SUL RECOVERY IL DOCUMENTO PROPOSTO DA GIANNOLA (SVIMEZ) E AUTOREVOLI PERSONALITÀ CONTRO IL DIVARIO;
Manifesto per il Sud

IMPEGNO BIPARTISAN PER IL MEZZOGIORNO
MANIFESTO PER IL SUD CONTRO LA ‘MIOPIA’

Bastano i nomi dei promotori per garantire il successo dell’iniziativa e spiegare perché sta riscuotendo così tanto successo: il Manifesto per il Sud è stato predisposto dal presidente Svimez, Adriano Giannola, con un comitato che vede la partecipazione di Gerardo Bianco (Animi), Giuseppe De Natale (ex direttore dell’Osservatorio vesuviano oggi all’Ingv), l’ambasciatore Mario Bova, Francesco Venerando Mantegna (Comen), Antonello Fiore (presidente società italiana di geologia ambientale), l’ex presidente della commissione Esteri del Senato, Gian Giacomo Migone e Vittorio Daniele (Università Magna Grecia). Il documento è una somma di idee e di proposte che difficilmente il Governo potrà ignorare. Le prime firme di adesione rivelano che non ci sono solo esponenti meridionali della politica e della società civile a voler sottolineare l’urgenza e la compattezza sul tema della ricucitura del Paese: figurano i rettori ed ex rettori come Gerardo Canfora (Sannio), Alberto Carotenuto (Parthenope), Fabio Pollice (Salento), Giovanni Puglisi (Enna), Roberto Tottoli (L’Orientale), Giovanni Di Giandomenico (Pegaso), Francesco Profumo (ex Politecnico di Torino, ex presidente del Cnr e ex ministro). Tra le altre firme di rilievo, quelle dell’economista Giulio Sapelli, di Francesco Barbagallo, Silvia Carandini, Cesare De Seta, Ugo Leone, Gabriele Lolli, Andrea Patroni Griffi, Giorgio Ventre, Nadia Urbinati (docente alla Columbia University), l’ex capo di Rai 3 Angelo Guglielmi e l’ex ministro Alessandro Bianchi.

Il testo affronta, ovviamente, le opportunità offerte dal Recovery Plan. Il Recovery Fund (Programma Next Generation EU), varato dall’UE – si legge nel documento –, destina 209 dei 750 miliardi di euro (28%) all’ Italia, con l’esplicito mandato di promuovere lo sviluppo sostenibile, di ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali, di sostenere l’innovazione tecnologica e accrescere la competitività: condizioni per far fronte all’emergenza del “grande malato” d’ Europa.
Coesione, disuguaglianze, sviluppo sostenibile e tecnologico – in chiaro – si chiamano Mezzogiorno. Con i parametri scelti per attribuire le risorse, (disoccupazione, reddito pro-capite, popolazione, perdita cumulata di PIL) 111 dei 209 miliardi di euro sarebbero riconducibili al Sud. Un dato, non una rivendicazione; una denuncia, che invita a por fine allo spreco di enormi potenzialità, ad arrestare la disgregazione frutto del crescente divario Nord-Sud e di quello, ancor più allarmante, tra Italia ed Europa, che coinvolge anche le regioni settentrionali.
«Il soccorso europeo non è filantropia, ma la presa in carico di una crisi verticale che viene da lontano, che la pandemia mette a nudo e che minaccia gli equilibri dell’Unione.
Consapevoli della necessità, delle motivazioni di un così rilevante soccorso e fidando sul controllo rigoroso, costante, efficace dell’uso dei fondi i sottoscritti chiedono con forza quanto segue:1) che le risorse siano utilizzate, in coerenza con i criteri individuati dall’ UE (in quota ben superiore al 50%), per promuovere la crescita economica del Meridione e riallinearne l’economia alle altre regioni italiane ed europee, affinché il Sud torni a contribuire allo sviluppo del Paese;
2) che le risorse siano prioritariamente indirizzate a bloccare il crescente divario infrastrutturale tra regioni meridionali e settentrionali d’Italia: colmare il deficit di reti stradali, ferrovie veloci, infrastrutture portuali e autostrade del mare, è essenziale per mettere a sistema un territorio oggi frantumato con aree costiere, porti ed aree interne reciprocamente inaccessibili;
3) che le infrastrutture siano funzionali alla rigenerazione urbana, alla mitigazione dei rischi naturali e in particolare del rischio vulcanico, che deve realizzarsi con la progressiva riduzione della residenzialità e densità abitativa nelle zone rosse, da riconvertire a vocazioni turistiche, culturali, di terziario avanzato e ad attività economiche compatibili con la natura dei territori. Tali interventi strutturali dovranno anche fornire un contributo decisivo alla mitigazione del rischio sismico ed idrogeologico. Il deficit di infrastrutture, materiali e immateriali, specie di tipo logistico, è cresciuto a dismisura nell’arco di oltre un ventennio, ostacolando lo sviluppo imprenditoriale ed industriale, disarticolando il territorio, pregiudicando la funzionalità dei porti del Sud, nonostante la posizione ideale per fruire dell’enorme sviluppo dei traffici che, dopo secoli, ha nuovamente posto il Mediterraneo al centro del commercio internazionale. Anche per effetto della pandemia, del re-shoring e dell’accorciamento delle “catene del valore”, questa centralità lo impone non solo come mare di transito, ma anche come area di scambio a servizio delle economie che su di esso si affacciano. Un mercato in crescita, in rapido sviluppo demografico, in stretta relazione con economie mature, ad alta tecnologia e industrializzate.
«L’imperdonabile miopia che ha determinato, con la ghettizzazione del Mezzogiorno, la dissipazione della “rendita mediterranea”, pone l’assoluta priorità al Recovery Plan di avviare la necessaria integrazione logistica per fruire appieno della “rendita posizionale” del Mediterraneo.
«Bloccare la crisi verticale dell’Italia, perno dello scacchiere, significa salvaguardare l’agibilità dell’Unione sul fronte Sud, di vitale importanza per l’appuntamento della UE del 2050.
Queste considerazioni sulle grandi opportunità non ancora raccolte impongono un’assoluta determinazione a dar corpo alla opzione euro-mediterranea, finora elusa, che si realizza nella “rivoluzione logistica” del Paese, sostenuta dal forte sviluppo delle energie rinnovabili, reso possibile dalle grandi risorse nazionali e dai carburanti alternativi, dalle connesse tecnologie sostenibili, per un minore impatto ambientale.
I necessari interventi infrastrutturali, di sistema, si accompagnano a importanti esternalità, come nel caso della TAV Salerno-Reggio Calabria indispensabile fattore di perequazione del diritto alla mobilità nel Paese o, parimenti, della linea ferroviaria TAV-TAC Napoli-Bari, funzionale al ‘quadrilatero’ delle Zone Economiche Speciali dei porti di Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro e che, al contempo, recupera Irpinia, Sannio e Murge dalla condizione di marginalità delle aree interne. La messa a sistema di collegamenti rapidi tra le ZES del meridione continentale e insulare contribuisce a completare le grandi direttrici d’Europa, mentre l’attivazione delle linee Tirrenica ed Adriatica di “autostrade del mare” integra Nord e Sud in un sistema logistico mediterraneo, sostenibile e multimodale, che offre all’ Europa un inedito, indispensabile Southern Range. Esso segna la rinascita del Sud come secondo-motore del Paese e conferisce contenuto effettivo alla opzione euro-mediterranea. Su queste linee, i sottoscrittori chiedono al Governo di far proprie le priorità esposte e di onorarle per le evidenze che la Ragione impone, con l’urgenza che la situazione comanda».

