di PINO NANO – Oggi 8 febbraio, nei locali di Spazio Europa nella sede del Parlamento Europeo a Roma, Peppe Scopelliti, ex Presidente della Regione Calabria ed ex sindaco di Reggio Calabria, presenta il suo controverso libro Io sono libero, e in cui ricostruisce senza veli e senza perifrasi la sua dura esperienza in carcere.
Sarà in buona compagnia quello che da ragazzo a Reggio indicavano come “il futuro”, “la svolta della politica”, “il nuovo del sistema”, “l’angelo degli ultimi”, e che poi un’inchiesta giudiziaria non ancora definitivamente chiusa ha improvvisamente bloccato, azzoppando la sua stagione più fertile e più felice.Insieme all’ex Presidente della Regione ci sarà infatti Gianfranco Fini, suo amico di sempre, storico leader della destra in Italia, ma ci saranno anche il direttore de l’Unità, Piero Sansonetti, indimenticabili le sue battaglie garantiste su Il Riformista, e l’editorialista del Corriere della Sera Francesco Verderami, analista sereno oggettivo ed efficacissimo del giornale di Via Solferino. La manifestazione vedrà anche la partecipazione di Emma Gesualdi, Presidente del Brutium di Roma, il circolo dei calabresi forse più famoso d’Italia.
Io sono libero, è un libro che vi consiglio di leggere, un libro forte, a tratti coraggioso, pieno di certezze assolute, evidentemente quelle dell’autore, e ricco anche di grandi vuoti di solitudine, rabbia, silenzio, speranza, senso dello Stato, l’orizzonte limitato dalle sbarre, ma una visione di insieme che restituisce sacralità e onore alla politica e alla democrazia.
Peppe Scopelliti, ex enfant prodige della Destra finiana, giovanissimo leader del Fronte nazionale della Gioventù, poi sindaco di Reggio Calabria, e infine Governatore della Calabria, racconta se stesso e la sua vita al giornalista Franco Attanasio, e ne viene fuori un mondo incredibile dove l’uomo che finisce dietro le sbarre non perde mai la bussola della speranza, e che dentro le mura del carcere impara a vivere la vita degli altri detenuti come se fosse la sua.
Tra ricordi, immagini location e personaggi che appartengono al “Pantheon” della storia italiana, l’ex Governatore apre lo scrigno dei suoi ricordi (mentre ancora non ha del tutto finito di scontare la condanna a 4 anni e 7 mesi, per il reato di falso ideologico, relativa ad alcune vicende accadute tra il 2008 e il 2009, quando era sindaco di Reggio Calabria), e rilegge il suo passato con grande serenità ed equilibrio.
Le cose che più mi hanno colpito di questo libro? Eccole, proverò a sintetizzarle per capitoli.
La mia famiglia: «Sono cresciuto in una famiglia normale, estraneo a logiche nepotistiche e clientelari, che spesso attanagliano il meridione. Ho sempre avuto un alto senso dello Stato e inteso la politica come la più alta forma di carità e di servizio per i cittadini. Ho voluto fortemente legare il mio destino a quello della mia comunità; non ho mai tradito né mai tradirò la mia gente. Sono un marito e un padre che, fino a quel funesto 4 aprile del 2018 ha pensato di poter dimostrare come un uomo comune, con le sole armi della determinazione e del coraggio, possa servire la sua terra, senza mai rinunciare, neanche una volta, alla grande ricchezza che viene consegnata ad ogni uomo: la libertà».
La mia canzone del cuore: Più su, di Renato Zero, che considero uno dei più grandi artisti italiani. Da ragazzo ho apprezzato molto anche la musica di Alberto Fortis che, attraverso i suoi brani, riusciva a trasmettermi forti emozioni”.
