Il sindaco Giuseppe Falcomatà: Istituire una sede Rai nel territorio metropolitano di Reggio Calabria

«Istituire una sede Rai nel territorio metropolitano». È questa la proposta avanzata dal sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, a conclusione dell’iniziativa Calabria 80 industria, che ha messo in luce lo spaccato economico e sociale del territorio regionale alla fine degli anni ’70, attraverso due documentari Rai realizzati circa quarant’anni fa dal vicesindaco di Reggio Calabria, prof. Tonino Perna.

Presenti all’incontro il sindaco della Città Metropolitana di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, il vicesindaco del Comune Tonino Perna, il direttore Rai Calabria, Demetrio Crucitti, la prof.ssa Flavia Martinelli (Università Mediterranea di R.C.), il prof. Eduardo Lamberti Castronuovo (Università per Stranieri Dante Alighieri) e la dott.ssa Annarosa Macrì, regista del documentario collegata in videoconferenza.

«I documentari realizzati dal professor Perna – ha detto Falcomatà –sono preziose e straordinarie testimonianze della storia recente di questa regione, che mi auguro possano trovare spazio all’interno delle scuole nell’ambito di un percorso ragionato di approfondimento e conoscenza della nostra memoria storica. Le bellissime immagini e le voci custodite in questi documentari, ci restituiscono una significativa ed efficacissima descrizione di come siano mutati gli scenari e le dinamiche tra i territori e i centri decisionali nazionali nel corso degli anni».

«Oggi – ha spiegato il primo cittadino – non esistono più i modelli di sviluppo calati dall’alto, e il Sud non è più concepito come un peso da relegare ai margini. Al contrario, le sfide contenute nel Recovery plan, nel Next Generation Eu o nel Piano per il Mezzogiorno 2030, dimostrano che oggi il Sud è considerato un fattore chiave e irrinunciabile per far ripartire l’intero sistema Paese».

«Dai documentari del professor Perna – ha aggiunto – emerge anche la centralità di un’informazione capace di raccontare senza pregiudizi i fatti, consegnando agli spettatori una lettura nitida di ciò che accade e in grado di dare spazio a tutte le espressioni sociali e culturali presenti sul territorio. In questa direzione, ritengo sia utile rilanciare la battaglia culturale per una programmazione del servizio pubblico in Calabria che sia rispettosa e rappresentativa delle minoranze linguistiche esistenti, proprio come avviene in altre regioni d’Italia».

«Accanto a ciò – ha poi concluso il sindaco Falcomatà –ritengo si debba anche ragionare, nel quadro di una strategia condivisa tra tutti gli attori istituzionali e sociali coinvolti, sulla istituzione di una sede Rai nel territorio metropolitano di Reggio Calabria». (rrc)

Annarosa Macrì: Calabria ’80, on the road per quattro mesi, una storia di ripartenze

di ANNAROSA MACRÍ – Avete presente quando di un allievo che “si applica ma non rende” si dice è volenteroso, ma non ha le basi? Ecco, le sette puntate di Calabria ’80, ne (ri)vedrete due, di mezz’ora ciascu­na su Raitre il 26 dicembre e il 2 gennaio alle 7 ,30, rappresentaro­no per me le “basi di conoscenza e di analisi del territorio che mi furo­ no indispensabili, nei quarant’an­ni successivi, per raccontare la Ca­labria, enigmatica e complessa com’è. Ebbi il privilegio di avere accan­to un compagno di avventure fu­nambolico e rigoroso come Toni­no Perna, economista e sociologo, che di quel programma fu l’auto­re (io ne curai la regia), così quei quattro mesi di sopralluoghi, ri­prese, incontri e interviste on the road per la regione, dal Pollino al­l’Aspromonte, dal Tirreno allo Jo­nio, e poi i tre mesi in moviola che seguirono (il programma fu gira­to in pellicola da un maestro della fotografia che troppo presto ci la­sciò, Tonino Arena), furono la mia seconda università, che mi laureò, davvero!, in “Calabriolo­gia”. Nessuno prima di noi, e prima di Calabria ’80 (e nessuno dopo, devo dire) aveva realizzato una ri­cognizione per immagini così at­tenta e capillare del mondo pro­duttivo calabrese, in un momento topico della storia di questa regio­ne, quando erano passati venti anni dal boom economico (dalle nostre parti, in realtà, niente di più che un’eco fievole se n’era sen­tita) e dieci anni da quel “Pacchet­to Colombo” che c’era piovuto ad­dosso per provare a riempire il ba­ratro di ribellione e disperazione che si era aperto coi fatti di Reg­gio, e che già manifestava incon­gruenze, sprechi e fallimenti.