La parola passa ora a quanti sottoscriveranno questo Manifesto del Sud. Il leader del Movimento La Calabria che vogliamo Giuseppe Nucera ha affermato di sottoscrivere con assoluta convinzione questa petizione, perché il Recovery Fund destina risorse ingenti all’Italia con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali. Queste risorse – dice Nucera – servono per ridurre il grande gap che separa il Nord dal Sud, penso alla disoccupazione (7% contro il 17% del Meridione), l’Alta Velocità, le infrastrutture, la mancanza di opere strategiche che la costruzione del Ponte sullo Stretto potrebbe compensare. L’Europa ha capito che bisogna intervenire in questo senso, chi invece non è d’accordo è il Governo italiano, intenzionato a dirottare altrove le importanti risorse destinate al Sud.

«È ora di dire basta con questa politica clientelare – afferma con vigore l’ex presidente degli industriali reggini –, con l’abitudine di abbandonare il Meridione e lasciare da sola una terra ricca di potenzialità. Difenderemo con le unghie quanto stabilito dall’Unione Europea, le risorse previste devono andare al Sud. Profondamente innamorati della nostra terra, intenzionati a difenderla con orgoglio e passione, siamo pronti a scendere nelle piazze e manifestare in difesa delle nostre ragioni. Sulle risorse del Recovery Fund possiamo già assicurare che la nostra sete di giustizia non si fermerà sino a quando il Meridione non avrà quello che gli spetta, cosi come previsto dall’Unione Europea. Se il Governo italiano vorrà ancora una volta scippare il Sud togliendogli la possibilità di un futuro ricco di possibilità, arriveremo fino alla Corte di Giustizia Europea per far riconoscere i nostri diritti.

«Condividiamo pienamente quanto esplicitato nel ‘Manifesto per il Sud’, petizione che diffonderemo in tutto il Meridione grazie anche alla rete delle nostre migliaia di contatti. La nostra convinzione è che il Manifesto per il Sud possa rappresentare un importante contenitore di proposte fatto da uomini e donne che vogliono essere tra i protagonisti della rinascita del Mezzogiorno».

A oggi sono oltre 200 le adesioni raccolte in tutt’Italia: il Manifesto invita il Governo a porre fine allo spreco di grandissime potenzialità e fermare il crescente divario Nord-Sud, proprio sul piano infrastrutturale. C’è dunque una mobilitazione trasversale e bi-partisan che potrebbe portare a un nuovo modo di affrontare le problematiche del Mezzogiorno nell’ottica di un processo di sviluppo irrinunciabile, senza il quale l’Italia tutta rischia di viaggiare a velocità ridotta. (rrm)