DE LORENZO RINA (M5S)

Laureata in Giurisprudenza
Insegnante scuola superiore
Eletta alla Camera il 4/3/2018 (Uninominale Campania 06)
Nata a Cosenza il 15/12/1965

Gruppo MoVimento 5 Stelle, dal 27 marzo 2018

Componente della XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) dal 21 giugno 2018

  1. Proposte di Legge presentate come primo firmatario
  2. Proposte di Legge presentate come cofirmatario
  3. Proposte di Inchiesta parlamentare
  4. Interventi in Assemblea
  5. Attività in Commissione
  6. Interrogazioni e interpellanze
  7. Ordini del giorno
  8. Altre attività

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1. PROPOSTE DI LEGGE PRESENTATE COME PRIMO FIRMATARIO

(nessuna)

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2. PROPOSTE DI LEGGE PRESENTATE COME COFIRMATARIO

15 gennaio 2019 – PALLINI ed altri: “Modifiche all’articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di benefìci previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto, nonché riapertura dei termini per la loro fruizione” (1493)
(presentata il 10 gennaio 2019, annunziata il 15 gennaio 2019)

7 agosto 2018 – D’UVA ed altri: “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili” (1071)
(presentata il 6 agosto 2018, annunziata il 7 agosto 2018)

1° agosto 2018 – CIPRINI ed altri: “Modifiche al titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura” (1027)
(presentata il 31 luglio 2018, annunziata il 1° agosto 2018)

17 aprile 2018 – NESCI ed altri: “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” (513)
(presentata il 16 aprile 2018, annunziata il 17 aprile 2018)
Legge 7 agosto 2018, n. 99
Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2018

 23 marzo 2018 – DAGA ed altri: “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” (52)
(presentata e annunziata il 23 marzo 2018)

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3. PROPOSTE DI INCHIEST PARLAMENTARE

(nessuna)

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4. INTERVENTI IN ASSEMBLEA

Disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 9 maggio 2018, n. 44, recante misure urgenti per l’ulteriore finanziamento degli interventi di cui all’articolo 1, comma 139, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, nonché per il completamento dei piani di nuova industrializzazione, di recupero o di tenuta occupazionale relativi a crisi aziendali (A.C.583-A)

14 giugno 2018 – (dichiarazione di voto finale) RINA DE LORENZO (M5S). Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, gli ammortizzatori in deroga alla normativa vigente, cassa integrazione guadagni in deroga e mobilità in deroga, originariamente istituiti per i settori produttivi non coperti da tutele ordinarie di sostegno al reddito, sono stati spesso utilizzati in settori già coperti da strumenti ordinari, con lo scopo di prorogare la tutela a quelle crisi che avevano di fatto esaurito gli ammortizzatori ordinari.

La legge di bilancio per l’anno 2018 ha stabilito che, a sostegno dei piani di recupero occupazionale delle imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa, le risorse finanziarie residuali ripartite tra le regioni negli anni 2016 e 2017 per gli interventi di cassa integrazione guadagni straordinaria e di mobilità in deroga possano essere destinate, nell’anno 2018, alle medesime finalità. Alle imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa riconosciuta nel periodo dall’8 ottobre 2016 al 30 novembre 2017, che cessano il programma di cassa integrazione guadagni straordinaria tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2018, può così essere concesso in deroga ai limiti di durata massima un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, fino a un limite massimo di 12 mesi e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2018.

Ciò comporta un piano di recupero occupazionale che preveda specifici percorsi di politiche attive del lavoro concordati con la regione e finalizzati alla rioccupazione dei lavoratori. Con questo provvedimento si concede la proroga, fino al 31 dicembre, dei trattamenti di mobilità in deroga per i lavoratori delle due aree, Porto Torres e Portovesme, in scadenza nel corso del 2018.

In particolare, lo stabilimento Alcoa del Sulcis Iglesiente racconta una lunga e tormentata storia di crisi industriale ed occupazionale che nel dicembre 2014 registrò la messa in mobilità di 500 dipendenti destinati ad un futuro oscuro e incerto.

Nel 2016, un teamship tra il Ministero dello Sviluppo economico e l’Alcoa determinò l’interruzione del processo di smantellamento e la ricerca di un potenziale investitore, materializzatosi lo scorso anno con la cessione dello stabilimento Alcoa di Portovesme da Invitalia al gruppo svizzero Sider Alloys con l’obiettivo di rilanciare il sito industriale sardo.

Le proteste dei lavoratori dell’Alcoa dopo la chiusura dello stabilimento, saliti su un silos a 70 metri di altezza, hanno rappresentato il grido di dolore di centinaia di famiglie private del futuro e della dignità che solo il lavoro può dare. Una drammatica richiesta di aiuto che non può restare inascoltata, al fine di assicurare la ripresa del lavoro, la salvaguardia dell’occupazione e di un’attività produttiva, quella dell’alluminio, importante non solo per la Sardegna ma per l’economia nazionale, la cui interruzione ha depauperato il nostro tessuto sociale ed economico, togliendo prospettiva di un futuro all’Italia e rendendola più debole.

Gli operai dell’Alcoa sono il simbolo dell’Italia industriale che, dopo un periodo di eccezionale sviluppo, vive, da oltre un decennio, una crisi senza precedenti, per l’assenza di politica industriale che ha umiliato e messo il nostro Paese in posizione di totale subordinazione rispetto ai competitorstranieri e ha disperso un consistente patrimonio di competenze accumulate in decenni di attività, competenze che, invece, avrebbero potuto essere sfruttate per impostare i processi di riconversione.

Non possiamo relegare gli operai dell’Alcoa tra i forgotten men, gli uomini dimenticati, alle prese con la crisi dell’alluminio e ignorare una vertenza industriale iniziata, addirittura, sei anni fa, nel gennaio del 2012, quando la multinazionale americana fece sapere di voler chiudere l’impianto di Portovesme. Non possiamo farlo, perché vogliamo restituire dignità ai lavoratori, alle imprese e alle famiglie che sono i pilastri della nostra società, per evitare il rischio che l’Italia diventi una colonia industriale, a causa di una politica industriale incapace di creare le condizioni per lo sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza.

Il diritto al lavoro, riconosciuto all’articolo 1 della nostra Carta costituzionale, e il sistema della previdenza sociale, declinato nel successivo articolo 38, garantiscono la presenza, nel nostro ordinamento, di un insieme di strumenti giuridici che forniscono ai lavoratori di aziende in crisi una protezione sotto forma di previdenza, assistenza e sicurezza sociale. Il diritto alla sicurezza sociale e, dunque, agli ammortizzatori sociali può essere ricondotto all’interno del paradigma dei diritti sociali, in risposta a pretese, emergenti dalla società civile, di un intervento dello Stato ridistributivo, di uno strumento d’integrazione dell’individuo all’interno della collettività, per garantire a quest’ultimo il pieno svolgimento della sua personalità.

La tormentata storia della crisi industriale e occupazionale dell’Alcoa di Portovesme richiede, dunque, l’adozione di misure urgenti, volte a rifinanziare il capitolo degli ammortizzatori sociali, puntando su piani di nuova industrializzazione e sul recupero e la tenuta dei livelli occupazionali. Nessun lavoratore può essere lasciato solo e privo di ammortizzatori sociali nella nostra Repubblica fondata sul lavoro.

Il Ministero competente ha, quindi, ritenuto indispensabile reperire le risorse necessarie per ampliare il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali. Non a caso, per le sole aree di crisi complessa della Sardegna vengono stanziati ulteriori nove milioni di euro. Tali risorse consentiranno la prosecuzione dei trattamenti in corso e il recupero dei lavoratori che, pur avendone diritto, non ne avevano fatto domanda.

Il provvedimento non fa, invece, alcun riferimento alla cassa integrazione straordinaria in deroga per ulteriori sei mesi, scadendo l’attuale trattamento al 30 giugno 2018. La platea potenziale interessata risulta essere pari a circa mille lavoratori.

Pur evidenziando nel provvedimento l’assenza del riferimento alla cassa integrazione straordinaria in deroga, noi esprimiamo il voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

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5. ATTIVITÀ IN COMMISSIONE

XI COMMISSIONE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO)

Sede Referente
Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili. C.1071 D’Uva ed altri

27 settembre 2018 – Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, segnala preliminarmente che la proposta di legge n. 310, a prima firma della deputata Meloni, consta di un unico articolo e ripropone integralmente il testo della proposta di legge che, nel corso della XVII legislatura, la Commissione Lavoro ha esaminato (C. 1253/XVII legislatura).
L’articolo 1 dispone, al comma 1, il ricalcolo con il sistema contributivo dei trattamenti pensionistici i cui importi risultino superare complessivamente, anche in caso di cumulo di più trattamenti pensionistici, dieci volte l’integrazione al trattamento minimo dell’INPS (o, come forse sarebbe meglio dire, il trattamento minimo).
Il ricalcolo riguarda i trattamenti pensionistici obbligatori, integrativi e complementari, i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o a integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, compresi quelli erogati agli ex dipendenti del settore bancario e creditizio, nonché quelli corrisposti dai fondi di previdenza complementare e i trattamenti che assicurano prestazioni definite per i dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, compresi quelli derivanti dalla gestione speciale ad esaurimento di cui all’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761 (ex dipendenti delle unità sanitarie locali), e quelli erogati dalle gestioni di previdenza obbligatorie presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale già addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette.

