONEIl divario tra Centro-Nord e Sud nella dotazione e nella qualità delle infrastrutture della mobilità è ancora talmente vistoso da essere unanimemente denunciato, anche se purtroppo si tende ad indicarne le ragioni o in politiche pubbliche sin dall’Unificazione ostili al Mezzogiorno o in una presunta vocazione antropologico-culturale ultrasecolare del Sud all’arretratezza economica e civile.

Le politiche trasportistiche dello Stato italiano, al contrario di quanto dai più ritenuto, sono state per tutta l’età liberale sostanzialmente equilibrate verso le diverse aree territoriali italiane, interessare a valorizzare le risorse di ogni tipo ai fini della formazione della ricchezza nazionale. È significativo che alla vigilia della prima guerra mondiale l’Italia, dipendente dall’estero per le materie prime e capitali, fosse riuscita a pareggiare i conti con l’estero grazie alle esportazioni agricole, agroindustriali e minerarie di tutte le regioni italiane, particolarmente di quelle meridionali, ai noli della marina mercantile e alle rimesse dei milioni di emigrati oltre l’Atlantico partiti soprattutto dal Sud Italia.

La movimentazione delle merci in un sistema di scambi globali disponeva allora di un efficiente sistema intermodale ferrovia-mare, la rete ferroviaria attraversava l’intero territorio italiano ed era connessa con i principali porti del Mezzogiorno e delle grandi isole. Non si ricorda abbastanza che la spesa dello Stato italiano per infrastrutture di trasporto fu per oltre mezzo secolo equa riguardo agli investimenti ferroviari e che fu addirittura più vantaggiosa per il Sud quella per porti e la mobilità via mare; proprio per assecondare gli enormi flussi internazionali delle merci e degli uomini nel grande spazio della globalizzazione del tempo.

Alla vigilia della prima guerra mondiale il Pil del Sud Italia, nonostante lo sviluppo industriale fosse concentrato nel noto “triangolo” settentrionale, era l’80% di quello italiano, misurando una divergenza ancora fisiologica e non patologica. Nonostante la diversa intensità di diffusione nelle regioni meridionali, nelle più grandi città del Sud i servizi urbani della mobilità non differivano sostanzialmente da quelli del Centro-Nord favorendo l’intensa partecipazione delle classi alte e medie alla vivacità culturale della belle époque e simile accessibilità, non solo locale, ad incantevoli beni monumentali, architettonici, artistici e archeologici.

Alla fine della seconda guerra mondiale il divario di Pil tra Nord e Sud sia aggirava intorno al 50%. Ragioni storiche, due guerre mondiali, l’autarchia e il riarmo, avevano determinato la contrazione degli scambi internazionali, deleteria per il Sud d’Italia peraltro teatro di gravissime distruzioni belliche infrastrutture della mobilità. Tuttavia le prime scelte trasportistiche davvero dualistiche (contro le stesse intenzioni dei decisori) sono iniziate negli anni Sessanta del secolo scorso, paradossalmente nel segno di una idea di corto respiro della modernizzazione del Mezzogiorno.

La divisione dell’Italia in due diversi sistemi di trasporto e la disuguaglianza nel diritto alla mobilità si è radicata in occasione della realizzazione del sistema autostradale nazionale. Rispetto al sistema di rete a pedaggio del Centro-Nord, realizzato dalla Società autostrade a partire dall’autostrada del Sole da Milano a Napoli, l’autostrada del Sud da Salerno a Reggio Calabria, sebbene capolavoro dell’ingegneria, fu realizzata con caratteristiche tecniche “minori” di strada superveloce, di collegamento in gran parte di montagna dovendo servire tre regioni tra Tirreno e Jonio, con più pendenze e dislivelli, senza corsia di emergenza e senza pedaggio. Autostrade di rete e di qualità superiore, localizzate nel Centro-Nord, hanno generato in seguito una rete ferroviaria migliore.

L’Alta velocità ferroviaria, realizzata negli anni Novanta, ha seguito esattamente i percorsi e la logica di rete delle autostrade del Centro-Nord fermandosi specularmente a Napoli e lasciando scoperto tutto il resto del Sud, i cui cittadini e sono ancora oggi costretti all’uso dell’autotrasporto e dell’auto privata per i percorsi più  brevi, e a quello assai più costoso dell’aereo per i collegamenti che nell’altra metà d’Italia si effettuano ormai a cadenze continue e in tempi rapidissimi su treni ad alta velocità a prezzi competitivi (peraltro le offerte low cost, limitatissime, non bastano a coprire gli scandalosi costi dei voli). Tutto questo è noto e talmente grave da aver recentemente reso prioritari, almeno nelle dichiarazioni d’intenti, investimenti nel Sud e nelle infrastrutture della mobilità come impegni fondamentali del Pnrr, attualmente in esecuzione con scadenza 2026.

Raramente sono stati specificamente esaminati gli effetti deleteri di tale dualismo infrastrutturale sulla accessibilità e sulla fruizione dell’immenso patrimonio culturale e artistico delle regioni del Sud. I flussi turistici nel Sud e Isole non raggiungono 1/5 di quelli nazionali; eppure vi si trova un diffuso tessuto di opere e testimonianze storico-culturali di eccellenza e rilevanza mondiale (lo dimostrano i molti siti Unesco al Sud). La qualità della fruizione è legata non solo all’organizzazione delle istituzioni culturali e alla stessa qualità delle comunicazioni locali (spesso gravemente carenti); è un vero handicap l’assenza di quella primaria capacità garantita dai collegamenti principali.

