Città Visibili alla scoperta di Santa Severina

di ANNA MISURACA – Continuano gli itinerari delle Città Visibili tra i paesi da scoprire, o riscoprire, nella nostra Calabria. Santa Severina, in provincia di Crotone, di origine bizantino-normanna era già annoverata, con il nome greco di Siberene, come città dell’Enotria nel V secolo a.C. mentre il nome Santa Severina è successivo al X secolo d.C. Comincia così il racconto della nostra pregevole e preparatissima guida, la dottoressa Alessandra Scanga, storica dell’arte, che durante il percorso ci fa notare i calanchi, tipici del Marchesato che attraversiamo, a metà strada tra il mare Ionio e i monti della Sila, e su cui svetta Santa Severina, al centro di un verdeggiante paesaggio collinare, percorso dal fiume Neto.

La base rocciosa che la sorregge fa assomigliare il paese a una grande nave di pietra. Giunti in Piazza del Campo, al centro di uno dei paesi più antichi della regione e meritatamente incluso tra i Borghi più belli d’Italia, la nostra visita parte dalla Cattedrale dedicata a Santa Anastasia, fatta erigere da Ruggero di Stefanunzia tra il 1275 e il 1295. L’interno presenta tre navate, separate da arcate sorrette da pilastri affrescati. Di notevole interesse sono il mobile del coro del XVIII secolo e l’ambone in marmi calabresi, risalente alla seconda metà del XVII secolo, che contiene una tavoletta centrale marmorea rappresentante Gesù tra i dottori della Chiesa.

La Cattedrale è stata rimaneggiata nel corso dei secoli, tranne il portale principale, ma il Battistero annesso, di epoca bizantina, si mantiene nella sua struttura originaria ed è, insieme alla Cattolica di Stilo, la sola testimonianza diretta e integra dell’architettura bizantina in Calabria. L’interno è davvero suggestivo ed è costituito da “una semplice cupola, attorno alla quale corre un atrio”, retta da otto colonne, di diverso diametro, delle quali sette sono in marmo granito”, presumibilmente prelevate da antichi edifici di Santa Severina risalenti ad epoche diverse. Si scorgono, inoltre, resti di affreschi bizantini databili tra il X ed il XII secolo, purtroppo poco evidenti. Proseguiamo la nostra visita con il Castello di S. Severina, che racchiude secoli di storia: venne realizzato su un kastron bizantino e nell’ XI secolo per volere del Re Roberto il Guiscardo, subendo, nei momenti storici successivi, modifiche angioine e aragonesi, fino a quelle feudali ad opera della nobile famiglia dei Carafa, nel XVI secolo.

Successivamente, il castello fu abitato dai vari feudatari che ne vennero in possesso. Ai Carafa seguirono i Ruffo, gli Sculco e i Greuther, che ingentilirono la fortezza con volte a padiglione dipinte e decorate. Il maniero presenta un mastio quadrilatero e quattro torri cilindriche angolari e ha le caratteristiche della fortezza-dimora. Con il suo aspetto austero e la protezione di cinte bastionate, su cui la nostra guida Alessandra ci fa notare i vari interventi nelle diverse epoche, la sua posizione arroccata lo rendeva un’attenta sentinella sulla valle del fiume Neto. All’interno del castello ammiriamo dei bellissimi saloni decorati a stucchi e affreschi barocchi, alcuni dei quali opere del pittore Francesco Giordano, risalenti al 1700.

Restiamo estasiati davanti al “Carro di Selene” e a “La Storia” con la penna in mano sui soffitti e a tutti i dettagli negli angoli finemente decorati; un brivido ci percorre la schiena nella Sala della Cappella in cui è raffigurata la Croce dell’Arcadia: sul soffitto sono raffigurati puttini con lance e palme, simbolo del martirio, poiché in questa sala Andrea Carafa, per imporre il suo potere su S. Severina, fece uccidere alcuni bambini che gli avevano portato dei doni. Il Castello oggi ospita una serie di musei e di mostre temporanee di notevole interesse; in un incastro “a scatole cinesi” spiccano il Museo Archeologico, dedicato a tutte le presenze storiche rinvenute in città, il Museo del Costume storico, il Museo della Lirica, nato grazie al noto appassionato di  lirica Amedeo Fiumana, di cui porta il nome, collezionista di abiti ed oggetti di scena, cimeli di vario ordine, effetti personali e rare testimonianze di dive e divi come Renata Tebaldi, Mirella Freni, Mario Del Monaco, Beniamino Gigli, Giuseppe Di Stefano e ampie sezioni dedicate al soprano Maria Callas e al basso più alto del mondo (1,94 m di altezza) Plinio Clabassi.