Sono esclusi dal ricalcolo le prestazioni di tipo assistenziale, gli assegni straordinari di sostegno del reddito, le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e le rendite erogate dall’INAIL.
Ai sensi del comma 2, tuttavia, il ricalcolo non può comportare la riduzione dell’importo dei trattamenti pensionistici al di sotto della soglia di importo pari a dieci volte il trattamento minimo INPS (pertanto, nel 2018, la soglia al di sotto della quale il trattamento pensionistico non potrebbe essere ridotto sarebbe pari a 5.074,60 euro mensili).
Il comma 3, infine, destina i risparmi di spesa conseguiti dall’applicazione del ricalcolo al finanziamento di misure di perequazione dell’integrazione al trattamento minimo INPS, dell’assegno sociale e dei trattamenti di invalidità corrisposti ai sensi della legge n. 222 del 1984.
La proposta di legge n. 294, sempre a prima firma Meloni, dispone all’unico articolo di cui è composta l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 3 della legge n. 564 del 1996. Si tratta della disciplina che prevede la possibilità per le organizzazioni sindacali di versare una contribuzione aggiuntiva in favore dei propri iscritti che, lavoratori dipendenti, esercitano attività sindacale in regime di aspettativa, disciplinandone, nel contempo, la valorizzazione in sede di determinazione della retribuzione pensionabile.

Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, ribadendo la finalità di ristabilire l’equità del sistema pensionistico adeguando i trattamenti percepiti ai contributi versati, assicura di tenere in giusta considerazione le osservazioni dei colleghi, anche se non condivide l’opinione di chi dubita della legittimità costituzionale delle proposte di legge.

Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, accoglie il suggerimento del collega Zangrillo di approfondire le tematiche in discussione e accetta volentieri le osservazioni giunte da chi ha maturato in tale campo una grande esperienza. Intende chiarire che, ogni qual volta ha fatto ricorso al termine «degenerazione», non ha inteso riferirsi ad altro se non ai cosiddetti «babypensionati», ovvero ai circa centomila soggetti che hanno avuto accesso al pensionamento a circa 35-39 anni e con un’aspettativa di vita di più di 80 anni. In ogni caso, conferma di essere favorevole a procedere ad un approfondito ciclo di audizioni, che metta in grado la Commissione di avere a disposizione gli elementi necessari alla decisione.

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25 settembre 2018 –Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, rileva che la proposta di legge n. 1071, che consta di sette articoli, prevede, all’articolo 1, il ricalcolo secondo il metodo contributivo dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili, pari a un complessivo trattamento pensionistico lordo di 90.000 euro. In particolare, il comma 1 prevede, a decorrere dal 1o gennaio 2019, il ricalcolo dei trattamenti pensionistici di importo pari o superiore a tale limite, liquidati a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria, mediante la riduzione delle quote retributive alla risultante del rapporto tra il coefficiente di trasformazione relativo all’età dell’assicurato al momento del pensionamento e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età prevista per il pensionamento di vecchiaia. In altre parole, più l’accesso al pensionamento è precoce, maggiore sarà la penalizzazione da applicare.
La disciplina del ricalcolo è applicata, ai sensi dei commi 2 e 3, anche alle pensioni in essere. In particolare, sulla base del comma 2, con riferimento ai trattamenti diretti decorrenti dal 1o gennaio 1996 al 1o gennaio 2019, le quote retributive sono ridotte alla risultante del rapporto tra il coefficiente di trasformazione vigente al momento del pensionamento relativo all’età dell’assicurato e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età riportata nella Tabella A allegata alla proposta di legge, che, a sua volta, ripropone la Tabella A allegata alla legge n. 335 del 1995 in vigore fino al 31 dicembre 2009. La norma prevede l’utilizzo del coefficiente di trasformazione relativo ai 65 anni di età anche nel caso di accesso al pensionamento ad un’età superiore.
Il comma 3 dispone l’applicazione ai trattamenti pensionistici liquidati prima del 1o gennaio 1996, pertanto i trattamenti calcolati interamente con il sistema retributivo, dei coefficienti di trasformazione in vigore fino alla data del 31 dicembre 2009, come riportato nella Tabella B allegata alla proposta di legge e disposto nella Tabella A della legge n. 335 del 1995.
La norma prevede, inoltre, al comma 4, l’applicazione del coefficiente di trasformazione relativo all’età di 57 anni nel caso di accesso al pensionamento ad età inferiori e, al comma 5, l’applicazione del ricalcolo alle quote retributive del reddito pensionistico complessivo, in caso di titolarità di più pensioni.
Rileva che, sulla base dell’articolo 2, la disciplina del ricalcolo è estesa agli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, che si adeguano nell’ambito della loro autonomia.
L’articolo 3 prevede l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Fondo risparmio, in cui confluiscono i risparmi ottenuti dal ricalcolo dei trattamenti pensionistici, destinati ad aumentare gli importi delle pensioni minime e delle pensioni sociali, secondo modalità stabilite da un successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Segnala, quindi, che, come disposto dall’articolo 4, l’applicazione del meccanismo di ricalcolo non può in ogni caso dare luogo ad un trattamento pensionistico o degli assegni vitalizi inferiore a 4.500 euro netti mensili, nonché perequazioni.
Osserva che l’articolo 5, fornendo l’interpretazione autentica dei commi 5 e 6 dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, dispone, con decorrenza ex tunc, che gli accrediti contributivi corrisposti dai lavoratori che svolgono attività sindacale concorrono alla formazione della quota di pensione il cui ammontare è calcolato sulla base della disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 503 del 1992 (cosiddetta quota b).
L’articolo 6, quindi, esclude dal ricalcolo introdotto dall’articolo 1 le pensioni di invalidità, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e quelli riconosciuti alle vittime del dovere o di azioni terroristiche.
L’articolo 7, infine, dispone in ordine all’entrata in vigore del provvedimento.
Il sistema di ricalcolo previsto dalla proposta di legge n. 1071 deroga sì al principio di affidamento, ma lo fa nel pieno rispetto del principio di ragionevolezza, considerato il fatto che si tratta di un provvedimento legislativo imposto da una situazione di grave crisi economica in cui ciascun contribuente – per beneficiare del trattamento pensionistico – deve versare i contributi previsti al riguardo dalla legge nel rispetto del principio contributivo che governa il sistema previdenziale e che si è reso ineludibile al fine di assicurare il rispetto del principio di equilibrio del bilancio dello Stato, principio tutelato a livello costituzionale dall’articolo 81 della Costituzione. Il ricalcolo con il metodo contributivo delle pensioni d’oro avente ad oggetto i soli trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili non potrebbe essere ritenuto incostituzionale, considerata la ratio che è posta alla base di tale intervento normativo. Questo intervento mira infatti a far fronte ad una situazione di grave crisi economica introducendo un vero e proprio correttivo ad alcune diseguaglianze esistenti tra i cittadini in materia previdenziale e facendo sì che il sistema previdenziale risponda al principio di equità. Con tale proposta di legge si intende eliminare il divario esistente tra la categoria di cittadini colpiti duramente dalla crisi economica (il riferimento è ai fruitori di assegni sociali o di pensioni minime) e la categoria dei cittadini privilegiati beneficiari delle pensioni d’oro. In tal modo verrebbe eliminato lo stato di iniquità sociale e verrebbe restituita l’equità al sistema previdenziale. Questo ricalcolo con il metodo contributivo delle pensioni d’oro si rende necessario al fine di assicurare il rispetto del principio di equilibrio di bilancio di cui all’articolo 81 della Costituzione, rispondendo dunque ad un fondamentale principio di rilievo costituzionale. Il primo comma dell’articolo 81 della Costituzione afferma infatti che: «lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Con tale proposta di legge si intende proprio tenere in adeguata considerazione l’attuale fase avversa del ciclo economico al fine di assicurare il rispetto del principio del pareggio in bilancio. Queste misure di ricalcolo rappresentano un vero e proprio sostegno previdenziale per i cittadini più deboli, nel pieno rispetto del principio di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione. Il ricalcolo dei trattamenti pensionistici rispetta i principi di proporzionalità e adeguatezza, considerata la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 4 della proposta di legge. Tale clausola fissa infatti un limite all’applicazione del meccanismo di ricalcolo, considerato il fatto che tale meccanismo non può in alcun caso comportare un ammontare del trattamento pensionistico o degli assegni vitalizi inferiore a 4.500 euro netti mensili, nonché perequazioni. Il limite all’applicazione del meccanismo di ricalcolo in 4.500 euro è stato individuato discrezionalmente e nel pieno rispetto del principio di ragionevolezza al fine di fornire in ogni caso ai beneficiari delle pensioni d’oro un trattamento pensionistico che risulti pienamente ed effettivamente adeguato a salvaguardare il loro tenore di vita. Con tale proposta di legge, nell’effettuare un bilanciamento tra diversi interessi di rilievo costituzionale, si è voluto tutelare anche il tenore di vita dei beneficiari delle pensioni d’oro, in considerazione del fatto che nello specifico si tratta di persone che sono state titolari di incarichi lavorativi altamente qualificati e in virtù dei quali percepiscono una retribuzione adeguata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto nel pieno rispetto dell’articolo 36 della Costituzione («il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»). Tale proposta di legge mira ad attribuire a questa categoria di lavoratori anche un trattamento pensionistico adeguato all’attività lavorativa da essi espletata, garantendo comunque il loro tenore di vita.
Il ricalcolo previsto dalla proposta di legge mira inoltre a ripristinare l’equilibrio intergenerazionale che è stato fortemente compromesso dal precedente sistema retributivo che governava il nostro sistema previdenziale. In base al sistema retributivo i lavoratori percepivano e percepiscono ancora oggi trattamenti pensionistici che risultano totalmente sganciati da quelli che sono i contributi da loro versati. Da tale sistema deriva il fatto che l’indicizzazione delle pensioni all’aumento del costo della vita rilevato dall’ISTAT viene, illegittimamente e irragionevolmente, ad essere posto a carico delle generazioni più giovani. Il legislatore intende tutelare anche il fondamentale diritto alla pensione delle nuove generazioni, già posto in serio pericolo dai precedenti governi, salvaguardandolo – in considerazione della grave crisi economica – proprio con il ricalcolo delle pensioni d’oro in base al metodo contributivo. Tale ricalcolo, oltre a favorire le fasce più deboli della popolazione che sono beneficiarie delle pensioni minime e delle pensioni sociali, è anche in grado di tutelare per la prima volta il diritto fondamentale alla pensione delle nuove generazioni.
Le pensioni d’oro possono essere oggetto di un ricalcolo con il metodo contributivo in relazione a quella parte del trattamento pensionistico non finanziata dalla contribuzione versata, considerato il fatto che soltanto questa parte del trattamento pensionistico può essere ridotta ad equità in presenza di un’insostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Soltanto le prestazioni pensionistiche che sono state effettivamente finanziate dal sistema contributivo versato sono le uniche effettivamente intangibili.
Il contributo di solidarietà sulle prestazioni pensionistiche – che qui giova richiamare – è una prestazione patrimoniale assoggettata a riserva di legge ex articolo 23 della Costituzione. La natura di prestazione patrimoniale di tale contributo è stata ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 173 del 2016, in cui la stessa Corte afferma al riguardo che: «Si è dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’articolo 23 della Costituzione, avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)». È la legge che impone la costituzione di un rapporto obbligatorio tra pubblica amministrazione e privato, indipendentemente dal volere di quest’ultimo: si coglie in tal modo il significato di prestazione imposta. La riserva di legge prevista dall’articolo 23 della Costituzione in materia di prestazioni patrimoniali è posta a presidio dell’interesse generale a una più equa ripartizione degli oneri economici tra i consociati. La prestazione patrimoniale si traduce sempre in un depauperamento economico per il debitore, incidendo la stessa negativamente sulla sfera patrimoniale del privato. Con il contributo di solidarietà in materia di pensioni siamo dunque in presenza di un provvedimento ablatorio obbligatorio. I provvedimenti ablatori obbligatori, pur avendo in comune con i provvedimenti ablatori reali (come l’espropriazione) un momento privativo ed un momento acquisitivo di un vantaggio a favore della pubblica amministrazione, se ne differenziano per l’assenza di un corrispettivo. Mentre nei provvedimenti ablatori reali è sempre prevista la corresponsione di un indennizzo da parte della pubblica amministrazione nei confronti del privato che subisce un sacrificio nell’interesse della collettività, nei provvedimenti ablatori obbligatori manca un corrispettivo.
La Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata afferma che: «In tale prospettiva, è indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile. Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale come misura di solidarietà forte, mirata a puntellare il sistema pensionistico e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori – endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico) – che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato.
In merito al principio di irretroattività delle leggi occorre sottolineare il fatto che tale principio, pur costituendo un principio fondamentale dell’ordinamento, non ha un fondamento costituzionale (ad eccezione della previsione dell’articolo 25 della Costituzione limitatamente all’irretroattività della legge penale incriminatrice) e può in teoria essere derogato. Il legislatore, infatti, fermo restando il predetto limite dell’irretroattività della legge penale, può emanare norme con efficacia retroattiva a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. La retroattività che caratterizza tale proposta di legge è pienamente giustificata dalla ragionevolezza che è posta alla base di tale intervento normativo.