Nonostante notevoli miglioramenti intervenuti negli ultimi decenni nelle politiche europee e nazionali di valorizzazione del patrimonio culturale, il persistente gravissimo divario nel sistema di trasporti tra Centro-Nord e Sud, e soprattutto l’assenza dell’alta velocità ferroviaria in tutte le regioni meridionali inclusa Sicilia (quindi la connessione del Sud ai grandi corridoi intermodali paneuropei), influenza negativamente non solo la fruizione del patrimonio culturale urbano, ma anche dei tanti musei e parchi archeologici delle aree interne.

È significativo che nella classifica per visitatori dei primi 30 siti museali ed archeologici italiani figurino ancora solo 6 siti meridionali, tutti in Campania (quasi tutti nell’area napoletana). Unica eccezione è stata recentemente la Valle dei Templi di Agrigento, la più estesa area archeologica europea e del Mediterraneo, che solo nel 2023 ha superato con oltre un milione di visitatori annui il Museo Egizio di Torino (comunque a fronte degli oltre 12 milioni di visitatori annui del Colosseo). Eppure oltre il 50% dei siti archeologici italiani si trova al Sud; eppure la Sicilia è un parco archeologico a cielo aperto con le sue note numerose aree archeologiche patrimonio dell’Unesco.

Un esempio lampante della correlazione critica indicata è il caso dei Bronzi di Riace. Restaurati a Firenze nel 1980 ed esposti per 6 mesi al Museo archeologico di Firenze hanno avuto in 6 mesi oltre 400.000 visitatori; quindi, esposti al Quirinale, in soli 12 giorni hanno avuto 300.000 visitatori. Dal momento del trasferimento al Museo archeologico di Reggio Calabria ad oggi, il picco in un anno ha raggiunto 230.000 visitatori, con concentrazione nella stagione turistica estiva. È che valorizzazione del patrimonio museale e archeologico nel Sud è notevolmente cresciuta negli anni Novanta grazie ad un risuscitato ”orgoglio culturale” dei sindaci (di diverso colore politico) di molte città meridionali verso i tanti beni culturali in passato sottoutilizzati e persino colpevolmente deteriorati in decenni di degrado dell’urbanistica e dell’amministrazione locale; e grazie alla centralità della valorizzazione dei beni culturali e ambientali della Nuova Programmazione per il Mezzogiorno a cura del Dipartimento per le politiche di coesione e sviluppo con fondi europei, istituito nel 1998 da Carlo Azeglio Ciampi e affidato alla direzione di Fabrizio Barca.

Per la migliore accessibilità del patrimonio culturale e artistico sono stati da fondamentali gli investimenti del DpS nella mobilità urbana con la realizzazione di nuove linee metropolitane e in quella di lungo raggio con nuovi aeroporti, oltre che col potenziamento degli aeroporti internazionali esistenti e dei collegamenti diretti con grandi capitali mondiali. Restano tuttavia ancora irrisolti i nodi strategici della disuguaglianza territoriale in ambito nazionale ed europeo. Anche ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale, continuo ad essere convinta che rimanga imprescindibile – anche ai fini dell’adeguamento dei collegamenti locali e delle aree interne – la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria e della viabilità sicura e innovativa lungo tutte le direttrici verticali e trasversali meridionali, Sicilia inclusa.

Questo rende imprescindibile la realizzazione del collegamento stabile stradale e ferroviario nello Stretto di Messina il cui progetto – di elevatissimo valore scientifico e positivo moltiplicatore di impatti, colpevolmente più volte accantonato per ragioni squisitamente partitiche, sembra finalmente giunto alla fase di realizzazione. Il progetto di collegamento stabile contiene già nel suo stesso primato tecnologico mondiale, con 3.300 mt di campata unica e due torri alte 399 mt – il valore inestimabile di un bene ingegneristico-architettonico che arricchirà il grande patrimonio culturale meridionale, italiano ed europeo.

Peraltro, la progettazione urbanistica e di riorganizzazione territoriale si è avvalsa e continuerà ad avvalersi del contributo di grandi architetti, come già avvenuto grazie alla partecipazione di Daniel Libenskind, tra i più famosi architetti contemporanei al mondo, cui si devono tra l’altro opere come il Museo ebraico a Berlino e di Ground Zero a New York.

Il Pnrr ha avuto diverse formulazioni e diverse opere sono entrate e uscite da esso, fra cui proprio l’alta velocità ferroviaria fra Salerno e Reggio Calabria, di cui è ora in attuazione a carico del Pnrr solo il tratto campano da Battipaglia a Romagnano. In realtà pur annunciando radicali cambiamenti nella qualità delle dotazioni infrastrutturali del Sud, il Pnrr ha sin dalla sua prima formulazione destinato più risorse a porti, strade e ferrovie del Nord. Inoltre, riguardo alle principali opere ferroviarie in corso anche fuori dal Pnrr, la gran parte della Salerno-Reggio Calabria, la Napoli-Bari e la Palermo-Messina-Catania, sono in corso importanti lavori di ammodernamento e la realizzazione della vera alta velocità ferroviaria, quella che includerebbe, con qualità analoghe a quelle del resto del Paese e d’Europa, i cittadini e le risorse del Sud nel sistema della mobilità continentale con pari opportunità, pari diritti e pari libertà. Mi auguro che, essendo in corso la progettazione esecutiva della gran parte dei lotti, si possa ancora correggere l’attuale confuso indirizzo strategico e programmatico.