Abbiamo avuto modo di visitare, infine, anche la bellissima mostra temporanea “Frammenti di Memorie. Fotografie rubate al telefono” di Emilio Arnone e di ammirare il plastico della chiesetta bizantina in miniatura di S. Filomena, nota come Chiesa del Pozzoleo, risalente al XII secolo: una leggenda narra che la parte inferiore fosse adibita a pozzo e successivamente trasformata in cripta, dopo il miracoloso salvataggio di un bimbo caduto nel pozzo.

Non dimentichiamo, infine, che il Castello di Santa Severina è sede del “Centro Documentazione Studi Castelli e Fortificazioni Calabresi” con numerosi esaustivi cartelli illustrativi e foto degli stessi. Dopo le meraviglie dell’arte, in tutte le sue sfaccettature, un gustosissimo pranzo ci attende al Resort di Belvedere Spinello “Villa Maria”, dove veniamo accolti con grande cortesia e disponibilità da tutto lo staff. Un’altra giornata da incorniciare… (am)

Le Città visibili alla scoperta del Conservatorio Etnobotanico di Castelluccio

di ANNA MISURACA – Domenica 8 ottobre un folto gruppo di soci dell’associazione Le Città Visibili è giunto fino al paese delle “misule”, Castelluccio Superiore, un piccolo centro della Basilicata in provincia di Potenza e nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, che è la prima tappa del tratto lucano del Cammino Basiliano. Appena giunti in paese, ci accoglie Egidio Salomone, in rappresentanza della fondazione Vos, che ha sapientemente curato la riuscita dell’evento e ci ha intrattenuti per informarci delle origini medievali del paese e di ciò che ha contribuito a fare la sua storia.

Ci viene incontro anche il dott. Carmine Lupia e con lui ci avviamo verso un palazzo settecentesco, posto al centro di Castelluccio Superiore, che dal 2021 è la sede del primo Conservatorio Nazionale di Etnobotanica con la seguente struttura organizzativa: Vincenzo Salomone, presidente; Egidio Salomone, coordinatore programmi socio culturali; Carmine Lupia, direttore; Giovanni Canora, coordinatore didattico. Con grande interesse abbiamo appreso, dalla voce del dott. Lupia, di un mondo, quello vegetale, che ci circonda e che per fretta, per superficialità e incompetenza non ci siamo mai fermati a conoscere per capire a fondo i grandi benefici che ne derivano per il mantenimento della vita e degli equilibri biologici del pianeta. Si è così aperto un mondo nuovo di conoscenze che il dott. Lupia, con un linguaggio tecnico ma accessibile, ha illustrato coinvolgendoci e stimolando la nostra voglia di sapere.

Ci ha parlato di proprietà peculiari di varie piante, della loro corteccia, della linfa, del colore del tronco e del loro utilizzo nella società, grazie anche alle conoscenze tramandate dai monaci basiliani, che hanno fatto della Valle del Mercure una delle loro sedi preferite. Dopo ampio approfondimento, la parola passa dal prof. Lupia al dott. Giovanni Canora, dietista, esperto in piante officinali, co-founder Unesco Chair Salerno, che affascina tutti quando, con dovizia di particolari, ci parla del mondo delle piante officinali, della gemmoterapia, dei loro benefici, del loro utilizzo in campo medico e in cucina: molte, tra le piante che conosciamo, non sono utili solo a livello ornamentale ma anche in campo terapeutico. È stato un susseguirsi di emozioni per un sapere che, forse, non avevamo mai avuto la possibilità di approfondire: un mondo nuovo e interessante.

Il prof. Canora, inoltre, ci parla del processo di trasformazione delle erbe officinali: selezione accurata, essiccazione, macerazione, estrazione, preparazione di infusi e decotti officinali pronti per essere utilizzati per le cure naturali, con grandi benefici per la salute e minimi possibili effetti collaterali. Alla fine di queste lezioni magistrali abbiamo indugiato tra le sale del Conservatorio per conoscere da vicino gli strumenti di lavoro del “verde sapere” che rendono plausibile il successo del settore.