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Sede Consultiva
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto». C.1160, approvata dal Senato, e abb. (Parere alle Commissioni II e XII)

9 gennaio 2019 – Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, segnala che la proposta di legge n. 1160, adottata come testo base nel corso dell’esame in sede referente, riprende sostanzialmente il contenuto di un testo approvato dal Senato della Repubblica nella scorsa legislatura.
Il provvedimento, che consta di nove articoli, non è stato modificato dalle Commissioni di merito e non presenta significativi profili direttamente riconducibili alle competenze della Commissione.
Infatti, l’articolo 1 dispone l’istituzione della Commissione di inchiesta sulla comunità di recupero per minori disagiati «Il Forteto», con il compito di svolgere accertamenti sulle eventuali responsabilità istituzionali in merito alla gestione della comunità medesima e degli affidamenti di minori, anche al fine di prospettare l’adozione di misure organizzative e strumentali per il corretto funzionamento della struttura.
L’articolo 2 definisce i compiti della Commissione; l’articolo 3 ne disciplina la composizione; l’articolo 4 rinvia a un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa la disciplina dell’attività e del funzionamento.
Sulla base dell’articolo 5, la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria; l’articolo 6 reca disposizioni in merito all’obbligo del segreto da parte dei membri della Commissione e del personale ad essa addetto.
Quanto all’organizzazione interna e alle dotazioni finanziarie della Commissione, l’articolo 7 dispone la pubblicità delle sedute e fissa un limite di spesa pari a 50.000 euro annui, a carico dei bilanci di Camera e Senato in parti uguali.
Come previsto dall’articolo 8, la Commissione completa i suoi lavori entro dodici mesi dalla sua costituzione.
L’articolo 9, infine, reca la previsione dell’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La proposta di legge n. 1160 ha dunque lo scopo di promuovere accertamenti sulle eventuali responsabilità istituzionali in merito alla gestione della comunità medesima e degli affidamenti dei minori, anche al fine di prospettare l’adozione di misure organizzative e strumentali per il corretto funzionamento della struttura.
Ricorda, quindi, che il fondamento costituzionale posto alla base della istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta viene rinvenuto nell’articolo 82 della Carta costituzionale. Tale norma stabilisce infatti: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria». Questa norma costituisce espressione della funzione di controllo delle Camere sull’attività del Governo e delle pubbliche amministrazioni. L’istituzione di tale Commissione, in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 82 della Carta costituzionale, si rende necessaria ai fini di un controllo, indispensabile per fare finalmente luce sulla tragica vicenda del «Forteto». Invero alla Commissione d’inchiesta sono riconosciuti gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria nel procedere alle indagini e agli esami, così come, peraltro, precisato anche dall’articolo 141, comma 2, del Regolamento della Camera nella parte in cui stabilisce che: «la Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria». I poteri coercitivi della Commissione costituiscono uno strumento indispensabile per un pieno ed effettivo esercizio del potere parlamentare d’inchiesta. Tale potere, munito di caratteristiche particolarmente importanti, rappresenta il più penetrante tra gli strumenti ispettivi e conoscitivi, grazie al quale il Parlamento può contribuire al raggiungimento della verità. Un parallelismo, quello tra i poteri delle Commissioni parlamentari d’inchiesta e quelli della magistratura, enunciato dall’articolo 82, comma 2, della Costituzione nel rispetto del fondamentale principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato.
La proposta di legge istitutiva della Commissione d’inchiesta sul «Forteto» è diretta a fare luce su una vicenda dai risvolti particolarmente gravi in quanto violativi dei fondamentali diritti umani: una pagina drammatica e dolorosa della storia del nostro Paese su cui va fatta chiarezza per contribuire a rendere giustizia alle vittime segnate duramente dall’esperienza della permanenza presso la comunità «Il Forteto», luogo in cui sono stati posti in essere reati particolarmente efferati ed aberranti. Si tratta di un’iniziativa importante diretta ad assicurare il rispetto della persona in quanto tale (in quel luogo in cui qualunque forma di rispetto è risultata completamente azzerata) e rivolta a salvaguardare i diritti dei minori che verranno affidati in futuro alla stessa struttura. Occorre far chiarezza, nei suoi contorni più dettagliati e specifici, su una vicenda caratterizzata dalla lesione dell’incolumità fisico-psichica dei minorenni e non, fortemente calpestata per decenni all’interno del «Forteto». Le cronache hanno, infatti, parlato di «comunità-setta» e «comunità-lager» ancora diretta, fino al commissariamento a seguito della decisione del Ministero dello sviluppo economico, dai fedelissimi del titolare della stessa condannato in via definitiva con la sentenza della Cassazione.
Ricorda, quindi, che la vicenda ha inizio nel 1977 nel comune di Barberino, in cui nasce la comunità «Il Forteto», ad opera di una trentina di giovani occupanti di un casolare, insieme all’azienda agricola destinata a radicarsi nel territorio come baluardo del «made in Tuscany» alimentare. L’iniziativa è di due uomini: Roberto Fiesoli detto il profeta, capo indiscusso della comunità, e Luigi Goffredi, l’ideologo. Entrambi millantano titoli di studio in psicologia ed elaborano la teoria della cosiddetta «famiglia funzionale» che consiste nel cancellare i legami con i genitori naturali affidando i minori provenienti da situazioni disagiate (famiglie di tossicodipendenti o assenti) a due soggetti, un uomo e una donna, in maniera del tutto casuale, incuranti della relazione affettiva ritenuta nociva e slegati dal «fardello della materialità sessuale». In un mix pernicioso di Freud e Don Milani, al cospetto di politici, magistrati, dirigenti dei servizi sociali, inizia il dominio incontrastato della comunità «Il Forteto» che fino al 2010 accoglie circa ottanta minori e, come cooperativa occupa circa centotrenta dipendenti con un fatturato di decine di milioni di euro annui.
La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 13 luglio 2000, pronunziata in seguito alla denuncia di una madre cui era stato impedito di vedere i figli trasferiti in comunità, strappa un velo sulla drammatica storia della comunità degli abusi, avvolta da un’ingiustificata cortina fumogena, e condanna l’Italia ad una multa di 200 milioni di lire per danni morali, ma l’esperienza del «Forteto» continua a sopravvivere insieme al suo «guru» Roberto Fiesoli, occultando orrori e violenze di una società distopica immersa nel verde delle colline del Mugello.
In tale sentenza, la Corte Europea dei diritti dell’uomo afferma che: «questa situazione e i precedenti penali dei succitati responsabili avrebbero dovuto indurre il tribunale per i minorenni ad esercitare una maggiore sorveglianza riguardo al controllo dei bambini all’interno del «Forteto» e all’influenza dei responsabili in questione su di loro e sulle relazioni con la loro madre. Ora, questo non si è verificato. Infatti, i responsabili in questione operano in una comunità che gode di una ampia libertà e che non sembra sottoposta ad un effettivo controllo da parte delle autorità competenti. A questo riguardo, la Corte nota anche che il Governo convenuto non ha prodotto elementi sufficienti a dimostrare che le ispezioni semestrali del giudice tutelare, in virtù dell’articolo 9 della legge n. 184 del 1983, si siano effettivamente svolte. Dopo tutto, il Governo non ha prodotto nessun rapporto del giudice tutelare che faccia stato di tali ispezioni». Raccapricciante questo assunto della Corte Europea che sottolinea come vi siano gravi responsabilità ai vari livelli istituzionali – assistenti sociali, Tribunale dei minori, Governo – da parte delle autorità deputate al controllo.