La piena valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale del Sud italiano fa parte di una compiuta visione identitaria europea, per una Unione europea oggi debole anche per aver finora mancato l’originaria promessa istituzionale, socio-economica e geopolitica mediterranea, più che mai indispensabile alla sua stessa sopravvivenza. (lda)

Tridico (M5S) lancia la mobilitazione per AV ferroviaria e le altre infrastrutture

L’europarlamentare del M5S, Pasquale Tridico, ha lanciato la mobilitazione per l’alta velocità ferroviaria e le altre infrastrutture, «a partire dai sindaci, per sconfiggere la linea del governo e del presidente Occhiuto».

«Siamo capaci di questo – ha aggiunto – e siamo capaci di protestare contro l’altro gigante che oggi impedisce qualsiasi idea di sviluppo, cioè la guerra. Con le risorse per il riarmo, non ci saranno i soldi per i diritti e – ha poi ammonito – i nostri figli non andranno a lavorare ma dovranno combattere».

Per l’europarlamentare, infatti, «è inaccettabile che ci venga venduto come salvifico il progetto del Ponte sullo stretto, che ci sottrae fino a 17 miliardi di euro ed è inutile, dannoso, tecnicamente impossibile e ambientalmente suicida».

«Questo mentre ci dicono No a una variante del tracciato e persino a un collegamento allungato dell’Alta velocità ferroviaria sino allo Ionio», ha aggiunto nel corso di un dibattito pubblico sullo sviluppo delle aree interne, sull’Alta velocità ferroviaria e le altre infrastrutture necessarie alla Calabria, organizzato dal Gruppo territoriale del Movimento Cinque Stelle e svoltosi lunedì scorso nella sala consiliare del Comune di Castrovillari con la partecipazione dei sindaci di Castrovillari, Cosenza, Corigliano-Rossano, Acri, Cassano allo Ionio, Frascineto e San Fili, delle deputate M5S Vittoria Baldino e Anna Laura Orrico, di sindacati, associazioni e oltre un centinaio di cittadini.

«Ci sono due giganti – ha avvertito Tridico – che oggi impediscono lo sviluppo della Calabria, figli di una visione duale, divisiva e dominante della politica: uno è il ponte sullo Stretto, l’altro è la guerra con il riarmo. Finché non leviamo di mezzo il progetto del Ponte, che assorbe risorse, per tutte le priorità vere non ci saranno i fondi disponibili. Per questo dobbiamo sconfiggere due soggetti politici: il governo e il presidente Occhiuto, che condividono questa pericolosa visione duale e divisiva della politica, completamente sbagliata, e non rappresentano la maggioranza alla luce del dato sull’astensionismo».

«Il progetto dell’Alta velocità che propone il centrodestra – ha spiegato l’europarlamentare M5S – aumenterebbe ulteriormente il divario tecnologico e di sviluppo già accumulato dalla nostra regione. Avere le città collegate è una questione esistenziale per ottenere lo sviluppo che finora ci è stato negato. Il prossimo 10 maggio saremo tutti a Catanzaro per protestare contro la condizione della sanità, che è il declino assoluto della nostra regione».

«Questa è un’altra battaglia esistenziale che dobbiamo prendere tutti a cuore. Non esistono armi per fare la pace, esistono armi – ha concluso l’europarlamentare – solo per fare la guerra». (rcs)

L’OPINIONE / Orlandino Greco: SS 106, dopo anni si concretizza un intervento atteso e necessario per la Calabria

di ORLANDINO GRECO   Il vertice che si è svolto il 20 marzo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il Ministro Salvini, il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, l’AD di Anas, Andrea Gemme, e il nuovo commissario straordinario per la riqualificazione della Strada Statale 106 Jonica, Francesco Caporaso, segna un passo decisivo verso la realizzazione di opere fondamentali per il nostro territorio.

