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L’ORGOGLIO FERITO E SMARRITO DI REGGIO
LA CITTÀ È ABBANDONATA E NON “DECOLLA”

Un aereo di Ita, l'unica compagnia che vola su Reggio

di SANTO STRATI – La ricorrenza, qualche giorno fa, dell’anniversario della Rivolta di Reggio (sono passati 52 anni da quel drammatico “Buio”) ha dato sprone alla politica locale di esaltare e decantare i guai di questa città. Un’occasione ghiotta, a destra e a sinistra, per irridere reciprocamente l’avversario, insultarlo e attizzare il fuoco delle polemiche. Non è questo che serve a questa povera e dimenticata Città dello Stretto. 

Sono oltre 50 anni – verrebbe da dire – passati invano, nonostante le vittime, le devastazioni, le umiliazioni, gli sgarbi, le “rapine” (a volte palesi, a volte impalpabili) per depredare e saccheggiare l’ex capoluogo (che, comunque, non è rimasto a guardare), in nome di una presunta “superiorità”. Una stupida disfida a chi ce l’ha più lungo. 

Reggio e Catanzaro hanno sofferto in diversa maniera gli effetti della nascita delle Regioni: il capoluogo ha conquistato il “pennacchio” ma ha scoperto di essere pressoché invisibile e insignificante, vittima di una politica ad personam che si è dimenticata della città e dei suoi abitanti. Reggio s’è ritrovata “defraudata” del titolo, ma ha, apparentemente, reagito con orgoglio, mostrando – senza dubbio – di avere gli artigli, più di Catanzaro. L’errore per tutte e due le città è stato quello di guardare più all’apparenza che alla sostanza. La verità è che se Atene piange, Sparta non ride: Catanzaro è alle prese con una grave crisi identitaria che il nuovo sindaco Fiorita dovrà, con non poca difficoltà, cercare di superare e, possibilmente, far dimenticare. Catanzaro ha una sede universitaria che produce (ed esporta, ahimè) talenti in campo scientifico, ma a livello centrale non riesce a darsi una connotazione specifica su cosa vorrebbe (dovrebbe) diventare. Non hanno capito i catanzaresi (come non lo hanno capito i reggini) che se non si supera il gap della rivalità, delle tante Calabrie, non si va da nessuna parte. Occorre fare rete, occorre pensare in termini di regione coesa, unita nelle sue varie territorialità, a pretendere il rispetto del governo centrale, a esigere quello che tocca di diritto. Contro ogni idea di autonomia differenziata (che penalizza solo il Mezzogiorno col criterio della spesa storica) per presentare una grande idea di Calabria, unitaria in un comune obiettivo di crescita.

È un sogno, ma non è proibito crederci, a patto che in ogni singola realtà urbana  e provinciale si giunga a progettare e realizzare concretamente programmi di sviluppo che guardino alle nuove generazioni e interrompano la fuga di cervelli, qui inutilizzati, al Nord e all’estero valorizzati e “sfruttati” in maniera adeguata..

Quello che, tanto per centrare il tema, non sta accadendo nel Reggino. La città di Reggio sta vivendo una insopportabile involuzione che non trova spiegazione, se non nell’incapacità, conclamata, dei suoi amministratori e dei suoi politici di riferimento. Guardiamo a Cosenza: da borgo montagnolo è diventata una bella, piccola ma invidiabile, metropoli del Sud. La rigenerazione urbana ha dato i suoi frutti e oggi si possono cogliere i risultati che inorgogliscono l’intera regione. Il Censis ha promosso ai primi posti il sistema universitario dell’Unical (altra premiata fabbrica di cervelli con infelice record di esportazione). La città è viva, vitale, pronta alla sfida di un’ulteriore, ormai indispensabile, crescita, anche pensando al vecchio e contestato progetto di “Grande Cosenza” che prevede la fusione di Rende e Castrolibero nel capoluogo.

Invece, Reggio sta languendo, sta morendo, asfissiata dall’indifferenza e dalla cattiva gestione (?) della cosa pubblica. 

Basta fare un giro in città per domandarsi come sia possibile questo livello di abbandono e, a più riprese, di degrado sotto tutti i punti di vista. L’occasione del cinquantenario del ritrovamento dei Bronzi poteva essere l’occasione di rilancio in chiave turistica di una città che profuma di cultura in ogni suo angolo. Invece, l’unico profumo, pardon, olezzo, è quello della spazzatura che disegna un paesaggio intollerabile e indegno di una città civile.

Il deputato reggino Francesco Cannizzaro ha scritto l’altro ieri una bella lettera ai reggini invitandoli “a rialzarsi e combattere”, ma è stato sbeffeggiato da una sinistra che, da parte sua, mostra chiaramente di avere perso il senso dell’orientamento. Non che le dichiarazioni d’intento di Cannizzaro debbano essere considerate vangelo, tutt’altro, ma anziché costruire in questa città c’è l’innnata vocazione a distruggere e a impedire il benché minimo segno di apertura dall’una e dall’altra parte della contesa politica.