Girammo chilometri di strade, paesi, città e campagne, girammo chilometri di pellicola e realiz­zammo sette puntate di mezzz’ora. Due dedicate all’Industria – un po’ di manufatturiero e di agroali­mentare anoora “tirava”, in mezzo ad un cimitero, già!, di deserti e di cattedrali -, due all’Agricoltura – sospesa tra eroica primitività e pionieristica innovazione -, due al Turismo – quello “indigeno” all’e­poca appena balbettante, più in­vasivo, invece, quello dei villaggi turistici e grandi gruppi coloniz­zatori – e una al Terzo Settore, che cominciava, proprio in quegli an­ni, a coprire, come poteva, vuoti ed emergenze sociali. Più imparavo – paesaggi, perso­ne, manufatti, belli, brutti o così così – più li sentivo parte della mia storia e del mio vissuto, roba che mi apparteneva, di cui dovevo far­mi carico, perché aveva attraver­sato le speranze, le sofferenze, le sconfitte e la fatica della mia gen­te.

La Calabria, dove ero nata, ma dove, anche nell’infanzia, avevo vissuto pochissimo, e che avevo lasciato per andare a studiare a Milano, prima di Calabria ’80, co­me quasi tutti quelli della mia ge­nerazione, praticamente non la conoscevo. Non era allora il luogo “circola­re” che è oggi, grazie anche alle università, che hanno rimescola­to saperi, amori ed esistenze, ma, assai più di oggi, era arroccato, e frammentato, nei paesi e nei par­ticolarismi, nelle città e nei cam­panilismi, che si guardavano, a distanza, – anche ora accade, figu­rarsi quasi mezzo secolo fa – con diffidenza circospetta se non con malcelato razzismo. Chi viveva a Reggio, per dire, andava più facilmente a Roma (o a Messina) per studio o per compe­re, piuttosto che a Catanzaro o a Cosenza, e un catanzarese magari andava a teatro al San Carlo di Na­poli, ma non al Rendano di Cosen­za o al Cilea di Reggio. Imparai a conoscerla scopren­dola, questa regione, con lo sguardo sorpreso della neofita, che, devo dire, non mi ha più ab­bandonato; scoprendola, imparai ad amarla, e, dopo quarant’anni, di più la amo. Non solo le sue cose e le sue persone belle (quelle son bravi tutti ad amarle); io m’inna­morai pure di quelle brutte e di quelle così così. E, amandola, im­parai a raccontarla. Ché, senza amore, non si può.

All’inizio degli anni Ottanta, il clima culturale del Paese era quello, irripetibile, della riscoperta delle identità locali, delle tradizio­ne e dei dialetti, contro la società di massa. Il regionalismo ammi­nistrativo era ancora bambino e quello culturale era frammentato in mille Calabrie, quando la Rai decise di riaccendere le lucciole periferiche che Pasolini piangeva spente per sempre, una per ogni regione, e nacque la Terza Rete decentrata; investì un bel po’ di ri­sorse sui territori e, dal nulla o quasi, impiantò, anche in Cala­bria, un piccolo centro di produ­zione, che non solo realizzava e metteva in onda i primi telegior­nali, ma anche inchieste, docu­mentari, talk-show, fiction.