Nel corso dell’incontro è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento delle procedure per l’implementazione degli interventi di ammodernamento della Strada Statale 106 Jonica, per un importo complessivo di 3 miliardi e 800 milioni di euro.
La notizia che entro il 2 aprile sarà pubblicato il bando per l’appalto integrato dei due lotti della Sibari-Corigliano (circa 1 miliardo e 300 milioni di euro) ed entro maggio il bando per l’appalto integrato dei cinque lotti rimanenti della Catanzaro-Crotone (che, assieme a quello già appaltato, comporta un investimento di circa 2 miliardi e 200 milioni di euro) conferma che, finalmente, dopo decenni di colpevole dimenticanza, la Nazione Italiana ha ricominciato a investire concretamente nel Mezzogiorno, considerando la Calabria una risorsa da valorizzare e non un peso da sopportare.
Per troppi anni la SS 106 è stata sinonimo di ritardi, pericolo e isolamento, con conseguenze drammatiche in termini di incidentalità e limitazioni allo sviluppo economico. Queste opere, in aggiunta a tutte le infrastrutture complementari al Ponte sullo Stretto, come la Bovalino-Bagnara, ci consentono finalmente di parlare di una svolta concreta per la mobilità calabrese e per l’intero Mezzogiorno.
Un segnale forte anche in risposta a chi continua, colpevolmente, ad affermare che il Ponte rimarrà una cattedrale nel deserto. Al di là delle appartenenze politiche, bisogna prendere atto che il Governo e il Ministro delle Infrastrutture Salvini stanno dimostrando un concreto interesse per lo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno, consapevoli del fatto che solo infrastrutture moderne ed efficienti possono garantire un reale miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e offrire migliori opportunità di crescita alle imprese.
Italia del Meridione vigilerà affinché i lavori vengano eseguiti con la massima trasparenza ed efficienza, garantendo tempi certi e il rispetto degli standard di sicurezza. Il rilancio della SS 106 Jonica non è solo un investimento infrastrutturale, ma un atto di giustizia per la Calabria e per tutti i cittadini che ogni giorno percorrono questa arteria stradale e che da decenni attendevano questi fondamentali interventi di ammodernamento. (og)

INFRASTRUTTURE, AL SUD VINCOLATO IL
40% DEGLI INVESTIMENTI DEI FONDI PNRR

di ERCOLE INCALZA – Il Ministro Tommaso Foti lo scorso 7 gennaio ha dichiarato che «la spesa effettiva dei fondi Pnrr si attesta a circa 60 miliardi di euro di cui 22 miliardi nel 2024. Il 50% delle risorse spese rientra tra quelle a fondo perduto e i pagamenti effettivi sono superiori del 10 – 12% rispetto a quelli rilevati ufficialmente».

Appare evidente che, per centrare l’obiettivo di una piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), bisognerebbe spendere oltre 130 miliardi di euro in 18 mesi.

Questo ultimo dato dimostra che siamo già oggi di fronte alla constatazione che è impossibile rispettare la scadenza imposta dalla Unione Europea e, sempre il Ministro Tommaso Foti, di fronte a questa constatazione ha precisato: «Non dobbiamo avere l’incubo di spendere a tutti i costi perché vorrebbe dire spendere male. Se una quota non riesce ad essere spesa perché le misure non sono attrattive, dopo che le abbiamo cambiate, ben venga il prendere atto che ci sono misure che non hanno mercato».

Sulla base di questa obbligata constatazione il Ministro Foti ha anticipato che, entro il mese di febbraio, il Governo varerà un Piano in cui non compariranno più gli interventi irrealizzabili entro i prossimi sedici mesi e saranno inserite opere potenzialmente realizzabili entro la scadenza del giugno 2026.

In questa operazione, ha precisato sempre il Ministro Foti: «sarà inserito il vincolo di destinare almeno il 40% degli investimenti nel Mezzogiorno, anche perché il Mezzogiorno ha dimostrato di utilizzare al meglio i fondi e di farne volano per una crescita che, sempre nel 2024, è stata superiore a quella del Nord».

È quindi in corso, nei vari organismi preposti alla attuazione delle opere, nei vari organismi responsabili della progettazione e della realizzazione degli interventi, un lavoro capillare mirato a cercare da un lato possibili ulteriori modalità per velocizzare l’avanzamento delle attività e dall’altro identificare l’inserimento di interventi sostitutivi in grado di essere portati a termine entro il mese di giugno del 2026.

Senza dubbio questo si configura come un lavoro obbligato e, al tempo stesso, senza dubbio, tutto questo rappresenta un ultimo tentativo per evitare un vero e pesante fallimento nell’attuazione del Pnrr; un fallimento che l’ex Ministro Fitto aveva già cercato, riuscendoci, di ridimensionare trasferendo già molti interventi all’interno del Fondo Sviluppo e Coesione 2021 – 2027.

In altre mie note ho ricordato le grandi responsabilità dei Governi Conte 1, Conte 2 e dello stesso Governo Draghi nell’aver sottovalutato l’obbligato rispetto della “spesa” entro il mese di giugno del 2026 ed in particolare l’aver perso praticamente un biennio nella identificazione delle opere e nell’avvio concreto delle procedure di gara.

Oggi, quindi, non possiamo più rinviare questa triste fase di ammissione della impossibilità di attuare il Pnrr e, come ribadisco da almeno due anni, riconoscere che la possibilità della spesa non potrà attestarsi su un valore superiore alla soglia di 80 – 90 miliardi di euro.

Sempre in alcune mie considerazioni avanzate poche settimane fa ho precisato che dovremmo trovare delle soluzioni per evitare non solo di perdere circa ulteriori 120 miliardi ma di dover subire anche delle penalty.

Avevo anche ribadito che la corsa a cambiare il Piano attraverso l’inserimento di nuove opere e l’annullamento di altre ormai non più difendibili, sia una soluzione rischiosa anche perché l’annullamento di alcune opere scatenerebbe gli Enti locali (Regioni e Comuni), scatenerebbe alcune grandi Aziende come il Gruppo delle Ferrovie dello Stato, darebbe origine ad un vero contenzioso da parte del mondo delle costruzioni.

