di PINO NANO – «Amo la Calabria, l’ho visitata – dichiarò un giorno in una intervista alla Rai –. Mio padre usava cantare sulla cima di una montagna per farsi sentire da tutto il villaggio e, una volta arrivato negli Stati Uniti, ha insegnato il canto anche a me e a mio fratello. Questo ha creato in me una passione che non si è mai fermata».
Tony Bennet era l’ultimo grande crooner americano. Soprattutto dopo la morte di Dean Martin, Frank Sinatra e Perry Como. Era nato a New York il 3 agosto 1926 da una famiglia di origini italiane. Il suo vero nome era Anthony Benedetto terzo figlio di John Benedetto – un negoziante che nel 1906 era emigrato negli Stati Uniti da Podàrgoni, un paesino vicino a Reggio Calabria. Sua madre, Anna Suraci, era una sarta che era nata negli Stati Uniti subito dopo l’emigrazione dei suoi genitori, anch’essi reggini, avvenuta nel 1899. Sangue calabrese dalla testa ai piedi.
«Oltre 100 album realizzati e 50 milioni di dischi venduti in 70 anni di carriera. Con Tony Bennett scompare indubbiamente uno dei più grandi artisti che l’America abbia mai avuto, considerato non a caso l’ultimo grande crooner. Allo stesso tempo possiamo sostenere, con orgoglio, che oggi diciamo addio ad un autentico figlio della Magna Grecia».
È quanto dichiara in una nota Nino Foti, Presidente della Fondazione Magna Grecia. «Lo stesso orgoglio – prosegue Foti – con cui Bennett, che ho avuto il piacere di incontrare più volte in occasione degli eventi organizzati dalla Niaf (National Italian America Foundation) di cui ho fatto parte per lunghi anni e dalla nostra Fondazione negli Stati Uniti, ha sempre ricordato le proprie origini mantenendo con la nostra terra un legame fortissimo».
Il take dell’Agenzia Ansa che riporta la notizia della sua morte mi riporta come d’incanto agli anni in cui consideravo l’America una delle fonti ideali per scrivere il romanzo della mia vita, e che poi però non ho mai scritto.
Tony Bennett, aveva 96 anni, e nella sua lunga carriera ha realizzato 100 album diversi e ha vinto, tra gli altri premi, 20 Grammy Awards. Uomo e artista dei record assoluti.
Ricordo di averlo cercato per anni per avere da lui un’intervista, ma il suo staff mi ripeteva continuamente che il “maestro” non intendeva parlare della terra di origine dei suoi genitori, pur conoscendo lui e parlando lui da bambino il dialetto reggino.
Nessuna storia sarebbe stata più bella della sua, storia di emigrazione di successo, storia di eccellenza in tutti i sensi, storia di immenso riscatto sociale.
Ad annunciare la sua morte è stata ieri la sua portavoce Sylvia Weiner. Già da anni l’artista soffriva del morbo di Alzheimer, cosa questa che aveva già raccontato in pubblico sua moglie Susan nel febbraio del 2021 ad “AARP The Magazine”. Sappiamo solo che lui aveva però continuato a esibirsi e registrare nonostante la sua malattia e la sua ultima esibizione pubblica fu proprio nell’agosto di quell’anno, quando apparve in televisione con Lady Gaga al Radio City Music Hall in uno spettacolo intitolato “One Last Time”.
Una carriera “stellare” durata oltre 70 anni. Passerà alla storia per essere stato una sorta di custode della classica canzone popolare americana rappresentata da Cole Porter, Gershwin, Duke Ellington, Rodgers e Hammerstein e altri.
Oggi mi consola e mi conforta il fatto di aver sempre gelosamente conservato alcuni dei suoi dischi più famosi, che mi erano stati regalati tra New York Boston e Chicago da amici calabresi che per sentirlo cantare e vederlo da vicino compravano i biglietti dei suoi concerti anche con due anni di anticipo.
A ricordarlo oggi in Calabria insieme a Nino Foti c’è anche Ruggero Pegna, uno dei promoter musicali più moderni di questi anni: «Con la scomparsa di Tony Bennett – dice Ruggero Pegna – svanisce uno dei miei sogni, quello di poter organizzare un suo concerto in Calabria, la sua terra di origine. Pochi qui sanno, infatti, che una delle più grandi stelle della musica mondiale, con ben 100 album pubblicati e 20 Grammy Awards ricevuti, era originario di Podargoni di Reggio Calabria. Nei 37 anni di eventi del mio festival Fatti di Musica, insieme a star come Elton John, Sting, Tina Turner, ecc., ho tentato più volte di organizzarlo, cercando sostegno a Regione ed Enti vari, visti gli altissimi costi, ma la maggior parte degli interlocutori non ha capito la portata di questo artista e la ricaduta di immagine che avrebbe avuto a livello mondiale».
«A dire il vero, l’unico che mi chiamò per manifestare il suo interesse al progetto del concerto – ha proseguito – che nell’ultima proposta avevo pensato di effettuare nel piazzale della Cittadella di Germaneto, per dare anche rilievo Istituzionale, fu il Presidente Mario Oliverio. Iniziammo una trattativa che, però, senza che ne abbia mai compreso il motivo, fu interrotta e messa da parte. Ci riprovai con l’assessore alla Cultura Patrizia Nardi del Comune di Reggio, che comprese il prestigio dell’evento per la stessa Reggio, ma non riuscì a trovare i fondi per sostenerlo».
«Con lui, oltre che un sogno – ha aggiunto – va via una straordinaria opportunità di organizzare una serata unica e indimenticabile, avviando un progetto con stelle del firmamento della musica e dello spettacolo mondiale di origini calabresi, autentico strumento di promozione e ispessimento dell’immagine dell’intera Calabria. Il dispiacere per la sua scomparsa si mescola in questi momenti alla rabbia per la consapevolezza di non essere riusciti a coronare anche il suo sogno di poter cantare nella terra da cui era partita a sua famiglia».
La cosa mi conforta molto, perché alla fine non solo il solo ad averlo cercato e aver provato a raccontarlo dall’interno della sua casa dove molti amici statunitensi che lo frequentavano mi dicono c’erano molti ricordi reggini e molti sapori calabresi. Questa volta però dovremo arrenderci tutti. (pn)