Nella sentenza di cui sopra si sottolinea anche il rischio effettivo di un’amputazione delle relazioni familiari tra la prima ricorrente e i suoi figli: «riguardo all’assenza di limiti alla durata della collocazione presso «Il Forteto», la pratica mostra che quando il collocamento in comunità si prolunga, molti bambini sottoposti ad una tale misura, in realtà, non recuperano mai una vera vita familiare all’esterno della comunità. Quindi, la Corte non vede alcuna valida giustificazione al fatto che il collocamento dei figli della prima ricorrente non sia munito di un limite temporale, cosa che, inoltre, sembra andare contro le disposizioni pertinenti del diritto italiano, vale a dire l’articolo 4 della legge n. 184 del 1983. In realtà, l’assenza di limiti temporali alla collocazione e l’influenza negativa delle persone che, all’interno del Forteto, seguono i bambini, combinate con l’atteggiamento ed il comportamento dei servizi sociali, stanno avviando i figli della prima ricorrente verso una separazione irreversibile dalla loro madre e ad una integrazione a lungo termine nel Forteto».
La triste vicenda giudiziaria riguardante «Il Forteto» risulta, a suo avviso, espressiva di una gravissima e perdurante continuazione nel tempo (nei decenni) di reati violativi dell’incolumità fisico-psichica, del valore della vita, della libertà di autodeterminazione sessuale e della dignità umana: si tratta di diritti fondamentali della persona tutelati a livello costituzionale. La gravità della vicenda risulta ancora più accentuata dal fatto che la comunità «Il Forteto» è una comunità di recupero per minori disagiati, deputata quindi ad accogliere al suo interno dei soggetti particolarmente deboli al fine di favorirne la riabilitazione. Costituisce dunque un inquietante paradosso il fatto che proprio tale comunità, che avrebbe dovuto rappresentare un importante e sicuro luogo di accoglimento e di protezione dei minori disagiati e costruzione della loro personalità, abbia rappresentato invece un luogo deplorevole, all’interno del quale sono stati violati in maniera devastante i fondamentali diritti umani di tali soggetti. I gravissimi reati perpetrati e accertati all’interno di tale comunità erano abusi sessuali, maltrattamenti, pedofilia. I ragazzi minorenni presenti all’interno della comunità venivano assoggettati a violenze fisiche, psicologiche, morali e sessuali. Il bene-interesse giuridico protetto dai delitti sessuali viene individuato nella libertà sessuale della persona intesa come libertà di autodeterminazione sessuale del soggetto passivo del reato. Tale libertà rientra nell’ambito dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’articolo 2 della Costituzione ed è espressione della personalità di ciascun individuo. Si è dunque dinanzi ad un bene-interesse giuridico di fondamentale rilevanza che deve essere tutelato e che nel caso di specie è stato profondamente leso in relazione ai numerosi reati posti in essere ai danni delle vittime. L’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta ad opera di tale proposta di legge va dunque pienamente condivisa e si rende necessaria al fine di compiere ulteriori indagini e accertamenti finalizzati ad assicurare il ripristino del rispetto della dignità delle vittime all’interno della comunità, dignità non semplicemente violata, ma realmente annientata nel suo aspetto più intimo e delicato, quale quello relativo alla sfera sessuale, mediante la creazione di situazioni coercitive, violente, offensive, umilianti e intimidatorie da parte degli autori dei reati. Occorre evidenziare inoltre l’aggravante consistente nel fatto che tali abusi sessuali siano stati posti in essere in un contesto caratterizzato da una posizione di supremazia detenuta dai capi di una comunità definita dagli stessi giudici della Suprema Corte una «setta» in cui i minori, tutti già prostrati e resi fragili dalle originarie situazioni di degrado da cui provenivano, venivano piegati ai dettami delle teorie e pratiche dei soci della comunità.
Come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione III, nella sentenza n. 24979 del 22 dicembre 2017, l’abuso della posizione giuridica ad opera dei dirigenti della cooperativa/comunità nei confronti delle persone affidate o comunque presenti nella struttura per essere ivi protette, educate e, quanto a quelle maggiorenni, rispettate nel corso della loro permanenza in essa, non maltrattate e pregiudicate nella libertà sessuale, consentiva di imporre ai soggetti affidati, »con atteggiamenti mortificanti e soggioganti, un regime di vita che costoro non avevano scelto ma subìto, proprio alla luce della condizione di assoggettamento non solo economico ed abitativo nella quale le vittime si trovavano, e ciò a prescindere dalla loro minore o maggiore età».
Se all’epoca della commissione dei fatti fosse esistito nell’ambito del nostro ordinamento giuridico il reato di tortura, introdotto con l’articolo 1 della legge n. 110 del 2017 e disciplinato nel nuovo articolo 613-bis del codice penale, verosimilmente sarebbe stato ritenuto sussistente anche un simile reato da parte dei giudici, considerato il fatto che tale reato è posto a tutela dell’integrità fisica e psichica della persona, nonché della sua libertà personale e della sua libertà di autodeterminazione.
L’Unione Europea, di cui l’Italia fa parte, riveste un ruolo di notevole importanza nella protezione dei diritti umani (e in particolare di quelli del bambino) in tutto il mondo. L’articolo 6 della legge 27 maggio 1991, n. 176, con cui è stata ratificata e data esecuzione in Italia alla convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, stabilisce che: «gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita. Gli Stati parti assicurano in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo». Tale norma può dirsi effettivamente violata all’interno della comunità in questione, in cui è stato compromesso il libero ed effettivo sviluppo dei fanciulli, che hanno subito danni biologici, morali ed esistenziali inquantificabili. I trattamenti che hanno subito le vittime all’interno di questa comunità sono infatti disumani e degradanti. Autorevole dottrina afferma che: «circa gli effetti negativi a lungo termine, gli abusi sessuali su minori sono stati definiti una bomba ad orologeria psicologica, potendo seguire, ad un primo periodo senza significativi effetti, dei successivi disturbi di consistente rilievo».
Reputa evidente, alla luce di quanto esposto, la sussistenza di una situazione di negazione della realtà effettivamente e concretamente esistente all’interno della comunità «Il Forteto», già accertata con il primo processo in sede penale e che si è reiterata nel corso del tempo, anche in seguito alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Le Istituzioni non possono e soprattutto non devono in alcun modo essere colluse in siffatte tragiche realtà e non devono contribuire con il proprio operato ad occultare e/o a negare una simile realtà acclarata e accertata in sede giudiziaria.
Nel luglio del 2015, con delibera del Consiglio regionale della Toscana n. 48 del 28 luglio 2015, veniva istituita una Commissione d’inchiesta del Consiglio regionale sul caso «Il Forteto».
Nella relazione conclusiva di tale Commissione si riporta che: «Sembra assolutamente rilevante sottolineare che gli enti preposti agli affidamenti dei minori e al controllo sugli stessi siano venuti meno ai loro compiti istituzionali. In particolare il Tribunale dei minori ha continuato ad affidare i minori nonostante più volte documentata l’inaffidabilità del Forteto. Anche la Regione Toscana, come altri enti territoriali, nel corso dei decenni ha concesso finanziamenti pubblici alla cooperativa e/o alla fondazione Il Forteto, nonostante già esistessero sentenze di condanna passate in giudicato per reati specifici a carico di esponenti della comunità, e fosse quanto meno doverosa eticamente una maggiore prudenza. Infine risulta che gli stessi servizi socioassistenziali hanno svolto in maniera lacunosa e colpevolmente inadeguata il loro ruolo, venendo meno ai propri doveri di tutela e garanzia di soggetti particolarmente deboli ed esposti quali sono i minori affidati ad una comunità o ad una famiglia».
A suo avviso, lo Stato, in quanto massima istituzione, è tenuto a far luce sulle responsabilità istituzionali in merito alla gestione della comunità medesima e degli affidamenti dei minori, dando ampia rilevanza anche mediatica alla vicenda, al fine di evitare che simili tragici eventi possano nuovamente verificarsi nel nostro Paese, e la proposta di legge n. 1160, approvata dal Senato, recante l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso tale comunità ha la funzione di svolgere accertamenti e indagini con la volontà di comprendere anche le eventuali misure legislative da adottare al fine di prevenire simili inquietanti eventi caratterizzati da un vero e proprio degrado dell’umanità che si è perpetrato in uno Stato di diritto.
Condividendo le finalità del provvedimento, in considerazione dell’esorbitanza della condotta criminale accertata dalla magistratura e della necessità di far luce su una vicenda in cui hanno albergato storie di orrori troppo spesso colposamente taciuti, propone, in conclusione, di esprimere parere favorevole sul provvedimento in esame.

Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, ringraziando i gruppi di opposizione per il preannunciato voto favorevole sulla sua proposta di parere, desidera rassicurarli sul fatto che l’attività della Commissione d’inchiesta non potrà che essere limitata all’accertamento e alla verifica dei fatti verificatisi presso «Il Forteto». Rileva, inoltre, che i lavori della Commissione d’inchiesta potranno tener conto della copiosa giurisprudenza, anche europea, in materia. Sottolinea, infine, la necessità di prevenire per il futuro fenomeni di tale gravità, esercitando correttamente i poteri di controllo che l’ordinamento attribuisce alle istituzioni e alla magistratura.

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DL 91/2018: Proroga di termini previsti da disposizioni legislative. C.1117Governo, approvato dal Senato (Parere alle Commissioni riunite I e V)

10 settembre 2018 – Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, fa presente, in via preliminare, che nella relazione si soffermerà prevalentemente sulle disposizioni riconducibili alle competenze della Commissione.
Pertanto, segnala molto brevemente che l’articolo 1 riguarda gli enti territoriali, mentre l’articolo 1-bis reca disposizioni finanziarie per gli enti locali. Il successivo articolo 2 interviene in materia di giustizia. In particolare, al comma 3, proroga il temporaneo ripristino delle sezioni distaccate di tribunale ad Ischia, Lipari e Portoferraio e differisce di ulteriori due anni, al comma 3-quater, l’entrata in vigore della nuova disciplina dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense. L’articolo 3 reca disposizioni in materia di ambiente.
L’articolo 4, riguardante le infrastrutture, introduce, tra l’altro, proroghe in materia di corsi di formazione per gli addetti al salvamento acquatico (comma 2). A tale riguardo, precisa che il decreto-legge proroga nuovamente, al 31 ottobre 2019, l’entrata in vigore del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 29 luglio 2016, n. 206, per l’individuazione dei soggetti autorizzati alla tenuta dei corsi di formazione al salvamento in acque marittime, acque interne e piscine e al rilascio delle abilitazioni all’esercizio dell’attività di assistente bagnante, prorogando contestualmente alla medesima data le autorizzazioni all’esercizio di attività di formazione e concessione per lo svolgimento delle attività di salvamento acquatico, rilasciate entro il 31 dicembre 2011. Come si legge nella relazione illustrativa, l’ulteriore differimento dell’applicazione del decreto ministeriale si rende necessario a causa delle criticità emerse a seguito dell’ampliamento della competenza dell’Autorità Marittima anche alle procedure per il rilascio del brevetto per piscine e acque interne, e delle conseguenti ripercussioni sull’organizzazione complessiva dei servizi assicurati dagli Uffici territoriali del Corpo. La norma, inoltre, reca l’ulteriore proroga, al 31 ottobre 2019, delle autorizzazioni all’esercizio di attività di formazione e concessione per lo svolgimento delle attività di salvamento acquatico, rilasciate entro il 31 dicembre 2011. Ricorda che il già citato decreto ministeriale 29 luglio 2016, n. 206, individua i criteri generali per l’ordinamento della formazione dell’assistente bagnante in acque interne e piscine e dell’assistente bagnante marittimo e determina la tipologia delle abilitazioni rilasciate, individuando altresì i soggetti cui è riservata l’attività di formazione, nonché i contenuti dei corsi di formazione professionale e degli esami di abilitazione.
Dopo avere segnalato che l’articolo 4-bis proroga alcuni termini in materia di emittenti radiofoniche e televisive, osserva che l’articolo 5 interviene, al comma 1, in materia di politiche sociali, modificando i termini temporali di decorrenza della disciplina sulla precompilazione, da parte dell’INPS, della dichiarazione sostitutiva unica (DSU), relativa all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), e sopprimendo la previsione che la medesima modalità precompilata sia, a regime, l’unica possibile. Il comma 1-bis – approvato nel corso dell’esame in sede referente da parte delle Commissioni riunite I e V – proroga dal 30 settembre al 15 novembre 2018 la conclusione dei lavori della commissione tecnica istituita dalla legge di bilancio 2018 per studiare la gravosità delle occupazioni, anche in relazione all’età anagrafica e alle condizioni soggettive dei lavoratori e delle lavoratrici, anche derivanti dall’esposizione ambientale o diretta ad agenti patogeni.
Passa, quindi, all’articolo 6, che reca proroga di termini in materia di istruzione e università: segnala, in particolare, le disposizioni in materia di valutazione delle domande relative al V quadrimestre della tornata dell’Abilitazione scientifica nazionale (ASN) 2016-2018 (al comma 1); l’estensione all’anno accademico 2018-2019 della possibilità di attingere alle graduatorie nazionali ad esaurimento per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo indeterminato e determinato nelle istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM) (comma 2); la proroga delle procedure di selezione e delle graduatorie per le assegnazioni temporanee del personale da destinare alle scuole italiane all’estero (comma 3). Infine, i commi da 3-bis a 3-quater intervengono in materia di permanenza in servizio all’estero del personale scolastico, mentre il comma 3-quinquies prevede la possibilità per i docenti che hanno conseguito l’abilitazione entro l’anno accademico 2017/2018 di inserirsi nella fascia aggiuntiva delle graduatorie ad esaurimento (GAE); tali ultimi commi, tuttavia, approvati per errore nel corso dell’esame al Senato, sono stati soppressi con apposito emendamento da parte delle Commissioni competenti in sede referente.
Segnala che l’articolo 7 dispone espressamente con legge, coerentemente con quanto già previsto dalla legge di bilancio per il 2018, l’estensione anche ai soggetti che compiono diciotto anni nel 2018 dell’assegnazione della Carta elettronica per i giovani – la cosiddetta Card cultura – e che i successivi articoli 8 e 8-bis intervengono in materia sanitaria.
Rileva, quindi, che l’articolo 9, che introduce disposizioni riguardanti i territori colpiti da eventi sismici, al comma 1, modificando l’articolo 1-septies del decreto-legge n. 55 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2018, proroga i termini della procedura per il recupero degli aiuti, concessi nei territori dell’Abruzzo colpiti dal sisma del 2009, dichiarati illegittimi, disponendo che i dati relativi all’ammontare dei danni subiti per effetto degli eventi sismici e le eventuali osservazioni relative alle somme effettivamente percepite debbano essere presentati, a pena di decadenza, entro trecento giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento di recupero. Il comma 1-bis estende l’applicazione di tale disposizione anche ai contribuenti per i quali i termini di comunicazione dei dati siano scaduti precedentemente al giorno di entrata in vigore del decreto-legge in esame.
Ricorda che oggetto della procedura di recupero sono agevolazioni fiscali, previdenziali ed assicurative, dichiarate contrari ai Trattati dell’Unione europea e oggetto di recupero dai beneficiari in base alla decisione della Commissione europea C(2015) 5549 del 14 agosto 2015. Il termine oggetto di proroga, da centoventi a trecento giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento, riguarda la presentazione, a pena di decadenza, dei dati relativi all’ammontare dei danni subiti per effetto del sisma del 2009 e le eventuali osservazioni relative alle somme effettivamente percepite. Trascorso il termine, il Commissario straordinario quantifica, entro i successivi venticinque giorni, l’importo degli aiuti da recuperare, determinato come differenza tra il totale delle agevolazioni complessivamente concesse e l’importo dei danni ammissibili subiti da ciascun beneficiario.
Segnala, infine, che i commi 2-ter e 2-quater introducono disposizioni per permettere il regolare svolgimento dell’anno scolastico 2018-2019 nell’Italia centrale e nell’isola di Ischia, prevedendo, tra l’altro, la possibilità, già prevista per l’anno scolastico 2017-2018, per i dirigenti scolastici, di istituire con propri decreti, previa verifica delle necessità aggiuntive, ulteriori posti di personale, da attivare sino al termine dell’attività didattica dell’anno scolastico, nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA).
Rileva, quindi, che gli articoli 9-bis e 9-ter introducono proroghe di termini in materia, rispettivamente, di normativa per la prevenzione degli incendi nelle strutture turistico ricettive e di interventi eseguiti senza titolo abilitativo per immediate esigenze abitative a seguito degli eventi sismici. L’articolo 10 introduce disposizioni riguardanti la realizzazione dell’Universiade di Napoli 2019 e l’organizzazione del Gran Premio d’Italia di Formula 1 di Monza, mentre l’articolo 11 modifica alcuni termini in materia bancaria. L’articolo 11-bis dispone proroghe di termini al fine di consentire di allungare il piano di ammortamento dei mutui e dei finanziamenti per le famiglie e le piccole e medie imprese. L’articolo 11-ter prevede la riapertura dei termini per l’iscrizione e l’aggiornamento della posizione dei soggetti esercitanti le attività di agente e rappresentante di commercio nel registro delle imprese e nel Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative (REA). L’articolo 11-quater, infine, dispone la proroga per tutto il 2018 della partecipazione italiana all’aumento di capitale della Banca africana di sviluppo, al fine di consentire la conclusione del sesto aumento generale di capitale.
Segnala che l’articolo 12 dispone un rifinanziamento del Fondo per la concessione di contributi al pagamento degli interessi sui finanziamenti che gli istituti e aziende ammessi ad operare con il Mediocredito concedono per attività di sostegno all’export; l’articolo 13 modifica la disciplina dei criteri di utilizzo del Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese; l’articolo 13-bis riguarda la disciplina transitoria di recepimento della direttiva 2014/45/UE relativa ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi; l’articolo 13-ter introduce il diritto al compenso per il Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, vietato dalla legislazione vigente (articolo 63, comma 9, del decreto legislativo n. 179 del 2016, contestualmente abrogato). L’articolo 14, infine, dispone in ordine all’entrata in vigore del decreto-legge.