A Cosenza fu reclutato un pic­colo esercito di operatori dell’in­formazione ( e io tra di loro, e, con molti di loro, rientrai “dal Nord”): giornalisti, registi, operatori di ripresa, tecnici, autisti, elettrici­sti. Quasi cento ragazzi, età me­dia 25 anni, competenze certe, concorsi “veri”, assunzioni a tem­po indeterminato. Ci era richiesta una grande preparazione cultu­rale, ma nessuno di noi aveva mai visto una telecamera, così impa­rammo a fare la televisione “fa­cendola”, come un bambino impa­ra ad usare nn giocattolo giocan­doci; l’entusiasmo era alle stelle, alimentato dalla consapevolezza di essere dei pionieri e dalla acco­glienza straordinaria dei Calabre­si, specialmente quelli delle aree interne: era una festa quando ar­rivava “la Televisione” in luoghi così “lontani” e dimenticati, in cui magari non c’era neanche il se­gnale di trasmissione, e che veni­vano raccontati per la prima vol­ta: persone senza voce che diventavano importanti, luoghi dimenticati a cui si restituiva la memo­ria…

Calabria ’80 nacque in que­sto irripetibile clima e, rivederne adesso due mezz’ore (grazie alla pervicacia del Direttore della Sede di Cosenza Demetrio Crucitti) vuol dire ripercorrere un pezzo fondamentale della storia di que­sta regione, quando tutto pareva dover (ri)nascere, la Regione, l’U­niversità, l’economia…

Il ritmo lentissimo del montag­gio (“allora” per percepire un fer­mo-immagine avevamo bisogno, da telespettatori, di un “tempo”, quattro secondi!, eterno per gli standard frenetici di oggi) vi darà il senso, guardando Calabria ’80, dell’andamento pigro di una sto­ria che, con fatica, con brusche frenate e affannate ripartenze, nonostante tutto, andava allora e ancora, fiaccamente, va. Buona lenta visione. (anm)

[courtesy il Quotidiano del Sud]

Tonino Perna: il ricordo di un’inchiesta straordinaria per scoprire la Calabria degli anni 80

di TONINO PERNA – Nel febbraio del 1980 iniziai a girare, in lungo e largo, nella nostra regione con un team di Rai 3 per realizzare un programma che si intitolava Calabria ’80 ed ave­va l’obiettivo di indagare sulle attività economiche, sociali e culturali della nostra Regione. Soprattutto di guar­dare al presente puntando alle pro­spettive future di questa terra, già al­lora considerata come irrecuperabile da una buona parte della stampa na­zionale. Da nord a sud, da est ad ovest, incontrammo piccoli e medi impren­ditori, aziende localizzate in borghi antichi e sconosciuti, monumenti sto­rici e siti archeologici abbandonati (uno per tutti il castello di Roccella do­ve pascolavano le pecore), scoprimmo attività impensabili (come la coltiva­zione del riso a Sibari, o la nascita di una azienda “Internet” a Piano Lago), e i primi timidi tentativi di attrarre i turisti in Calabria.

Girammo per cin­que mesi da febbraio a maggio, con l’occhio attento di Tonino Arena, indimenticabile fotografo e prezioso ci­neoperatore, producendo decine di chilometri di pellicola che poi, con la regia di Annarosa Macrì, montammo nel mese di agosto in una piccola stan­za della Rai di Cosenza. Ricordo ancora la quantità di granite che prendevo ogni giorno per vincere un caldo in­fernale, e lo stress nel decidere i tagli con la forbice della pellicola, il punto giusto, con la paura di sbagliare e per­dere un fotogramma definitivamen­te. Grazie alla competenza, intelligen­za e granitica costanza di Annarosa portammo a termine l’operazione in quattro giorni.

Alla fine ne ricavam­mo sette puntate che andarono in on­da tra ottobre e novembre del 1980: due dedicate all’industria, due all’agricoltura, una al turismo, una alle cooperative del Terzo Settore, last but not least alla cultura. Oggi, dopo quarant’anni, rivede­re queste immagini può risultare un utile esercizio per capire cosa è cambiato e cosa è rimasto, dove ci so­no stati miglioramenti e dove invece abbiamo solo rimpianti. Una cosa è certa: prenderemo coscienza che la storia non viaggia in linea retta, che il cambiamento c’è stato, in chiaro scuro, con netti miglioramenti in di­versi campi, industria-agricoltura­-turismo, e peggioramenti nel pae­saggio che scriteriate colate di ce­mento hanno deturpato e nelle rela­zioni umane, dove si è persa quella gratuità che ci caratterizzava in passato. Forse, da questa comparazione ne ricaveremo una iniezione di fiducia in noi stessi, in un momento come questo in cui ne abbiamo tanto biso­gno. Questo è l’augurio che faccio ai calabresi e a me stesso. (tp)

[courtesy il Quotidiano del Sud]