L’unica soluzione, o meglio, l’unico compromesso penso potrebbe essere quello di trasformare la quota a fondo perduto pari globalmente a circa 68 miliardi (di cui finora utilizzati circa 30 miliardi e per la data del 30 giugno 2026 spendibili fino ad una quota di 45 miliardi) in prestito (cioè dovremo trasformare in prestito un importo di circa 23 miliardi di euro) e incrementare gli interessi anche della quota in prestito restante e quindi dovremo definire con la Unione Europea un accordo attraverso il quale il  nostro Paese dovrà dal 2027 in poi onorare un prestito globale di circa 118 miliardi di euro  (23 miliardi di euro + 95 miliardi di euro).

Senza dubbio questa proposta trova un supporto adeguato nella serie di cambiamenti, nella gestione del nostro Paese, vissuti dal 2020 ad oggi; in soli quattro anni si sono alternati tre distinti schieramenti il primo con il Governo Conte appoggiato essenzialmente dal Partito Democratico e da 5 Stelle, il secondo con il Governo Draghi con la presenza di tutti gli schieramenti politici escluso quello di Fratelli d’Italia e dalla fine del 2022 ad oggi una compagine solida formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi moderati.

La instabilità dei Governi Conte 2 e Draghi ha inciso in modo rilevante sulla concreta attuazione delle scelte del Pnrr e questo penso possa essere una valida motivazione per supportare la proposta di rivisitazione avanzata non delle opere ma delle modalità di uso delle risorse.

La ipotesi avanzata dal Ministro Foti invece genera automaticamente, come detto prima, uno scontro con gli Enti locali, con le grandi Aziende come Ferrovie dello Stato ed Anas, una vera presa di posizione non solo degli schieramenti politici oggi alla opposizione ma anche di quelli che appoggiano il Governo.

Insisto, quindi, nel ribadire la opportunità di verificare attentamente la mia ipotesi di lavoro perché quanto meno evita: una riapertura procedurale delle istruttorie sulle nuove opere; un contenzioso tra le opere già assegnate anche attraverso l’attestato di “opera giuridicamente vincolante” (OGV); l’impossibilità di identificare in appena 20 mesi interventi capaci di essere portati a compimento entro il 30 giugno 2026

Una grave penalizzazione, soprattutto per il Mezzogiorno, in quanto le opere avviate dalle Ferrovie dello Stato e relative all’asse Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Catania e Catania – Messina, per un valore globale di circa 8 miliardi di euro sarebbero bloccate generando un contenzioso perdente per il committente pubblico.

Non credo che, in questo delicato momento storico, il Governo voglia incamminarsi verso una scelta divisiva e ingestibile. (ei)

UNA METROPOLITANA LEGGERA CAPACE DI
UNIRE I TERRITORI CON COSENZA E UNICAL

di FRANCO BARTUCCI – «Una metropolitana leggera in grado di unire davvero i paesi del litorale tirrenico, e di unire il Tirreno Cosentino all’università di Arcavacata e al capoluogo Cosentino, implementando anche il trasporto per e dall’aeroporto di Lamezia Terme. Un progetto ormai improrogabile e mai concretizzatosi negli anni».  A rilanciare l’idea di un mezzo di trasporto veloce di massa, anche in chiave turistica è stato il sindaco del comune di San Lucido, Cosimo De Tommaso

«Può esser gratuita per i fruitori perché utilizzerà le linee e l’impiantistica già presente sul territorio costiero e nell’attraversamento verso Cosenza e l’Università. Serve – ha proseguito il primo cittadino – ad unire i territori, evitando in realtà di isolare delle zone, anche dell’entroterra nepetino e della Riviera dei Cedri, che hanno difficoltà ad usufruire del diritto alla mobilità.  Finora, alcuni fattori e delle diversità di veduta hanno rallentato l’iter, ma l’opera è perfettamente realizzabile, risulta sostenibile dal punto di vista ambientale, e può definitivamente rilanciare la costa tirrenica, il capoluogo bruzio e la Calabria tutta».

De Tommaso ha poi proseguito: «Questa idea, gode già del sostegno di molti sindaci del territorio, è aperta a quanti vorranno sostenerla in un tavolo istituzionale con la Regione Calabria e la Provincia di Cosenza in prima battuta, ed è priva di colori politici e di primogeniture».

«La realizzazione di una metropolitana leggera – ha sottolineato il sindaco di San Lucido – consentirebbe anche a tantissimi abitanti della provincia di Cosenza di recarsi nelle località del Tirreno Cosentino con facilità e per tutto l’anno, incrementando le presenze nei nostri comuni, e darebbe la possibilità a lavoratori, studenti, e cittadini di recarsi a Cosenza, Università della Calabria, nell’hinterland, con facilità».

«Inoltre – grazie a questa opera – si devono realizzare collegamenti, anche con bus e navette, verso l’aeroporto di Lamezia Terme. Anche l’aspetto legato alla sicurezza è nevralgico. Le arterie stradali non sono più adatte e sicure per un’alta percorribilità, soprattutto nei mesi estivi. Una metropolitana leggera serve a decongestionare il traffico e se attiva anche di notte, specialmente in estate, si eviterebbero molti incidenti stradali, e sarebbe un mezzo utilizzato dai giovani per spostarsi in sicurezza.  Dalla SS.18, alla Statale 107, fino ai collegamenti ferroviari, è evidente che persistono delle carenze strutturali e logistiche che incidono negativamente, è innegabile. Non dobbiamo puntare il dito alimentando inutili polemiche nè possiamo aspettare la manna dal cielo».