Rina DE LORENZO (M5S), relatrice, non ritiene di aderire alla richiesta del deputato Fatuzzo, confermando i contenuti della proposta di parere illustrata in precedenza.

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6. INTERROGAZIONI E INTERPELLANZE

 16 novembre 2018 – Interrogazione a risposta in commissione 5-00951

presentato da DE LORENZO Rina

Venerdì 16 novembre 2018, seduta n. 85

DE LORENZO, ILARIA FONTANA, VILLANI, VIZZINI, CUBEDDU, INVIDIA, TRIPIEDI, PERCONTI, DAVIDE AIELLO, COSTANZO, PALLINI, GIANNONE, SEGNERI, TUCCI, AMITRANO, DEIANA, FEDERICO, TERZONI, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, VIANELLO e IANARO. —

Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

l’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centrale (A.d.s.p.), con delibera n. 208 dell’11 luglio 2018, ha approvato il progetto esecutivo e il bando di gara per il nuovo terminal passeggeri alla calata Beverello di euro 17.900.000,00;

il progetto prevede la costruzione di importanti volumetrie in un’area a forte vocazione turistica (a ridosso di Maschio Angioino, Palazzo Reale, centro storico) ed è destinato ad avere un fortissimo impatto sul territorio, interessando un’area di oltre 14.000 metri quadrati, che prevede la realizzazione di due volumetrie (una di 2.400 metri quadrati ed una di 360 metri quadrati), caratterizzate da «strutture in calcestruzzo armato di geometria irregolare non standardizzabili e caratterizzate da una forte intensità di armature»;

il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 71 del 28 febbraio 2018 aveva disposto il finanziamento di 20.500.000 euro per la suddetta opera, nell’ambito dei fondi di cui all’articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017);

la Corte costituzionale, con sentenza n. 74 del 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, nella parte in cui non prevede un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale;

nonostante tale sentenza l’A.d.s.p. ha ritenuto possibile il finanziamento delle spese, anche con fondi propri dell’Autorità, per un massimo di 17.900.000 euro, disimpegnando fondi propri destinati a importanti interventi di manutenzione delle infrastrutture portuali;

dalla ricognizione degli atti pubblicati dall’A.d.s.p., risulta che il progetto del terminal Beverello è assistito dal parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 1088 CTVA del 26 novembre 2012 di «non assoggettabilità a V.I.A.» (ex articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006), avendo la commissione tecnica Vianas, con nota prot. CTVA n. 4286/2012, espresso il parere di non assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale;

dalla relazione dei progettisti si evince che il progetto ha subito notevoli modifiche rispetto alla versione del 2012 e da ciò sembra emergere che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare non abbia espresso una valutazione sull’attuale progetto;

la mancanza di tale parere aggiornato all’attualità avrebbe dovuto comportare la mancata validazione del progetto, a norma del decreto legislativo n. 50 del 2016, da parte del responsabile del procedimento con l’applicazione del quadro sanzionatorio di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 –:

quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di verificare se l’opera in questione, attesa la straordinaria rilevanza del sito e il notevole impatto sul territorio, sia stata correttamente valutata e se la stessa possa essere non assoggettata alle procedure di valutazione di impatto ambientale;

se il parere n. 1088 CTVA del 26 novembre 2012 del Ministero di «non assoggettabilità a VIA» e quello della commissione tecnica VIA/VAS (CTVA n. 4286 del 2012) possano ritenersi ancora validi ed efficaci, atteso il fatto che il progetto sottoposto al Ministero stesso nel 2012 è difforme da quello attualmente approvato e posto in gara;

se non si ritenga opportuno sottoporre il progetto attuale, nuovamente alla commissione valutazione impatto ambientale, al fine di una valutazione adeguata dell’opera, anche in relazione alla cancellazione della visuale libera del mare dalla viabilità urbana per effetto delle ciclopiche strutture in cemento armato che formano l’opera.
(5-00951)

– . –

12 ottobre 2018 – Interpellanza urgente 2-00138

presentato da DE LORENZO Rina

testo presentato Martedì 9 ottobre 2018

modificato Venerdì 12 ottobre 2018, seduta n. 62

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
Poste Italiane s.p.a. è una società partecipata dallo Stato, con quota del 29,26 per cento controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e del 35 per cento da Cassa depositi e prestiti;
Poste Italiane è concessionaria del servizio postale universale. Qualificata giuridicamente dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 13 del 2016 che gli ha riconosciuto la funzione di organismo di diritto pubblico, rientra nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici ai sensi di quanto previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 50 del 2016, in funzione del quale dovrebbe adeguarsi al rispetto del decreto-legge n. 87 del 2018, cosiddetto «decreto Dignità», contenente «disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» in quanto tale decreto-legge è diretto a tutelare la dignità dei lavoratori, a garantirli maggiormente e a ridurne il precariato;
da diversi anni la politica di riduzione del costo del lavoro promossa da Poste Italiane è proseguita senza limitazione. In particolare, negli ultimi 5 anni la forza lavoro occupata è costantemente diminuita. Dal 2012 ad oggi sono 7000 in meno i lavoratori impiegati; i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono scesi da 144 mila del 2012 ai 135 mila del 2016; i lavoratori a termine sono aumentati sino a superare la soglia di 6 mila occupati;
in data 13 giugno 2018, Poste Italiane ha sottoscritto con i principali sindacati del settore un accordo per le politiche attive del lavoro con il quale l’azienda, a fronte di una riduzione del personale di circa 15 mila unità entro il 2020, si è impegnata a sviluppare «politiche attive per almeno 6000 FTE complessivi», anche mediante l’assunzione a tempo indeterminato dei dipendenti che hanno lavorato e che lavorano per Poste Italiane con contratti a tempo determinato;
in data 23 luglio 2018, la redazione del quotidiano on line Il Desk, a quanto consta agli interpellanti, sarebbe stata contattata da numerosi lavoratori assunti da Poste Italiane con contratto a tempo determinato che avrebbero segnalato il clima di tensione presente in azienda poiché, in molte filiali, sarebbe stato comunicato verbalmente a migliaia di lavoratori titolari di contratti scaduti l’impossibilità del rinnovo degli stessi a causa del «decreto Dignità»;
la strumentalizzazione del «decreto Dignità» effettuata da Poste Italiane veniva messa in luce dal giornalista del quotidiano Il Desk che pubblicava, il 24 luglio, un articolo dal titolo «Siluro contro il decreto dignità, Poste Italiane licenzia 8 mila precari», i quali attualmente lavorano con contratti a tempo determinato nonostante circa 30 mila lavoratori delle Poste, che a settembre diventeranno circa 40 mila, attendano l’assunzione con contratto a tempo indeterminato;
in data 18 settembre 2018, in Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni alla Camera, si è svolta l’audizione dell’amministratore delegato di Poste Italiane, dottor Matteo Del Fante, sulle attività e sulle prospettive del gruppo. Del Fante ha illustrato l’esercizio del 2017 che ha avuto ricavi pari a 10,6 miliardi di euro, in linea con il precedente esercizio, e un utile netto di circa 700 milioni, in crescita dell’11 per cento rispetto al 2016. La raccolta finanziaria dai clienti è arrivata, a fine 2017, a 506 miliardi di euro e al 30 giugno 2018 era già a 510,3 miliardi. Una nota negativa risulta essere la perdita di 1 miliardo annuo per il servizio di posta;
nonostante i bilanci complessivamente più che in positivo, Del Fante ha spiegato che il gruppo non sta licenziando lavoratori ma che, anzi, sono previste circa 10 mila assunzioni nel periodo 2018-2022. Non ha però risposto alla domanda specifica riguardante le segnalazioni di numerosi lavoratori di Poste Italiane sugli avvisi ricevuti, da parte dell’azienda, dei licenziamenti conseguenti all’introduzione del decreto-legge «Dignità»;
nel corso della stessa audizione è stata rilevata la mancanza di un contratto collettivo nazionale unitario per la categoria dei postali, facendosi riferimento per il settore postale al contratto collettivo nazionale di lavoro Poste Italiane, al contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi postali in appalto e al contratto collettivo nazionale di lavoro Distribuzione, recapito e servizi postali. Ulteriori contratti utilizzati dalle imprese del settore sono: contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi ausiliari, fiduciari e integrati, il contratto collettivo nazionale di lavoro servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi, il contratto collettivo nazionale di lavoro Logistica, trasporto merci e spedizioni e il contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi ausiliari. La mancanza di una cornice contrattuale unitaria genera rischi di precarizzazione del lavoro, dumping e difetti di concorrenza –:
se il Governo sia a conoscenza delle sopraindicate segnalazioni, espresse da molti lavoratori di Poste Italiane, riguardanti gli avvisi di licenziamenti in relazione all’emanazione del decreto-legge «Dignità» e quali spiegazioni abbiano fornito in merito i dirigenti della società;
nel caso, quali siano gli orientamenti del Governo circa la condotta, ad avviso degli interpellanti intollerabile, dell’azienda che, in funzione del fatto di essere una società partecipata dallo Stato, dovrebbe ancor più assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico rinvenibile anche nella tutela del diritto all’occupazione stabile dei lavoratori, non ponendosi in netta opposizione rispetto alle direttive dettate dal decreto-legge «Dignità»;
quali iniziative, nell’ambito delle proprie competenze, il Governo intenda intraprendere nei confronti dell’azienda per far sì che la stessa si adegui al rispetto del dettato normativo volto alla tutela dei lavoratori mediante la loro stabilizzazione e alla loro piena occupazione;
se non si ritenga opportuno promuovere l’apertura di un tavolo di confronto per la stesura di un contratto collettivo nazionale di lavoro di settore applicabile alla categoria degli operatori postali.
(2-00138) «De Lorenzo, Davide Aiello, Amitrano, Ciprini, Bilotti, Costanzo, Cubeddu, Giannone, Invidia, Pallini, Perconti, Segneri, Siragusa, Tripiedi, Tucci, Vizzini, Del Sesto, Di Lauro, Di Sarno, D’Incà, D’Ippolito, Donno, Dori, D’Orso, D’Uva, Ermellino, Faro, Federico, Ficara, Flati, Ilaria Fontana, Frate, Frusone, Gagnarli, Galantino, Galizia, Gallinella, Gallo, Trano, Barbuto, Barzotti, Luciano Cantone, Carinelli, De Girolamo, De Lorenzis, Grippa, Liuzzi, Marino, Raffa, Paolo Nicolò Romano, Scagliusi, Serritella, Spessotto, Termini».