Il signor Salomone propone un tour per le vie più o meno strette di Castelluccio per ammirare la Valle del Mercure e tutto il panorama ma anche le antiche costruzioni di un borgo che ben ottocento anime continuano ad amare abitandolo. Poi tutti a pranzo presso la “Taverna Lucana” per gustare pietanze improntate all’agrobiodiversità del Parco del Pollino: una cucina tipica legata ai prodotti del territorio, con i loro profumi, i loro colori e con i famosi peperoni “cruschi”. Potremmo definire questo un “pranzo didattico” perché Massimo Celano, cuoco custode di ricette tradizionali del Parco del Pollino, per ogni pietanza servita ci ha spiegato il tipo di erbe utilizzate ed elaborate per rendere il piatto veramente unico.

Nel pomeriggio, visita gradevole presso l’Hortus Basiliano per ammirare, tra simmetrici percorsi, piante aromatiche e ortaggi i cui semi sanno di antiche pratiche di monaci basiliani. Per l’ultima tappa di questo “profumato” viaggio ci spostiamo a Lauria, in località Galdo, per visitare la sede della Evra s.r.l. un’azienda fortemente voluta, nel 2007, dal farmacista-fondatore Vincenzo Salomone, che lavora gli Estratti Vegetali per Ricerca e Applicazioni, derivati da piante coltivate o spontanee, producendo estratti vegetali di qualità superiore in un moderno impianto tecnologico farmaceutico e in presenza di personale qualificato. Abbiamo vissuto una domenica interessante e diversa, di cultura scientifica botanica e naturalistica, che ci ha regalato un sapere fatto non di stili architettonici, bensì di verde e colori che hanno il potere di migliorare la qualità della nostra vita. (am)

(Anna Misuraca è presidente de Le Città visibili)

L’Associazione Città Visibili di Lamezia alla scoperta di Lungro

Suggestiva, la visita che l’Associazione Città Visibili di Lamezia Terme, guidata da Anna Misuraca, ha fatto a Lungro, uno degli otto paesi arbëreshë del Parco del Pollino, fondato da profughi albanesi giunti in Italia a causa dell’invasione turca in Albania nella seconda metà del XV secolo.

La guida, Mariella Rose, insieme alla signora Maria De Filippo, lungrese doc, hanno raccontato di come «i primi albanesi si stanziarono in questi territori perché erano stati concessi loro da Carlo V e dai nobili della zona per ringraziarli dei servizi che avevano reso all’Italia, dando così origine ad uno dei borghi più solidi e importanti che mantengono tuttora intatto il loro patrimonio religioso e culturale».

«Dopo la storia dei primi stanziamenti – ha raccontato la presidente – ci dirigiamo verso l’Eparchia di Lungro, istituita il 13 febbraio 1919 da Papa Benedetto XV per gli albanesi di Calabria e dell’Italia continentale. Scrigno del rito greco-bizantino, custodisce gelosamente antichi riti, usanze e lingua di origine. Ci attraggono subito icone di ogni foggia, vangeli, mosaici, croci e medaglioni pettorali (enkolpia) con pietre preziose e raffinate cesellature. L’oro si irradia prepotente dalle aureole, simboleggiando la luce del cielo dove il sole non tramonta mai e la divinità che non si può contenere. La cappella vescovile prelude alla cattedrale che visiteremo dopo poco; grandi figure si stagliano accoglienti per purificare lo spirito dei fedeli che accedono».

«L’iconostasi divide Cielo (l’altare dietro l’ingresso, nascosto da tende purpuree) e Terra e sottolinea la distanza tra vescovo e fedeli a sottolineare che dietro quella tenda della porta regale c’è un Mistero profondo e impenetrabile. Le regole sono assai rigide e l’abbigliamento dei fedeli deve essere dimesso e discreto. Molte delle opere sono state realizzate da Josif Dobroniku, mosaicista e iconografo albanese che negli anni 90 si recò a Lungro e vi si stabilì poco dopo. Divenne famoso in tutto il mondo greco-ortodosso attuale e gli vennero commissionati vari lavori, tra i quali i mosaici della Cattedrale, dove sosteremo successivamente», ha raccontato ancora Muraca. 

