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Annarosa Macrì

Annarosa Macrì: Calabria ’80, on the road per quattro mesi, una storia di ripartenze

di ANNAROSA MACRÍ – Avete presente quando di un allievo che “si applica ma non rende” si dice è volenteroso, ma non ha le basi? Ecco, le sette puntate di Calabria ’80, ne (ri)vedrete due, di mezz’ora ciascu­na su Raitre il 26 dicembre e il 2 gennaio alle 7 ,30, rappresentaro­no per me le “basi di conoscenza e di analisi del territorio che mi furo­ no indispensabili, nei quarant’an­ni successivi, per raccontare la Ca­labria, enigmatica e complessa com’è. Ebbi il privilegio di avere accan­to un compagno di avventure fu­nambolico e rigoroso come Toni­no Perna, economista e sociologo, che di quel programma fu l’auto­re (io ne curai la regia), così quei quattro mesi di sopralluoghi, ri­prese, incontri e interviste on the road per la regione, dal Pollino al­l’Aspromonte, dal Tirreno allo Jo­nio, e poi i tre mesi in moviola che seguirono (il programma fu gira­to in pellicola da un maestro della fotografia che troppo presto ci la­sciò, Tonino Arena), furono la mia seconda università, che mi laureò, davvero!, in “Calabriolo­gia”. Nessuno prima di noi, e prima di Calabria ’80 (e nessuno dopo, devo dire) aveva realizzato una ri­cognizione per immagini così at­tenta e capillare del mondo pro­duttivo calabrese, in un momento topico della storia di questa regio­ne, quando erano passati venti anni dal boom economico (dalle nostre parti, in realtà, niente di più che un’eco fievole se n’era sen­tita) e dieci anni da quel “Pacchet­to Colombo” che c’era piovuto ad­dosso per provare a riempire il ba­ratro di ribellione e disperazione che si era aperto coi fatti di Reg­gio, e che già manifestava incon­gruenze, sprechi e fallimenti.

Girammo chilometri di strade, paesi, città e campagne, girammo chilometri di pellicola e realiz­zammo sette puntate di mezzz’ora. Due dedicate all’Industria – un po’ di manufatturiero e di agroali­mentare anoora “tirava”, in mezzo ad un cimitero, già!, di deserti e di cattedrali -, due all’Agricoltura – sospesa tra eroica primitività e pionieristica innovazione -, due al Turismo – quello “indigeno” all’e­poca appena balbettante, più in­vasivo, invece, quello dei villaggi turistici e grandi gruppi coloniz­zatori – e una al Terzo Settore, che cominciava, proprio in quegli an­ni, a coprire, come poteva, vuoti ed emergenze sociali. Più imparavo – paesaggi, perso­ne, manufatti, belli, brutti o così così – più li sentivo parte della mia storia e del mio vissuto, roba che mi apparteneva, di cui dovevo far­mi carico, perché aveva attraver­sato le speranze, le sofferenze, le sconfitte e la fatica della mia gen­te.

La Calabria, dove ero nata, ma dove, anche nell’infanzia, avevo vissuto pochissimo, e che avevo lasciato per andare a studiare a Milano, prima di Calabria ’80, co­me quasi tutti quelli della mia ge­nerazione, praticamente non la conoscevo. Non era allora il luogo “circola­re” che è oggi, grazie anche alle università, che hanno rimescola­to saperi, amori ed esistenze, ma, assai più di oggi, era arroccato, e frammentato, nei paesi e nei par­ticolarismi, nelle città e nei cam­panilismi, che si guardavano, a distanza, – anche ora accade, figu­rarsi quasi mezzo secolo fa – con diffidenza circospetta se non con malcelato razzismo. Chi viveva a Reggio, per dire, andava più facilmente a Roma (o a Messina) per studio o per compe­re, piuttosto che a Catanzaro o a Cosenza, e un catanzarese magari andava a teatro al San Carlo di Na­poli, ma non al Rendano di Cosen­za o al Cilea di Reggio. Imparai a conoscerla scopren­dola, questa regione, con lo sguardo sorpreso della neofita, che, devo dire, non mi ha più ab­bandonato; scoprendola, imparai ad amarla, e, dopo quarant’anni, di più la amo. Non solo le sue cose e le sue persone belle (quelle son bravi tutti ad amarle); io m’inna­morai pure di quelle brutte e di quelle così così. E, amandola, im­parai a raccontarla. Ché, senza amore, non si può.

All’inizio degli anni Ottanta, il clima culturale del Paese era quello, irripetibile, della riscoperta delle identità locali, delle tradizio­ne e dei dialetti, contro la società di massa. Il regionalismo ammi­nistrativo era ancora bambino e quello culturale era frammentato in mille Calabrie, quando la Rai decise di riaccendere le lucciole periferiche che Pasolini piangeva spente per sempre, una per ogni regione, e nacque la Terza Rete decentrata; investì un bel po’ di ri­sorse sui territori e, dal nulla o quasi, impiantò, anche in Cala­bria, un piccolo centro di produ­zione, che non solo realizzava e metteva in onda i primi telegior­nali, ma anche inchieste, docu­mentari, talk-show, fiction.

A Cosenza fu reclutato un pic­colo esercito di operatori dell’in­formazione ( e io tra di loro, e, con molti di loro, rientrai “dal Nord”): giornalisti, registi, operatori di ripresa, tecnici, autisti, elettrici­sti. Quasi cento ragazzi, età me­dia 25 anni, competenze certe, concorsi “veri”, assunzioni a tem­po indeterminato. Ci era richiesta una grande preparazione cultu­rale, ma nessuno di noi aveva mai visto una telecamera, così impa­rammo a fare la televisione “fa­cendola”, come un bambino impa­ra ad usare nn giocattolo giocan­doci; l’entusiasmo era alle stelle, alimentato dalla consapevolezza di essere dei pionieri e dalla acco­glienza straordinaria dei Calabre­si, specialmente quelli delle aree interne: era una festa quando ar­rivava “la Televisione” in luoghi così “lontani” e dimenticati, in cui magari non c’era neanche il se­gnale di trasmissione, e che veni­vano raccontati per la prima vol­ta: persone senza voce che diventavano importanti, luoghi dimenticati a cui si restituiva la memo­ria…

Calabria ’80 nacque in que­sto irripetibile clima e, rivederne adesso due mezz’ore (grazie alla pervicacia del Direttore della Sede di Cosenza Demetrio Crucitti) vuol dire ripercorrere un pezzo fondamentale della storia di que­sta regione, quando tutto pareva dover (ri)nascere, la Regione, l’U­niversità, l’economia…

Il ritmo lentissimo del montag­gio (“allora” per percepire un fer­mo-immagine avevamo bisogno, da telespettatori, di un “tempo”, quattro secondi!, eterno per gli standard frenetici di oggi) vi darà il senso, guardando Calabria ’80, dell’andamento pigro di una sto­ria che, con fatica, con brusche frenate e affannate ripartenze, nonostante tutto, andava allora e ancora, fiaccamente, va. Buona lenta visione. (anm)

[courtesy il Quotidiano del Sud]