De Tommaso ha concluso dicendo: «Serve un’idea radicale sia nel settore dei trasporti che in quello turistico, che sia fattibile e che non resti nel cassetto dei sogni. Auspico il coinvolgimento dei sindaci e degli amministratori di tutto il litorale al fine di realizzare quest’opera di elevata capacità molto simile alla classica metropolitana, di cui conserva le caratteristiche di totale separazione o assenza di interferenza con altri sistemi di trasporto».

Una proposta intelligente e fattibile che si sposa perfettamente con l’idea progettuale della “Grande Cosenza”, legata alla nascita dell’Università della Calabria, ch’ebbe nel suo primo Rettore Beniamino Andreatta il suo “testimonial” primario insieme al prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali, che guardavano con interesse a degli insediamenti universitari proprio nell’area di San Lucido.

La metropolitana leggera del Tirreno proposta dal Sindaco di San Lucido ha radici nella nascita dell’Unical

Nel 1971 con la scelta di insediare la nascente Università della Calabria a Nord di Cosenza, sui territori dei comuni di Rende e Montalto Uffugo, nella relazione tecnica allegata alla delibera adottata dal Comitato Tecnico Amministrativo (giugno/luglio 1971), venivano fatte delle raccomandazioni speciali, tra le quali la realizzazione della galleria Santomarco per consentire un collegamento veloce ferroviario Cosenza/Paola/Sibari con un hub di smistamento in contrada Settimo di Montalto Uffugo, utile per una metropolitana veloce di collegamento con Castrovillari.

Cosicché veniva fuori l’idea di un collegamento veloce sulla base di un triangolo rappresentato dalla trasversale Sibari/UniCal/Paola con l’asse Cosenza/Università/Castrovillari da formare un triangolo immaginario visibile con prospettive di interessi comuni di ricerca e sviluppo del territorio, il tutto nell’ottica di creare la “Grande Cosenza” con tutte le sue potenzialità dei beni presenti materiali ed immateriali nel contesto territoriale.

Nei padri fondatori dell’UniCal nell’impostare, sulla base della legge istitutiva, lo statuto, dopo aver scelto come luogo d’insediamento l’area a Nord di Cosenza sui territori di Rende e Montalto Uffugo, legandola a Sud alla Statale 107 Crotone/Cosenza/Paola e a Nord all’asse ferroviario Sibari/Cosenza(UniCal)/Paola, costeggiata dall’autostrada Salerno/Reggio Calabria, nasceva l’esigenza, prevedendo nello statuto l’istituzione della commissione di collegamento con gli enti esterni, di consentire, attraverso la nascita di quest’organo, la promozione e la stipula di contratti di convenzioni tra l’Università ed enti pubblici e privati.

Era il prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali a spiegare ancora meglio le sue funzioni della commissione, la quale doveva assumere un ruolo essenziale per consentire la progressiva integrazione organica fra l’Università e la comunità calabrese.

In effetti, la nuova Università della Calabria non è stata concepita come un campus, ossia come una comunità sostanzialmente isolata e autosufficiente., né dal punto di vista urbanistico né dal punto di vista umano e culturale; la nuova università deve invece collegarsi e integrarsi in tutti i modi con l’ambiente e la vita circostante e deve costituire un centro di propulsione da tutti i punti di vista.

Nasce con il presidente Paolo Sylos Labini il progetto di realizzare sul mare ed in particolare nell’area del comune di San Lucido l’idea di costruire vicino al mare un complesso residenziale universitario.

«Noi vogliamo fare dell’Università della Calabria un’istituzione – scrisse in una lettera inviata al Presidente della Provincia di Cosenza, Francesco De Munno, originario di Montalto Uffugo, componente del Comitato Tecnico Amministrativo dell’UniCal – dove la gente deve andare con piacere, non semplicemente perché c’è, nella legge, l’obbligo della residenza; ed anche una quota delle residenze sul mare, insieme cin tutto il resto, può contribuire a questo fine».

Nel 1972 Andreatta in persona volle avere l’esperienza, per conoscere il territorio, di salire in trenino e sperimentare il tragitto: Paola/San Lucido/Falconara/San Fili/Rende/Quattromiglia/Cosenza, arrivando a deliberare di conseguenza quanto dalla comunità universitaria e dal territorio gli venivano sottoposte.

Infatti a metà novembre 1973 il sindaco di Cosenza, Fausto Lio, porta a conoscenza del Consiglio comunale che il Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta, prima della sua scadenza, aveva approvato una delibera con l’impegno di insediare delle residenze universitarie nel centro storico di Cosenza, per favorire l’integrazione con la città e per valorizzare con opere di restauro gli importanti valori storico- ambientale presenti. Contestualmente lo stesso organo approvò che delle attrezzature universitarie venissero localizzate sulla costa tirrenica ed in particolare nel centro di San Lucido, collegato alle attrezzature universitarie per la didattica e per la ricerca mediante un sistema di trasporto rapido ed efficiente (superstrada Cosenza/Paola e nuova ferrovia).