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10 ottbre 2018 – Interrogazione a risposta in commissione 5-00676

presentato da DE LORENZO Rina

Mercoledì 10 ottobre 2018, seduta n. 60

DE LORENZO, AMITRANO, VIZZINI, CUBEDDU, GIANNONE, PALLINI, COSTANZO e TRIPIEDI. —

Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

nel comunicato stampa della giunta del comune di Napoli del 21 settembre 2018 è scritto che: «nella notte tra il 24 e il 25 settembre in Piazza Plebiscito sarà installato il cantiere per eseguire le opere connesse con la realizzazione della ultima camera di ventilazione della linea sei, nella tratta Chiaia-Municipio, indispensabile per la sicurezza dell’esercizio di questa tratta. L’opera è costituita da un pozzo verticale, eseguito riutilizzando le opere esistenti realizzate in ambito LTR90, e un cunicolo orizzontale di diametro pari a circa 3.00 metri di collegamento alla galleria di linea. Lungo quest’ultima già sono in corso le opere di esecuzione del preimbocco al futuro collegamento. Il progetto è stato approvato con delibera di giunta 152/2018 e ha conseguito tutte le necessarie autorizzazioni – sovrintendenza, prefettura, vigili del fuoco, municipalità, uffici comunali, conferenza cantieri ed eventi»;

«Uno sfregio. Un’assurdità. Mettere delle grate al posto dei basoli di piazza Plebiscito, sia pure in un’area limitata, è un’offesa al nostro patrimonio culturale»: sono queste le parole di Tomaso Montanari, storico dell’arte il cui giudizio riguarda proprio i lavori da effettuarsi nella piazza più importante di Napoli;

forte è la preoccupazione degli interroganti per la scelta del comune di Napoli di eseguire i lavori in un luogo storico e culturale importante per la città e per il Paese considerato che non è stato tutelato il patrimonio culturale, non è stata garantita un’adeguata protezione dello stesso né la sua conservazione per fini di pubblica fruizione. Una scelta indecorosa non conforme al dettato costituzionale relativo alla salvaguardia e alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Scelta che intacca la cultura e la memoria storica dell’Italia e del suo territorio, il cui patrimonio storico, artistico e culturale è un bene di rilievo costituzionale tutelato dall’articolo 9, secondo comma, della Costituzione;

il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3669/2015 – relativa all’apposizione del vincolo indiretto di cui all’articolo 45 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sulla piazza del Plebiscito di Napoli – stabilisce che: «va innanzitutto ricordato che il principio generale del Codice espresso all’articolo 1, comma 2, per il quale la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura, non costituisce la fruizione pubblica e la valorizzazione del bene quale unica finalità della funzione, come sembra ritenere il primo giudice, ma iscrive anche la tutela a pieno e pari titolo (del resto, è del tutto evidente che la conservazione di un bene è il primo e ineludibile passo per la sua valorizzazione). Inoltre, deve essere ancora puntualizzato che non è il bene in sé a costituire oggetto della tutela, ma il valore che sul bene si esprime: perciò, non solo il singolo bene, ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale può richiedere una conservazione particolare: e a questo servono le eventuali prescrizioni di tutela indiretta, cioè il cosiddetto vincolo indiretto conformato dall’articolo 45 del Codice» –:

quali siano le motivazioni che hanno indotto la competente soprintendenza ad autorizzare i lavori per la realizzazione di una griglia di aerazione necessaria per i lavori della linea 6 della metropolitana in piazza Plebiscito;

nell’ipotesi in cui non sussistano delle congrue motivazioni a supporto dell’autorizzazione dei lavori sopra richiamati, quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di assicurare la necessaria e indispensabile tutela di tale bene culturale.
(5-00676)

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 5 ottobre 2018 – Interpellanza 2-00131

presentato da DE LORENZO Rina

Venerdì 5 ottobre 2018, seduta n. 57

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:

Poste Italiane s.p.a. è una società partecipata dallo Stato, con quota del 29,26 per cento controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze del 35 per cento da Cassa depositi e prestiti;

Poste Italiane è concessionaria del servizio postale universale. Qualificata giuridicamente dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 13 del 2016 che gli ha riconosciuto la funzione di organismo di diritto pubblico, rientra nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici ai sensi di quanto previsto dall’articolo 3 del decreto-legge n. 50 del 2016, in funzione del quale dovrebbe adeguarsi al rispetto del decreto-legge n. 87 del 2018, cosiddetto decreto dignità, contenente «disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» in quanto tale decreto-legge è diretto a tutelare la dignità dei lavoratori, a garantirli maggiormente e a ridurne il precariato;

da diversi anni la politica di riduzione del costo del lavoro promossa da Poste Italiane è proseguita senza limitazione. In particolare, negli ultimi 5 anni la forza lavoro occupata è costantemente diminuita. Dal 2012 ad oggi sono 7.000 in meno i lavoratori impiegati; i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono scesi da 144 mila del 2012 ai 135 mila del 2016; i lavoratori a termine sono aumentati sino a superare la soglia di 6 mila occupati;

in data 13 giugno 2018, Poste Italiane ha sottoscritto con i principali sindacati del settore un accordo per le politiche attive del lavoro con il quale l’azienda, a fronte di una riduzione del personale di circa 15 mila unità entro il 2020, si è impegnata a sviluppare «politiche attive per almeno 6000 FTE complessivi», anche mediante l’assunzione a tempo indeterminato dei dipendenti che hanno lavorato e che lavorano per Poste Italiane con contratti a tempo determinato;

in data 23 luglio 2018, la redazione del quotidiano on line «Il Desk», a quanto consta agli interroganti sarebbe stata contattata da numerosi lavoratori assunti da Poste Italiane con contratto a tempo determinato che avrebbero segnalato il clima di tensione presente in azienda, poiché in molte filiali sarebbe stato comunicato verbalmente a migliaia di lavoratori titolari di contratti scaduti, l’impossibilità del rinnovo degli stessi, sembrerebbe, a causa del «decreto dignità»;

la strumentalizzazione del «decreto dignità» effettuata da Poste Italiane, veniva messa in luce dal giornalista del quotidiano «Il Desk» che pubblicava, il 24 luglio 2018, un articolo dal titolo «Siluro contro il decreto dignità, Poste Italiane licenzia 8 mila precari», i quali attualmente lavorano con contratti a tempo determinato nonostante circa 30 mila lavoratori delle Poste, che a settembre diventeranno circa 40 mila, attendano l’assunzione con contratto a tempo indeterminato;

in data 18 settembre 2018, in Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni alla Camera, si è svolta l’audizione dell’amministratore delegato di Poste Italiane, dottor Matteo Del Fante, sulle attività è sulle prospettive del gruppo. Del Fante ha illustrato l’esercizio del 2017 che ha avuto ricavi pari a 10,6 miliardi di euro, in linea con il precedente esercizio, e un utile netto di circa 700 milioni, in crescita dell’11 per cento rispetto al 2016. La raccolta finanziaria dai clienti è arrivata, a fine 2017 a 506 miliardi di euro e al 30 giugno 2018 era già a 510,3 miliardi. Una nota negativa risulta essere la perdita di 1 miliardo/anno per il servizio di posta;

nonostante i bilanci complessivamente più che in positivo, Del Fante ha spiegato che il gruppo non sta licenziando lavoratori, ma che, anzi, sono previste circa 10 mila assunzioni nel periodo 1018-2022. Non ha però risposto alla domanda specifica riguardante le segnalazioni di numerosi lavoratori di Poste Italiane sugli avvisi, da parte dell’azienda, dei licenziamenti conseguenti al decreto-legge «Dignità»;

nel corso della stessa audizione è stata rilevata la mancanza di un contratto collettivo nazionale unitario per la categoria dei postali, facendosi riferimento per il settore postale al contratto collettivo nazionale di lavoro Poste Italiane, al contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi postali in appalto e al contratto collettivo nazionale di lavoro Distribuzione, recapito e servizi postali. Ulteriori contratti utilizzati dalle imprese del settore sono: il contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi ausiliari, fiduciari e integrati, il contratto collettivo nazionale di lavoro servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi, il contratto collettivo nazionale di lavoro Logistica, trasporto merci e spedizioni e il contratto collettivo nazionale di lavoro Servizi ausiliari. La mancanza di una cornice contrattuale unitaria genera rischi di precarizzazione del lavoro, dumping e difetti di concorrenza –:

se il Governo sia a conoscenza delle sopraindicate segnalazioni espresse da molti lavoratori di Poste Italiane riguardanti gli avvisi di licenziamenti in relazione all’emanazione del decreto-legge «Dignità» e quali spiegazioni abbiano fornito in merito i dirigenti della società;

qualora le segnalazioni rilasciate dai lavoratori di Poste Italiane risultassero vere, quali siano gli orientamenti del Governo circa la condotta, ad avviso degli interpellanti intollerabile, dell’azienda che, in funzione del fatto di essere una società partecipata dallo Stato, dovrebbe ancor più assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico rinvenibile anche nella tutela del diritto all’occupazione stabile dei lavoratori, non ponendosi in netta opposizione rispetto alle direttive dettate dal decreto-legge «Dignità»;

sempre se le segnalazioni rilasciate dai lavoratori fossero vere, se si intendano adottare iniziative nei confronti dell’azienda per far sì che la stessa si adegui al rispetto del dettato normativo volto a tutela dei lavoratori mediante la loro stabilizzazione e la loro piena occupazione;

se il Governo, intenda promuovere l’apertura di un tavolo di confronto per la stesura di un contratto collettivo nazionale di lavoro di settore applicabile alla categoria degli operatori postali.
(2-00131) «De Lorenzo, Vizzini, Tripiedi, Cubeddu, Tucci, Davide Aiello, Costanzo, Olgiati, Di Stasio, Caso, Buompane, Grimaldi, Currò, Amitrano, Pignatone, Scagliusi, Gagnarli, Sarli, Sportiello»

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13 settembre 2018 – Interrogazione a risposta scritta 4-01111

presentato da DE LORENZO Rina

Giovedì 13 settembre 2018, seduta n. 44

DE LORENZO, MACINA, PALLINI, TRIPIEDI, VIZZINI, INVIDIA, CUBEDDU, COSTANZO, DAVIDE AIELLO, AMITRANO e VILLANI. —

Al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:

forte è la preoccupazione degli interroganti per la crescita esponenziale di fenomeni di criminalità nei territori di Napoli, nei quartieri di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli interessati da quotidiani episodi di delinquenza e da recenti cruente aggressioni alle forze dell’ordine che riaccendono preoccupazione nei cittadini;

il fenomeno della microcriminalità e quello delle cosiddette «stese» rappresentano, ormai, non più episodi rari e isolati, ma costituiscono piuttosto espressione di pericoli costanti che ricadono negativamente sulla città e sulla sicurezza dei cittadini che vivono nella paura, invocando aiuti da parte delle istituzioni;

l’opera e l’impegno delle forze dell’ordine presenti sul territorio non sono sufficienti ad arginare fenomeni delinquenziali che aumentano sempre più e avvengono a tutte le ore del giorno sotto gli occhi della cittadinanza inerme, con gravi ripercussioni sull’ordine e sicurezza pubblica;

è lamentata dai cittadini l’esigua presenza numerica della polizia municipale nella città di Napoli;

l’articolo 1 del regio decreto n. 773 del 1931, Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza stabilisce che: «l’autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà»;

l’ordine pubblico e la sicurezza sono materie di rilievo costituzionale;

il Titolo V, Libro II, del codice penale punisce i delitti contro l’ordine pubblico al fine di assicurare una convivenza pacifica priva di violenza e di disordini che mettono in serio pericolo la sicurezza dell’intera collettività e la pubblica incolumità dei cittadini;

l’articolo 17, comma 1 della legge n. 128 del 2001, che disciplina gli interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini, prevede che: «il Ministro dell’interno impartisce e aggiorna annualmente le direttive per la realizzazione, a livello provinciale e nei maggiori centri urbani, di piani coordinati di controllo del territorio da attuare a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e comandi dell’Arma dei carabinieri e, per i servizi pertinenti alle attività d’istituto, del Corpo della Guardia di finanza, con la partecipazione di contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale, previa richiesta al sindaco»;

la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza è materia in cui si è avvertita la necessità di un coordinamento tra le istituzioni centrali e quelle locali;

l’articolo 7 della legge n. 125 del 2008 stabilisce che: «i piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1 dell’articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che possono realizzarsi anche per specifiche esigenze dei comuni diversi da quelli dei maggiori centri urbani, determinano i rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale della polizia municipale e provinciale e gli organi di Polizia dello Stato. Con decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da osservare per assicurare, nel corso dello svolgimento di tali piani coordinati di controllo del territorio, le modalità di raccordo operativo tra la polizia municipale, la polizia provinciale e gli organi di Polizia dello Stato»;

sussiste la necessità di adottare misure adeguate ad assicurare un pieno controllo del territorio da parte delle autorità competenti e delle istituzioni –:

quali iniziative si intendano adottare al fine di prevenire e reprimere fenomeni delinquenziali che minacciano costantemente la sicurezza sul territorio della città di Napoli;

quali iniziative si intendano adottare per controllare l’adeguatezza del coordinamento tra la polizia municipale, la polizia provinciale e gli organi di polizia dello Stato.
(4-01111)

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3 agosto 2018 – Interrogazione a risposta in commissione 5-00333

presentato da DE LORENZO Rina

Venerdì 3 agosto 2018, seduta n. 38

DE LORENZO, AMITRANO, TRIPIEDI, VIZZINI, TUCCI, PALLINI, DAVIDE AIELLO, COSTANZO, INVIDIA, SEGNERI, SIRAGUSA, CUBEDDU, PERCONTI, GIANNONE e VILLANI. — Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

il decreto-legge n. 95 del 2012 ha introdotto l’uso del registro elettronico a partire dall’anno scolastico 2012/2013;

l’articolo 7, comma 31, del decreto-legge sopra richiamato stabilisce che: «A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri on line e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico». Il comma 27 dell’articolo 7 di tale decreto prevede che: «Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca predispone entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto un Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie»;

il piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie non è stato ancora adottato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; l’adozione del registro elettronico non è obbligatoria e soltanto nell’ipotesi in cui il collegio dei docenti si esprima positivamente in favore della sua adozione, deliberandola, l’uso di tale registro diventa obbligatorio;

costituisce condizione imprescindibile per l’utilizzazione del registro elettronico il fatto che gli istituti scolastici siano dotati di un’efficiente connessione wireless e di infrastrutture e strumenti informatici tali da consentire ai docenti di operare in classe;

la dirigente scolastica della Sms «Quirino Maiorana» di Catania, Elvira Corrao ha irrogato delle sanzioni disciplinari nei confronti di docenti del suddetto istituto scolastico per la mancata compilazione del registro elettronico pur in mancanza di una delibera del collegio dei docenti sull’uso del registro elettronico. Dai verbali depositati dagli insegnanti si evince infatti che mai il collegio dei docenti di tale istituto scolastico abbia provveduto a deliberare sull’uso del registro elettronico, condizione quest’ultima necessaria ed imprescindibile per rendere obbligatorio l’utilizzo dello stesso registro nei confronti degli insegnanti di tutto l’istituto scolastico e che la stessa dirigente non abbia predisposto gli strumenti informatici indispensabili per la compilazione di tale registro;

in relazione al registro elettronico, tutte le scuole che hanno deciso di provvedere a una simile dotazione avrebbero dovuto necessariamente richiedere il parere consultivo del Garante per la protezione dei dati personali per accertare se la normativa in materia di privacy sia stata o meno rispettata;

a quanto consta agli interroganti la dirigente scolastica dell’istituto «Quirino Maiorana», Elvira Corrao, ha irrogato più sanzioni disciplinari nei confronti dello stesso docente per un medesimo fatto giuridico ovvero per la mancata compilazione del registro elettronico, a giudizio degli interroganti violando il fondamentale e superiore principio del ne bis in idem in virtù del quale uno stesso soggetto non può essere punito più volte per un medesimo fatto giuridico. La dirigente ha reiterato infatti l’esercizio del potere punitivo in relazione ad un fatto già contestato e sanzionato: secondo gli interroganti si è di fronte violazione di legge (in quanto la legge non ha qualificato come obbligatorio l’uso del registro elettronico), anche di eccesso di potere ovvero di cattivo uso del potere amministrativo. Il principio generale del «ne bis in idem» si pone a garanzia del giusto processo e la sua inosservanza determina una violazione dei diritti individuali dell’uomo di cui all’articolo 2 della Costituzione e del diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 della Costituzione. Nel caso di specie, ad avviso degli interroganti, non sussisterebbe un valido esercizio del potere disciplinare, ma al contrario un esercizio illegittimo di tale potere, considerato che l’infrazione contestata al docente attiene al mancato utilizzo del registro elettronico, utilizzo non deliberato dal collegio dei docenti e non ancora obbligatorio per legge –:

se sia corretto o meno l’operato posto in essere dalla dirigente;

quali iniziative abbia intrapreso in merito l’ufficio scolastico regionale della Sicilia consultato per dirimere la questione;

in che modo il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca stia provvedendo a predisporre il piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità di docenti, personale, studenti e famiglie, espressamente previsto e disciplinato dall’articolo 7, comma 27, del decreto-legge n. 95 del 2012, piano necessario e indispensabile anche al fine di superare tutte le problematiche verificatesi in ambito scolastico in materia di utilizzo del registro elettronico.
(5-00333)

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 10 ottobre 2018
nell’allegato al bollettino in Commissione VII (Cultura)
5-00333

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