«Proseguiamo e ci fermiamo davanti ad una struttura recentemente rinnovata e divenuta Museo Storico della Miniera di Salgemma – si legge nella nota –. La signora Maria sfodera un mazzo di chiavi e apre, solo per noi, questo nuovo luogo della memoria che sarà inaugurato nei prossimi giorni. Abbiamo l’onore di entrarvi per primi, grazie all’amministrazione comunale che in via straordinaria ha concesso l’apertura solo per “Le Città Visibili”. Entriamo con riverenza e ci emozioniamo davanti alle foto dei salinari e ai loro cimeli (le medagliette identificative, una macchina da scrivere americana, un’incredibile macchina da caffè per ufficio, pezzi di salgemma e mortai in sale, vecchie insegne), leggiamo i pannelli illustrativi che spiegano le varie mansioni dei salinari e la storia della salina e dei nomi storici che vi ebbero a che fare, da Plinio il Vecchio, che la visitò e ne scrisse, alla regina Margherita di Savoia, che fece dono di un gruppo elettrogeno utile a fornire un minimo di illuminazione alle gallerie».

«La cattedrale di San Nicola di Mira – viene raccontato – si distingue per la sua vastità rispetto alle altre chiese del circondario. Entriamo e la luce dorata del mosaico del Pantocrator della cupola centrale ci avvolge. Siamo quasi abbagliati dalla rifrazione aurea dei mosaici (opera di Josif Dobroniku) mentre ammiriamo l’interno della chiesa, ma veniamo distratti da un gradito fuoriprogramma: assistiamo al rito della presentazione al Tempio che celebra la prima uscita del neonato insieme alla madre e che sarà seguita, in una data successiva, dal battesimo. Il piccolo Federico rimane tranquillo mentre la voce solenne di padre Arcangelo, che solleva il bimbo verso l’alto, recita le preghiere e ci trasporta in Oriente. È un momento davvero particolare, ma non sarà il solo di questa giornata. Padre Arcangelo si ferma a chiacchierare amabilmente con il nostro gruppo e risponde alle curiosità di alcuni di noi. Dopo una simpatica foto ricordo, usciamo nella pioggia per raggiungere la Casamuseo del Risorgimento, dove pranzeremo (piatti tipici preparati dall’eclettica e appassionata padrona di casa, Anna Stratigò) respirando Storia, tradizioni e ricordi. Anna ci accoglie con entusiasmo e ci racconta della sua famiglia che abita quelle stanze da diverse generazioni e che è parte integrante della storia del Risorgimento italiano: qui vissero il poeta e patriota Vincenzo Stratigò e sua madre Matilde Mantile oltre a musicisti, medici e uomini di Legge».

«La casa – viene spiegato – mantiene intatto il fascino originario e custodisce libri antichi, abiti originali ottocenteschi o appartenenti alla tradizione locale. Come sottolinea la padrona di casa, sia le tradizioni che la lingua vanno mantenute e tramandate, custodite e diffuse, non per fanatismo ma per un forte e fiero senso di appartenenza. Ci accomodiamo per pranzare, distribuiti in vari ambienti; un gruppetto di fortunati occupa la stanza col caminetto in cui si trova una credenza a muro che mimetizza un rifugio in cui si nascondeva il poeta per sfuggire ai Borboni. Le sorprese continuano… Anna, oltre ad essere un’ottima cuoca, si rivelerà un’impeccabile intrattenitrice: compone, canta, suona, insegna, dirige un coro (i canti spaziano dall’ arbëreshë al castigliano all’italiano) con cui svolge tournée e gestisce il suo piccolo museo del mate, bevanda ricavata dalle foglie di “yerba mate” tipica del Sud America, che si sorseggia per ore chiacchierando e godendo delle gioie della convivialità (“riti matit”, a cui Anna ha dedicato una canzone)».

«Come avrà attecchito a Lungro – conclude il racconto – per averle addirittura dedicato un museo? Varie sono le congetture…qualche emigrato che lo ha fatto scoprire al suo rientro a Lungro, un omaggio a Garibaldi o semplicemente un rituale condiviso per fare ed essere comunità e rinsaldare i rapporti…  Il pomeriggio trascorre intenso e veloce, la pioggia, fuori, è sempre più fitta…torniamo a casa». (rcs)