«Il centro universitario costiero sarà dotato di attrezzature residenziali, sportive, culturali e di alcune particolari attrezzature di ricerca (ad esempio un centro ittiologico), e rappresenterà un polo di notevole interesse per l’intero sistema dell’attrezzatura costiera della Calabria. In periodo estivo, potrà essere utilizzato per congressi, per manifestazioni, per studenti stranieri, per corsi di specializzazione».

Con l’abbandono del Rettore Andreatta e della conclusione del mandato del Presidente, prof. Paolo Sylos Labini, non si è verificato che gli organi accademici ed istituzionali del posto abbiano accolto il suggerimento o cercato di applicare la delibera adottata per un complesso di nuove situazioni apparse sul cammino di sviluppo dell’Ateneo, come la vicenda del terrorismo, che ha distratto molto e penalizzato lo sviluppo dell’UniCal secondo le indicazioni derivanti dalla legge istitutiva del 1968.

Nel frattempo in tutti questi anni l’Università della Calabria ha riservato verso la fascia tirrenica una certa attenzione, utilizzato due alberghi noti di Cetraro e delle Terme Luigiane per svolgervi numerosi convegni, seminari, workshop, corsi e scuole di specializzazione sia a carattere nazionale che internazionali.

Lode, quindi, alla proposta del sindaco di San Lucido, Cosimo De Tommaso, per avere lanciato la proposta di realizzare una metropolitana leggera sulla fascia tirrenica tra PraiaMare/Amantea con estensione verso Cosenza e l’UniCal, non trascurando i dovuti collegamenti per l’aeroporto di Lamezia Terme. 

Dopo oltre cinquant’anni è la volta buona per dare una risposta concreta alla realizzazione del sogno della “Grande Cosenza” di Beniamino Andreatta, che in termini pratici significherebbe portare a completamento il progetto dell’UniCal, con uno stato occupazionale maggiore soprattutto per la categoria giovani? (fb)

Saccomanno (Accademia Calabra): Ponte catalizzatore di tutti gli interventi previsti per Calabria e Sicilia

Il Ponte «è il catalizzatore di tutti gli interventi previsti per la Calabria e la Sicilia che ammontano a circa 80 miliardi». È quanto ha detto Giacomo Saccomanno, presidente dell’Accademia Calabra e componente del CdA della Società Stretto di Messina, nel corso del convegno “Il Ponte sullo Stretto. Straordinaria occasione di crescita e di sviluppo per il Meridione”, organizzato a Condofuri dall’Accademia Calabra e dall’Associazione Esserci per Condofuri.

L’evento è stato introdotto da Tommaso Iaria, ex sindaco e Capogruppo dell’opposizione del Comune di Condofuri.

Per Saccomanno, autore del libro “Questione Meridionale: forse è la volta buona”, «strade, rete ferroviaria, manutenzioni, che potranno, in pochi anni, trasformare le due regioni, realizzando infrastrutture che le comunità attendono da oltre 50 anni, almeno».

Saccomanno, poi, si è chiesto «come è possibile che per la SS 106 non vi siano i progetti per congiungere Catanzaro a Reggio Calabria, che per l’alta velocità non vi siano i progetti Praia-Reggio Calabria, come sia possibile che per l’elettrificazione della rete ferroviaria ionica si sta operando da qualche mese. Cosa hanno fatto gli amministratori negli ultimi decenni per cercare di infrastrutturare la Calabria?».

«La risposta molto semplice: tante chiacchiere e poi il nulla! Infine, lo stato del progetto Ponte: in poco tempo, grazie al lavoro del CdA e dell’Ad Pietro Ciucci non solo si è definito il progetto definitivo, ma non appena ci sarà l’autorizzazione del Cipess», ha concluso. (rrc)

ZES UNICA, UNA OPPORTUNITÀ DIMEZZATA
SE MANCANO ANCORA LE INFRASTRUTTURE

di MARIAELENA SENESE – La Zes Unica potrebbe rappresentare un volano di sviluppo per la Calabria, ma senza un adeguato potenziamento infrastrutturale il rischio è che resti un’opportunità dimezzata.

Non si può parlare di attrattività per le imprese se la Regione continua a essere tagliata fuori dai grandi assi di collegamento ferroviario e stradale. I dati, infatti, evidenziano che questa potenzialità è ancora frenata da ritardi e carenze strutturali. Con sole 24 autorizzazioni uniche rilasciate, rispetto alle 221 della Campania e alle 75 della Puglia, è chiaro che il nostro territorio non sta sfruttando appieno le possibilità offerte da questo strumento.

L’ennesima dimostrazione di questa logica penalizzante è il divario negli investimenti sull’Alta Velocità: il governo ha stanziato 8 miliardi di euro per il Nord e solo 3,8 miliardi per il Sud, escludendo di fatto la Calabria.

Se per Alta Velocità in Calabria si intende il solo tratto fino a Praia a Mare, allora stiamo parlando del nulla. Rete ferroviaria italiana ha annunciato che la progettazione dei lotti da Praia fino a Reggio è in itinere, ma senza l’affiancamento delle risorse necessarie questa fase resta solo un esercizio tecnico senza prospettiva concreta.