Il futuro della mia vita: «Lo immagino nella mia casa, con la mia famiglia. È giusto così. Dopo aver trascorso, per oltre trentacinque anni, una vita al servizio dei calabresi, sento il bisogno di coltivare gli affetti più cari. Di assicurare, almeno in parte, alle mie figlie e a mia moglie, ciò che non sono riuscito a dare loro in passato».
Il basket: «Mi ha insegnato tanto. Non era facile tutti i pomeriggi arrivare agli allenamenti, dal lato opposto della città. Così come non era semplice coniugare lo studio con gli impegni sportivi, soprattutto quando, nell’arco della giornata, era prevista una doppia sessione di allenamenti. Ci sono riuscito ed è stato grazie ai valori che il basket e lo sport mi hanno inculcato».
Jan Palach e Bobby Sands: «Riferimenti imprenscindibili per tanti giovani di destra. Due storie simili, ispirate dal sogno di rendere libero il proprio popolo. Jan Palach, uno studente praghese che si immolò contro l’invasione sovietica del 1968, morì il 16 gennaio del 1969 in piazza Venceslao, dandosi fuoco. Nella sua borsa vennero ritrovate una serie di lettere. In una di queste c’era scritto: “Se il nostro popolo non darà sostegno alla richiesta di libertà, una nuova torcia s’infiammerà”. Il popolo cecoslovacco dovette attendere vent’anni, fino alla “rivoluzione di velluto”, avvenuta nel novembre del 1989, per conoscere la libertà».
Bobby Sands, invece, era un giovane rivoluzionario irlandese, diventato il simbolo della lotta contro gli inglesi. Ho visto più volte in tv il film dedicato alla sua storia, alle sue battaglie. Emozionante, da brividi. Erano gli anni della mia militanza giovanile e tra i tanti slogan del Fronte della Gioventù c’era quello legato alle battaglie recenti del popolo irlandese. “Irlanda libera” campeggiava nelle piazze italiane, durante i comizi di Giorgio Almirante prima e di Gianfranco Fini dopo. A diciotto anni Bobby Sands decise di aderire all’IRA, il gruppo estremista del partito nazionalista del Sinn Fèin. Fu eletto membro del Parlamento britannico mentre era detenuto nel carcere di Maze, nel quale, il 5 maggio 1981, dopo sessantasei giorni di sciopero della fame, morì ventisettenne.
I Capi di Stato incontrati: «Scalfaro, Cossiga, Ciampi e Napolitano. Nell’estate del 1995 (avevo appena ventinove anni e da poche settimane ero stato eletto presidente del Consiglio Regionale), Scalfaro venne in visita ufficiale in Calabria».
Francesco Cossiga: «Lo considero uno dei personaggi di maggiore rilievo della storia repubblicana. Quando venne a Reggio Calabria era già Presidente Emerito. Lo raggiunsi nella suite dell’albergo in cui era ospite e ci intrattenemmo in un cordialissimo colloquio durato circa un’ora».
Giorgia Meloni: «Credo che sia la donna più capace nell’odierno panorama politico nazionale. Ha saputo innovare e valorizzare il carattere culturale e identitario che Pinuccio Tatarella aveva tanto a cuore e che era solito accompagnare con una frase rimasta famosa: “Non dobbiamo avere paura di navigare in mare aperto”.
Giorgia ha compreso che “rompere gli argini” accettando “collaborazioni” che assicurino il raggiungimento di obiettivi condivisibili, può rappresentare, soprattutto per una comunità che si riconosce nella Destra italiana, una nuova grande prospettiva. Giorgia ha un bagaglio ideale che nella politica “rosa” di oggi non è riscontrabile; solo lei, pertanto, può interpretare le scelte più coraggiose».
Salvini: «A lui va riconosciuto il grande merito di aver smascherato la falsa solidarietà intorno al fenomeno migratorio che celava un vero e proprio business, quando non una gigantesca truffa ai danni di uno Stato troppo disattento. Spesso apparso debole, incerto, di fronte a situazioni intollerabili».