Cannizzaro, a rischio di cadere nel ridicolo, si lancia in una serie di affermazioni che non possiamo che ritenere oltremodo ottimistiche a proposito dell’Aeroporto dello Stretto: «abbattimento delle limitazioni, ammodernamento dell’aerostazione, piano integrato di collegamenti con i porti di Reggio e di Messina, reinserimento del personale ex Alitalia, coinvolgimento di compagnie lowcost». 

Ma di quale aeroporto sta parlando Cannizzaro? Di uno scalo fantasma, sicuramente, visto che l’abbandono è totale: bastano quattro sterpaglie a fuoco per cancellare i pochi voli rimasti. Sono trascorsi tre anni dal famoso 5 agosto 2019 quando venne annunciato in pompa magna l’utilizzo dei 25 milioni del famoso “emendamento Cannizzaro” che assegnava allo scalo quest’inaspettata dote finanziaria (incrementata poi di altre 3 milioni dai fondi di coesione). Bene di questi 28 milioni, dopo tre anni, non è stato speso un centesimo, non sono nemmeno stati indetti i bandi di gara per delle soluzioni che il viceministro leghista Morelli ha definito, senza giri di parole, ridicole e inutili. Al contrario, però, sono stati mandati a casa lavoratori che avevano esperienza e competenza, è stato ridotto al lumicino il traffico passeggeri con l’offerta volativa più assurda che uno scalo, in posizione strategica per servire anche la dirimpettaia Messina, potesse studiare. E nel frattempo c’è stata la crisi della ormai defunta Alitalia e il continuo depotenziamento anche dello scalo Sant’Anna di Crotone, a tutto vantaggio dell’aeroporto internazionale di Lamezia, che è molto vicino per come si presenta a uno scalo da terzo mondo. 

Quale criterio ha permesso di cancellare uno scalo che negli anni passati aveva un traffico di tutto rispetto e raccoglieva consensi per la puntualità e la funzionalità delle tratte servite? Quale miope strategia ha potuto fare in modo che lo scalo dello Stretto divenisse inutile e superfluo, quando, in realtà, la Citta Metropolitana ne avrebbe dovuto curare il rilancio e programmare il futuro? E forse è il caso di ricordare che la Ita, che è subentrata all’Alitalia, è tutta di proprietà pubblica: utilizza denaro dei contribuenti ma non ripaga gli stessi (quelli della Calabria) con una politica di sviluppo aeroportuale. Non ci sono scusanti per una società pubblica: le tratte si garantiscono anche se non producono ricavi, ma nessuno – a quanto pare – lo ha fino ad oggi rinfacciato ai responsabili amministrativi dell’Ita, che sullo scalo reggino mantengono l’indifferenza assoluta. Come nessuno si preoccupa di far valere il criterio della continuità territoriale per far risparmiare sul costo dei biglietti aerei. Reggio-Milano a 400 euro diventa un lusso (per Ita) che non si può più tollerare considerando che lo stesso volo da Lamezia costa otto volte di meno.

Del resto, le parole stanno a zero, parlano da soli i fatti. La presupposta limitazione al traffico aereo dello scalo che impedirebbe ai vettori charter e stranieri (in primis RyanAir) ad atterrare è in realtà una “burocratica” pratica di upgrading al tipo di pista che comporta semplicemente una formazione al simulatore di volo. Formazione che costerà al più qualche migliaio di euro per pilota e che società come RyanAir non hanno mai avuto alcuna intenzione di spendere. E ipotizzando qualche centinaio di migliaia di euro da investire, possibile che né alla Regione né alla Città Metropolitana (che pure buttano soldi in iniziative inutili e prive di ritorno) sia mai venuto in mente di mettere a disposizione la somma necessaria per formare i piloti delle compagnie sprovvisti della richiesta abilitazione per lo scalo dello Stretto? (I piloti dell’Alitalia ce l’avevano tutti…)

È mai venuto in mente a qualcuno, in Cittadella, che forse investendo qualche soldo sulle compagnie aeree si potrebbero incentivare i voli? Il volo del mattino richiede il pernottamento dell’equipaggio che arriva la sera prima: quanto costa alloggiare e offrire il soggiorno a 10-12 persone? È una spesa impossibile per la Regione? Se sì, dimenticatevi di decollare da Reggio al mattino. Dimenticatevi dell’aeroporto, e di qualsiasi idea di sviluppo turistico. 

Come vengono i turisti a vedere i Bronzi?  Atterrando a Lamezia o a Catania? E dire che la Regione ha stanziato ben 500mila euro da destinare ai collegamenti aeroporti-siti turistici: per Reggio (non ridete, per favore) la Regione investe per due mesi oltre 90mila euro per tre collegamenti “turistici” a mezzo bus. Per la cronaca, circa 15mila per la tratta Bagnara-Scilla-Villa S. Giovanni-Reggio-Aeroporto, circa 17 mila per la tratta Aeroporto-Reggio-Gambarie-S. Stefano d’Aspromonte e ben 58mila per la tratta Reggio-Bova Marina-Bovalino-Siderno-Marina di Gioia-Roccella Jonica-Caulonia. In buona sostanza 1.500 euro al giorno per compensare i bus turistici che collegheranno  l’Aeroporto dello Stretto. Per quali voli e quali passeggeri, rinunciamo, dolorosamente rassegnati, a domandare. (s)

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