Oltre, poi, a garantire il finanziamento dell’Alta Velocità fino a Reggio Calabria, è essenziale valutare con attenzione il tracciato della linea AV, in particolare il passaggio da Tarsia. Se non si considera una connessione efficace tra la nuova linea ad alta velocità e l’area jonica cosentina, si rischia di investire risorse senza garantire uno sviluppo equilibrato del territorio.

Escludere dalla rete AV la parte jonica cosentina significa condannarla a un isolamento infrastrutturale perpetuo, con il rischio di aggravare le disuguaglianze già esistenti tra i diversi territori della Calabria.

È fondamentale che le istituzioni regionali e nazionali tengano conto di questa criticità, assicurando collegamenti efficienti tra la linea AV e la fascia jonica, affinché l’alta velocità diventi davvero uno strumento di crescita per tutta la regione e non solo per una parte di essa.

La Calabria sconta decenni di ritardi e mancati investimenti, con un gap infrastrutturale evidente rispetto al Centro-Nord e perfino rispetto ad altre regioni del Mezzogiorno. Non bastano fondi ordinari, servono risorse straordinarie, superiori a quelle destinate altrove, perché qui il ritardo accumulato è enorme. Servono certezze sui finanziamenti, non solo progetti sulla carta.

La Calabria ha bisogno di risorse straordinarie, superiori a quelle destinate ad altre regioni, perché i ritardi infrastrutturali accumulati in decenni di disinteresse sono enormi. Senza un piano serio per il potenziamento della rete ferroviaria e stradale, si condannerà la regione all’isolamento. Senza le risorse economiche necessarie questa progettazione resta solo un esercizio di stile.

Non si può ignorare  la situazione della Strada Statale 106 relativamente alla quale siamo ancora in attesa del decreto di nomina del commissario straordinario!!!!

Senza collegamenti moderni ed efficienti, la Zes rischia di rimanere un’operazione di facciata. Le imprese non investono in territori isolati, privi di connessioni rapide con il resto d’Italia e d’Europa. Il porto di Gioia Tauro, principale hub del Mediterraneo, può diventare un volano per l’economia regionale solo se supportato da una rete ferroviaria e stradale all’altezza delle esigenze produttive.

La Uil Calabria chiede con forza che si metta fine alla logica delle promesse. Se vogliamo che la Zes Unica diventi un vero attrattore di investimenti e non solo un’etichetta vuota, bisogna garantire alle imprese collegamenti efficienti e competitivi. Non si può parlare di sviluppo senza infrastrutture.

La Calabria non può permettersi di marciare con il freno a mano tirato. La Zes Unica, se accompagnata da un serio piano di potenziamento infrastrutturale, può diventare il motore di sviluppo che questa regione attende da anni. È tempo di abbandonare l’immobilismo e dare alla Calabria la dignità infrastrutturale che merita. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

Tavernise (M5S): Mese di febbraio cruciale per la Sila-Mare

Il consigliere regionale del M5S, Davide Tavernise, ha spiegato come le interrogazioni che ha presentato sulla situazione delle infrastrutture della Sibaritide, «nascevano dalla constatazione di continui ritardi in opere cruciali per il nostro territorio, una situazione che considero insostenibile e che ostacola lo sviluppo della regione».

«Ho sempre ritenuto che lo Jonio, “una Calabria nella Calabria”, meriti particolare attenzione da parte delle istituzioni», ha aggiunto, spiegando come nell’ultima seduta del Consiglio regionale l’assessore regionale Caracciolo «ha fornito un aggiornamento sullo stato dei lavori e sulle prospettive future».

«Per quanto riguarda la Ferrovia Sibari-Crotone, l’assessora – ha spiegato Tavernise – ha riconosciuto le difficoltà relative a questa infrastruttura, sottolineando che, nonostante l’individuazione delle sottostazioni, non sono ancora disponibili date precise per la riapertura della tratta. Questo rappresenta un notevole disservizio per gli utenti che quotidianamente utilizzano la linea».
«L’elettrificazione, bloccata – ha aggiunto – nonostante la sospensione della circolazione per l’Ertms, e il conseguente slittamento della riapertura, inizialmente prevista per gennaio e poi posticipata a giugno, restano elementi di preoccupazione».
«Passando alla SS106 Sibari-Coserie, l’assessora ha comunicato – ha proseguito il pentastellato – che la firma dell’accordo di programma tra Anas e Regione è prevista per il mese di febbraio. La conferenza dei servizi si era conclusa positivamente a giugno 2024 e i fondi risultano disponibili da dicembre».
«Infine, per la Strada Sila Mare, l’assessora ha ammesso i ritardi accumulati. È stato indicato il mese di febbraio come possibile data per la riapertura. Il crollo del viadotto Ortiano II continua a isolare comunità come Longobucco», ha ricordato il consigliere.
«Con queste interrogazioni – ha concluso – ho voluto portare all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica i ritardi che caratterizzano queste importanti opere infrastrutturali. L’obiettivo è quello di sollecitare un intervento deciso da parte della Regione e del Presidente Occhiuto per sbloccare i lavori e garantire ai cittadini calabresi un futuro migliore. Continuerò a monitorare la situazione e a fornire aggiornamenti in merito agli sviluppi futuri». (rrc)