La nascita di Fratelli d’Italia: «Giorgia Meloni telefonicamente mi chiese se avessi avuto voglia di aderire al nuovo progetto a cui stava lavorando, ma io non accettai. Forse, vista la rilevanza della questione, più che una telefonata, sarebbe stato più opportuno dedicare a quella iniziativa un incontro strutturato, per poter assicurare il giusto tempo alla discussione e per poterne approfondire le argomentazioni».
La politica: «La mia vita politica ha vissuto una stagione straordinaria in cui hanno prevalso gli ideali, i valori fondanti, irrinunciabili del nostro credo politico. L’unità, l’identità nazionale, la famiglia, la solidarietà, la sacralità della vita, hanno sempre ispirato le nostre azioni. Le innumerevoli battaglie condotte per salvare i giovani dalla tossicodipendenza, accanto a Vincenzo Muccioli e alla storica comunità di “San Patrignano”, a Don Pierino Gelmini e alla sua comunità “Incontro”, portano il marchio di quegli anni indimenticabili. Oggi, superate le ideologie, dimenticati i valori, la politica si fonda sull’opportunismo, è molto più attenta ai sondaggi che al bene della collettività; sembra non avere una linea, una direttrice, un progetto, un’idea moderna di Stato».
Il mio amico più caro: «Giacomo Battaglia, che purtroppo non c’è più, è stato il primo. Abitavamo nello stesso palazzo: io al quarto, lui un piano sotto. Nel ’71, a Tremulini, un quartiere del centro città, ho conosciuto Carletto Altomonte, con il quale conservo uno splendido rapporto nonostante viva al nord da qualche decennio. La mia vita e quella di Giacomo si sono spesso intrecciate. C’eravamo persi di vista per qualche tempo per poi ritrovarci “giovanissimi ultras” nella curva della Reggina. Lui era uno degli appartenenti allo storico gruppo dei “Warriors”, mentre io, insieme ad altri amici, avevo fondato i “Position Fighters”. Ogni domenica incontrarsi era una festa. La sera del 4 aprile, quando era arrivata la notizia del la sentenza di Cassazione, c’era anche lui sul divano di casa mia ad aspettare l’esito dell’udienza. Ricordo ancora il suo stupore, la sua rabbia, la sua incredulità, il suo dolore».
L’emozione più grande: «È stato emotivamente coinvolgente trasformare le mura del carcere in un perimetro di gioco, notoriamente simbolo di quello spirito di libertà e dell’uguaglianza che lo sport porta con sé. Ai quotidiani allenamenti non mancava mai nessuno. Erano ansiosi di apprendere le regole e gli schemi di questo gioco. Un autentico miracolo di integrazione sociale. La carcerazione trasformata in un luogo di ritrovata identità civile».
Jole Santelli: «A Jole mi legava un rapporto di profonda stima ed affetto. La annovero tra le poche persone con cui i sentimenti dell’amicizia si sono conservati a prescindere dai percorsi politici, su cui entrambi, comunque, abbiamo camminato con lealtà ed armonia. Jole mi è stata molto vicina in questo drammatico frangente della mia vita. Le continue telefonate ai miei familiari, le visite presso la casa circondariale, le parole di affetto, di cui sono venuto a conoscenza, rivoltemi in occasione di incontri pubblici. Insomma, una vera amica».
La morte della madre di un giovane detenuto, «in carcere per reati minori, nonostante avesse inoltrato una richiesta di permesso straordinario al Giudice di Sorveglianza, la sua domanda non era giunta in tempo, privandolo della possibilità di abbracciarla per l’ultima volta.
È stato straziante, cristianamente ingiusto! Il carcere priva della libertà, ma non può negare a nessuno il diritto di inginocchiarsi di fronte a chi gli ha dato la vita. Una cosa del genere è inammissibile, non deve succedere».
Ma c’è molto altro ancora in questo libro. (pn)